Thursday, May 30, 2013

Dendron

http://zret.blogspot.co.uk/2013/05/dendron.html

Dendron

Davvero dovremmo imparare molto dagli alberi, creature duplici con le radici piantate nel terreno e la chioma protesa nel cielo. Gli alberi si accontentano di poco: un po’ d’acqua, sole e terra. Donano molto: frescura, frutti, legno per gli usi più diversi, soprattutto bellezza. Tenacia, resistenza alle intemperie, parsimonia sono le loro precipue virtù.

Non è un caso se i miti arcaici si incentrano su alberi dal valore emblematico: l’Yggdrasil dei Germani, gli alberi biblici. Axis mundi e Gnosi, anche il Segreto della vita. E’ noto che il termine “druida”, l’iniziato dei Celti, versato nella magia e nella divinazione, discende da due radici indogermaniche che designano rispettivamente la quercia e la sapienza: "dru" e "wid". Le driadi, le ninfe greche degli alberi, traggono il loro nome da "drys", quercia. I popoli antichi godettero di un rapporto privilegiato con la flora: numerosi racconti ellenici lo dimostrano. Si pensi a Dafne tramutata dal dio Apollo in un lauro. Naturalmente essi sentivano che le piante, oltre ad essere vive, erano sacre. La metamorfosi in albero di Dafne, di Ciparisso… è metanoia.

Bernardo di Clairvaux, il monaco cistercense che introdusse il culto della Vergine nera in Europa, soleva ripetere di aver appreso più dagli alberi che dai libri. Come non concordare? Non sono conoscenze empiriche, ma simboliche: forse Bernardo era ancora capace di dialogare con le creature arboree, di captarne le parole mistiche. A Dodona, in Tessaglia, profetava un venerando oracolo di Zeus: egli prendeva gli auspici, ascoltando lo stormire delle fronde di una quercia sacra al dio egioco. I venti erano le dita, le foglie gli strumenti.

Nell’"Odissea" gli alberi sono radicati nell’immaginario: le piante che crescono sull’isola di Ogigia alludono al mondo occultato oltre il mondo, come il nome della ninfa Calipso, la Nasconditrice che offre al Laerziade l’unica forma di immortalità cui può aspirare l’uomo. Il nòstos dell’eroe omerico è ritorno alle radici, al talamo condiviso con Penelope, più alter ego (Anima?) dell’Itacense che consorte. Il letto nuziale è intagliato nel poderoso tronco di un olivo, pianta peculiare della cultura-coltura mediterranea. L’albero della nave, cui Odisseo è strettamente legato durante la navigazione presso l’isola delle Sirene, è salvezza.

Poiché la maggior parte dei vocaboli botanici appartiene al substrato delle etnie pre-indoeuropee, matriarcali, essi sono femminili in un senso profondo, viscerale, non solo morfologico. D’altronde la morfologia è, in una certa misura, scienza dell’essere. Il genere femminile associato ai nomi degli alberi nell’idioma latino è il vestigio di un antico culto, di un pristino, obliato spirito. In principio era la Generazione.

La morte degli alberi è la fine della Terra. Ancora prima che essi fossero reificati e ingegnerizzati, erano scomparsi dall’orizzonte culturale, eclissati da un ego sempre più egocentrico. Una superstite consonanza con l’universo vegetale si avverte ancora in Pascoli e nel panismo dannunziano. Sebbene con modi estetizzanti, D’Annunzio è capace di sintonizzarsi con il ritmo segreto della flora: il suo superomismo, però, lo induce ad umanizzare la natura più che a naturalizzarsi in essa.

E’ sintomatico che, chiuso nella sua visionaria cecità, fu Stevie Wonder nel concept album “Journey through the wonderful world of plants” a carpire i palpiti ed i suoni inavvertiti, i colori del buio. E, però, l’ultimo anelito verso la verde armonia.

Osserviamo: la simmetria radiale degli alberi ritenuti preistorici, come le auracarie, si differenzia dalla simmetria bilaterale delle angiosperme che si diramano, attraverso biforcazioni di biforcazioni, in un movimento teoricamente infinito.

E’ proprio nella tensione inesausta ed inappagata verso l’infinito che gli alberi paiono manifestare la loro essenza. E’ proprio il rattrappimento della coscienza umana, oggi rimpicciolita in un moncherino inerte, a misurare la distanza incommensurabile tra la Vita e la Morte, invano guarnita di grotteschi orpelli. Il distacco definitivo da codesta umanità non discende da altero disdegno, ma è epigrafe su un sepolcro.


11 comments:

  1. Replies
    1. Ma te lo immagini mentre si accoppia in bagno con il tronchetto della felicittà di mamma?

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    2. No... ma adesso per colpa tua si!
      Mi hai rovinato la giornata! :D

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  2. Un mucchio di puttanate tenute insieme con lo sputo.

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  3. Ma oltre a scaricare qualche byte in rete, che senso ha questo delirio, che sembra scaturire da una bevuta eccessiva di Tavernello scaduto?

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  4. Totalmente incapace a scrivere.
    Un cagnaccio noioso e indisponente.Per quanto mi riguarda io non riesco ad andare oltre qualche riga.
    Pezzo di Zretino,smettila di ammorbare il web con le tue minchiate soporifere,lo scrivere non fa per te,rassegnati,fallito ignorante.

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  5. Totalmente incapace a scrivere.
    Un cagnaccio noioso e indisponente.Per quanto mi riguarda io non riesco ad andare oltre qualche riga.
    Pezzo di Zretino,smettila di ammorbare il web con le tue minchiate soporifere,lo scrivere non fa per te,rassegnati,fallito ignorante.

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  6. Davvero dovremmo imparare molto dagli alberi
    Sì, zretino.
    Impara qualcosa dagli alberi: almeno a stare zitto.

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  7. Devo dire che certe volte mi fanno pena i due COGLIONI, pensate che carico di merda si devono portare ogni giorno.
    Derisi, isolati, soli, senza amici, senza una donna, scaricati pure dai forum di scie chimiche, il processo in arrivo.........CHE VITA DI MERDA

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    1. "Devo dire che certe volte mi fanno pena i due COGLIONI"
      A me no!
      Se la sono cercata, la vita di merda che fanno, non possono dare la colpa a nessuno.

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