L'immensa sputtanata a Zelig

Il blog che si sta visitando potrebbe utilizzare cookies, anche di terze parti, per tracciare alcune preferenze dei visitatori e per migliorare la visualizzazione. fai click qui per leggere l'informativa Navigando comunque in StrakerEnemy acconsenti all'eventuale uso dei cookies; clicka su esci se non interessato. ESCI
Cliccare per vederla

Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

http://indipezzenti.blogspot.ch/

https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/

Showing posts with label Alessandro Manzoni. Show all posts
Showing posts with label Alessandro Manzoni. Show all posts

Friday, January 29, 2016

Truffe linguistiche


http://zret.blogspot.it/2016/01/artigli.html

ma stepchild non va scritto tutto attaccato? e' comunque divertente vedere gli acconguaglioni d'apprima pubblished criticare altri...


https://archive.is/IbVUV

Saturday, November 28, 2015

Alessandro Manzoni e la narratologia: che cosa possono suggerirci sugli eventi parigini del 13 novembre 2015?


http://zret.blogspot.it/2015/11/alessandro-manzoni-e-la-narratologia.html

Zretino, sei un coglione.
Perché non vai a Venezia a ripetere personalmente ai genitori di Valeria Solesin le tue minchiate?


https://archive.is/wkrWv


Tuesday, December 16, 2014

Wit

http://zret.blogspot.ch/2014/12/wit.html

Wit

Il Dao non sarebbe tale, se non se ne ridesse. (Dao de qing)



Wit: questa parola inglese è quasi intraducibile nella nostra lingua. Wit, breve e brioso termine, la resa italiana che più ne adombra il significato è “arguzia”: l’arguzia è, infatti, intelligenza sostanziata di spirito, di raffinato e disincantato senso dell’umorismo.

Si osservi che in questi tempi ferali lo humour è sempre più raro: le persone non sanno più che cosa significhi essere ironici o autoironici. Ignorano il distacco partecipe rispetto alle vicende inscenate sul proscenio del mondo. L’ironia è sovente scambiata per un’ingiuria.

Certamente, se non si è intelligenti, non si può essere neppure faceti. Soprattutto per essere spiritosi, bisogna avere un temperamento malinconico: aveva ragione Giordano Bruno a scrivere che egli era “ilare nella tristezza e triste nell’ilarità”. La giocondità e la mestizia si confondono e si fondono nella vita, in questa vita bifronte dove ogni sorriso è una piega amara e viceversa, secondo il punto di osservazione.

Forse solo le persone, il cui cuore è intriso di amarezza, possono essere davvero piacevoli. L’esempio classico è in Manzoni la cui ironia è il volto sorridente di un animo corrucciato. Tuttavia si resterà sorpresi di come Achille Campanile, autore di racconti frizzanti, godibili e spassosi, abbia scritto delle pagine sulla morte di sconvolgente profondità. Le sue riflessioni sono degne dei filosofi più abissali, come Emile Cioran.

Solo chi ha dimestichezza con la comedie humaine può immaginare la fine di una tragedia... e sdrammatizzarla, ma forse il vero umorismo è quello pirandelliano che è l’amaro sentimento del contrario, lo stridio della contraddizione. E’ l’umorismo, che conosciuta la follia dell’umanità e del destino, vira verso la lucida disperazione.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Monday, July 7, 2014

Choc

http://zret.blogspot.it/2014/07/choc.html

Choc


L’ipocrisia del potere si misura nella distanza abissale tra le dichiarazioni e le cattive, anzi pessime intenzioni.

Sarebbe scorretto negarlo: il potere sta vincendo la partita e non solo attraverso la coercizione e la frode che sono le sue colonne, ma ottenendo in modo subdolo il consenso dei cittadini. Lo Stato oggi è in ogni dove: le sue colonie si chiamano coscienze. Distrutte le barriere dei pochi diritti rimasti, gli apparati si sono installati nelle menti. Esse non pensano più in modo autonomo: ripetono le mistificazioni dell’establishment. Esse non pensano più. Tutto ciò in modo inconsapevole.

Esiste ancora un’ancora per non naufragare nell’”oceano della stupidità”? Esiste ancora un antidoto contro il conformismo imperante? L’unico contravveleno è la cultura. La cultura oggi più che mai deve essere provocatoria, rivoluzionaria. Deve manifestare la discontinuità rispetto all’ideologia dominante. Contro le concezioni stataliste sarà pungolo il pensiero di tutti quegli autori che denunciano l’ipocrisia delle classi dirigenti. Contro il perbenismo piccolo-borghese gioverà una lingua artigliata che gratta via la patina della retorica.

Il panorama è desolante: le nuove generazioni sono sovente indottrinate da generazioni di indottrinati, tiranneggiate da schiavi. E’ naturale che chi manifesta capacità critiche è ostracizzato ed esposto al pubblico ludibrio, ma è lo scotto da pagare per essere liberi, per essere sé stessi.

