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Respira il lago un palpito sopito (lirica di Clemente Rebora)
“Respira il lago un palpito sopito” è una lirica di Clemente Rebora (1885-1957). Nel componimento del 1913, la natura è trasfigurata in una visione mistica ed introspettiva. L’arioso paesaggio è umanizzato: lo specchio d'acqua, gli astri, i monti sono esseri viventi, colti nel loro misterioso tremito. Il silenzio pervade le cose e l’anima: parola-chiave è “seno”. In questa immagine anfibologica, si compenetrano il cuore dell’uomo e l’insenatura del lago. Nel crepuscolo l’eco dei rintocchi scorre tra le valli, come linfa vitale. L’ultima quartina, in cui la cadenza di endecasillabi e settenari si concentra in una misura ieratica, culmina nella perplessa riflessione sul destino: una legge insondabile ma limpida lascia balenare, per un istante, la luce di là dalle cose.
Respira il lago un palpito sopito
e dan le stelle battiti di ciglia
divini: appare il mito
dei monti e origlia.
Per ogni seno l’ora intima scende
dalla campana: e silenzio indi vive;
ogni cosa s’intende
tra foci errando e sorgive.
Sopra gli uomini, in vere leggi pure,
accomuna il mistero della sorte
allegrezze e sciagure:
del male è il bene più forte.
Respira il lago un palpito sopito
e dan le stelle battiti di ciglia
divini: appare il mito
dei monti e origlia.
Per ogni seno l’ora intima scende
dalla campana: e silenzio indi vive;
ogni cosa s’intende
tra foci errando e sorgive.
Sopra gli uomini, in vere leggi pure,
accomuna il mistero della sorte
allegrezze e sciagure:
del male è il bene più forte.
Ronf, ronf, zzzzzzzzzzzzz
ReplyDeleteParafrasando Don Abbondio:
ReplyDeleteClemente Rebora: chi era costui?
Zret, ma va cagher...
".... d'amor cortese amai per impotenza!"
ReplyDelete(cit.)