L'immensa sputtanata a Zelig

Il blog che si sta visitando potrebbe utilizzare cookies, anche di terze parti, per tracciare alcune preferenze dei visitatori e per migliorare la visualizzazione. fai click qui per leggere l'informativa Navigando comunque in StrakerEnemy acconsenti all'eventuale uso dei cookies; clicka su esci se non interessato. ESCI
Cliccare per vederla

Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

http://indipezzenti.blogspot.ch/

https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/

Showing posts with label nulla. Show all posts
Showing posts with label nulla. Show all posts

Sunday, March 8, 2015

Esiste il Paradiso?

http://zret.blogspot.ch/2015/03/esiste-il-paradiso.html

Esiste il Paradiso?



Esiste il Paradiso? La risposta a questa domanda implica postulare che sussista una dimensione metafisica, oltre la realtà galileo-newtoniana e persino di là dall’universo quantistico, una realtà in cui le “leggi” naturali sono del tutto trascese. E’ impresa ardua concepire tale regno della beatitudine perfetta, non solo in quanto l’umanità e l’esistenza offrono solo pallidi e rari simulacri dell’Eden, ma pure perché, se l’inferno si può immaginare moltiplicando ad infinitum il tempo, situazione di cui abbiamo esperienza, tale dato non si può sussumere, quando si pensa il Paradiso.

Il Paradiso, infatti, è non-tempo: se la felicità fosse protratta nell’arco temporale, essa risulterebbe alla fine noiosa, terribile quasi quanto l’Inferno. Pertanto l’immagine degli angeli che intonano canti in lode di Dio è appunto solo un’immagine: essa evoca un’armonia perfetta, attraverso la metafora delle creature celesti immerse nella pace e nella luce spirituale. Il Paradiso, descritto nella letteratura (si pensi in particolare alla “Commedia”) attraverso, similitudini, metafore ed esempi, non è, però, una metafora.

L’Empireo, se esiste, non è solo il compimento dell’uomo, la sua piena realizzazione nel disegno cosmico, ma è riconciliazione della natura con sé stessa, ritorno alla perfezione primigenia, redenzione definitiva dal Male, apocatastasi. E’ il ritorno a casa.

Il Cielo è dunque la compiuta ipostasi del Bene, senza incrinature né ombre. E’ il Principio, prima che esso scivoli nel tempo e nello spazio, prima che si deteriori nella storia, prima che esso si di-vida da sé stesso.

A questo punto si pone, però, un problema: quando, dopo incalcolabili cicli cosmici, il Tutto rientrerà in sé stesso, il giorno in cui il Male sarà estirpato in ogni dove, non si creerà una stasi, preludio forse di un annichilimento finale, visto che l’essere scaturisce dal contrasto? Non sarà quindi l’apocatastasi una situazione transitoria, destinata ad essere superata da una nuova (dis)avventura della Coscienza lungo uno degli innumerevoli percorsi ontologici?

Tuttavia se la Coscienza è onnipotente, essa potrà sanare tale contraddizione in modo da armonizzare eternità e tempo, immobilità e moto, divino ed umano, essere ed esistenza.

I “Nuovi cieli e la nuova terra” sono la palingenesi, oltre ogni determinazione concettuale e linguistica, persino oltre ogni intuizione. Questo è il Paradiso assoluto, mentre il Paradiso individuale è forse un’inesprimibile condizione in cui la corda del tempo è come allentata: l’itinerario del singolo prosegue, senza più il peso della corporeità ma con l’anelito verso una conoscenza sempre più profonda, verso una progressiva purificazione.

Il Paradiso è il luogo del Nulla e del Tutto, il luogo del Silenzio: infatti non ne sappiamo nulla, ma comprende tutto. Infine l’unica parola che può descriverlo è il silenzio.
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Friday, November 21, 2014

Controversie cosmologiche

http://zret.blogspot.ch/2014/11/controversie-cosmologiche.html#.VG8PVMnN9HQ

 Controversie cosmologiche


A volte si ha l’impressione che la cosmologia abbia la stessa plausibilità degli oroscopi pubblicati sui rotocalchi popolari. (1) Gli astronomi ed i cosmologi studiano oggetti lontanissimi nello spazio e nel tempo e solo in alcuni casi possono adottare con rigore i criteri del blasonato “metodo scientifico”, sostituito dall’abduzione, se non da astruse speculazioni. Stephen Hawking ha impiegato (sprecato?) anni ad investigare i buchi neri, cui ha dedicato pure dei saggi incomprensibili a partire dalla terza riga, per poi un bel giorno cambiare idea: i buchi neri non esistono.

Probabilmente hanno ragione quei fisici quantistici che, ricordando come nell’universo nulla possa essere distrutto (tutto si crea e niente si distrugge) [eeeeeh? e chi lo crea?], contestano l’esistenza dei black holes, in quanto essi annichilirebbero l’informazione. Tuttavia nelle sue scorribande, forse Hawking non è lontano dal vero, quando ipotizza che il cosmo potrebbe essere originato dal nulla: è una concezione in fondo non molto dissimile da certe antiche dottrine gnostiche, secondo cui l’essenza ancestrale donde tutto promanò è un Abisso di Silenzio.

Per la coincidentia oppositorum Dio ed il Nulla potrebbero combaciare, almeno per le loro potenzialità creative: è quanto, mutatis mutandis, congetturano molti fisici quantistici che ritengono il nulla instabile, quindi misteriosamente in grado di generare qualcosa, in primis le particelle virtuali.

Dunque, quando lo scienziato britannico sostiene, con una certa sicumera, che l’Essere supremo non esiste, dal momento che la materia-energia è creata dal nulla, pur senza esserne consapevole, ammette anche il contrario.

Da queste considerazioni si evince come la cosmologia tenda ad infilarsi sovente in un cul de sac o a scivolare lungo il pendio delle questioni teologiche. In questi come in altri campi, bisognerebbe dimostrare onestà intellettuale, evitando di spacciare ipotesi e teorie per verità inconfutabili. Qui occorre rammentare che le stesse teorie sono schemi interpretativi della realtà, passibili di essere corretti e superati, falsificati per dirla alla Popper. Le teorie sono un po’ come le mappe rispetto al territorio che esse rappresentano. E’ corretto considerarle per quel che sono, ossia dei disegni concettuali anche raffinati, ma non esaustivi della realtà.

Del tutto archiviato il neo-darwinismo per le sue numerose e gigantesche falle, la stessa teoria della relatività di “Einstein” è contestata da alcuni specialisti: d’altronde la celebre equazione E=mc2 non si applica alle particelle prive di massa come i fotoni. Ciò non inficia il modello di Einstein, ma per lo meno ne suggerisce una rettifica.

In questi ultimi tempi la teoria del Big bang comincia a traballare: essa è in contrasto con un’altra, quella dell’inflazione, ossia l’universo pare ingrandirsi ad una velocità sempre maggiore. Ora, se l’idea della grande esplosione fosse corretta, il ritmo d’espansione del cosmo dovrebbe diminuire, per il principio dell’entropia. Se ciò non avviene, qualcosa non quadra ed un paradosso si aggiunge ad altri paradossi. Non solo, una deflagrazione iniziale dovrebbe aver prodotto un cosmo (dal greco kòsmos, ordine) caotico, non armonioso come quello esistente.

Gli scienziati si stanno ancora arrovellando per accordare l’elettromagnetismo, l’interazione nucleare debole e la nucleare forte con la gravità. Se si dovesse (ri)scoprire una quinta forza (l’etere), quale immane impegno concettuale attenderebbe i ricercatori!