La cultura è boomerang: è facile trovare un filosofo, un artista, imbalsamati dal potere in una visione normalizzante (ad esempio, Hegel e Manzoni), che manifestano nella loro Weltanschauung o poetica spigoli acuminati.

Oggigiorno è soprattutto il sapere umanistico-letterario a preservare un’energia, una vis polemica, visto che le discipline scientifiche sono quasi sempre degradate a squallido scientismo. Bisogna riappropriarsi di tutte quelle voci dissonanti, delle intelligenze dissidenti per sovvertire le idee consolidate, per destabilizzare il sistema. E’ necessario valorizzare, nella texture degli autori, il solco più icastico, la linea più scavata.

La cultura è choc: filosofi ed artisti veri si situano rispetto a chi li ha preceduti in una posizione di ripresa ed innovazione, di continuità e rivoluzione, ma è il momento innovativo a prevalere. Nella denuncia e nella critica delle strutture governative occorre privilegiare la pars destruens, sottoporre l’antagonista ad un attacco concentrico, incessante, smascherare l’ignoranza ammantata di saccenteria.

E’ impossibile qualsiasi compromesso o accordo con l’organizzazione statale. Annientare il sistema – non importa quanto tempo e fatica richiederà tale impresa - significa riportarlo alla sua essenza: un niente che vuole controllare tutto.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

 

Tuesday, June 3, 2014

Apprendimento senza presa

http://zret.blogspot.it/2014/05/apprendimento-senza-presa.html

Apprendimento senza presa


Non ad scholam sed ad vitam discimus. Impariamo non per la scuola ma per la vita. (Seneca)

Che cos’è necessario davvero imparare? Quello che è realmente significativo non può essere insegnato, ci ricorda Oscar Wilde. Tuttavia qualcosa bisognerebbe tentare di apprendere: alcuni filosofi antichi, nella loro saggezza, appuntavano la loro attenzione sul destino dell’uomo in relazione alla morte. Infatti imparare a vivere è soprattutto imparare a morire. E’ palese che è compito arduo, sebbene imprescindibile: i nostri tempi rimuovono tutto ciò che riguarda la meta ultima, offuscandola dietro una cortina di noncuranti eufemismi o con la promessa di un’immortalità transumana.

Apparentemente agli antipodi di questa “scienza della morte” è il saper fare: oggi ambedue queste competenze sono escluse dal mondo dell’istruzione, anzi della distruzione, la scuola. Qui si studiano per lo più cose inutili e talmente vacue che verrebbero in uggia anche a don Ferrante. Quasi sempre si cerca di inculcare negli allievi un atteggiamento razionalista-scientista: questo spiega perché, nei quadri orari, le discipline tecniche e “scientifiche” sopraffanno le humanae litterae. L’arte, la musica, la poesia, il teatro, il mito... hanno poco o punto spazio nel sistema educativo. Nel migliore dei casi, si valorizza l’emisfero sinistro, ma soprattutto si propaganda una mentalità utilitarista, tutta imperniata sui risultati numerici, sui voti, sui crediti, sulle percentuali. I quiz INSULSI sono la scandalosa epifania di codesta impostazione gretta e stolida.

Pietoso è nel complesso l’insegnamento delle materie scientifiche, ridotte a formule dogmatiche, ad aridi elenchi, avulsi da qualsiasi contatto con una visione della realtà in cui il sapere tradizionale è tutt’uno con l’esperienza. La Storia è isterilita nell’erudizione, la Letteratura rovinata da approcci aberranti. I libri di testo sono irti di strafalcioni e di bestialità. Su tutto grava l’ipoteca di una valutazione ossessiva, della mania di quantificare ciò che quantificabile non è: la cultura non è una sbarra di ferro di cui misurare lunghezza e peso.

Sono del tutto bandite dagli istituti le abilità manuali e pratiche: saper costruire o accomodare un utensile vale quanto conoscere la trigonometria, essere in grado di disegnare è formativo quanto la conoscenza di una lingua classica o straniera.

Attualmente un titolo studio non serve neppure più a trovare un impiego, vista la crisi artificiale che destina la maggior parte dei giovani ad un futuro di frustrante disoccupazione. Allora bisognerebbe frequentare il liceo almeno per sviluppare lo spirito critico ed il senso estetico. Disoccupati sì, ma non soggiogati dal sistema e senza talento alcuno.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Monday, March 10, 2014

Giustizia umana e Coscienza sono incompatibili

http://zret.blogspot.it/2014/03/giustizia-umana-e-coscienza-sono.html

Giustizia umana e Coscienza sono incompatibili

Lo Stato non siamo noi. In quanto uomini liberi, integri, amanti della Verità e della Giustizia, noi riconosciamo come autorità solo la nostra Coscienza ed esigiamo che le istituzioni dichiarino di essere onorate della nostra stessa impeccabile esistenza.

