Monday, December 21, 2009

Grecia, Islanda e Lettonia potrebbero guidare la rivolta contro U.E. e F.M.I. ( articolo di Ellen Brown - huffingtonpost.com )

http://diarionelweb.blogspot.com/2009/12/grecia-islanda-e-lettonia-potrebbero.html

Grecia, Islanda e Lettonia potrebbero guidare la rivolta contro U.E. e F.M.I. ( articolo di Ellen Brown - huffingtonpost.com )



Il crollo finanziario totale, un tempo problema solamente dei paesi in via di sviluppo, è giunto ora in Europa. Il Fondo Monetario Internazionale sta imponendo le proprie “misure di austerità” al cerchio più esterno dell’Unione Europea, con Grecia, Islanda e Lettonia come i paesi più colpiti. Ma questi non sono i normali mendicanti del terzo mondo. Storicamente, i vichinghi islandesi respinsero in numerose occasioni gli invasori britannici, le tribù lettoni allontanarono persino i vichinghi e i greci conquistarono l’intero impero persiano. Se c’è qualcuno che può opporsi al FMI, sicuramente sono questi valorosi guerrieri europei.

Decine di paesi sono risultati inadempienti sul proprio debito negli ultimi decenni, e il caso più recente è stato Dubai che ha dichiarato una moratoria sui debiti il 26 novembre 2009. Se l’ex ricchissimo emirato arabo può risultare inadempiente, possono esserlo anche i paesi disperati. E se l’alternativa è quella di distruggere l’economia locale, è difficile sostenere che non dovrebbero farlo.

Questo è particolarmente vero quando i creditori sono in buona parte responsabili dei problemi del debitore, e ci sono buone ragioni per sostenere che i debiti non devono essere ripagati. I problemi in Grecia ebbero origine quando furono mantenuti bassi i tassi di interesse, inadeguati per la Grecia, per salvare la Germania da un tracollo economico. Mentre ad Islanda e Lettonia è stata accollata la responsabilità delle obbligazioni private verso cui loro non erano parti in causa.

L’UE che non funziona: quando una moneta comune non ha successo

La Grecia potrebbe essere il primo paese del cerchio più esterno dell’UE a ribellarsi. Secondo Ambrose Evans-Pritchard sul Daily Telegraph di domenica: “La Grecia è diventata il primo paese delle sofferenti zone periferiche dell’unione monetaria europea a sfidare Bruxelles e rifiutare la cura medievale da sanguisughe di una deflazione dei salari”. Il Primo ministro George Papandreu ha detto venerdì:

“I lavoratori stipendiati non pagheranno per questa situazione: non procederemo al congelamento o al taglio dei salari. Non siamo saliti al potere per distruggere lo stato sociale”.

Rileva Evans-Pritchard:

"Papandreu ha dei buoni motivi per lanciare il guanto di sfida ai piedi dell’Europa. Alla Grecia è stato detto di adottare un pacchetto di austerità in stile FMI, senza applicare la svalutazione così importante per i piani del FMI. La ricetta è disastrosa ed è chiaramente controproducente."

La moneta non può essere svalutata perché si tratta dello stesso euro utilizzato da tutti. Ciò significa che mentre la possibilità del paese di ripagare il debito viene compromessa dalle misure di austerità, non vi è modo di diminuire il costo del debito. Evans-Pritchard conclude:

La verità è che pochi in Eurolandia sono disposti a mettere in dubbio il fatto che l’Unione Monetaria sia intrinsecamente inadeguata – per la Grecia, per la Germania, per chiunque.

Ed è la ragione per la quale l’Islanda, che non fa ancora parte dell’UE, potrebbe rivedere la propria posizione. All’Islanda viene richiesta l’appartenza all’unione per sottoscrivere un accordo nel quale verrebbero risarciti i depositanti olandesi e britannici che hanno perso i loro soldi nel crollo di IceSave, una divisione off-shore della più importante banca privata islandese. Eva Joly, un magistrato franco-norvegese assunta per indagare sul crollo bancario islandese, lo definisce un ricatto e avverte che cedere alle richieste dell’UE prosciugherebbe l’Islanda delle sue risorse e della sua popolazione, che sarebbe costretta ad emigrare per trovare lavoro.