Se infine si ammettesse che non tutto è materia-energia, ma che ad essa soggiace un quid spirituale, reputeremmo scienziati tanto esaltati come infanti che vagiscono.

(1) E’ naturale che non ci riferiamo qui all’astrologia vera, intesa come scienza simbolica e tradizionale, non vincolata alle coordinate empiriche.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Thursday, July 10, 2014

La morte di Dio

http://zret.blogspot.it/2014/07/la-morte-di-dio.html

La morte di Dio

Wednesday, June 25, 2014

Trittico di troiate - e una: Appartiene ad un altro…

http://zret.blogspot.it/2014/06/appartiene-ad-un-altro.html

Appartiene ad un altro…

Nella celeberrima lirica “Cigola la carrucola del pozzo”, Eugenio Montale descrive un’avventura della memoria. Il riflesso sulla superficie dell’acqua contenuta in un secchio evoca il volto di una persona amata, ma presto quell’immagine si dissolve. Il ricordo si perde nell’oblio, in un passato irrevocabile, nella distanza dell’incomunicabilità.

Come spesso avviene, le parole più suggestive degli autori sono atrofizzate in interpretazioni banali. Si leggano i seguenti versi: “Accosto il volto a evanescenti labbri: / si deforma il passato, si fa vecchio,/ appartiene ad un altro...” “Appartiene ad un altro” non significa, infatti, che ora la donna condivide la sua esistenza con un altro uomo. Montale è conscio che l’identità individuale è labile, inconsistente, affidata ad una memoria di sé che è il tentativo di strappare alla dimenticanza ed alla fuga del tempo qualche brandello del proprio essere. "Appartiene ad un altro", ossia a qualcuno in cui non ci si riconosce, a chi non è più, al niente…

Che cosa garantisce che siamo gli stessi di un tempo? Solo l’abitudine a percepirci come coincidenza con le esperienze trascorse. Se cancelliamo la memoria, siamo ancora noi stessi? Esiste un substrato su cui alligna la coscienza o l’anima, per dirla con Hume, è un fascio di sensazioni? Una pianta che – si presume – non è dotata di facoltà mnemoniche, è ogni istante un essere nuovo?

Il paradosso della nave di Teseo (leggi Tèseo) esprime la questione metafisica dell'effettiva persistenza dell'identità originaria, per un'ente le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero sé stesso oppure no dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati con altri uguali o simili.

Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte i pezzi adoperati in origine per costruirla erano state sostituite, sebbene la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria.

Ragionando su tale situazione - la nave è stata completamente rimpiazzata, ma allo stesso tempo essa è rimasta la nave di Teseo - la questione che ci si pone è la seguente: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero l'oggetto, modificato nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora il medesimo oggetto o gli somiglia soltanto o è un altro?

Il paradosso si può riferire all'identità della nostra stessa persona che, nel corso degli anni, cambia in modo notevole sia sotto il profilo fisico sia sotto quello psicologico. Nonostante ciò, sembra che un quid individuale sia preservato.

Le attività psichiche (memoria, appercezione, proiezione…) paiono le garanzie di una continuità temporale da cui dipende l’idea della propria identità. Se tuttavia aboliamo il tempo, la concatenazione cronologica, che cosa resta? Siamo solidificati nella coscienza dell’io, ma nulla è più evanescente ed illusorio dell’io, leggero fardello, pesante piuma. L’io è prigione senza sbarre, è una cella i cui muri sono d’aria, una catena i cui anelli si spezzano, non appena si sprofonda nell’estraniamento da sé, nel non essere.

Montale, consapevole che l’identità è inconsistenza, sente il terreno franargli sotto i piedi. L’uomo, nel momento in cui intuisce che l’unico punto stabile e l’instabilità del ricordo (ora inafferabile ora fallace ora sfocato ora unidirezionale) rischia di sdrucciolare nel nulla.

Eppure il senso di vertigine al cospetto dell’abisso è anche estasi sublime, emancipazione dai ceppi dell’ego. Davvero, dato che la vita è questa, “svanire è la ventura delle venture”.


Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Monday, October 28, 2013

Metamorfosi e radici del Nichilismo

http://zret.blogspot.co.uk/2013/10/metamorfosi-e-radici-del-nichilismo.html

Metamorfosi e radici del Nichilismo

Il basamento di roccia della realtà è l’irrealtà: l’universo è irrazionale perché è costruito non semplicemente sulle sabbie mobili, ma su ciò che non è. (P.K. Dick)



Per nichilismo si intende una dottrina filosofica che nega la consistenza di qualsiasi valore e l’esistenza di qualsiasi verità. Il nichilismo, però, è un’ipoteca che grava su molti orientamenti di pensiero. Così forse nessuna concezione è del tutto immune dal nichilismo inteso come negazione del presente e svilimento di ciò che è.

Che cos’è il materialismo, se non una forma di nichilismo, visto che esso, escludendo Dio, esclude il senso? L’universo e la vita sono solo un concorso di circostanze casuali. Se gli atei-materialisti fossero coerenti ed accorti, rigetterebbero l’evoluzionismo che rischia di introdurre una finalità nella natura. Il mondo degli Epicurei è un ammasso privo di logica e di direzione.

Le religioni sono nichiliste, poiché prospettano un futuro o una dimensione in cui l’iniquità e l’insufficienza attuale sono risarcite, sublimate. L’hic et nunc non hanno valore, se non in una prospettiva che trascende il tempo per proiettarsi nell’eterno, nell’infinito. Caso estremo di nichilismo è il Buddhismo delle origini (theravada) che concepisce il nirvana come estinzione, nulla.

Insomma, la felicità ed il significato sono sempre altrove. L’esistenza è svuotata, calunniata, disprezzata: l’ascetismo è odio per il mondo.

I sistemi dualistici (gnostici) sono nichilisti, come lo spiritualismo, giacché collocano la perfezione e l’armonia in una sfera antitetica al corrotto ed obbrobrioso universo ilico. Il contemptus mundi, ossessione di certe correnti medievali, incarna questa tetra ma forse plausibile visione.

Il nichilismo si annida anche dove non ci attenderemmo di trovarlo: non sono forse nichiliste tutte le ideologie che celebrano il progresso? Comunismo, Darwinismo sociale, Transumanesimo… collocano in un’età a venire che tende ad allontanarsi quanto più ci si avvicina ad essa, la società perfetta, finalmente emancipata dai contrasti, dai limiti e dalle lacerazioni del presente.

L’utopia politica e scientifica è un asintoto, ma anche il non-luogo dell’incubo mascherato da sogno millenaristico, di un millenarismo dove lo spirito laico è venato di uno slancio mistico diabolico.

Nietzsche condanna il nichilismo cristiano, con la sua mortificante morale e l’astio per il piacere, la gioia, la bellezza, ma, quando il filosofo tedesco vagheggia l’oltreuomo, constata il desolante nulla dell’adesso per additare un avvenire che non verrà mai.

Pure i laudatores temporis acti, gli estimatori del passato, della Tradizione, coloro che gemono “O tempora, o mores!” sono nichilisti. Essi rimpiangono un’epoca antica illuminata da virtù e saggezza, un’età che forse non è mai esistita, almeno nei colori e nelle forme con cui è sognata.

Innumerevoli sono i filosofi lato sensu nichilisti e lo siamo tutti noi, quando deprezziamo l’ora o per rifugiarci nel lost paradise del passato o per tuffarci nel miraggio di un mirabile futuro. Entrambi sono illusioni, fragili cristalli di brina che si sgretolano appena sfiorati. Vero è che il monito “carpe diem”, mal tradotto con “cogli l’attimo” diventa atrocemente ironico, se la vita è ininterrotta successione di attimi infernali, invivibili. Che cosa dovremmo afferrare?

