http://zret.blogspot.com/2012/01/illusione-ottica.html
Illusione ottica
“Ero
felice, non ci si accorge mai di esserlo, Angela, e mi chiesi perché
l’assimilazione di un sentimento così benevolo ci trovi sempre così
impreparati, sbadati tanto che conosciamo solo la nostalgia della
felicità o la sua perenne attesa”. Così scrive Margaret Mazzantini in
“Non ti muovere”.
L’autrice coglie il carattere inafferrabile della felicità, confinata in un passato perduto per sempre o proiettata in un futuro che non si realizza mai. E’ questo l’umano destino: rincorrere una gioia che non appartiene al presente, che non appartiene a nessun tempo. Ghermire l’attimo? E’ possibile? A volte, strappiamo una gratificazione a qualche istante che viviamo, ma la felicità è altra cosa. Vorremmo eternare quei rari momenti di serenità: è il sogno che culliamo invano, il miraggio che fluttua innanzi ai nostri occhi. Se la gioia fosse imperitura, la distingueremmo dal dolore e dal tedio? Solo quando l’esultanza spicca sulla grigia pagina della noia, se ne discerne il vivace colore. Eppure…
Il desiderio della felicità, desiderio sempre risorgente e sempre frustrato, è umano proprio come la necessità di stare con gli altri. Si può essere felici da soli? Il detto “beata solitudo, sola beatitudo” si applica agli spiriti sublimi che hanno imparato a trascurare i piaceri caduchi, siano pure quelli più nobili, generati dalla socievolezza e dall’amicizia. Fatto è che, se abbiamo appreso a tollerare sofferenze indicibili ed a nasconderle a noi stessi ed agli altri, quando siamo felici, desidereremmo condividere quei magici momenti con qualcuno. Il dolore è solitario; la letizia ama la compagnia. Il dolore condiviso resta intatto nella sua intensità; se rendiamo partecipi gli altri della nostra contentezza, essa si espande. Gli altri, però, se non sono mossi da invidia, non capiscono; non possono capire ed immedesimarsi nel nostro stato di grazia. Così la felicità, se mai la si sfiori, pare condannare alla solitudine, tramutandosi nel suo contrario.
Che pensare della fantasia che trasfigura e, per così dire, spiritualizza i piaceri effimeri e li colloca nella dimensione dell’eterno? L’esigenza insopprimibile alla felicità, che non è la volgare soddisfazione dei bruti, ma un compimento della natura umana, dimostra che la vita è tale, solo se sostanziata di senso e di gratificazione. Se vagheggiando lo stato prodigioso, andremo incontro a cocenti delusioni, è ancora più triste rassegnarsi ad esistere, senza più l’anelito alla bellezza, alla verità, all’appagamento. Ciò anche se in cuor nostro sappiamo che la felicità è solo un’illusione ottica della coscienza.
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Zret L’autrice coglie il carattere inafferrabile della felicità, confinata in un passato perduto per sempre o proiettata in un futuro che non si realizza mai. E’ questo l’umano destino: rincorrere una gioia che non appartiene al presente, che non appartiene a nessun tempo. Ghermire l’attimo? E’ possibile? A volte, strappiamo una gratificazione a qualche istante che viviamo, ma la felicità è altra cosa. Vorremmo eternare quei rari momenti di serenità: è il sogno che culliamo invano, il miraggio che fluttua innanzi ai nostri occhi. Se la gioia fosse imperitura, la distingueremmo dal dolore e dal tedio? Solo quando l’esultanza spicca sulla grigia pagina della noia, se ne discerne il vivace colore. Eppure…
Il desiderio della felicità, desiderio sempre risorgente e sempre frustrato, è umano proprio come la necessità di stare con gli altri. Si può essere felici da soli? Il detto “beata solitudo, sola beatitudo” si applica agli spiriti sublimi che hanno imparato a trascurare i piaceri caduchi, siano pure quelli più nobili, generati dalla socievolezza e dall’amicizia. Fatto è che, se abbiamo appreso a tollerare sofferenze indicibili ed a nasconderle a noi stessi ed agli altri, quando siamo felici, desidereremmo condividere quei magici momenti con qualcuno. Il dolore è solitario; la letizia ama la compagnia. Il dolore condiviso resta intatto nella sua intensità; se rendiamo partecipi gli altri della nostra contentezza, essa si espande. Gli altri, però, se non sono mossi da invidia, non capiscono; non possono capire ed immedesimarsi nel nostro stato di grazia. Così la felicità, se mai la si sfiori, pare condannare alla solitudine, tramutandosi nel suo contrario.
Che pensare della fantasia che trasfigura e, per così dire, spiritualizza i piaceri effimeri e li colloca nella dimensione dell’eterno? L’esigenza insopprimibile alla felicità, che non è la volgare soddisfazione dei bruti, ma un compimento della natura umana, dimostra che la vita è tale, solo se sostanziata di senso e di gratificazione. Se vagheggiando lo stato prodigioso, andremo incontro a cocenti delusioni, è ancora più triste rassegnarsi ad esistere, senza più l’anelito alla bellezza, alla verità, all’appagamento. Ciò anche se in cuor nostro sappiamo che la felicità è solo un’illusione ottica della coscienza.
Sarà un caso che ogni volta che leggo le puttanate scritte malissimo di questo allegrone una mano corre a toccare i testicoli?
ReplyDelete@TDM: anche a me e' l'unica cosa che viene spontanea.
ReplyDeleteSempre piu' allegro, il maestrino...
frank, ho la patta di TUTTI i miei pantaloni scorticata, da quando "seguo" il maestrino, dovrei farmeli ripagare da lui, ho il conto in rosso anche solo per quello.
DeleteQuello che mi preoccupa è il presunto (detto da lui) adolescente depresso Jc, che Zret addirittura invidia...
ReplyDeleteE chi è 'sto Jc?
Deleteedit: ho letto. Certo che la risposta dell'allegrone è un inno alla gioia e alla vita (sono ironico, ovvio):
Zret ha detto...
Jc, hai scritto una pagina molto densa. Reputo che l'esistenza sia di per sé intollerabile. La sofferenza è consastunziata alla vita, ma addirittura abita nel cuore dell'universo, come scrive Pareyson. Il tuo atteggiamento di osservatore distaccato ti salva dalla tempesta, come il saggio epicureo che osserva da lontano le disgrazie del mondo e le sventure degli infelici. Scrivo ciò con una punta di invidia. Certamente il mondo non è serio, questo sì...
Ciao
sabato, gennaio 21, 2012 3:59:00 PM
Per il demonio, se è così intollerabile, falla finita e stop, invece di seminare stronzate in giro e magari indurre qualcuno a gesti insani.
ilpeyote te le tirano proprio fuori
Per sua fortuna è un gran codardo.. uno con un po' più di coraggio, un po' più uomo, si sarebbe già fatto saltare le cervella, trovandosi nei suoi panni.
ReplyDeleteZret ha detto...
ReplyDeleteSharon, non sono stato originale. Ho in fondo ripetuto concetti di Leopardi e di altri
Lo ha ammesso, alla fine!
Sì, ha ammesso che non è assolutamente capace, nemmeno quando è seduto sulla tazza del cesso, di avere un pensiero proprio.
Deleteilpeyote ce l'hai piccolo (cit. alex drastico) la qualsiasi (cit. cetto laqualunque) straccione che non sei altro (cit. la tigre della malora)
A pessimista cosmico de noantri:
ReplyDeletePPPPPPRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!