Sempre più spesso ci chiedono la nostra opinione circa la sovranità individuale, ossia la possibilità di ciascun uomo di affermare la propria libertà e dignità al di fuori dei vincoli di legge sanciti dagli Stati. Ora, non entriamo nel merito della questione, poiché è un tema alquanto complesso. Qui ci limitiamo ad accennare alcune coordinate.

Il sistema giuridico internazionale risente in misura maggiore o minore della bolla "Unam sanctam" promulgata dall’orrendo pontefice Bonifacio VIII (al secolo Benedetto Caetani) e di altre due lettere papali successive. La giurisprudenza dei paesi anglosassoni, almeno in linea teorica, contempla l’evenienza che il singolo proclami la propria sovranità. Il diritto italiano, invece, in cui i giudici, sempre in linea teorica, applicano una legge a loro superiore, diritto che discende dai principi del Corpus iuris civilis giustinianeo, non pare proprio prevedere tale opportunità.

Il punto comunque non è questo, giacché la legge è un’astrazione: non esiste una giustizia umana da cui possa promanare un ordinamento ineccepibile. Lo Stato di diritto è una chimera. Lo Stato è solo l’espressione di una classe o di una cricca che opprime, sfrutta e vessa il popolo, pensando esclusivamente a preservare i suoi luridi privilegi. Perciò ogni disquisizione a proposito di norme, regole, fonti del diritto, costituzioni... è, prima che inutile, ridicola.

Per quanto ci riguarda, il codice penale ed il codice di procedura penale sui cui ci siamo formati coincidono in toto con “I promessi sposi”. Intendiamo che Manzoni comprese come funziona, anzi come non funziona la “giustizia”, debole con i forti e forte con i deboli. L’autore milanese era tutto fuorché uno sprovveduto: nel romanzo con sarcasmo e con lucidità denuncia una situazione politica e sociale corrotta sino al midollo. Solo i deficienti e gli allucinati possono pensare che i magistrati siano imparziali, che nei tribunali si pronuncino sentenze giuste. Renzo e Lucia e, più in generale, gli umili lo imparano a loro spese. Poiché essi, però, hanno fede in Dio, nella sua Giustizia superiore, alla fine accettano questa vita di mota. Gli altri si attaccano al tram e fischiano l’Aida.

Come ci insegnano i sofisti, la giustizia è la legge del più forte e del più scaltro. Lo Stato, in quanto costruzione del tutto illegittima e criminale, può solo partorire una giustizia iniqua, feroce ed aberrante. All’interno dei codici si troverà sempre qualche cavillo, qualche pretesto, qualche appiglio per un’interpretazione ad uso e consumo del prepotente di turno. Non ha ragione chi ha ragione, ma chi è arrogante, come ci ammonisce Fedro nella celebre ed amara favola, “Il lupo e l’agnello”.

Nel "Paradiso" Dante, scrive “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”, ossia “Amate la giustizia voi che giudicate la terra”. Dispiace constatare che il sommo poeta vaneggiasse di uomini amanti della giustizia in grado di giudicare gli altri. I pochi uomini probi, integerrimi, disinteressati non operano nei tribunali, anzi non operano all’interno delle nefaste e nefande istituzioni. Se siamo fortunati, ci imbatteremo in greggi di inetti, in masnade di ignoranti, ma l’onestà appartiene ad un’altra dimensione.

Chi combatte per attestare la sovranità individuale merita un plauso, poiché manifesta una concezione alta e nobile della giurisprudenza. Purtroppo la realtà effettuale è ben diversa: i pre-potenti, anche quei pochi che conoscono i fondamenti giuridici, non esitano un attimo a spiaccicare il cittadino, come fosse una mosca. Coloro non si peritano di trasgredire le regole basilari della convivenza civile: non hanno alcun ritegno. Sono in una botte di ferro. Il vizio e la scelleratezza sono per loro garanzia di totale impunità. Nessuno mai avrà l’ardire non di perseguirli, ma di torcere loro un capello.

Chiarito ciò, ci sembra che i fautori della sovranità individuale siano un po’ come coloro che, basandosi sui cardini teorici di una fisica quantistica mal compresa, sono sicuri di poter modificare gli eventi, anzi l’intero universo con il potere dell’intenzione, potere tra l’altro di un singolo individuo. Sinora non risulta ci siano riusciti.

Questo non significa che non si debbano esperire tutte le vie lecite per rintuzzare gli assalti di un sistema tirannico. Si possono e si devono escogitare strategie per contrastare i misfatti governativi. In effetti, negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, qualche cittadino, appellandosi al codice della navigazione, è stato in grado di schivare la mannaia dei palazzi di “giustizia”. Tuttavia di fronte a qualcuno che ha trionfato, quanti sono gli infelici che sono massacrati di botte o fulminati con il taser, ancora prima che possano proferire un fonema!

Siamo in ogni caso sempre disponibili a rettificare tali conclusioni: chi fosse riuscito a schivare i fendenti di un establishment odioso, è invitato a comunicarcelo ed a rendere partecipi della sua positiva esperienza il maggior numero di lettori possibile.