Forse l’unico pensatore (o uno dei pochi) che ha il coraggio di essere nichilista sino in fondo e di dichiararlo, senza idealizzare regni inesistenti ed inconsistenti, il genio che “dà nulla al nulla” è Giacomo Leopardi. Egli rifugge dalla mitizzazione, dalle facili consolazioni e vede il nulla, il non-senso, l’assurdo dove (forse) si trovano effettivamente: in ogni luogo, in ogni tempo.


Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Saturday, August 3, 2013

Il Nulla è Tutto: paradigmi e paradossi della cosmologia

http://zret.blogspot.it/2013/08/il-nulla-e-tutto-paradigmi-e-paradossi.html

Il Nulla è Tutto: paradigmi e paradossi della cosmologia

Wednesday, August 22, 2012

Uomini e topoi e professorucoli analfabeti e frustrati


http://zret.blogspot.com/2012/08/uomini-e-topoi.html

Uomini e topoi

Forse le epoche passate erano più crudeli, più malvagie, più terribili di questa: nessuna mai è stata più stupida. (S. Vassalli)

Estirpare i luoghi comuni è impresa titanica. Ad ogni piè sospinto, ci si imbatte in un cliché interpretativo: quel che più inquieta è constatarli pure tra le nuove generazioni in cui non dovrebbero essere tanto diffusi e radicati.


Ad esempio, se mostriamo il simbolo del Dao (leggi Tao), chiedendo ad un uditorio di indicarne il significato, tutti risponderanno che è l’emblema del Bene e del Male. Nulla di più errato: il Taoismo e, in generale, la cultura cinese tendono ad ignorare la distinzione etica tra Bene e Male, privilegiando la concezione in cui gli opposti, in senso cosmico e metafisico, si conciliano nel Tutto. Lo Yang e lo Yin sono princìpi complementari scaturenti dall’Unità e che in essa confluiscono. La dualità dunque è intesa come movimento speculare, come perenne interazione di due energie da cui dipende la manifestazione delle cose.

Invero, molti preconcetti occidentali si sovrappongono alla visione tradizionale del mondo, di matrice taoista e confuciana: così ci attenderemmo di trovare in Cina l’idea di Dio. Se lo attendevano pure i Gesuiti [non potevano mancare LOL], con il corifeo Matteo Ricci: quando essi giunsero in Cina nel XVI secolo, cercarono di avvicinare i nativi al “Cristianesimo”, ma si accorsero che la loro lingua non contemplava neppure un termine vero e proprio per designare la Divinità: quando i missionari tradussero la Bibbia in cinese, ricorsero al vocabolo che più sembrava accostarsi al significato da suggerire, ossia al lessema Tien, Cielo. Peccato che Tien indichi per lo più il cielo fisico… Mai traduzione fu più approssimativa.

Per restare in ambito religioso, un altro luogo comune, generato da ignoranza e superficialità, investe i Vangeli canonici su cui si fonda in buona misura, la storia (spesso inesatta) del Cristianesimo primitivo e la dottrina desunta dai quattro libretti. Qui prescindiamo dalle incrostazioni posteriori. Quando qualcuno menziona una frase celebre del Messia o un episodio che lo riguarda, di solito chiediamo: quale dei due? Infatti, da una lettura attenta dei Vangeli e dallo studio di altre fonti, si evince che i Messia erano due: uno sacerdotale ed uno regale. Dov’è scritto? E’ proprio segnalato da “Matteo” e da “Luca”: il primo riporta la genealogia regale del Salvatore; il secondo la linea levitica.

Per quanto mi consta, è stato il benemerito David Donnini ad intuire che i Messia – fossero pure figure letterarie -erano due: altri studiosi, in modo del tutto indipendente, sono approdati alla medesima ipotesi. E’ difficile che sia una coincidenza [cioè: se più persone raccontano troiate, queste ultime sono 'verità'?]. E’ una di quelle possibili verità che ricordano le circostanze descritte nel racconto di Edgar Allan Poe, “La lettera rubata”: spesso non vediamo quanto è di fronte ai nostri occhi, proprio perché è in piena vista! [l'ennesima citazione ad minchiam] Se si congettura che i Messia erano due (sulla loro identità ed esistenza il discorso diventa un ginepraio in cui non oso addentrarmi), molte (non tutte) le incongruenze all’interno di ciascun vangelo e tra i canonici, si appianano. Finalmente una narrazione frammentaria, discorde, talora persino inverosimile acquisisce un po’ di linearità, ma quanti secoli abbiamo dovuto aspettare per abbozzare un quadro appena accettabile e quanto tempo dovremo ancora attendere per svellere i pregiudizi che ancora allignano in ogni dove?

Si potrebbe asserire che la maggior parte degli errori propagatisi nell’immaginario popolare trova la sua origine proprio nei Vangeli: così Erode perpetrò la strage degli innocenti; il re della Giudea non fu uno stinco di santo, ma non compì alcuna carneficina di neonati. Barabba è diventato sinonimo di malfattore, laddove Yehoshua Bar Abba, "Gesù, figlio del Padre, è probabilmente da identificare con il Messia di Aronne. Ancora, Cristo trasformò, in occasione delle nozze di Cana, l’acqua in vino: fu il contrario! Il Salvatore moltiplicò il pane ed i pesci. I pesci non c’entrano nulla. Il Redentore (Il Messia di David?) fu processato e condannato quando era prefetto Ponzio Pilato: non è così. [1]

Moltissime false credenze coinvolgono la scienza: tra gli studenti che poco o nulla sanno di chimica, di fisica, di scienze naturali, una delle poche “conoscenze” acquisite, dopo un decennio di scuola, è la giurassica frase di Lavoisier: “Niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma”. “Niente si crea?” Ah sì, dov’è finito l’esperimento di Casimir? [e che cazzo c'entra? Leggi qui, straccione che non sei altro] Dov’è finita la fisica [MECCANICA, bestia!] quantistica che, invece, ha osservato che, sebbene in modo inesplicabile, le particelle virtuali emergono dal nulla, un nulla instabile? Sovente viene definito “vuoto”, invece di “nulla”, ma resta l’affioramento dell’energia da un quid incognito, simile al non essere.

Non saremo lontani dal vero, se considereremo la “cultura” attuale come un coacervo di stereotipi e di dogmi.

L’elenco dei luoghi comuni è lunghissimo: lil cosiddetto “effetto serra” è legato al biossido di carbonio, l’A.I.D.S. è provocato da un virus, il debito pubblico è dovuto alla spesa previdenziale, i vaccini sono efficaci e comunque innocui, le scie degli aerei sono formate da vapore acqueo… [ma vattene a farinculo te e chi non te lo dice] I tòpoi sconfinano qui nelle vere e proprie menzogne, bugie inculcate dal sistema ed atte a controllare e ad indottrinare l’opinione pubblica.

Sono falsità [la parola all'esperto] che uccidono più delle armi e che hanno ridotto l’umanità in un gregge di masochisti.

[1] Chi fosse desideroso di avventurarsi in una rilettura non convenzionale dei Vangeli, può compulsare i saggi di David Donnini che, a differenza di altri autori, non usa mai toni apodittici e caustici, presentando i suoi risultati come interpretazioni suscettibili di correzione e falsificazione. Un punto di svolta negli studi fu il suo “Nuove ipotesi su Gesù” che è anche una confutazione del debolissimo ed ingiustamente noto “Ipotesi su Gesù” di Vittorio Messori.
 
