http://zret.blogspot.com/2011/05/vesica-piscis.html
Vesica piscis
Nel libro X (capitolo XII) dell'opera intitolata "Le confessioni", Agostino scrive: "La memoria contiene altresì i rapporti e le numerosissime leggi dell'aritmetica e della geometria, nessuna delle quali è stata impressa dai sensi esterni, non essendo affatto colorate o sonore o odorose, non sapide, non tangibili. Quando se ne discute, percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un'altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini né di qualsiasi altra lingua. Vidi linee sottilissime come fili di ragnatele tracciate da artefici, ma le linee geometriche sono ben diverse dalle immagine di quelle che l'occhio corporale mi ha fatto conoscere: uno le conosce dentro di sé, senza bisogno di pensare ad un oggetto qualsiasi".
Il passaggio riportato darebbe adito a tante e tali riflessioni che occorrerebbero interi volumi per svilupparle. Pertanto circoscrivo l'indagine a qualche aspetto di valenza linguistica ed epistemologica. Noto in primis che l'autore risente del dualismo peculiare della religione manichea cui aveva aderito in giovinezza e che, dopo l'incontro con Ambrogio, abbandonò sino a combatterlo strenuamente. Siamo in ambito diverso, non più etico, ma pur sempre di fronte ad una serie di dicotomie: la separazione tra significante (struttura del segno) e significato; la differenza tra esterno ed interno; la distinzione tra concreto ed astratto. Sono concetti filosofici sussunti nel senso comune [1], ma poiché per il pensiero non ci vuole l'accetta, si è costretti a concludere che nulla dimostra che fuori e dentro, concretezza ed astrazione sono entità divise.
La divaricazione agostiniana tra forma e contenuto è discutibile: "Percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un'altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini né di qualsiasi altra lingua". Sappiamo che il significante è, in alcuni casi, agganciato al senso: non mi riferisco solo ai vocaboli onomatopeici (icone), piuttosto all'arcano potere delle vibrazioni di codificare modelli, immagini, archetipi sicché l'idea è almeno in parte impastata di suoni, di odori, di sapori... Non è forse il Logos ("verbo" che ha la stessa radice di vibrazione) a condensarsi in oggetti e ad adombrare significati? Non è del tutto vero che i concetti non sono né greci né latini: ogni idioma possiede un quid che struttura i contenuti, secondo schemi a priori. Queste categorie si riflettono sulle forme e sono riflessi da esse, essendo i fenomeni linguistici biunivoci.
La distinzione tra gli enti della matematica e gli oggetti della cosiddetta realtà è, in fondo, una petizione di principio: siamo certi che esistono idee geometriche ed aritmetiche innate? Se sì, chi le ha introdotte nella mente? Conoscere i numeri ed i loro rapporti può prescindere da un pensiero diretto verso un referente? Sono domande cui è arduo rispondere, poiché implicano la risoluzione di problemi quali la ricezione, la percezione, l'appercezione (percezione consapevole), la memoria, il pensiero... Chi pensa che cosa? Chi o che cos'è questo qui che pensa? Un'anima? Una sostanza? Un fascio di sensazioni, un sofisticato computer o che cos'altro?
La questione è molto più complessa di come la prospetta Agostino che esprime delle concezioni ancora oggi ben radicate (si pensi ai matematici platonici ed ai glottologi convenzionalisti), ma non per questo del tutto condivisibili. Così il vescovo di Ippona, al culmine di un lungo processo speculativo, si ferma ad un'esegesi del mondo che, pur non priva di qualche spunto originale, è per lo più una rielaborazione di teorie classiche, soprattutto platoniche e neo-platoniche.
Oggi, digiuni di qualsiasi cognizione epistemologica, certi individui, con sicumera tutta "scientifica" ed altrettanto dogmatica, riescono a distinguere tra reale ed irreale, tra esterno ed interno, tra output ed input, tra fatto e teoria etc. Difendono la loro misera, ingenua visione del mondo, con una corazza... di paglia.
[1] Si può reputare il senso comune una sorta di filosofia semplificata, pret-à-porter, pratica, utile, ma mediocre.
Il passaggio riportato darebbe adito a tante e tali riflessioni che occorrerebbero interi volumi per svilupparle. Pertanto circoscrivo l'indagine a qualche aspetto di valenza linguistica ed epistemologica. Noto in primis che l'autore risente del dualismo peculiare della religione manichea cui aveva aderito in giovinezza e che, dopo l'incontro con Ambrogio, abbandonò sino a combatterlo strenuamente. Siamo in ambito diverso, non più etico, ma pur sempre di fronte ad una serie di dicotomie: la separazione tra significante (struttura del segno) e significato; la differenza tra esterno ed interno; la distinzione tra concreto ed astratto. Sono concetti filosofici sussunti nel senso comune [1], ma poiché per il pensiero non ci vuole l'accetta, si è costretti a concludere che nulla dimostra che fuori e dentro, concretezza ed astrazione sono entità divise.