Reputiamo, però, che chi confida in questa o in simili forme di difesa della propria libertà empirica (non interiore, che è invulnerabile) sia simile ad un soldato che vuole proteggersi da una mitragliata con uno scudo di cartone.



Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Monday, November 25, 2013

Quando il totale è superiore alle parti che lo compongono

http://zret.blogspot.co.uk/2013/11/quando-il-totale-e-superiore-alle-parti.html

Quando il totale è superiore alle parti che lo compongono


Lo spettro nella massa

La massa non è un insieme di individui: essa ospita un quid che la trascende. Già gli antichi romani solevano ripetere: “Il senato è una brutta bestia, anche se i senatori sono brave persone”. E’ così: nel momento in cui il singolo rinuncia alla sua identità irripetibile, subentra una forza più grande di lui. Il senso di appartenenza ad un gruppo defrauda il soggetto della sua volontà che è incanalata nella “volontà generale”.

Alcune pagine dei “Promessi sposi”, ancora prima dei classici studi ad opera di Le Bon, Reich e Canetti, ben illustrano la psicologia della folla preda di un impulso irrazionale che la trascina come una bufera fa roteare le foglie secche. All’interno della moltitudine sopravvive un drappello che è ancora in grado di agire secondo ragione, ma è una minoranza la cui voce è soverchiata dalle grida dei fanatici.

Per il potere è più facile manovrare la massa che l’individuo, poiché nella prima è inoculato una sorta di virus che, un po’ alla volta, prende possesso delle cellule all’interno dell’organismo. Oggigiorno la massa è soprattutto quella formata dai teledipendenti o, in generale, dai destinatari dell’”informazione” mainstream. Il cittadino medio è di norma più intelligente del fruitore omologato: costui, però, perde gran parte della sua capacità critica per accettare le versioni tranquillizzanti ammannite dai “giornalisti” di regime.

Per gli apparati è necessario trasformare i cittadini in un’unità indistinta dove alla facoltà di giudizio è sostituita la fede. E’ la fede nelle ricostruzioni e nelle esegesi che il sistema propina: che esse siano inverosimili o contraddittorie tra loro non importa. Ad esempio, il cittadino massificato crede che il debito pubblico possa essere ridotto dalle misure tra oculate e draconiane di un governo, pur sapendo che il disavanzo interno aumenta ogni volta in cui sono emessi titoli di stato che sono appunto titoli del debito. Ancora, colui crede che votare possa ancora influire sulla politica, pur essendo conscio che i “politici” sono semplici burattini inetti e corrotti. E’ qui evidente dunque un’altra incongruenza: il soggetto plagiato si affida a colui sul quale non fa alcun affidamento. E’ convinto che i maneggioni sono dediti solo ai loro loschi interessi, ma ritiene che le trame non esistano. E’ questa una concezione paradossale, una concezione che è inculcata attraverso la spersonalizzazione della persona. E’ anche uno stato di dissonanza cognitiva.

La “cultura” di massa è il risultato di un potente rito magico: si genera una specie di egregora, un parassita che domina il “corpaccio” per mutuare un’efficace metafora di Manzoni. L’opinione pubblica è controllata: essa pensa, si esprime ed agisce come guidata da un pilota automatico. Agisce una forza inconscia nella folla: il dittatore di turno si appella a quella forza, la evoca, la lusinga, la dirige. I grandi manipolatori estraggono dal sottosuolo umano gli istinti distruttivi, l’aggressività, l’ira repressa, le inclinazioni deteriori (thanatos) per conseguire obiettivi nefandi.

Ora è il demagogo a sedurre la ciurmaglia ora il gazzettiere ora l’”esperto”: suadenti, insistenti, essi inoculano le menzogne con il loro linguaggio stravolto dove la verità si tramuta in “complotto”, la stupidità assoluta della rivista “Focus” assurge a scienza, l’attitudine a vedere oltre è degradata a paranoia. Nel lessico rovesciato del servilismo “giornalistico” l’insulto e la distorsione assumono le sembianze dell’oggettività, ma l’idioletto invaso da vocaboli come “bufala”, “teoria”, “fantasia”, “leggenda metropolitana”... tradisce la perfetta ottusità dei manutengoli.

Il popolino ha bisogno di essere rassicurato, blandito. “Mi mentano pure, a condizione che la bugia sia idilliaca. Mi derubino di tutto, purché mi lascino il campionato di calcio. Avvelenino il cibo, ma che io possa fare incetta al supermercato di scatolame vario”.

La plebe oggi è paga delle briciole che le sono graziosamente elargite. Essa non protesta, non si ritira sull’Aventino, perché non ha coscienza che i suoi diritti sono calpestati.

Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Monday, May 20, 2013

Ipnosi

http://www.tankerenemy.com/2013/05/ipnosi.html

Ipnosi

Svegliati dal sonno o la veglia sarà un incubo.