 

Saturday, June 9, 2012

Un infinito numero di idiozie a cura di un frustrato Zret


http://zret.blogspot.it/2012/06/un-infinito-numero.html

Un infinito numero

Gli ho chiesto: ‘Cosa verrà dopo il futuro? Tu forse lo sai?”
“Tornerà il passato – ha risposto Nicodemo – Cos’altro vuoi che succeda?”

“Un infinito numero” è un libro di Sebastiano Vassalli. Mecenate, Virgilio ed il suo segretario Nicodemo si inoltrano nelle terre dell’Etruria per scoprire le origini di Roma: alla fine comprendono che il tempo è un cappio mortale e la scrittura menzogna [da buon esperto di menzogne... Sai che cosa ci potresti fare, con un cappio?].

Vassalli è stato definito un “Manzoni senza la Provvidenza”, ma “Un infinito numero” non è romanzo storico, poiché della storia l’autore raccoglie solo qualche frammento per costruire una parabola metafisica sul nulla. Il Nostro è fondamentalmente autore nichilista: d’altronde gli stessi “Promessi sposi” - cui si richiama spesso lo scrittore genovese - se vi sradica Dio, sono un’opera mortuaria e desolata [mortuario e desolato sarai tu].

Così i personaggi, lo spregiudicato e miserabile Augusto, Mecenate, lubrico ed implacabile, Virgilio ed il liberto Nicodemo non sono protagonisti delle vicende, poiché non agiscono, ma sono agiti dal Fato. L’intreccio, in bilico tra quête e dolore, si dipana come un filo spinato da cui sgocciola il sangue delle vicissitudini umane, destinate a ripetersi all’infinito, precipitate nell’inferno di un perpetuo ritorno. A questo allude il titolo. Vassalli, lontano da una rievocazione idealizzante dell’antichità, ci restituisce un’immagine squallida dell’Impero augusteo e non meno disincantata del mondo etrusco. La stirpe dei Rasenna (i Rossi) – scopre il poeta di Andes – è una genìa di feroci conquistatori originari della Lidia e celebrare le mitiche origini di Roma significa mistificare la verità. Ecco perché Virgilio, abiurando la bellezza di false leggende, chiede nel testamento che l’Eneide sia bruciata. E’ comunque il misticismo dei Tirreni ad offrire ai viaggiatori nella terra dei Tusci l’opportunità di compiere un viaggio nel tempo; essi capiscono che nessuna civiltà declina, poiché ogni civiltà nasce dal difacimento [vogliamo metterlo, un SIC?] per perire nel grigiore.

E’ il mondo intero a portare su di sé l’ipoteca e l’errore dell’esistenza che è nominazione e principium individuationis. Spiega Aisna, sacerdote di Velthune, ai pellegrini nella terra dei Rasenna: “Ci fu un’epoca in cui l’universo era il regno del dio del nulla, Mantus, e della sua fedele ombra, Mania. Un giorno il dio-dea della vita, Velthune, incontrò il dio-dea del tempo, Northia. I due incominciarono a parlare e ad immaginare un ambiente più bello e confortevole del vuoto che avevano attorno: immaginarono il sole e la luna, i mari e le montagne, gli animali e le piante e tutto ciò che prendeva forma nella loro fantasia, immediatamente diventava realtà. L’universo si riempì di cose e di vita. Allora Mantus, per ristabilire il suo predominio sulle cose, inventò un nome per ciascuna di loro. Chiamò la roccia granito o selce e l’infelicità penetrò nella roccia… Poi Mantus chiamò gli alberi quercia o pino o fico o alloro e l’infelicità penetrò negli alberi. Alcuni incominciarono a perdere le foglie ed a ricrearle ogni anno nella buona stagione: tutti presero la ruggine, le muffe e furono assaliti dagli insetti nocivi.[…] Venne il turno degli animali. Mantus li chiamò lupo e pecora, falco e serpente e li costrinse ad essere infelici: a sbranarsi, ad ammalarsi, a soffrire per mancanza di acqua e di cibo. Infine Mantus si rivolse agli uomini che, fino a quel momento, erano vissuti senza nuocersi e senza conoscersi e diede un nome specifico a ciascuno di loro … e gli uomini e le donne immediatamente diventarono infelici”.

Libro dunque tetro, eppure non privo di fascino, nell’apertura di alcune pagine verso il mistero del cosmo, nel disegno di una cultura, quella etrusca, popolata di ombre, ma pure amante dei piaceri della vita.

Nell’epilogo l’io narrante, il greco Nicodemo, emerso dalle nebbie del passato, passa il testimone all’autore (ed a noi) per consegnargli la sua amara saggezza, la sua deserta verità.
 
Pubblicato da Zret che recensisce i libri in base alla IV di copertina e vi aggiunge una 50ina di virgole

Tuesday, May 29, 2012

Oggetti impossibili (finalmente ha capito che cos'è il suo cervello)


http://zret.blogspot.it/2012/05/oggetti-impossibili.html

Oggetti impossibili

Alcuni oggetti sono impossibili, autocontraddittori. Lo sono i dizionari e le enciclopedie che mirano a raccogliere vasti o amplissimi settori dello scibile umano: sennonché è impensabile ed utopico riunire tutto il sapere, anche relativo ad una sola disciplina, in un libro, essendo il sapere illimitato. Inoltre nel gioco inesauribile di rimandi interni, questi libri manifestano la loro natura dedalica e perennemente estensibile. Ogni lemma, infatti, si può espandere ad infinitum ora con rinvii nell’ambito dello stesso testo ora con riferimenti ad opere esterne già compilate o da compilare. Le definizioni non definiscono; le voci si attorcigliano ad altre voci…

Anche alcune opere letterarie sono oggetti impossibili. L”Orlando furioso” è un poema senza un vero incipit, in quanto concepito come prosecuzione dell’Orlando innamorato”, e privo di un epilogo definitivo, poiché dalle ultime avventure, nella ramificazione dell’entrelacement, potrebbero rampollare ulteriori digressioni, enclaves narrative, mises en abyme…

Come intuisce Jorge Luis Borges nel racconto “La biblioteca di Babele”, è l’universo stesso ad essere un oggetto illogico. A differenza di altre narrazioni filosofiche dovute alla fantasia dello scrittore argentino, testi in cui l’enigma sfida le più sagaci interpretazioni, la storia in esame rivela, sin dalle prime righe, il significato delle allegorie. “L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere”. Così il nucleo d’apertura identifica il cosmo con la sterminata biblioteca, immagine di un mondo ambiguo dove finzione e realtà si sovrappongono e si confondono. Il mondo-biblioteca, la cui infinità può essere solo congetturata, è periodico e geometrico (gli esagoni e le ricorrenze numeriche), ma il suo ordine è caotico, la sua armonia è dissonante. E’ un luogo informe, insensato, babelico. In questo modo la perfetta regolarità coincide con la suprema irrazionalità.

Tuttavia Borges non si arresta a questa conclusione per avventurarsi in un’altra esegesi: al fondo del racconto – ha osservato lo scrittore – “giace l’idea di essere sperduti nell’universo, di non comprenderlo, il desiderio di trovare una risoluzione precisa, il sentimento di ignorare la vera risoluzione.” Perciò la biblioteca può essere metafora di Dio: l’Essere supremo garantisce, di là dalle apparenze mutevoli ed incongruenti, una legge intrinseca, combinatoria. Tuttavia, pare insinuare Borges, un’ombra di irrazionalità vela lo stesso volto di Dio.

Tra gli spazi vertiginosi del tempo, tra gli incavi delle pagine indecifrabili, si accumula la polvere.