La Lettonia è un membro dell’UE e si crede che adotterà l’euro, ma non ha ancora raggiunto questa fase. Nel frattempo, l’UE e il FMI hanno detto al governo di prendere a prestito valuta straniera per stabilizzare il tasso di cambio della valuta locale, allo scopo di aiutare i mutuatari a pagare i mutui contratti in valuta straniera dalle banche straniere. Come condizione ai finanziamenti del FMI, vengono richiesti anche i soliti tagli governativi. Nils Muiznieks, responsabile dell’Istituto di ricerche politiche e sociali avanzate di Riga, in Lettonia, si è lamentato:

Il resto del mondo sta perfezionando dei pacchetti di incentivi che vanno dall’uno al dieci per cento del PIL ma, nello stesso momento, alla Lettonia è stato chiesto di apportare dei forti tagli alla spesa – per un totale di circa il 38 per cento quest’anno nel settore pubblico – e di aumentare le tasse per coprire i deficit di bilancio.

In novembre il governo lettone ha adottato il bilancio più pesante degli ultimi anni, con tagli di quasi l’11%. Il governo ha già aumentato le tasse, ridotto la spesa pubblica e gli stipendi governativi e chiuso decine di scuole e ospedali. Come risultato, la banca nazionale prevede per quest’anno una diminuzione dell’economia del 17,5%, proprio quando c’è bisogno di un’economia produttiva per rimettersi in piedi. In Islanda l’economia si è contratta del 7,2% nel corso del terzo trimestre, il calo più forte mai registrato prima.

Come negli altri paesi stretti dai lacci neo-liberisti sulla produttività, l’occupazione e la produzione industriale sono state danneggiate, mettendo in ginocchio le economie.

Una considerazione cinica è che questo sia stato fatto di proposito. Invece di aiutare le nazioni post-sovietiche a sviluppare economie autosufficienti, scrive Marshall Auerback, “l’Occidente le ha viste come delle ostriche economiche da frantumare riempiendole di debiti allo scopo di ricavarne interessi e guadagni in conto capitale, lasciandole poi solo delle conchiglie vuote”.
Ma la gente non si sta sottomettendo in silenzio. La scorsa settimana in Lettonia, mentre il Parlamento discuteva che cosa fare del debito nazionale, migliaia di studenti e insegnanti hanno riempito le strate protestando contro la chiusura di centinaia di scuole e la riduzione fino al 60% degli stipendi dei docenti. I dimostranti portavano striscioni con scritto “Hanno venduto l’anima al diavolo” e “Siamo contro la povertà”. Al parlamento islandese, secondo le ultime notizie la discussione su IceSave è andata avanti per 140 ore, un nuovo primato, e una parte sempre più in crescita della popolazione si oppone al finanziamento di un debito che credono che il governo non debba restituire.

Il 3 dicembre in un articolo sul Daily Mail intitolato “Quello che l’Islanda può insegnare ai Tory”, Mary Ellen Synon scrive che da quando l’economia islandese è crollata lo scorso anno, “i costruttori dell’impero di Bruxelles erano sicuri che i terrorizzati islandesi ormai sull’orlo della bancarotta fossero finalmente pronti per scambiare la propria indipendenza con la ‘stabilità’ dell’adesione all’UE”. Ma il mese scorso, un sondaggio ha mostrato che il 54 per cento degli islandesi si oppone all’adesione, con solamente il 29 di cittadini favorevoli. Synon scrive:

Lo scorso anno gli islandesi potrebbero essersi spaventati a morte ma stanno ora uscendo dalle rovine del loro benessere e hanno deciso che la cosa più preziosa rimasta è la loro indipendenza. Non sono disposti a metterla in vendita, nemmeno per l’eventualità di un salvataggio da parte della Banca Centrale Europea.

Islanda, Lettonia e Grecia sono tutte in grado di mettere alla prova il bluff del FMI e dell’UE. In un articolo del primo ottobre intitolato “Lettonia – la pazzia continua”, Marshall Auerback sosteneva che il problema del debito lettone potrebbe essere risolto nell’arco di un fine settimana, con una serie di misure che comprendono (1) non rispondere al telefono quando i creditori stranieri chiamano il governo; (2) dichiarare insolventi le banche, convertendo il loro debito estero in capitale, e farle riaprire con un’assicurazione totale sui depositi garantiti in valuta locale; e (3) offrire “un lavoro con un salario minimo in valuta locale comprensivo di assistenza sanitaria a chiunque sia disposto a lavorare come fu fatto in Argentina dopo che il regime di Kirchner rifiutò il pacchetto tossico di restituzione del debito del FMI”.

Evans-Pritchard ha suggerito un rimedio analogo per la Grecia la quale, dice, potrebbe liberarsi dal suo cappio mortale seguendo l’esempio dell’Argentina. Potrebbe “reintrodurre la propria valuta, svalutarla, approvare una legge che trasformi il debito interno in euro in valuta locale, e ‘ristrutturare’ i contratti con l’estero”.

