L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Wednesday, September 7, 2011

Le radici dell’esserci in Jaspers: qualche nota

http://zret.blogspot.com/2011/09/le-radici-dellesserci-in-jaspers.html

Le radici dell’esserci in Jaspers: qualche nota

Per il filosofo tedesco Karl Jaspers, l’esistenza è sempre in situazione. La situazione è l’orizzonte in cui si trova l’esistenza, in quanto Dasein, esserci, essere qui ed ora. L’uomo tende a percepire la vita come un quid che sempre trascende la condizione data, in cerca della realizzazione delle proprie possibilità. In questo senso, l’esistenza è libertà: il termine, però, non va inteso nel senso di “libero arbitrio”, come indifferenza tra molteplici opportunità equivalenti, ma come amor fati, presa di responsabilità del proprio Dasein, entro confini precisi.

Le situazioni-limite (sofferenza, senso di colpa, lotta e morte) esprimono in modo ancora più cogente la responsabilità della vita di fronte a sé stessa: gli abissi che si spalancano ad ogni passo impongono una scelta che non può essere elusa. E’ una scelta radicale: o si accetta la situazione-limite o si precipita nell’autoannientamento. L’esistenza è condanna a decidere, ma l’opzione non è un "poter essere", piuttosto "un non poter non essere".

In modo lapidario, Jaspers compendia la sua visione fatalista nell’aforisma: "Posso, perché sono costretto". Ognuno di noi assomiglia a Sisifo che spinge, con spasmi orrendi, il ponderoso macigno. Incastrato in una condizione storica ed esistenziale prestabilita e limitata, l’individuo si illude di essere libero, ma può soltanto prendere su di sé il peso del proprio destino. L’uomo non può non morire, non può non essere colpevole, non può non lottare: il naufragio delle azioni e delle opportunità dichiara la totale impossibilità di essere.

Scrive il pensatore nell’opera "Filosofia": "Io sono sempre in situazioni, io non posso vivere senza lotta e dolore. Fatalmente sono destinato alla morte… Tali situazioni sono immutabili, definitive, incomprensibili, irriducibili, non trasformabili, soltanto chiarificabili. Sono come un muro contro cui urtiamo fatalmente".

Eroico ed ostinato, l’uomo continua ad urtare contro il muro, metafora dell’inscalfibilità e dell’irrazionalità. Chi può comprendere o spiegare l’assurdo?

Mi pare che Jaspers tenda a sovrapporre al Dasein il senso di colpa: non è una colpa motivata da un errore di cui comunque non siamo responsabili, ma è stessa mancanza di fondamento dell’esistenza. La colpa è nell’esserci: per questo motivo, si traduce in una sensazione oscura, si condensa in un’ombra che accompagna la vita. E’ un’ipoteca non riscattabile, un debito che non può essere saldato. Nelle circostanze vertiginose, si radica la profondità dell’esistere: "Il mio trovarmi in una situazione sempre determinata significa che io esisto tanto più decisamente, quanto più esercito la mia azione nella situazione unica ed irripetibile".

Le esperienze abissali ci mettono in contatto, in comunicazione con il possibile senso dell’essere che, comunque, resta sempre "altro" ed "oltre", come le immani radici di un albero secolare di cui vediamo solo poche propaggini.

Tuesday, January 25, 2011

Ateismo

http://zret.blogspot.com/2011/01/ateismo.html

Ateismo

Pensa. Ne sei capace. Soprattutto non devi fuggire nel sonno – dimenticare i particolari – ignorare i problemi – costruire barriere fra te ed il cosmo e le allegre ragazze brillanti – ti prego, pensa, svegliati. Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato. Signore, signore, signore, dove sei? Ho bisogno di credere in te, nell’amore e nell’umanità… (Sylvia Plath, Diari)

Sono note le giustificazioni dei credenti e le motivazioni degli atei. Sarebbe forse auspicabile andare oltre per evitare di ripetere che la bellezza e l’armonia del cosmo, le mirabili creazioni della Natura dichiarano l’esistenza di Dio. Di converso, additare il dolore che lacera la vita e strazia questo mondo al contrario di per sé non bilancia gli argomenti a favore della presenza dell’Eterno.

Così siamo nella condizione dell’asino di Buridano: non possiamo decidere per l’una o l’altra possibilità, giacché le argomentazioni a favore e quelle contro sembrano elidersi a vicenda. Quasi sempre si pensa a Dio come all’Essere perfettissimo: allora l’imperfezione, indiscutibile dato del mondo, da dove proviene?

In verità, sia la presenza di Dio sia la sua assenza abitano nel centro del nostro essere. Sono racchiuse nell’attimo che contiene l’abisso dell’eternità. Siamo infiniti nella nostra pietosa finitezza. In quell’istante di solenne silenzio, di vuoto che contiene tutto, noi percepiamo l’Assoluto ed il Nulla, come i volti di Giano bifronte. In quel silenzio è custodita la verità indicibile, la paradossale intuizione: nell’inferno rovente della sofferenza possiamo avvertire il refrigerio dell’Eterno, nel caos rintracciare una filigrana e nell’assurdo un senso. Talvolta nella disperazione si incontra un sorriso o una tacita empatia.

Per questo motivo a Dio non ci si accosta con la ragione, meno che mai con il calcolo, poiché il calcolo non torna mai, ma solo con la ricerca estenuante di una direzione, consci, però, che questa ricerca potrebbe essere come il cammino di un uomo smarritosi nel deserto. Egli crede di dirigersi verso l’oasi che ha intravisto in lontananza, ma si muove in cerchio e, alla fine, torna nel punto donde è partito. Il miraggio è sempre in agguato.

Anche in quei rarissimi, eccezionali casi in cui l’esplorazione del senso, che è poi spesso una gragnola di domande, approda ad una pur parziale meta, chi potrà tradurre quella fulminea, fugace illuminazione in un discorso su Dio? Le parole sono miseri balbettii e la più grandiosa elaborazione teologica, biblica o extra-biblica che sia, è uno iota lillipuziano. La teologia trova il suo habitat nelle università. Osi un erudito disquisire di teodicea al cospetto di clochards mezzo ibernati e miserabili. Questi sventurati, costretti a dormire in un portico, avvolti in coperte bucate, le darebbero di santa ragione al teologo! Chi potrebbe biasimarli? In certi luoghi né la scienza né la filosofia attecchiscono facilmente. Alla Coscienza è assegnato l’arduo compito di sentire, se ci riesce, non all’intelletto.

Meglio dunque tacere: ad ognuno il suo universo, la traballante passerella da cui gettare uno sguardo nella voragine del buio.

Ad ognuno la sua parte, di apertura o di chiusura o di entrambe. Il peso dell’irrazionalità è un macigno che schiaccia, ma il peso di un senso che sfida ogni logica ed ogni spiegazione non è meno gravoso né meno difficile da sopportare: si è obbligati a costruire ed a ricostruire la vita, istante dopo istante, mentre il tempo e l’entropia la inceneriscono senza pietà.

La fatica di Sisifo è, al confronto, una rilassante passeggiata.