Monday, February 23, 2009

Prospettive del Male

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Prospettive del Male

Alcune riflessioni di un profano

Si afferma sovente che il Male è relativo, poiché ciò che nuoce a qualcuno può giovare ad un altro o viceversa. Francesco Lamendola, nel suo recente articolo, intitolato "Il «migliore dei mondi possibili» non è perfetto, ma semplicemente quello meno peggiore", indaga il tema della relatività del male, contrapponendo la visione metafisica di Leibnitz a quella di Voltaire che nel Candido aveva irriso l'ottimismo filosofico del pensatore tedesco.

Sull'argomento mi sono soffermato numerose volte e qui, senza ripetere concetti già espressi, mi vorrei chiedere se il Male sia superiore a quanto ci aspetteremmo in un cosmo che dovrebbe essere e pare essere una creazione di una Mente divina. Certamente la limitata, angusta prospettiva umana (e di chi scrive) induce ad enfatizzare il peso specifico del dolore superiore ai lati positivi in modo incommensurabile, a considerare il tempo in cui comunque si dipana l'esistenza come dimensione lacerante.

Senza dubbio grazie al male, il Bene risalta maggiormente e solo conoscendo il buio, possiamo apprezzare la bellezza della luce, ma certe cicatrici sanguinano ancora e poi, per comprendere che cos’è il bruciore sulla schiena di una frustata, occorrono mille scudisciate o ne bastano dieci?

Siddharta Gautama fu sconvolto dalla constatazione del male: il dolore, la malattia, la vecchiaia, la morte. Se avesse conosciuto Abu Graib o Guantanamo (sono solo due tra gli infiniti esempi), però, come avrebbe reagito? Di fronte alle sofferenze più atroci, alle ingiustizie intollerabili di questo mondo, come possiamo non pensare che la dose di mali sia, in alcuni casi, un po' eccessiva? Mi chiedo come si possa asserire, al cospetto di innocenti sottoposti a mostruose, diaboliche torture, che il Male è solo una mancanza di bene.

Né considero il Male solo da un'angolazione umana: una spaventosa e crudele strage a Gaza, sotto un'ottica cosmica, non è meno straziante di un formicaio allagato. E' anche vero che la morte, se rapida ed indolore, non è il peggiore dei mali, laddove la vita schiacciata da immani patimenti fisici e psicologici assurge a Male quasi assoluto. Tuttavia, se ammettiamo che l'uomo è essere che, grazie al suo intelletto, costituisce in un certo qual modo uno dei vertici della natura, equiparare la calamità che colpisce un batterio a quella che tormenta un uomo di genio è forse opinabile.

Possiamo anche ammettere che l'universo costituisca il migliore dei mondi possibili: dovremo allora immaginare che in altri pianeti abitino civiltà evolute in cui il male di qualsiasi natura sia estremamente ridotto e raro. I sostenitori dell'ipotesi monopolare, però, sembrano dar ragione a Schopenauer, concependo un cosmo come creazione ahrimanica. Ora, pur senza abbracciare l'ingenua, antropocentrica e riduttiva visione di Voltaire, non mi sento neppure di sottoscrivere le concezioni di Leibnitz che prescindono dalla possibilità che l'universo sia un cedimento ontologico o che in esso si sia introdotto un virus, foss'anche "solo" sul pianeta Terra.

Forse non tutto è così perfetto come può apparire da certi angoli visuali, sebbene sia possibile che un'infinita ed ineffabile serenità sia il coronamento di esperienze travagliate, ma consacrate al bene ed alla verità.

Nondimeno, di fronte alla sfacciata sovrabbondanza di un Male (non male), il cui vero significato e fine mi restano piuttosto oscuri, preferisco ancora una volta tacere, senza cercare il conforto di spiegazioni filosofiche, soprattutto quelle di Leibnitz.

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