La strada meno battuta: dire di no al FMI

Opporsi al FMI non è una strada molto praticata ma l’Argentina ha tracciato il cammino. Di fronte alle tremende previsioni secondo cui l’economia crollerebbe senza crediti con l’estero, nel 2001 sfidò i propri creditori e si staccò semplicemente dai propri debiti. Nell’autunno del 2004, tre anni dopo un’inadempienza record su un debito di oltre 100 miliardi di dollari, il paese era sulla strada della ripresa e aveva raggiunto questo risultato senza aiuti dall’estero. L’economia era aumentata dell’8 per cento per due anni consecutivi. Le esportazioni erano cresciute, la moneta era rimasta stabile, gli investitori ritornavano e la disoccupazione era diminuita. “Si tratta di un importante evento storico, che mette alla prova 25 anni di politiche sbagliate”, diceva l’economista Mark Weisbrot in un’intervista del 2004 riportata dal New York Times. “Mentre altri paesi stanno zoppicando, l’Argentina sta avendo una crescita molto forte senza alcun segno di insostenibilità, ed è stato fatto senza alcuna concessione per ottenere afflussi di denaro straniero.”

Weisbrot è condirettore di un centro studi con sede a Washington chiamato “Centro per la ricerca economica e politica”, che nell’ottobre 2009 ha presentato uno studio su 41 paesi debitori del FMI. Lo studio ha scoperto che le politiche di austerità imposte dal FMI, tra cui i tagli alle spese e la rigida politica monetaria, avevano maggiori probabilità di fare più male che bene a quelle economie.

Questa è stata anche la conclusione di uno studio pubblicato nel febbraio scorso da Yonca Özdemir dell’Università Tecnica del Medioriente di Ankara, mettendo a confronto gli aiuti del FMI in Argentina e in Turchia. Entrambi i mercati emergenti hanno affrontato delle gravi crisi economiche nel 2001, ma se l’Argentina si è ribellata al FMI, la Turchia ha seguito ogni volta i suoi consigli. Il risultato è stato che l’Argentina si è ripresa mentre la Turchia si trova ancora in una crisi finanziaria. L’Argentina ha scelto di dirigere le proprie risorse verso l’interno, sviluppando la propria economia nazionale.

Per trovare i soldi per questo sviluppo, l’Argentina non ha avuto bisogno di investitori stranieri. Ha emesso il proprio denaro e credito attraverso la propria banca centrale. In precedenza, quando la valuta nazionale è crollata completamente nel 1995 e di nuovo dopo il 2000, i governi locali argentini avevano emesso obbligazioni locali che venivano negoziate come valuta. Le province pagavano i propri dipendenti con ricevute cartacee chiamate “Obbligazioni cancella-debito” che erano espresse in unità valutarie equivalenti al peso argentino. Le obbligazioni cancellavano il debito delle province verso i loro dipendenti e potevano essere spese nella comunità. Le province in realtà avevano “monetizzato” i loro debiti, trasformando le loro obbligazioni in valuta a corso legale.

L’emissione e il prestito della valuta sono diritti sovrani del governo, e sono diritti che i piccoli paesi europei perdono quando aderiscono all’UE. L’Argentina è un paese grande che ha maggiori risorse rispetto ad Islanda, Lettonia o Grecia, ma ora le nuove tecnologie disponibili potrebbero addirittura rendere autosufficienti i piccoli paesi. Vedi l’articolo di David Blume “Alcohol can be a gas”.

Ellen Brown
Fonte: www.huffingtonpost.com
Link: http://www.huffingtonpost.com/ellen-brown/eu-imf-revolt-greece-icel_b_389409.html
18.12.2009

Traduzione a cura di JJULES per www.comedonchisciotte.org


15 comments:

  1. Storicamente, i vichinghi islandesi respinsero in numerose occasioni gli invasori britannici
    Ma che c..o sta dicendo questo, semmai sono stati i vichinghi ad invadere piu' volte i territori britannici.
    Ristudiati la storia ignorante !!!!

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  2. Poi che bestia, è l'Islanda a chiedere di entrare nella UE e di passare all'euro per far fronte alla crisi finanziaria.

    Ah, poi i paesi tra quelli messi peggio in Europa (Grecia, Islanda, Lettonia) che "guidano una rivolta"? Per favore.

    ilpeyote che minchiate

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  3. Mettiamo altra carne sul fuoco:

    1) L’Argentina ha scelto di dirigere le proprie risorse verso l’interno, sviluppando la propria economia nazionale.

