Angelology
Può l’orrore irradiare luce? In che cosa risiede la fascinazione del male? Sono le domande che, come proiettili, colpiscono il lettore di “Angelology”, opera prima dell’italo-statunitense Danielle Trussoni. L’autrice, con questo romanzo fastidioso e coinvolgente, irrigidito nei cliché, eppure in parte insofferente dei soliti steccati, ci conduce nel sulfureo regno degli angeli prigionieri.
E’ naturale: bisogna chiedersi che senso oggi abbia il genere, ormai scaduto nell’intrattenimento più volgare ed effimero o, di converso, (ma è un’antitesi apparente) nei prodotti cervellotici ed ottusi di Umberto Eco, il cui ultimo conato, “Il cimitero di Praga”, è il cimitero di ogni speranza in una resurrezione del romanzo.
La letteratura contemporanea, se veramente affonda in questi tempi martoriati e folli, aborre dalla narrativa, perché non è possibile raccontare l’iterazione del non-senso che semmai si può affidare ad una fotografia, eternatrice della morte.
Così ci accontentiamo di abbozzi, di quasi-testi che, nella loro incompiutezza, spalancano abissi di pensieri. Ci beiamo di saghe interrotte oppure di opere come “Angelology”, il cui valore è nei frammenti che scheggiano gli specchi di consolidate percezioni e concezioni. Dimentichiamo dunque gli angeli tradizionali, quelli che finiscono, con tanto di diafane ali e di tuniche elegantemente drappeggiate, nei libri della New age. Figuriamoci, invece, creature (i Nefilim, gli Anakim ed i Gibborim) in cui una bellezza sfolgorante si congiunge ad una malvagità assoluta, quasi il divino (sia pure un divino decaduto) ed il diabolico si compenetrassero. Dimentichiamo i celestiali cori angelici sovrastati dalla musica che incanta ed uccide.
A differenza di molti autori d’oggi, la Trussoni non massacra la lingua (ma il verbo “posizionare” è una scelta delittuosa dei traduttori), anzi manifesta una certa vena poetica, quando indugia nella descrizione di New York, raggelata nei rigori invernali, nella pittura di interni ora sontuosi ora disadorni. La sensibilità muliebre le consente di evocare emozioni, intensità di sguardi e chiaroscuri di sfondi naturali, anche se la citazione delle marche (di scarpe, abiti, accessori) è fatuo snobismo.
Dopo alcuni capitoli psicologici, il romanzo si immette nel solco del thriller storico. I cerchi concentrici delle analessi e la decorosa costruzione di alcuni personaggi si innestano talvolta (e sono le parti migliori) sulla riflessione che ha al centro la ferocia del male, giunto sulla terra con gli alati Nefilim.
Per affrontare il tema vertiginoso delle tenebre che incombono sul mondo, occorre una tempra che la Trussoni non possiede, ma in alcune pagine l’autrice riesce a far vibrare le corde dello Spannung, mentre la melodia terribile della lira appartenuta ad Orfeo echeggia nelle pagine che dipingono la metamorfosi di Evangeline, la protagonista.
L’avventura può ora assurgere ad un volo tanto imponente, quanto solitario e pericoloso.
Ringrazio l'amica Lavinia per avermi consentito di venire al corrente del romanzo, grazie alla sua recensione su "X Times".
E’ naturale: bisogna chiedersi che senso oggi abbia il genere, ormai scaduto nell’intrattenimento più volgare ed effimero o, di converso, (ma è un’antitesi apparente) nei prodotti cervellotici ed ottusi di Umberto Eco, il cui ultimo conato, “Il cimitero di Praga”, è il cimitero di ogni speranza in una resurrezione del romanzo.
La letteratura contemporanea, se veramente affonda in questi tempi martoriati e folli, aborre dalla narrativa, perché non è possibile raccontare l’iterazione del non-senso che semmai si può affidare ad una fotografia, eternatrice della morte.
Così ci accontentiamo di abbozzi, di quasi-testi che, nella loro incompiutezza, spalancano abissi di pensieri. Ci beiamo di saghe interrotte oppure di opere come “Angelology”, il cui valore è nei frammenti che scheggiano gli specchi di consolidate percezioni e concezioni. Dimentichiamo dunque gli angeli tradizionali, quelli che finiscono, con tanto di diafane ali e di tuniche elegantemente drappeggiate, nei libri della New age. Figuriamoci, invece, creature (i Nefilim, gli Anakim ed i Gibborim) in cui una bellezza sfolgorante si congiunge ad una malvagità assoluta, quasi il divino (sia pure un divino decaduto) ed il diabolico si compenetrassero. Dimentichiamo i celestiali cori angelici sovrastati dalla musica che incanta ed uccide.
A differenza di molti autori d’oggi, la Trussoni non massacra la lingua (ma il verbo “posizionare” è una scelta delittuosa dei traduttori), anzi manifesta una certa vena poetica, quando indugia nella descrizione di New York, raggelata nei rigori invernali, nella pittura di interni ora sontuosi ora disadorni. La sensibilità muliebre le consente di evocare emozioni, intensità di sguardi e chiaroscuri di sfondi naturali, anche se la citazione delle marche (di scarpe, abiti, accessori) è fatuo snobismo.
Dopo alcuni capitoli psicologici, il romanzo si immette nel solco del thriller storico. I cerchi concentrici delle analessi e la decorosa costruzione di alcuni personaggi si innestano talvolta (e sono le parti migliori) sulla riflessione che ha al centro la ferocia del male, giunto sulla terra con gli alati Nefilim.
Per affrontare il tema vertiginoso delle tenebre che incombono sul mondo, occorre una tempra che la Trussoni non possiede, ma in alcune pagine l’autrice riesce a far vibrare le corde dello Spannung, mentre la melodia terribile della lira appartenuta ad Orfeo echeggia nelle pagine che dipingono la metamorfosi di Evangeline, la protagonista.
L’avventura può ora assurgere ad un volo tanto imponente, quanto solitario e pericoloso.
Ringrazio l'amica Lavinia per avermi consentito di venire al corrente del romanzo, grazie alla sua recensione su "X Times".
La Trussoni ha scritto un romanzo, punto. Non credo volesse investigare tenebre e demoni vari che secondo Zret già vivono tra di noi.
ReplyDeleteSapesse che viene considerata un misto tra Dan Brown e Umberto Eco, comincerebbe ad insultare anche lei!
Saluti, Laura