E’ possibile esercitare il controllo della mente? E’ possibile instillare nel subconscio o nell’inconscio dei messaggi? E’ naturale che il discorso è complesso: non intendiamo addentrarci in un’indagine psicologica e psicanalitica, ma solo accennare al tema per collegarlo soprattutto alla questione “geoingegneria clandestina” alias “scie chimiche”.

Con il termine “inconscio” si designa l’insieme dei contenuti psichici non presenti alla coscienza. Un’embrionale riflessione sull’inconscio è rintracciabile in Leibniz che ipotizzò la presenza di “piccole percezioni” continuamente operanti e non avvertite dalla coscienza a meno che esse non tocchino, integrandosi, una certa intensità. In Schelling e nei Romantici l’idea di inconscio è il fondamento dell’essere umano, la radice invisibile dell’intero universo. Schopenauer equiparò l’inconscio alla volontà cieca ed irrazionale operante nell’uomo e negli animali (Wille), attraverso l’istinto sessuale e di conservazione. Herbart enunciò il concetto di “soglia della coscienza”, al di sotto della quale tutte le idee sono inconsapevoli. Fechner, riprendendo la nozione di “soglia”, rappresentò la mente umana come un iceberg, la maggior parte del quale si trova sotto la superficie. Nella seconda metà del XIX secolo la psicopatologia, specialmente quella francese, studiò alcuni aspetti della vita psichica profonda in relazione all’automatismo psico-motorio, alla suggestione post-ipnotica, al sonnambulismo ed ai sintomi isterici.

Con Freud l’inconscio divenne una costruzione teorica comprensiva degli aspetti motivazionali della personalità, sia sana sia patologica. Fondamentali per il fondatore della psicanalisi fu la concezione di Schopenauer, ma anche l’intuizione di Nietzsche all’interno dell’opera “Genealogia della morale” dove il filosofo tedesco aveva delineato i capisaldi di una sfera psichica in cui si sedimentano e pullulano le pulsioni. [1]

Freud individuò i meccanismi dell’inconscio (Es o Id), ossia simbolismo (lo strato inconscio si esprime attraverso emblemi), spostamento (trasferimento dell’intensità di una rappresentazione ad altre rappresentazioni meno intense collegate alla prima da catene associative), condensazione (un’unica immagine costituisce il punto di intersezione di molti legami associativi ed esprime la somma delle energie relative a ciascuno di essi).

La psiche umana è ancora in buona parte un enigma, gli orientamenti interpretativi sono molteplici e non di rado in contraddizione tra loro: per queste ragioni la C.I.A. ed altri servizi segreti hanno privilegiato un approccio empirico. Trascurando le implicazioni teoriche, sin dagli anni ‘50 del XX secolo la C.I.A. ideò ed attuò dei programmi (MK Ultra e Monarch) per il controllo mentale, servendosi dell’ipnosi, di sostanze psicotrope, di stimoli sensoriali e percettivi per influire sull’inconscio. Il fine era quello di creare dei “candidati manciuriani”, sulla base di analoghi esperimenti condotti dai Cinesi per soggiogare la mente inconscia dei prigionieri statunitensi durante la guerra di Corea. I “candidati manciuriani” sono persone la cui volontà è annullata in modo tale da spingerle a compiere azioni contrarie alla loro etica, azioni di cui, una volta commesse, non ricordano più alcunché. Si accede dunque al loro inconscio dove sono inculcati comandi cui il soggetto obbedisce, non appena viene dato un segnale post-ipnotico (un suono, un’immagine…). I candidati manciuriani o “agenti dormienti” sono stati spesso autori di omicidi eccellenti: si pensi all’iraniano Sirhan Sirhan che uccise Robert Kennedy.

"Telefon" è una pellicola statunitense del 1977, per la regia di Don Siegel. Una scheggia impazzita del KGB mette in azione alcuni agenti di stanza negli Stati Uniti, addestrati solo a livello inconscio.

Sebbene alcuni neghino che si possa dominare del tutto un soggetto e costringerlo ad agire contro i suoi stessi princìpi, è indubbio che le tecniche per condizionare per lo meno la percezione ed interpretazione della realtà sono oggi, grazie anche al contributo della programmazione neurolinguistica, molto avanzate. E’ noto che la pubblicità, ricorrendo a stratagemmi retorici e ad artifici sensoriali, riesce a pilotare la condotta di molti consumatori.

