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Il professorucolo e la conoscenza, favola liberamente ispirata a "La volpe e l'uva".
Un professorucolo abisso di ignoranza, ma nondimeno pieno di sé e della sua boria fino all'inverosimile, vide dei grappoli di conoscenza che pendevano dagli alberi della sapienza.
Desiderò conoscere, ma di ogni argomento non era capace di capire un accidenti di niente.
Il professorucolo, fallito e bilioso, allontanandosi disse fra sé "La scienza è marcia, nozionistica ed in mano ai negazionisti. Io, solo io, sono il depositario della scienza e della verità".
Quello dello Zretino è un vero e proprio elogio dell'ignoranza; ai fratellini terrazzinati piacerebbe che il mondo fosse pieno di ignoranti, in questo modo potrebbero spacciare a piene mani la loro fuffa e vivere da nabbbi.
Ma, purtroppo per i fratelloni imbroglioni, il mondo è pieno di persone che si informano ed hanno voglia di conoscere e che ai due acconguagliati ridono, giustamente, in faccia.
E per concludere una citazione dell'autore preferito dello Zretino, citazione che descrive il nostro professorucolo con straordinaria precisione.
Quella volta Belbo aveva perso il controllo. Almeno, come poteva perdere il controllo lui. Aveva atteso che Agliè fosse uscito e aveva detto tra i denti: “Ma gavte la nata.”
Lorenza, che stava ancora facendo gesti complici di allegrezza, gli aveva chiesto che cosa volesse dire.
“È torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà.”
Umberto Eco, Il pendolo di Focault, 1988
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