La divaricazione agostiniana tra forma e contenuto è discutibile: "Percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un'altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini né di qualsiasi altra lingua". Sappiamo che il significante è, in alcuni casi, agganciato al senso: non mi riferisco solo ai vocaboli onomatopeici (icone), piuttosto all'arcano potere delle vibrazioni di codificare modelli, immagini, archetipi sicché l'idea è almeno in parte impastata di suoni, di odori, di sapori... Non è forse il Logos ("verbo" che ha la stessa radice di vibrazione) a condensarsi in oggetti e ad adombrare significati? Non è del tutto vero che i concetti non sono né greci né latini: ogni idioma possiede un quid che struttura i contenuti, secondo schemi a priori. Queste categorie si riflettono sulle forme e sono riflessi da esse, essendo i fenomeni linguistici biunivoci.
La distinzione tra gli enti della matematica e gli oggetti della cosiddetta realtà è, in fondo, una petizione di principio: siamo certi che esistono idee geometriche ed aritmetiche innate? Se sì, chi le ha introdotte nella mente? Conoscere i numeri ed i loro rapporti può prescindere da un pensiero diretto verso un referente? Sono domande cui è arduo rispondere, poiché implicano la risoluzione di problemi quali la ricezione, la percezione, l'appercezione (percezione consapevole), la memoria, il pensiero... Chi pensa che cosa? Chi o che cos'è questo qui che pensa? Un'anima? Una sostanza? Un fascio di sensazioni, un sofisticato computer o che cos'altro?
La questione è molto più complessa di come la prospetta Agostino che esprime delle concezioni ancora oggi ben radicate (si pensi ai matematici platonici ed ai glottologi convenzionalisti), ma non per questo del tutto condivisibili. Così il vescovo di Ippona, al culmine di un lungo processo speculativo, si ferma ad un'esegesi del mondo che, pur non priva di qualche spunto originale, è per lo più una rielaborazione di teorie classiche, soprattutto platoniche e neo-platoniche.
Oggi, digiuni di qualsiasi cognizione epistemologica, certi individui, con sicumera tutta "scientifica" ed altrettanto dogmatica, riescono a distinguere tra reale ed irreale, tra esterno ed interno, tra output ed input, tra fatto e teoria etc. Difendono la loro misera, ingenua visione del mondo, con una corazza... di paglia.
[1] Si può reputare il senso comune una sorta di filosofia semplificata, pret-à-porter, pratica, utile, ma mediocre.
Ok, bel post.
ReplyDeleteMa che cazzo vuol dire???
Saluti
Michele
...riescono a distinguere tra reale ed irreale
ReplyDeleteCosa che agli psicotici è negata.
Della serie: "il solito professò cogliò"
ReplyDeleteNon è forse il Logos ("verbo" che ha la stessa radice di vibrazione) a condensarsi in oggetti e ad adombrare significati?
Etimologia di verbo: http://tinyurl.com/6knyjdk
Etimologia di vibrare (da cui vibrazione): http://tinyurl.com/6gvn7mt
ilpeyote ma va' a scopare il mare con un vibratore clown
Beh, tigre,
ReplyDeletel'etimologia non e' mai stata il punto forte di Zret: http://strakerenemy.blogspot.com/2009/02/scienza-scibile-e-scindo.html
Hai ragione eSSSe: l'unico punto forte d'o professò cogliò è la punta della testa che usa in cava per spaccar pietre.
ReplyDeleteilpeyote appuntito
Della serie: "il solito professò cogliò II"
ReplyDeleteLa distinzione tra gli enti della matematica e gli oggetti della cosiddetta realtà è, in fondo, una petizione di principio: siamo certi che esistono idee geometriche ed aritmetiche innate? Se sì, chi le ha introdotte nella mente?
Bestia: se sono INNATE, non le ha introdotte nessuno.
ilpeyote ragiona più logicamente un paracarro
ilpeyote ma va' a scopare il mare con un vibratore clown
ReplyDeleteOgni riferimento a Vibravito è puramente casuale.
Oggi, digiuni di qualsiasi cognizione epistemologica, certi individui, con sicumera tutta "scientifica" ed altrettanto dogmatica, riescono a distinguere tra reale ed irreale, tra esterno ed interno, tra output ed input, tra fatto e teoria etc. Difendono la loro misera, ingenua visione del mondo, con una corazza... di paglia.
ReplyDeleteChe si sia ravveduto e stia parlando di se' e del fratello???
Noi di Boyager crediamo di no....
E' impossibile che rinsavisca....
Però come si adatta bene al loro modo di fare!!! ;-)
Jabba