Le tecnologie attuali mettono a disposizione dei persuasori occulti una vasta gamma di strumenti per manipolare l’inconscio, scavalcando il sistema di difesa, talora fragile, costituito dalla coscienza. L’inconscio è, per così dire, espugnato, eludendo la “recinzione” dell’Io. In questo modo si spiega per quale ragione individui, che nulla sanno di aviazione, di motori, di fisica dell’atmosfera, possono identificare nelle scie tossiche delle innocue scie di condensazione o dei non meglio definiti gas di scarico. E’ come se nella loro sfera inconscia fossero state introdotte l’idea e la dicitura “scia di condensazione”, attraverso un martellamento sia palese sia subliminale, a base di spot, loghi, fotogrammi istantanei, articoli di disinformazione, manifesti, libri di testo, corsi, wallpapers. I fruitori di ogni generazione vengono abituati a riconoscere una realtà abnorme di cieli sfregiati come perfettamente normali: si impongono dei modelli percettivi che sostituiscono la memoria storica. Come imbambolate, certe persone sembrano snocciolare delle frasi fatte sulle chemtrails, scambiate per “fumo degli aerei”. Anche le direzioni improbabili e le quote basse diventano normali rotte civili ad altitudini elevate nel loro campionario falso ed inverosimile. La ripetizione della menzogna è strategia efficace e ad essa si associano metodi più subdoli e surrettizi, per lo più tecnologici. Ci riferiamo ai microimpianti che vengono inseriti in detenuti, pazienti, ospiti di strutture psichiatriche…: sono dispositivi che alterano gli stati biofisici e che possono persino interferire con l’attività onirica, in generale sui processi subconsci ed inconsci.

In altre occasioni ci siamo soffermati sul “silent sound” che, però, è solo uno delle tante diavolerie utili alla bisogna. Riferisce Anne Givaudan: “Nei documenti della C.I.A., una nota resa pubblica al comitato del Congresso ci mette al corrente della sperimentazione di microonde sugli esseri umani. Fra le armi ad energia diretta correntemente impiegate dalla C.I.A. ricordiamo Voice Synthesis. Essa consente l’invio a distanza di un fascio audio nel cervello di individui prescelti. Viene anche chiamata ‘telepatia sintetica’ oppure ‘comunicazione telepatica elettronica’, nel lessico della N.A.S.A. Queste armi sono fabbricate dalla Lockheed Sanders e dai notissimi Los Alamos National Laboratories. […] Un altro apparecchio a microonde può trasmettere segnali udibili solo da un soggetto selezionato ad hoc. Questo dispositivo può essere costruito con un banale fucile radar ed il fascio di microonde può venire modulato su frequenze audio e trasmettere voci direttamente all’encefalo. Il dottor J.C. Sharp si prestò ad alcuni test nel 1973 all’Istituto di ricerche militari Walter Reed: all’interno di una camera anecoica (isolata acusticamente, n.d.r.), riuscì a comprendere parole trasmesse per mezzo di un audiogramma a base di microonde dirette al cervello. Robert Becker, autore del saggio ‘The body electric’ e candidato al Premio Nobel dichiara: ‘Strumenti di questo genere ovviamente possono essere usati per far impazzire il bersaglio e per veicolare informazioni ad un assassino programmato per essere tale. Sono informazioni di cui non si troverà mai la fonte’. La C.I.A. studia con attenzione gli effetti dei campi elettromagnetici concentrati ad una frequenza elevatissima per provocare inquietudine, eccitazione, depressione. Indaga pure le conseguenze delle microonde per rafforzare l’azione di droghe, batteri, veleni”.

“Voice synthesis” è descritto pure da Nick Begich, il medico canadese autore del celebre studio “Angels don’t play this H.A.A.R.P.” Begich illustra uno sbalorditivo sistema di traduzione, attraverso il quale un impulso elettromagnetico di frequenza non udibile è tradotto in un messaggio verbale acustico. Ciò avviene per mezzo di un microcongegno che è sufficiente porre in corrispondenza della mandibola.

Queste sono soltanto alcune dimostrazioni dei dispositivi idonei ad attuare il mind control. Non hanno torto quegli studiosi e rivelatori che paventano un impiego di avveniristici apparati per creare scenari olografici associati alla trasmissione di messaggi mentali, nell’ambito di una falsa invasione aliena o dell’avvento di un Avatar (ad esempio, la Parousia del Cristo).

Anche se intendessimo minimizzare la pericolosa efficacia delle tecnologie psicotroniche, resta come arma potentissima per il soggiogamento dell’inconscio l’ipnosi tradizionale. Lo dimostra un recente esperimento condotto all’interno di una puntata del programma televisivo “Deception” dove il mentalista Keith Barry riesce a dominare un soggetto ed a convincerlo a compiere alcune azioni, lasciandogli credere che egli le ha eseguite in sogno. [2] Barry, dopo aver mesmerizzato un giovane, gli ordina di recarsi in una caffetteria, di individuare un avventore vestito di scuro, di addormentarlo con un sonnifero, di sottrargli un dossier contenente delle fotografie. Infine il giovane dovrà tornare da lui con il materiale trafugato. Il soggetto comincia ad eseguire per filo e per segno le istruzioni instillategli durante il sonno ipnotico, non appena ode il trillo di una campanella, il segnale che dà avvio alla “missione”. Una volta destato dalla trance, il soggetto pensa di aver sognato, ma deve ammettere, di fronte al filmato dove è immortalato nella caffetteria insieme con i clienti che sono attori ed alle istantanee portate via di nascosto, che non è stata un’esperienza onirica, ma un vissuto reale. Il governo non commenta.