Il male (STRACATALOL, guardate dove punta il link) stesso, sottrattigli lo scopo e la direzione, si staglia in tutta la sua gratuità e casualità più ferree. La vita, espressione incongrua del nulla in cui alberga Dio nel suo silenzio abissale, si svuota di ogni senso per essere aggiunta al catalogo degli oggetti assurdi, nel glossario dei termini di una lingua defunta, mai decifrata.

Attaccati all’esistenza come ostriche allo scoglio (ha parlato la cozza incollata agli scarichi delle fognature) e, nel contempo, consci nel nostro intimo del suo peso insostenibile, della sua radicale non-razionalità, viviamo scissi sapendo che la risposta potrebbe arrivare – se mai arriverà – quando il tempo (o il Tempo?) sarà scaduto.
 
Pubblicato da Zret e dai due suoi neuroni avariati in gita su Marte

Monday, August 15, 2011

I due abissi (o idue ignoranti abissali?)

http://zret.blogspot.com/2011/08/i-due-abissi.html

I due abissi

Due abissi si spalancano attorno a noi: il nulla che precede la vita ed il nulla che la segue. La vita - se è lecito definire in tale guisa quest'isola di dolore attorniata dall'oceano della noia - è simile ad un breve segmento in una pagina bianca o ad un fiume carsico di cui è visibile solo un tratto del corso?

Bisognerebbe tentare di comprendere per quale motivo a sgomentare l'uomo sia l'ignoto che avvolge il destino dopo la morte, invece del nulla antecedente la nascita. Perché l'uomo aspira alla vita eterna e, nel contempo, la teme? Secondo Schopenauer, non paventiamo la morte, a causa della ragione, ma per via della Voluntas che cieca si protende verso la perenne affermazione di sé stessa. Non nutriamo lo stessa sensazione di vuoto e di vacillamento, se pensiamo al non-essere pre-natale che è anzi un paradiso perduto.

Non so quanto sia ragionevole prefigurarsi una continuazione dell'esperienza terrena in un altro piano o un suo revival tramite la resurrezione. Il fiume della vita si perderà nell'oceano dell'indistinzione, quando gli atomi, di cui siamo composti, si disgregheranno per generare nuovi, infiniti corpi oppure la coscienza, mirabile addensamento in un'identità, è una sostanza imperitura? Forse non ricordiamo le esistenze anteriori e non riusciamo a concepire il viaggio futuro qui o altrove. Non è agevole decidere che cosa augurarsi, ammesso che si possa decidere: se sprofondare nel nulla o permanere. Sileno conosceva la risposta.

Perdurare può essere anche desiderabile, come pensava Nietzsche, giacché "ogni piacere vuole eternità, profonda eternità." Così per la speranza (o chimera) di perpetuare quei pochi istanti di gioia che un fato avaro ci ha elargito nel corso di codesta disavventura terrena, indulgiamo nel pregustare un'eterna beatitudine libera dal tedio e dall'uggia. Eterno rima con interno, ma pure, ahinoi, con inferno.

Balena a volte l'idea che la vagheggiata beatitudine sia un inebriante, inconsapevole nulla, simile a quel silente, sereno cielo che un neonato strappa con il suo pianto inconsolabile.



Saturday, August 6, 2011

Scettici e dogmatici (seconda parte)

http://zret.blogspot.com/2011/08/scettici-e-dogmatici-seconda-parte.html

Scettici e dogmatici (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Di fronte a questo spettacolo di una bellezza terribile, Antonio si sente smarrito, teme di precipitare nell’abisso, ma soprattutto è turbato dalle parole dell’interlocutore: “Scopo non c’è! Come potrebbe avere uno scopo Dio? Quale esperienza ha potuto informarlo? Quale riflessione farlo decidere? Prima dell’inizio, non avrebbe agito; agire adesso sarebbe inutile… Come sulla terra, gli esseri che la popolano vi capitano successivamente, così in cielo sorgono astri nuovi – effetti differenti di varie cause. … L’ammettere in Dio parecchi atti di volontà, è come ammettere parecchie cause e distruggere la sua unità. La volontà in Lui non è separabile dall’essenza. Non ha potuto avere un’altra volontà, non potendo avere un’altra essenza e, poiché dall’eternità esiste, eternamente agisce. … Il nulla non esiste! Il vuoto non esiste! … Vi sono ovunque corpi che si muovono sul fondo inalterabile della distesa e se questa fosse in qualche modo limitata, non sarebbe più la distesa, ma un corpo. … La distesa è compresa in Dio il quale non è certo una porzione dello spazio, una tale o talaltra grandezza, ma l’immensità. … Tu gli parli, lo adorni persino di virtù, invece di riconoscere che possiede tutte le perfezioni. Concepire qualcosa al di là sarebbe concepire Dio al di là di Dio, l’essere sopra l’essere. Egli è dunque l’unico Essere, l’unica sostanza. Se la sostanza potesse dividersi, perderebbe la propria natura, non sarebbe più sé stessa, Dio non esisterebbe più. E’ indivisibile, come è infinito; se avesse un corpo, sarebbe composto di parti e non sarebbe più unico né infinito. Dunque non è una persona. … Tu vuoi che Dio non sia Dio: giacché, se provasse amore, collera e compassione, passerebbe dalla perfezione ad una perfezione maggiore o minore. Egli non può abbassarsi ad un sentimento né contenersi in una forma. … Non c’è dubbio che il male lascia indifferente Dio, dato che la terra ne è piena. Pensi che lo tolleri per impotenza o lo conservi per malvagità? … Se fu lui a creare l’universo, superflua è la sua Provvidenza. Se la Provvidenza esiste, la creazione è difettosa…. Non conoscerai mai l’universo nella sua completa estensione, di conseguenza non puoi farti un’idea della sua cagione né avere una giusta nozione di Dio… Tu, però, sei sicuro di vedere? Sei anche sicuro di vivere? Forse nulla esiste”.

Il Diavolo – si sa – è “loico”: la ragione sembra essere dalla sua parte. Ecco perché nessun argomento dialettico potrà mai instillare la fede che è paradosso, contraddizione, “scandalo”. Pascal e Kierkegaard l’avevano inteso. Fedeli, gettate le armi della dimostrazione: esse sono cedevoli, inservibili.

Ci si desta un giorno con il dubbio che tutto sia vano, tutto fortuito. E’ vero che personaggi come Hawking e la Hack riescono a conciliare l’ateismo con il convincimento che il cosmo ha una sua ratio, ma la loro è un’operazione accademica, una visione stiracchiata e piena di falle. Gli atei, persuasi che Dio non è, sono dogmatici: sui dogmi ci si adagia, come fossero soffici cuscini. Beati loro: una certezza, per quanto negativa, è sempre preferibile ad un groviglio di domande. O no? E’ una sfida incessante continuare ad esistere, tentando in ogni modo di arginare le ondate di assurdità che erompono dal caos. Qui l’attimo non è secolo, non è millennio: è eone. “Scopo non c’è”: è l’assenza di un fine che tortura le nostre ore piene-vuote. Se tutto è contingente, siamo in una lotteria cosmica, dove il dolore e la gioia, la morte e la vita sono distribuiti a vanvera. A volte ci pungola il dubbio che il senso che rintracciamo negli eventi sia una costruzione mentale a posteriori, come le figure che vediamo, a causa della pareidolia, nelle forme accidentali delle nuvole. Il significato è un’illusione ottica della coscienza: d’altronde di fronte a pochi densi sincronismi, quanti sono i lanci insensati!

