Sunday, June 8, 2014

La fine della definizione

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La fine della definizione


Un giorno mi sono ritrovato con un amico a tentare di chiarire il significato di “coscienza”. Siamo partiti dalla fine, ossia dalle definizioni fornite da due dizionari molto diversi tra loro. Il “Novissimo Melzi” riporta come accezioni di “coscienza”: “Facoltà per la quale sappiamo distinguere e deliberare tra il bene e il male – L’esser cosciente”.

Lo Zingarelli offre queste accezioni: “Modo particolare in cui le esperienze o i processi psichici, quali percezioni, ricordi, eventi intellettuali, sentimenti, desideri ed atti della volontà sono dati e conosciuti al soggetto – Correntemente, percezione che l’uomo ha di sé, del proprio corpo e delle proprie sensazioni, dei significati e dei fini delle proprie azioni – Sistema dei valori morali di una persona che le permette di approvare o disapprovare i propri atti, propositi e simili".

Si noti come un vocabolario antiquato, il Melzi, privilegi un taglio etico nella definizione, laddove uno più recente focalizza le valenze psichiche.

Invero, qualsiasi sia l’approccio, ogni definizione, intesa come delimitazione dei significati afferenti ad un lessema, è impossibile. Stabilire che cosa sia la “coscienza” è impresa inattuabile, ma, se pure ci limitiamo a circoscrivere il significato delle parole cosiddette concrete, l’operazione non è meno ardua: perché un recipiente con le anse non è più una bottiglia? Perché un recipiente di base quadrata non è più una bottiglia?

E’ palese che, non potendo definire i concetti, non possiamo neppure catturare le cose né stabilire quale sia il nesso tra parole ed oggetti, tra parole ed azioni. Nella “comunicazione” ordinaria ci accontentiamo di significati ordinari: il senso comune, pur con tutti i suoi limiti, ci consente di intrattenere le relazioni sociali indispensabili e di trasmettere i valori denotativi. Se in un bar ordiniamo un bicchiere d’acqua, è molto difficile che ci si porti un calice di champagne.

Qualora, però, intendiamo inoltrarci nei territori connotativi e dei significati fondamentali, qualsiasi accordo semantico è una chimera. Ognuno, ad esempio, intenderà la “coscienza” in modo diverso, secondo la sua enciclopedia ed il contesto storico-culturale. Qualcuno tenderà a sottolineare le sfumature morali del lessema, altri la filigrana psichica, altri ancora la curvatura filosofica…

Non solo, la definizione che il singolo adotta di “coscienza” è passibile di continui adattamenti e calibrature, secondo i suoi vissuti e le competenze culturali. Troveremo anche chi, come Borges, riconoscerà che “parlare significa incorrere in tautologie”. Il Novissimo Melzi, non a caso, propone una “spiegazione" tautologica di “coscienza”, ossia “esser cosciente” (sic).

Se si cerca di interloquire su temi abissali, si va incontro a disastri comunicativi: qualsiasi intesa è una pia illusione, anche perché, ammesso e non concesso che si trovi un minimo di condivisione su un significato generale, poi ci si accapiglierà circa i valori specifici e dei vocaboli correlati. Concediamo per assurdo che i locutori convengano sulla seguente delimitazione semantica di “coscienza”: “Correntemente, percezione che l’uomo ha di sé, del proprio corpo e delle proprie sensazioni, dei significati e dei fini delle proprie azioni”, quando bisognerà chiarire i confini semantici e gli usi di “percezione”, “uomo”, “corpo”, “sensazioni”, “significati”, “azioni”, il disaccordo diventerà babele linguistica e concettuale. Ancora peggio, se si cercherà di considerare il lato pragmatico della lingua.

Si potrebbe obiettare che i sensi profondi si estraggono dall’etimologia: anche prescindendo dal fatto che di molti termini si ignora la radice, il valore primordiale, l’etimologista è un po’ come il fisico. Costui più si addentra nella materia, meno la comprende, fino a quando si accorge che essa è insondabile nel suo substrato, nella sua quintessenza.

Dunque siamo condannati a vivere nelle nostre monadi lessicali, costretti a rispondere alle domande vitali con il silenzio. Infatti “In principio era il Lògos”, ma “In principio è il Silenzio”.

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12 comments:

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  2. "Dunque siamo condannati a vivere nelle nostre monadi lessicali"
    ...nelle monate di zret...

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  3. antonio SCIACALLO DI MERDA marcianò, lascia perdere Magritte, lui è 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000 di volte più INTELLIGENTE, più CAPACE, più famoso di un coglione come te.
    puoi anche infilare parole desuete alla cazzo, ma rimani sempre e solo UN FALLITO DI MERDA

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  4. "perché un recipiente con le anse non è più una bottiglia? Perché un recipiente di base quadrata non è più una bottiglia? "
    Ma che si e' fumato? Ma quando la smettera' di scrivere parole messe li' a caso solo per darsi delle arie che non ha, ne' mai avra'? Ma quanto e' inutile questo misero essere?

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    2. Allora questa non è una bottiglia!
      http://img.21food.com/20110609/product/1305284200796.jpg

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    3. Lo e', lo e', e anche di quelle buone...
      Soprattutto il contenuto!

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  5. Dunque siamo [...] costretti a rispondere alle domande vitali con il silenzio.

    Ecco. Bravo.
    Comincia a dare l'esempio, e ricorda l'unica frase di Wittgenstein che quasi tutti conoscono:
    Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.

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  6. Un giorno mi sono ritrovato con un amico
    Prima riga e già una cazzata.

    "Un giorno mi trovavo da solo come al solito e ho deciso di sfrantumare le palle al web perchè, non avendo una vita, mi stavo annoiando"

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  7. antonio SCIACALLO marcianò, fallitto di merda vuoi forse dire che questa bottiglia non è una bottiglia?
    Lo so che sie un saputello che goda ad usare parole e frasi auliche, ma lo fai SOLO PER NASCONDERE (ANCHE A TE STESSO) LA TUA PROFONDA IGNORANZA.
    Ti diverti tanto, NAZISTA DI MERDA; a farti sempre prendere per il culo dai tuoi allievi?

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