Elogio della selce
L’arte è l’immagine allegorica della Creazione. (P. Klee)
Chi non ha almeno una volta sfogliato un calendario illustrato con quadri dipinti con la bocca o con i piedi? Anche il destino più crudele non può spegnere l’impulso a creare che alberga in taluni uomini. Davvero l’ingenium è qualità che separa gli “spiriti magni” dalla massa.
L’ispirazione, che ha donato all’umanità capolavori immortali, è attitudine a contemplare, a sintonizzarsi con la vita universa, a comporre la sinfonia delle emozioni, ad intuire l’anima delle cose. Sono virtù oggi sempre più rare.
L’estro è segno di nobiltà d’animo: accantonato ogni fine utilitaristico, il genio persegue come fine soltanto l’arte. Pochi sono i veri artisti, ma talora si scopre il buon gusto o un talento o un’inclinazione pure in un onesto artigiano.
Consideriamo gli oli e gli acquerelli dei lunari cui si accennava: vi si scopre spesso un genuino amore per la natura, trasfuso in tele che raffigurano ora ameni paesaggi primaverili, ora suggestive marine, ora scorci alpestri, ora interni inondati di luce… Con sapienti pennellate, con colori smaglianti e liquide ombre si squaderna un mondo di alberi, viottole, fiori, spiagge, colline, bimbi... E' soprattutto un universo interiore, uno slancio inesausto verso il sogno di un’esistenza libera da ogni costrizione.
Se pensiamo che “uomini” con cui la sorte è stata ingiustamente generosa, sono talmente snaturati e corrotti che usano la penna e la lingua solo per calunniare e per maledire, siamo inclini ad accogliere la distinzione dei filosofi gnostici. I pensatori della Gnosi antica, infatti, collocavano nel novero degli ilici, gli “esseri materiali”, tutti coloro in cui non si sprigiona mai una favilla di spiritualità. Sono perduti, senza speranza alcuna di acquisire un briciolo di decoro. Sono “sepolcri imbiancati”, scheletri vestiti di paludamenti. Non sono neppure come gli scrittori cortigiani del Rinascimento, in cui tra la piaggeria e la vacua erudizione, talora traluce una frase tornita, un’immagine notevole. Essi sono venali, ma affatto privi di qualsiasi vena.
Persino la selce, l’inerte e dura selce, se sfregata, genera rutilanti scintille, loro no...
Chi non ha almeno una volta sfogliato un calendario illustrato con quadri dipinti con la bocca o con i piedi? Anche il destino più crudele non può spegnere l’impulso a creare che alberga in taluni uomini. Davvero l’ingenium è qualità che separa gli “spiriti magni” dalla massa.
L’ispirazione, che ha donato all’umanità capolavori immortali, è attitudine a contemplare, a sintonizzarsi con la vita universa, a comporre la sinfonia delle emozioni, ad intuire l’anima delle cose. Sono virtù oggi sempre più rare.
L’estro è segno di nobiltà d’animo: accantonato ogni fine utilitaristico, il genio persegue come fine soltanto l’arte. Pochi sono i veri artisti, ma talora si scopre il buon gusto o un talento o un’inclinazione pure in un onesto artigiano.
Consideriamo gli oli e gli acquerelli dei lunari cui si accennava: vi si scopre spesso un genuino amore per la natura, trasfuso in tele che raffigurano ora ameni paesaggi primaverili, ora suggestive marine, ora scorci alpestri, ora interni inondati di luce… Con sapienti pennellate, con colori smaglianti e liquide ombre si squaderna un mondo di alberi, viottole, fiori, spiagge, colline, bimbi... E' soprattutto un universo interiore, uno slancio inesausto verso il sogno di un’esistenza libera da ogni costrizione.
Se pensiamo che “uomini” con cui la sorte è stata ingiustamente generosa, sono talmente snaturati e corrotti che usano la penna e la lingua solo per calunniare e per maledire, siamo inclini ad accogliere la distinzione dei filosofi gnostici. I pensatori della Gnosi antica, infatti, collocavano nel novero degli ilici, gli “esseri materiali”, tutti coloro in cui non si sprigiona mai una favilla di spiritualità. Sono perduti, senza speranza alcuna di acquisire un briciolo di decoro. Sono “sepolcri imbiancati”, scheletri vestiti di paludamenti. Non sono neppure come gli scrittori cortigiani del Rinascimento, in cui tra la piaggeria e la vacua erudizione, talora traluce una frase tornita, un’immagine notevole. Essi sono venali, ma affatto privi di qualsiasi vena.
Persino la selce, l’inerte e dura selce, se sfregata, genera rutilanti scintille, loro no...
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Uhm, direi che la seguente frase di Ettore Petrolini sia molo piú chiara della sbrodolata del professoruncolo astioso e fallito:
ReplyDelete« Se l'ipotiposi del sentimento personale, prostergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l'autofrasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca »
Mi scusi, dei tre telefoni, qual è come se fosse tarapia tapioco che avverto la supercazzola? No, non mi ha capito, volevo dire dei tre telefoni qual è quello col prefisso?
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