Ci si chiede come sia possibile che ogni speranza, ogni richiesta si infrangano contro un muro di gelido silenzio. Ci si chiede come e perché un Dio degno di questo nome possa ignorare la sofferenza più indicibile. Ci inventiamo mille spiegazioni, elaboriamo mille elucubrazioni: Dio permette il male, ma siamo noi a sceglierlo, Dio non è perfetto, Dio ci vuole mettere alla prova, intende temprarci con i patimenti, Dio siamo noi, Dio è coscienza non del tutto consapevole, per evolvere (?) occorre il male, il male non esiste… Meglio stare zitti che balbettare: restiamocene con i nostri quesiti, taciti, muti, impassibili, come sfingi.

Così assistiamo impotenti e straniti al tramonto di Dio, mentre le tenebre si diffondono sulla Terra, simili a neri, appuntiti artigli.


Sunday, July 17, 2011

Adesso

http://zret.blogspot.com/2011/07/adesso.html

Adesso

La nostra mente è sempre presa tra due fuochi, il passato con il suo strascico di ricordi e recriminazioni, ed il futuro, gremito di timori e di inani speranze. I pensieri brulicano: è un moto incontrollabile ed estenuante. Il pensiero pesa. Esso è radice di ogni infelicità. Dunque hanno ragione coloro che esortano a spegnere la mente, ad archiviare il passato che tanto, qualcuno sostiene, non esiste più, e ad annullare l’avvenire. E’ necessario concentrarsi sul presente e cogliere il potere dell’adesso, come recita il titolo di un celebre libro, sebbene io non sappia fino a che punto l'adesso sia tanto gradevole: sovente ha un sapore molto amaro.

Agostino aveva esaminato il tema con maggiore lucidità: se possiamo concludere, secondo una certa ottica, che il tempo trascorso e quello futuro sono mere astrazioni, nebulose propaggini di una mente mai paga di sé stessa, dobbiamo anche constatare che il tanto decantato “ora” è altrettanto inconsistente, essendo un attimo inafferrabile. Valorizzare l’ora è quindi eternare il nulla, trasferire il pensiero in una dimensione in cui si acquietano le idee, non perché trasmutate, ma in quanto annichilite.

Una vena di nichilismo percorre dunque gli insegnamenti che si prefiggono un’elevazione individuale, tramite il conseguimento del silenzio interiore. E’ così: al caos dell’esistenza si può fuggire solo negandola. Il movimento tautologico del destino umano ci spinge a riconquistare il nulla da cui proveniamo.

Pure le vie non basate sull’ascetismo sottendono un assottigliamento del pensiero, sorgente di inquietudine e di affanno. Infatti, se la vita non fosse tormentosa, non si avvertirebbe l’esigenza di ricondurla in qualche modo a quel non essere donde essa promana. Si riconosce quindi, sebbene in modo implicito, che la vita così com’è, è imperfetta ed innaturale. Solo chi è stato sconfitto desidera una rivincita.

“Tanto rumore per nulla”, ossia l’esperienza umana è così tumultuosa e travagliata che il fine ultimo del saggio deve essere il nulla. E’ l’unico obiettivo di un cammino disseminato di ostacoli, di un uomo sempre oscillante tra la grigia noia ed il corrosivo dolore. Di fronte un solo stretto passaggio: l’adesso con il suo potere. Peccato (o per fortuna?) che l’adesso non esista. E’ solo una metafora per indicare quella singolarità esistenziale in cui tutto (desideri, nostalgie, illusioni, aneliti… ) è risucchiato nel non essere, come un buco nero, secondo molti astrofisici, fagocita la luce.

Senza dubbio liberarsi dalla schiavitù della memoria e dalle catene delle aspettative è un obiettivo da perseguire per ottenere un po’ di calma interiore, ma bisogna essere consapevoli che svellere le radici significa rinunciare ad una ricca parte di noi, per quanto contraddittoria. Così al niente, inteso come non-senso ed assurdo dei giorni, si sostituisce il dono dell’adesso, il niente.

Solo il nulla può cancellare il nulla, anche se esso potrebbe essere, se mai troveremo la chiave, la porta per il tutto.


Saturday, May 7, 2011

L'Arte

http://zret.blogspot.com/2011/05/larte.html

L'Arte

Un tale – è Cicerone a riportare l'aneddoto - voleva insegnare a Temistocle, il fondatore della talassocrazia ateniese, l'arte della memoria. Temistocle non mostrò interesse: "Mi useresti un piacere di gran lunga maggiore, se mi insegnassi a dimenticare, piuttosto che a ricordare ciò che desidererei non ricordare." Saggia risposta quella dell'uomo politico. In verità non è solo auspicabile obliare gli affronti, come chiosa l'Arpinate: bisognerebbe imparare l'arte dell'oblio per cancellare quelle memorie (errori, sventure, incomprensioni, affanni) che assediano il presente.

Sebbene l'inglese sia ritenuto una lingua profana, alcune incursioni semantiche in tale idioma ci offrono motivi di riflessione: così che cos'è la dimenticanza, se non un conseguimento eccelso, una conquista gloriosa? Per questo motivo in inglese scordare è (to) forget, ossia ‘prendere, ottenere assai’ (il prefisso “for” ha valore intensivo). E' solo apparente il paradosso: molto stringe chi tutto perde, chi si lascia dietro di sé lo strascico tetro, fallace dei ricordi. Tra l'altro (to) forget è costruito secondo lo stesso modello di (to) forgive, omologo di “perdonare”: perdonare, infatti, è un donare molto, implicando un'elargizione di sé che è nobiltà d'animo.

Come apprendere dunque l'arte dell'oblio, dacché le rimembranze ci attorniano per espugnarci? Un ricordo assale il baluardo della coscienza, un altro le tende un'imboscata, un altro, muovendosi di soppiatto, entra da una breccia delle mura, un altro le dirocca, un po' alla volta, per penetrare nella cittadella...

Le reminiscenze sono in ogni dove. Scrutano, bisbigliano, fluttuano, quando non strattonano o non scaraventano nell’abisso del tempo trascorso. Là è un libro, qui un volto, lì un profumo, quivi una voce, ora è un sapore, talvolta è un brivido... Viviamo in un labirinto di memorie, tra riflessi di ombre ed ombre di larve. Né il sonno, con i suoi sogni pregni di esperienze, ci dà requie: durante la notte, anzi le ricordanze, trasfigurate in immagini emotive, ci turbano con in più quell'alone enigmatico che sfida il tentennante raziocinio.

Qualcuno scrisse che "un ricordo del dolore è ancora dolore, mentre un ricordo della gioia è dolore": è così, sebbene la qualità della sofferenza cambi. Cambiano il timbro e lo spessore: anche i patimenti appassiscono. Perché dovremmo, novelli Enea, rinnovare la pena con la rievocazione? No. Meglio tacere, quand’anche scordare significasse tacitare il cuore. L’oblio diventi obl-io, cancellazione dell’io caduto-caduco. Nel silenzio e nell'amnesia è il fuoco della speranza.

Che cosa saremmo senza le memorie, senza il solco del passato? Nulla. Ce ne dorremmo?



Tuesday, January 25, 2011

Ateismo

http://zret.blogspot.com/2011/01/ateismo.html

Ateismo

Pensa. Ne sei capace. Soprattutto non devi fuggire nel sonno – dimenticare i particolari – ignorare i problemi – costruire barriere fra te ed il cosmo e le allegre ragazze brillanti – ti prego, pensa, svegliati. Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato. Signore, signore, signore, dove sei? Ho bisogno di credere in te, nell’amore e nell’umanità… (Sylvia Plath, Diari)

Sono note le giustificazioni dei credenti e le motivazioni degli atei. Sarebbe forse auspicabile andare oltre per evitare di ripetere che la bellezza e l’armonia del cosmo, le mirabili creazioni della Natura dichiarano l’esistenza di Dio. Di converso, additare il dolore che lacera la vita e strazia questo mondo al contrario di per sé non bilancia gli argomenti a favore della presenza dell’Eterno.

