Legge e violenza
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In
questi ultimi lustri la violenza ha acquisito una nuova qualità,
inusuali tratti. E’ indubbio: la sopraffazione esiste da tempo
immemorabile, ma oggi non è quasi mai motivata (se il sopruso si può
motivare e giustificare) da leggi di sopravvivenza o da pulsioni, poiché
è una barbarie sovente gratuita, del tutto incomprensibile e
sproporzionata rispetto alle cause che la accendono.
Uxoricidi, infanticidi, assassini per rubare somme esigue, sevizie nei confronti dei deboli e degli animali...: è un carnaio che suscita orrore e costernazione. Anzi, dovrebbe suscitarli, giacché sembra che gran parte dell’umanità sia oggidì non solo assuefatta agli atti più abominevoli, ma pure avida di sangue, di storie truculente. I media di regime soddisfano e blandiscono questa depravazione, moltiplicando il raccapriccio.
Sorprende la reazione, anzi diremmo la mancanza di reazione, di fronte alla violenza sia quella privata sia quella pubblica. Gli uomini, degradati ad inetti e pusillanimi servitori, non sanno più né indignarsi né ribellarsi. Sulle origini di questa condotta passiva e rinunciataria potremmo pure interrogarci e trovare qualche risposta, ma alla fine dovremo solo constatare la nequizia e la stolidità del gregge “umano”.
Rispetto al passato, nel nostro miserabile mondo al contrario, l’autore principale della violenza è lo Stato con le sue leggi funeste, quanto più esse sono decantate come democratiche e persino libertarie. Scrive Thomas De Quincey: “Appena la legge fa capolino per immischiarsi ai moti dei più nobili affetti morali, cessano ogni libertà d’azione, ogni purezza dei moventi, ogni dignità di relazione personale”. E’ così: le norme coercitive che lo Stato non smette di promulgare sono l’affossamento dell’etica, la cancellazione di ogni più alto ideale. Oggi la brutalità delle istituzioni soverchia i delitti degli individui a tal punto che lo Stato è diventato indistinguibile non da un “comitato d’affari”, come pur non malamente scrive Karl Marx, ma da un gruppo di malfattori.
Sono malfattori cui si contrappongono, per meschini ed ignobili interessi solo altri malfattori, dacché i “giusti” di dantesca memoria paiono essersi estinti.
Uxoricidi, infanticidi, assassini per rubare somme esigue, sevizie nei confronti dei deboli e degli animali...: è un carnaio che suscita orrore e costernazione. Anzi, dovrebbe suscitarli, giacché sembra che gran parte dell’umanità sia oggidì non solo assuefatta agli atti più abominevoli, ma pure avida di sangue, di storie truculente. I media di regime soddisfano e blandiscono questa depravazione, moltiplicando il raccapriccio.
Sorprende la reazione, anzi diremmo la mancanza di reazione, di fronte alla violenza sia quella privata sia quella pubblica. Gli uomini, degradati ad inetti e pusillanimi servitori, non sanno più né indignarsi né ribellarsi. Sulle origini di questa condotta passiva e rinunciataria potremmo pure interrogarci e trovare qualche risposta, ma alla fine dovremo solo constatare la nequizia e la stolidità del gregge “umano”.
Rispetto al passato, nel nostro miserabile mondo al contrario, l’autore principale della violenza è lo Stato con le sue leggi funeste, quanto più esse sono decantate come democratiche e persino libertarie. Scrive Thomas De Quincey: “Appena la legge fa capolino per immischiarsi ai moti dei più nobili affetti morali, cessano ogni libertà d’azione, ogni purezza dei moventi, ogni dignità di relazione personale”. E’ così: le norme coercitive che lo Stato non smette di promulgare sono l’affossamento dell’etica, la cancellazione di ogni più alto ideale. Oggi la brutalità delle istituzioni soverchia i delitti degli individui a tal punto che lo Stato è diventato indistinguibile non da un “comitato d’affari”, come pur non malamente scrive Karl Marx, ma da un gruppo di malfattori.
Sono malfattori cui si contrappongono, per meschini ed ignobili interessi solo altri malfattori, dacché i “giusti” di dantesca memoria paiono essersi estinti.
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Povero zretino qualche bullo gli ha rotto il castello di sabbia.
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