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"Il Maestro e Margherita": una questione di prospettiva
"Il maestro e Margherita" è il celebre romanzo di Mikhail Bulgakov (Kiev, 1891 - Mosca, 1940) cui l'autore dedicò gli anni dal 1929 alla morte. Pubblicata postuma nel 1966, l'opera si presta a numerose chiavi di lettura su cui i critici hanno a lungo disquisito, ma l'aspetto che mi pare più significativo è l'inusuale angolazione da cui sono osservate le vicende ed il mondo. Veramente, cambiando la prospettiva, muta anche la percezione del reale. La protagonista del romanzo è l'avvenente Margherita che, dopo essersi spalmata con un unguento portentoso, diventa una strega: la sua dimensione è il cielo notturno, allagato dal chiarore del plenilunio, screziata con il fogliame lacrimoso dei tigli. Anche le macrosequenze dedicate a Pilato ed alla sua tormentata esistenza si qualificano nella vertiginosa verticalità del firmamento in cui il sole cocente dardeggia schegge accecanti e dove rotola cupo il tuono tra drappi di nere nubi. In una faticosa anabasi sembrano dipanarsi le peripezie del Maestro, lo scrittore, il cui talento è misconosciuto dai critici ottusi e conformisti dell'establishment.
La risoluzione dei suoi problemi si trova nella morte: la morte come vittoria ed ancora prospettiva distanziante rispetto all'ima terra. Ascesa ed ascesi. "Oh numi, numi! Com'è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sopra le paludi! Chi ha vagato in queste nebbie, chi ha molto sofferto prima di morire, chi ha volato sopra la terra, portando su di sé un impari peso, lo sa. Lo sa chi è stanco e senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue piccole paludi, i fiumi e si consegna con cuore leggero nelle mani della morte, sapendo che solo lei può dargli pace." Qui le brume e le paludi evocano le stagnanti convenzioni della società profana.
Le pagine più dense sono le descrizioni dei voli (reali e fantastici), intesi come trasgressione, fuga e tragitto finale verso la pace e la luce. Le parti più emozionanti sono percorse dal brivido dell'altezza: si pensi all'inquadratura di Pilato che, nella sua grandiosa solitudine, sogna il colloquio con il Nazareno. Si instaura una dialettica tra l'alto, la sfera della trascendenza tramata di selenici arabeschi, ed il basso, il luogo dove prevalgono le bassezze umane. Non è tanto, però, antitesi tra Bene e male, poiché è in un'umida cantina che vivono la loro dolente e romantica storia d'amore il maestro e Margherita, quanto la consapevolezza che la vita umana è insufficiente se priva di tensioni ideali, di slanci.
D'altronde anche i personaggi malefici (in verità "gastaldi di Dio"), ossia Woland ed i suoi stralunati accoliti, non sono estranei all'altezza, benché il loro carattere negativo (ma di una negatività non assoluta, più picaresca che miltoniana) si coaguli nelle tenebre morse da fulmini serpentiformi.
Sono così queste sequenze turbinose e, per così dire, "a piombo" che riscattano i capitoli corali e caotici, affollati di macchiette e di aneddoti, ambientati nella grigia Mosca sotto Stalin. Sono unità che stridono un po' con la tragedia di Pilato e l'elegia del Maestro, veri attori di un dramma che si consuma nell'attesa della fine.
'Ascolta il silenzio - diceva Margherita al maestro e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi - ascolta ed inebriati di ciò che in vita non ti è mai stato concesso, la quiete. Guarda là, davanti a te, l'eterna dimora che ti è stata concessa in premio. Io già scorgo una finestra a trifora e la vite che s'involge e sale fino al tetto. Ecco la tua casa, per l'eternità...'
"Così diceva Margherita, camminando con il maestro verso il loro rifugio eterno ed al maestro sembrava che le parole scorressero come scorreva e mormorava il ruscello che si erano lasciati alle spalle e la memoria del maestro, la inquieta, martoriata memoria cominciò a spegnersi."
Nella conclusione si spegne anche lo spirito di rivalsa. L'epilogo può essere finalmente l'inizio... della vita.
La risoluzione dei suoi problemi si trova nella morte: la morte come vittoria ed ancora prospettiva distanziante rispetto all'ima terra. Ascesa ed ascesi. "Oh numi, numi! Com'è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sopra le paludi! Chi ha vagato in queste nebbie, chi ha molto sofferto prima di morire, chi ha volato sopra la terra, portando su di sé un impari peso, lo sa. Lo sa chi è stanco e senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue piccole paludi, i fiumi e si consegna con cuore leggero nelle mani della morte, sapendo che solo lei può dargli pace." Qui le brume e le paludi evocano le stagnanti convenzioni della società profana.
Le pagine più dense sono le descrizioni dei voli (reali e fantastici), intesi come trasgressione, fuga e tragitto finale verso la pace e la luce. Le parti più emozionanti sono percorse dal brivido dell'altezza: si pensi all'inquadratura di Pilato che, nella sua grandiosa solitudine, sogna il colloquio con il Nazareno. Si instaura una dialettica tra l'alto, la sfera della trascendenza tramata di selenici arabeschi, ed il basso, il luogo dove prevalgono le bassezze umane. Non è tanto, però, antitesi tra Bene e male, poiché è in un'umida cantina che vivono la loro dolente e romantica storia d'amore il maestro e Margherita, quanto la consapevolezza che la vita umana è insufficiente se priva di tensioni ideali, di slanci.
D'altronde anche i personaggi malefici (in verità "gastaldi di Dio"), ossia Woland ed i suoi stralunati accoliti, non sono estranei all'altezza, benché il loro carattere negativo (ma di una negatività non assoluta, più picaresca che miltoniana) si coaguli nelle tenebre morse da fulmini serpentiformi.
Sono così queste sequenze turbinose e, per così dire, "a piombo" che riscattano i capitoli corali e caotici, affollati di macchiette e di aneddoti, ambientati nella grigia Mosca sotto Stalin. Sono unità che stridono un po' con la tragedia di Pilato e l'elegia del Maestro, veri attori di un dramma che si consuma nell'attesa della fine.
'Ascolta il silenzio - diceva Margherita al maestro e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi - ascolta ed inebriati di ciò che in vita non ti è mai stato concesso, la quiete. Guarda là, davanti a te, l'eterna dimora che ti è stata concessa in premio. Io già scorgo una finestra a trifora e la vite che s'involge e sale fino al tetto. Ecco la tua casa, per l'eternità...'
"Così diceva Margherita, camminando con il maestro verso il loro rifugio eterno ed al maestro sembrava che le parole scorressero come scorreva e mormorava il ruscello che si erano lasciati alle spalle e la memoria del maestro, la inquieta, martoriata memoria cominciò a spegnersi."
Nella conclusione si spegne anche lo spirito di rivalsa. L'epilogo può essere finalmente l'inizio... della vita.
Non ci posso credere!!!Zret che scrive qualcosa su un bel libro!!
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