Così siamo nella condizione dell’asino di Buridano: non possiamo decidere per l’una o l’altra possibilità, giacché le argomentazioni a favore e quelle contro sembrano elidersi a vicenda. Quasi sempre si pensa a Dio come all’Essere perfettissimo: allora l’imperfezione, indiscutibile dato del mondo, da dove proviene?

In verità, sia la presenza di Dio sia la sua assenza abitano nel centro del nostro essere. Sono racchiuse nell’attimo che contiene l’abisso dell’eternità. Siamo infiniti nella nostra pietosa finitezza. In quell’istante di solenne silenzio, di vuoto che contiene tutto, noi percepiamo l’Assoluto ed il Nulla, come i volti di Giano bifronte. In quel silenzio è custodita la verità indicibile, la paradossale intuizione: nell’inferno rovente della sofferenza possiamo avvertire il refrigerio dell’Eterno, nel caos rintracciare una filigrana e nell’assurdo un senso. Talvolta nella disperazione si incontra un sorriso o una tacita empatia.

Per questo motivo a Dio non ci si accosta con la ragione, meno che mai con il calcolo, poiché il calcolo non torna mai, ma solo con la ricerca estenuante di una direzione, consci, però, che questa ricerca potrebbe essere come il cammino di un uomo smarritosi nel deserto. Egli crede di dirigersi verso l’oasi che ha intravisto in lontananza, ma si muove in cerchio e, alla fine, torna nel punto donde è partito. Il miraggio è sempre in agguato.

Anche in quei rarissimi, eccezionali casi in cui l’esplorazione del senso, che è poi spesso una gragnola di domande, approda ad una pur parziale meta, chi potrà tradurre quella fulminea, fugace illuminazione in un discorso su Dio? Le parole sono miseri balbettii e la più grandiosa elaborazione teologica, biblica o extra-biblica che sia, è uno iota lillipuziano. La teologia trova il suo habitat nelle università. Osi un erudito disquisire di teodicea al cospetto di clochards mezzo ibernati e miserabili. Questi sventurati, costretti a dormire in un portico, avvolti in coperte bucate, le darebbero di santa ragione al teologo! Chi potrebbe biasimarli? In certi luoghi né la scienza né la filosofia attecchiscono facilmente. Alla Coscienza è assegnato l’arduo compito di sentire, se ci riesce, non all’intelletto.

Meglio dunque tacere: ad ognuno il suo universo, la traballante passerella da cui gettare uno sguardo nella voragine del buio.

Ad ognuno la sua parte, di apertura o di chiusura o di entrambe. Il peso dell’irrazionalità è un macigno che schiaccia, ma il peso di un senso che sfida ogni logica ed ogni spiegazione non è meno gravoso né meno difficile da sopportare: si è obbligati a costruire ed a ricostruire la vita, istante dopo istante, mentre il tempo e l’entropia la inceneriscono senza pietà.

La fatica di Sisifo è, al confronto, una rilassante passeggiata.



Monday, August 23, 2010

Il passato che non passa

http://zret.blogspot.com/2010/08/il-passato-che-non-passa.html

Il passato che non passa

Le seguenti sono note senza alcuna pretesa di stabilire una verità.

Occorre un impegno immane per conferire un senso al passato e riscattarlo dalla sua irrazionalità, si tratti del passato individuale o di quello che appartiene al genere umano. Vero è che, a distanza di tempo, eventi trascorsi rivelano la loro logica all'interno di un disegno che era apparso casuale. Tuttavia non solo non sappiamo se questa logica sia in parte un significato dato a posteriori e per di più soggettivo, ma anche restano scorie emotive, errori, iniquità che non si incastrano nella strettissima feritoia del senso.

Il passato continua a pesare sulla vita, il cui valore è quello di non acquisire valore nei confronti del tutto, poiché il suo valore è confinato nella contingenza che lo riduce ad un’incognita. Bene scrive l'ottimo Horkheimer nel saggio “Eclissi della ragione” (1947): "La coscienza che il mondo è fenomeno, che non è la verità assoluta, la quale è la sola realtà ultima. La teologia è - devo esprimermi con molta cautela - la speranza che, nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l'ingiustizia possa essere l'ultima parola." Il filosofo tedesco è conscio che la giustizia non potrà essere mai essere realizzata nella storia, poiché "quando anche la migliore società avesse a sostituire l'attuale ordine sociale, non verrà riparata l'ingiustizia passata e non verrà tolta la miseria della natura circostante".

Con intelligenza, Horkheimer vede sia nella natura, sulla scorta di altri pensatori, sia nella storia i chiodi che non si possono sradicare dal muro. Egli poi concepisce la fede come un'apertura di credito a favore di Dio, l'espressione di "una nostalgia, secondo la quale l'assassino non possa trionfare sulla vittima innocente". Così fa tabula rasa del giustificazionismo teologico e filosofico, per cui ogni avvenimento (dallo sbocciare di un fiore ad una strage di stato) assurge a punto significativo, eppure insignificante nella sua perfetta intercambiabilità con gli altri punti. Nell'economia del tutto, ciascun punto, insieme con infiniti altri, concorre a formare la perfetta, razionale linea del progresso storico e dell’evoluzione cosmica. Da qui il laissez faire per cui qualsiasi cosa accada, comunque sarà il migliore degli avvenimenti possibili, poiché incapace anche solo di sfiorare la perfezione dell'essere e perché inquadrato in un piano imperscrutabile, ma - si afferma – coerente ed armonico.

Se il male, nelle sue numerose incarnazioni (ed alcune sono imprescindibili e persino utili), si dispone ad essere oggetto di un'appropriazione e significazione postuma, il compito dell'uomo è appunto in questa "sfida al labirinto", come di chi continui imperterrito a gettar via l'acqua con un secchiello da un'imbarcazione che sta affondando, pur consapevole che la barca s’inabisserà.

Il dilemma decisivo inerisce alla questione circa la razionalità del reale. Il reale lo è o non lo è: una risposta intermedia non pare probabile.[1] Se, come credo, il mondo non è Ragione, il passato può essere redento solo con la dimenticanza. Il passato va perdonato, ma il perdono non è riconciliazione. Giacché non è possibile (ri)conciliare l'inconciliabile, il perdono è dono di oblio. L'essere stesso è forse proteso verso un oblio che cancelli, mercé un colpo di spugna, non solo il passato con il suo strascico di innumerevoli falle, ma anche la sua memoria.

Questa cancellazione, affinché sia una vera catarsi, per giunta non deve riguardare solo le creature, ma anche l'essere.

[1] Quando mi riferisco ad irrazionalità del mondo, escludo qualsiasi valutazione emotiva e psicologica, come pure il riferimento al male. L’universo è irrazionale poiché viola il principio di non contraddizione. Scrivevo nel testo Il mondo, la coscienza ed il nulla: “Perché il reale è autocontradditorio? Perché, assimilato il reale a 1, esso è diverso da 0, ossia il nulla, ma non si spiega come dal nulla assoluto possa scaturire il reale. Bisogna quindi accettare che 1 è uguale a 0 e viceversa. Il paradosso è il seguente: lo 0 è più denso di 1, il nulla più creativo del tutto. Il cosmo è simile ad un enorme macigno in bilico su un abisso infinito. La sostanza del reale è il nulla.” D’altronde, pure la fisica quantistica, di fronte ai paradossi del microcosmo, ha dovuto postulare un nulla da cui tutto affiora, un nulla instabile.