Dunque alla domande di apertura, ossia è possibile esercitare il controllo della mente? E’ possibile instillare nel subconscio o nell’inconscio dei messaggi? E’ possibile dirigere le azioni, annullando in certi casi il “libero arbitrio”? Rispondiamo che talora queste circostanze sono attuabili. La cultura e la coscienza sono efficaci baluardi contro la manipolazione. Debellare la credulità nei confronti dei messaggi provenienti dai media è già un buon rimedio. [3] Barry ci ricorda che circa il 15 per cento della popolazione (quasi sempre si tratta di persone introverse e riflessive) è resistente alle varie pratiche ipnotiche. Ciò è consolante, mentre preoccupa quell’85 per cento incline ad essere sopraffatto e telecomandato anche solo grazie ad un “innocuo” notiziario di regime.


[1] Come spesso avviene, sono artisti e letterati ad anticipare acquisizioni conoscitive in campi specifici: così, anche se a livello embrionale, Manzoni nei “Promessi sposi” adombra il magmatico mondo dell’inconscio, allorché, narrando il sogno di don Rodrigo, nella notte in cui il signorotto accusa i sintomi della peste bubbonica, delinea, attraverso simboli, le dinamiche e le “personificazioni” dell’Id. Don Rodrigo sogna di trovarsi in una chiesa (archetipo del Super Ego) dove una moltitudine di appestati lo circonda e lo pigia. Egli mette mano alla spada (simbolo di vitalità e di energia) per difendersi dalla calca, ma non trova l’arma (vitalità illanguidita). Infine scorge una testa calva che spunta da dietro il pulpito: è fra Cristoforo (altra icona del Super Ego). Il frate, che ha il braccio teso per aria, è connesso per metonimia alla chiesa: il suo gesto affiora dal passato, quando il cappuccino si era recato dal tirannello con il fine di intercedere per Lucia. Il monaco aveva concluso il concitato colloquio con “Verrà un giorno…”: la frase era stata enfatizzata dal gesto dell’indice ammonitore. Le tracce mnestiche (l’oscura profezia del padre, il cenno plastico…) si sono depositate nell’inconscio di don Rodrigo ed ora emergono, condensandosi in immagini terrifiche e minacciose. La drammaticità del sogno – la drammaticità è intesa sia come tensione sia come struttura narrativa - esplode in un brusco risveglio, tipico degli incubi.

[2] Il titolo “Deception” è quanto mai opportuno: indica l’inganno, ma l’etimologia latina del vocabolo dichiara una cattura (capio), un accalappiamento della vittima attraverso artifizi e tecniche… capziose.

[3] Sul tema si legga l’articolo La persuasione e la psicotronica, 2010


TECNICHE DI CONTROLLO MENTALE

• STRATEGIE DI MANIPOLAZIONE RETORICO-LINGUISTICA E COMUNICATIVA: ITERAZIONE, CHIASMO, SPANNUNG, CLIMAX…; PRINCIPIO DI AUTORITA’ NON AUTOREVOLE, FALSIFICAZIONE DEI DATI, DISTORSIONE DEI SIGNIFICATI ETC.
• STIMOLI SENSORIALI: PRIVAZIONE DEL SONNO, ESPERIENZE ACUSTICHE, VISIVE, OLFATTIVE, IMMAGINI SUBLIMINALI…
• METODI CHIMICI: SOMMINISTRAZIONE DI DROGHE
• TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA
• INDUZIONI IPNOTICHE
• SISTEMI ELETTROMAGNETICI


Fonti:

A. Givaudan con la collaborazione del Dottor A. Achram, Dopo l’11 settembre: dalla sottomissione alla libertà, vol. 2. pp. 234-235
Enciclopedia di Filosofia, Milano, 2005, s.v. condensazione, inconscio, spostamento


Thursday, March 21, 2013

Soggezione

LEGGETEVI LE LABELSSSSSS

http://zret.blogspot.co.uk/2013/03/soggezione.html

Soggezione

Thieves in the temple

E’ sufficiente la disposizione del mobilio in una stanza per stabilire delle relazioni gerarchiche. Pensiamo ai palazzi di “giustizia”, alle scuole, agli uffici dei diretttori… le cattedre, le scrivanie, persino le piante sono collocate in modo da esprimere i rapporti di forza tra subalterni e capi, in guisa da esibire il potere.

Alessandro Manzoni nel terzo capitolo dei “Promessi sposi” descrive lo studio dall’azzecca-garbugli, riuscendo a suggerire la soggezione che uno spaesato ed imbambolato Renzo prova al cospetto del dottore, il cui decadente prestigio si trasla nell’arredamento sontuoso, anche se trascurato e caotico. I ritratti dei dodici Cesari sono immagini del dominio e di una continuità con la cultura classica che avalla, legittima ed orna la scalcinata classe dirigente secentesca.