    Non sparare minchiate, con l'autarchia sappiamo tutti com'è finita.

    2) L'Islanda affida la sua difesa agli USA. Ma fino a 5 minuti fa gli USA non erano il nemico da abbattere? Che cosa succederebbe se andasse a buon fine questa tedicente rivolta?

    ilpeyote sei patetico

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  4. C'e' poi da dire che la Lettonia ha un vicino piuttosto scomodo e ingombrante che si chiama Russia. Essere nell'Europa, per loro, e' una sorta assicurazione sulla vita per far fronte a tale vicino.
    Poi per quanto riguarda la Grecia, Papandreu non e' certo Alessandro Magno.

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  5. Insomma, Foe, a dirla breve non c'è NESSUNA cosa vera in 'sto post del tubo, solo minchiate.

    ilpeyote solo minchiate

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  6. Quoto in pieno l'invito di Foe-Hammer a studiare meglio la storia. I vichinghi islandesi peraltro sono una definizione interessante dato che i vichinghi, popolo scandinavo, colonizzarono l'Islanda dopo, appunto, aver occupato sia parte della Britannia che la Normandia.
    Quindi questa cosa dei vichinghi islandesi che respingevano le invasioni britanniche ha effettivamente del curioso.......

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  7. Probabilmente il sito originale non è huffingtonpost.com ma fuffingtonpost.com

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  8. L’UE che non funziona: quando una moneta comune non ha successo

    Se, e questa dove l'ha letta? Sui Baci Perugina?

    Maddaiiii...

    Saluti
    Michele

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  9. Conoscenti greci mi hanno detto "Beata l'ora che ci hanno accettato nell'Eurozona". Fate un po voi chi dovrebbe iniziare la rivolta...

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  10. Penso sia il caso di riflettere un momento sull'origine dell'articolo originale: un sito USA, ora se c'è qualcuno che si preoccupa per la diffusione dell'euro e per la possibilità che altre nazioni (ad esempio i paesi del golfo) si dotino di una moneta comune svincolata dal dollaro sono proprio gli USA. Il rischio, per loro, che il dollaro passi da moneta fondamentale per il commercio internazionale ad una delle tante li preoccupa non poco.

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  11. Tempo fa (si parla del 2002) l'Iraq (meglio Saddam) prese la decisione informale di quotare parte della sua produzione di greggio in Euro.

    I risultati sono noti.

    Oh, sia ben chiaro, che a Saddam abbiano messo una cravatta di corda a me sta benissimo, ok? :D

    Un po' meno come hanno gestito il post-cravatta.

    Saluti
    Michele

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  12. Eh che, Hanmar e anonimo, vi mettete anche voi a fare i complottisti ? :D

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  13. Beh, Foe, che quello per dichiarare guerra all'Iraq sia stato un complotto non lo dico io.

    :D

    Saluti
    Michele

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  14. Il voler essere scettici nei confronti delle minchiate complottiste non significa che si debba essere ingenui. Credo sia innegabile che la verità spesso non sia esattaemnte quella detta dai potenti e dai giornali, o che comunque tale verità venga distorta a causa interessi essenzialmente economici.

    Da qui ad asserire baggianate ripetutamente confutate, cechi dall'ignoranza e dalla paranoia, ovviamente, passa un abisso.

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  15. Che agli americani, o almeno al loro governo, non faccia troppo piacere che l'euro stia man mano affermandosi come moneta fel commercio internazionale al posto del dollaro credo sia una cosa abbastanza evidente, senza bisogno di avere una mentalità complottista, risciano di vedersi rientare in casa miliardi di dollari sparsi per il mondo con conseguente inflazione.
    Lo stesso si può dire per gli inglesi e per la sterlina.
    Andando poi a vedere la situazione dei paesi colpiti dal crack dei subprime americani troviamo che sono stati duramente colpiti paesi come l'Islanda che hanno investito gran parte della ricchezza nazionale in quello che sembrava un ottimo affare e si è tradotto in un pacco di carta straccia, stessa cosa è successa all'Inghilterra (che non ha adottato l'euro) che se non ha dovuto dichiarare bancarotta ha comunque subito perdite notevoli. Invece nell'area dell'euro le perdite sono state molto più contenute, chissà perchè, forse perchè il controllo della BCE ha scoraggiato le speculazioni troppo azzardate?

    Il Peyote economista bancario...

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