http://zret.blogspot.it/2014/06/guicciardini-e-la-fortuna.html
Guicciardini e la fortuna
Nei “Ricordi” Francesco Guicciardini (1483-1540) annota: “Chi
considera bene non può negare che nelle cose umane la fortuna ha
grandissima potestà, perché si vede che a ognora ricevono grandissimi
moti da accidenti fortuiti e che non è in potestà degli uomini né a
prevedergli né a schifargli: e benché lo accorgimento e sollecitudine
degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli
bisogna ancora la buona fortuna”.
"Nel De principatibus Machiavelli aveva impostato il rapporto tra la fortuna e la virtù, risolvendolo nell’ipotesi di un possibile equilibrio fra queste due forze. Guicciardini sposta i termini del rapporto attribuendo alla fortuna una grandissima potestà, ovvero il peso maggiore e decisivo nel determinare l’esito degli eventi. L’equilibrio cercato da Machiavelli si spezza a favore di una concezione della realtà come campo degli accidenti fortuiti, dell’imprevisto e del casuale che l’uomo difficilmente riesce a fronteggiare”. (G. Baldi)
La riflessione di Guicciardini è inquadrata nel “pessimismo” che esprimerebbe lo storico a proposito della Storia. Nel linguaggio corrente “pessimismo” è sinonimo di sguardo lucido, disincantato. Che differenza rispetto ai carezzevoli discorsi sulla volontà che indirizza la vita, a guisa di un direttore d’orchestra! Che differenza rispetto ai lenocini oggi culminati nella formulazioni inerenti alla cosiddetta “legge dell’attrazione”. In codeste patinate teorie che inneggiano al libero arbitrio si intrecciano superbia ed ignoranza: la visione antropocentrica si alimenta di analfabetismo filosofico.
Con Guicciardini il maestoso edificio eretto da Machiavelli e da altri ingegni del Rinascimento crolla, poiché il baricentro si è spostato. La considerazione dei "Ricordi" è stringata, eppure densa. E’ aforistica, ma diramata in molteplici scorci. Nel breve volgere di poche righe l’intellettuale fiorentino chiama in causa le vicende umane, la sorte, l’intelligenza.
Nodale è il sintagma “accidenti fortuiti” che è ridondante, a sottolineare la forte incidenza di un caso che consuona con l’irrazionalità del mondo, l’imponderabilità del corso seguito dagli accadimenti. Poco è rimasto della visione rinascimentale saldata sulla fede nell’uomo arbitro del proprio destino, faber fortunae suae. E’ una fede che rischia di ergersi nell’hybris.
Certo, Guicciardini non è un filosofo, dunque la sua analisi non si addentra nei meandri metafisici per stabilire, di là dal senso comune, il ruolo della fortuna e della sua energia centripeta. Tuttavia il suo pensiero è un buon viatico per chi intenda saggiare la potenza di una forza ancora oggi non ben compresa, la si chiami destino, caso, determinismo.
"Nel De principatibus Machiavelli aveva impostato il rapporto tra la fortuna e la virtù, risolvendolo nell’ipotesi di un possibile equilibrio fra queste due forze. Guicciardini sposta i termini del rapporto attribuendo alla fortuna una grandissima potestà, ovvero il peso maggiore e decisivo nel determinare l’esito degli eventi. L’equilibrio cercato da Machiavelli si spezza a favore di una concezione della realtà come campo degli accidenti fortuiti, dell’imprevisto e del casuale che l’uomo difficilmente riesce a fronteggiare”. (G. Baldi)
La riflessione di Guicciardini è inquadrata nel “pessimismo” che esprimerebbe lo storico a proposito della Storia. Nel linguaggio corrente “pessimismo” è sinonimo di sguardo lucido, disincantato. Che differenza rispetto ai carezzevoli discorsi sulla volontà che indirizza la vita, a guisa di un direttore d’orchestra! Che differenza rispetto ai lenocini oggi culminati nella formulazioni inerenti alla cosiddetta “legge dell’attrazione”. In codeste patinate teorie che inneggiano al libero arbitrio si intrecciano superbia ed ignoranza: la visione antropocentrica si alimenta di analfabetismo filosofico.
Con Guicciardini il maestoso edificio eretto da Machiavelli e da altri ingegni del Rinascimento crolla, poiché il baricentro si è spostato. La considerazione dei "Ricordi" è stringata, eppure densa. E’ aforistica, ma diramata in molteplici scorci. Nel breve volgere di poche righe l’intellettuale fiorentino chiama in causa le vicende umane, la sorte, l’intelligenza.
Nodale è il sintagma “accidenti fortuiti” che è ridondante, a sottolineare la forte incidenza di un caso che consuona con l’irrazionalità del mondo, l’imponderabilità del corso seguito dagli accadimenti. Poco è rimasto della visione rinascimentale saldata sulla fede nell’uomo arbitro del proprio destino, faber fortunae suae. E’ una fede che rischia di ergersi nell’hybris.
Certo, Guicciardini non è un filosofo, dunque la sua analisi non si addentra nei meandri metafisici per stabilire, di là dal senso comune, il ruolo della fortuna e della sua energia centripeta. Tuttavia il suo pensiero è un buon viatico per chi intenda saggiare la potenza di una forza ancora oggi non ben compresa, la si chiami destino, caso, determinismo.
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