Saturday, July 31, 2010

Identità

http://zret.blogspot.com/2010/07/identita.html

Identità

L'identità è un terreno sdrucciolevole, poiché installata sulla memoria che, nella sua natura più profonda, è una nebbia in cui i ricordi si sciolgono nell'oblio e da cui, viceversa, affiorano di quando in quando le reminiscenze. Si potrebbe paragonare l'io ad una superficie collosa, colla su cui si attaccano percezioni, sensazioni, intermittenze. Quale sia la vera sostanza dell'identità ci sfugge e non sappiamo neppure se questa ipostasi esista o se sia solo la conseguenza di un'abitudine appercettiva (percezione consapevole).

La memoria come perennità a sé stessi, come costante nell'incostanza, provoca l'identificazione ancora più del corpo, soggetto-oggetto di relazione con il mondo, poiché residuale: per questo motivo, quando il corpo è nel rilassamento e quasi insensibile agli stimoli, i pensieri ancora fluttuano in un oceano informe, prima di spegnersi nel sonno.

L'io assomiglia ad un iceberg, la cui parte visibile coincide con la coscienza, mentre la parte sotto il pelo dell'acqua non solo è di maggiori dimensioni rispetto a quella sub divo, ma anche sottoposta ad incessanti trasformazioni e modellamenti. In questa parte albergano ricordi dimenticati, immagini archetipiche; questa parte è tramata da scure vene: sono aspetti che vengono alla luce, allorquando un'oscillazione lascia emergere una superficie del blocco di ghiaccio. Fuor di metafora, la fluttuazione è un evento traumatico o un cambiamento rilevante.

Interrogarsi sui processi cerebrali legati ai ricordi, individuando quelle aree dell'encefalo che sono preposte ala memoria, può spiegare le conseguenze di traumi e malattie sulle facoltà cognitive, ma non chiarisce in che cosa veramente consista la coscienza che pare avulsa dal substrato cerebrale. Influire sul cervello con strumenti fisici e chimici (impulsi elettromagnetici, farmaci, neurotrasmettitori...) significa pure incidere sulla coscienza? Nell'oblio di sé stessi, l'io continua a sussistere come precipitato insolubile? L'io è un ente o una transitoria emersione dell’essere?

Mi pare discutibile l’attitudine oggi assai diffusa a denigrare la mente: la mente, come testimoniato dall’etimologia, è già memoria, anche se di corto raggio, e quindi presenza a sé stessi, coesione psichica da cui dipende un pur instabile equilibrio. Non è un caso se in latino “amens”, ossia privo di mente, significa “folle”, “insano”.

La memoria pura, in quanto luogo di ricordi solo potenzialmente attingibili dall'io, come riteneva Henri Bergson, è imparentata con la dimenticanza.



Saturday, July 10, 2010

Crollo

http://zret.blogspot.com/2010/07/crollo.html

Crollo

Rido se vedo un bimbo che la mano
schiuda nel vuoto,
credendo di posarvi un qualche oggetto;
non rido piú se noto
che a me pur similmente accade
che nel vano del tempo crolli ogni desio nascente,
ogni nascente affetto.


Nella lirica "Crollo" di Luigi Pirandello è contenuta in nuce la celebra poetica nota come "Umorismo", ossia sentimento del contrario, risultato della coscienza che, nella vita, comico e tragico coesistono. L'autore, le cui poesie, spesso misconosciute nel loro valore stilistico ed introspettivo, svelano una dolente sensibilità, instaura un parallelo-antitesi tra l'infanzia e l'età adulta: il bimbo, credendo di poter appoggiare nel vuoto un oggetto, apre fiducioso la mano su di esso, ma l'oggetto fatalmente cade. Consapevole dell'assurdità del gesto, lo scrittore sorride, ma presto l'ilarità si spegne, poiché egli si accorge che, nell'immagine del fanciullo, si rispecchia la sua condizione esistenziale imperniata sull'illusione di costruire qualcosa di stabile.

Così "ogni desio nascente, ogni nascente affetto" crollano: il chiasmo stringe sogni e speranze in un abbraccio mortale. Il nulla è la sostanza della vita, l'inconsistente base su cui erigiamo caduchi edifici di chimere. Gli anni precipitano nell'abisso del non-senso e la tenerezza, con cui l'autore contempla la puerizia, si impregna di amaro.

La chiave interpretativa del testo è il titolo, "Crollo", immagine dell'improvviso sgretolarsi di un mondo e sia un evento esteriore o una muta, ma non meno dolorosa, rovina interiore. La somiglianza fonica tra “crollo” e “nulla”, parola evocata nel "vuoto", inutile superficie del niente, radica il fragile tempo umano nel substrato della perdita.

Pirandello, nei suoi versi accorati e schivi, descrive la caduta repentina e traumatica nell'abisso, ma spesso il tempo erode un po' alla volta aneliti ed affetti: il disfacimento avviene per gradi, in modo quasi inavvertito.

Così continuiamo a (sopra)vvivere, quasi ignari del dolore che abita nella gioia fugace, della morte che alberga nella nascita.

Di questo al destino siamo infinitamente grati.




Wednesday, May 5, 2010

Audax

http://zret.blogspot.com/2010/05/audax.html

Audax

La formidabile avventura dell’esistenza ci porta a volte sul crinale dell'enigma, ci immerge in liquidi sogni sfrangiati da incubi. Ci si chiede che cosa sia la realtà, con la sua fievole consistenza, garantita dall'attesa, dall'abitudine, da nessi causali sovente casuali. Potrebbe svanire in un attimo, franare nel nulla, quel nulla che forse non è il puro non essere, ma una dimensione instabile, fluttuante in forme effimere. Che cos'è la realtà? Un riflesso sulla superficie, un'ombra che si addensa nel solco di un drappo: è per questo che, voltandoci, all'improvviso anche a noi può accadere di scorgere il vuoto. Che cos'è il mondo? Tautologia di sé stesso, simbolo senza immagine, suono imbevuto di silenzio.

Dove conduce l'esistenza? Certo, all'uomo comune non interessa: rassicurato dalla miserrima "scienza", è convinto che il tempo è unidirezionale e che è tutto è come sembra. Prigioniero della doxa, scambia i disegni degli oggetti per gli oggetti stessi e si preclude gli orizzonti dell'ignoto. Solo chi ha il coraggio dell'eresia, l’audacia della domanda può intravedere le parvenze oltre le apparenze, ascoltare l'inaudito, gettare lo sguardo nella terra inesplorata, sia pure per solo un istante.

Che cosa ci attende oltre la soglia? Là inconcepibili percorsi si sovrappongono e si intersecano, come fili di luci in una fotografia notturna dal tempo di esposizione prolungato. Là il tempo si dilata o si contrae fino ad essere risucchiato in un punto infinito.

La
letteratura di fantascienza non è solo un genere prolettico, ma un campionario di prospettive e di possibilità che la mente razionale si ostina a confinare nell’assurdo. La reversibilità degli accadimenti, il viaggio nel tempo, la collisione e la tangenza degli universi, la frantumazione dell’io e la sua dispersione in mille identità, l’esplorazione dell’ignoto sino a sfiorare l’infinito… sono gli scenari che, per ora, appartengono al raro prodigio dell’’immaginazione.

Un giorno scopriremo se il cuore della realtà, congelato in fotogrammi immobili, è solo un altro velo sopra un velo.