E’ la stessa soggezione che il cittadino comune prova entrando in un’aula di tribunale o nella sede di un’istituzione. Tutto in questi luoghi converge verso oggetti-simbolo: un crocifisso, un ritratto del presidente della Repubblica. Invano il faccione dell’ospite del Quirinale, autorità screditata, tenta di dare lustro ad autorità irrimediabilmente screditate.

Sono spesso le linee prospettiche a focalizzarsi su un fulcro prossemico ed ideologico: la simmetria nella disposizione delle suppellettili - la simmetria ha una natura rigida ed autoritaria – concorre a fissare i ruoli, a definire distanze spaziali e di status.

E’ tempo che gli uomini – quelli ancora tali – rifiutino la scala gerarchica, tanto più perché al vertice si trovano i peggiori. La soggezione degenera nell’asservimento, nell’acida deferenza.

Non domineremo, ma non intendiamo essere dominati, pur ostili a pose prometeiche, poiché, come sostiene Paul Ricoeur, "il Sé dell’uomo è altro da sé stesso: è alterità, differenza, mistero”.

E’ tempo che gli uomini provino a diventare costruttori del proprio tempio, pietre angolari, senza cercare sempre e comunque un guru su cui riversare le loro frustrazioni ed aspirazioni.

E’ preferibile un piccolo santuario, tuttavia inviolato ed inviolabile, ad un maestoso tempio, ma fatiscente e profanato da ladri e da mercanti.

Thursday, December 13, 2012

Karla Turner: quando il dubbio scotta più della verità

http://zret.blogspot.co.uk/2012/12/karla-turner-quando-il-dubbio-scotta.html

Karla Turner: quando il dubbio scotta più della verità

E' meglio tormentarsi nel dubbio che adagiarsi nell'errore. (A. Manzoni)

“La Dottoressa Karla Turner morì di tumore il 9 gennaio 1996, dopo aver ricevuto delle minacce legate alle sue ricerche. Aveva solo quarantottotto anni. Come lei, molte altre persone coinvolte in indagini ufologiche hanno subìto intimidazioni seguite da tumori molto particolari. Molti dei soggetti da lei studiati sono ormai deceduti.[1]

Karla Turner era ed è ampiamente rispettata nella comunità degli ufologi per le sue investigazioni circa i rapimenti. La Turner, conseguito un dottorato di ricerca in studi concernenti la tradizione inglese, fu docente all’università in Texas per più di dieci anni. Nel 1988, però, la donna, suo marito ed il figlio vissero una serie impressionante di esperienze che li costrinsero a riconoscere che erano stati rapiti.

La reazione della Turner fu quella di abbandonare la sua carriera all’interno dell’ateneo e di consacrarsi anima e corpo ad una questione che la coinvolgeva direttamente. Il suo primo libro, "Into the fringe"(1992), dipana i vissuti dell’autrice e dei suoi familiari. Il suo secondo saggio, "Taken: inside the alien-human abduction agenda",(1994) riporta le storie di sequestri di cui furono vittime otto donne le cui vicissitudini includono intrusioni sia esterne sia umane, con risvolti tanto benefici quanto deleteri, in modo da illustrare la natura profondamente complessa del tema. Il suo testo più recente, "Masquerade of Angels" (1994), fu scritto insieme con il sensitivo Ted Rice: il volume racconta la vita di Ted, gli incontri con strane creature la cui identità aleggia in una regione di penombra tra angelico e demoniaco. Karla stava lavorando ad un altro titolo, quando si ammalò al principio del 1995”.

La biografia della compianta Karla Turner è emblematica del destino che attende gli xenologi inclini a scavare in profondità per denunciare l’alleanza scellerata tra militari ed entità mefitiche. Putroppo questo filone di ricerca, oltre ad essere oggetto dei tabù che circondano argomenti eccentrici, è quasi del tutto eclissato dall’ufologia solare pullulante di “angeli in astronave” e di salvatori scafandrati. Nessuno nega l’articolazione e la contraddittorietà delle manifestazioni xenologiche. E’ un dato di fatto, però, che sono quasi sempre i ricercatori “pessimisti” ad essere vessati e neutralizzati, inscenando un improbabile suicidio, con un infarto o qualche altra patologia. All’ostracismo si associa la congiura del silenzio che, nei casi estremi, giunge sino all’eliminazione fisica.

Che cosa scoperse la Turner di tanto scottante da convincere qualcuno ad assassinarla? Se ella si accoda alla linea ermeneutica tracciata da Jacques Vallée e da quegli ufologi che non credono nelle intenzioni benevole di razze aliene, la vera forza della Turner è proprio nella sua riluttanza a formulare un’interpretazione onnicomprensiva, nel bene come nel male. In un suo lucidissimo ma interlocutorio articolo, “Alien abductions in the gingerbread house”, la Turner compie la seguente analisi.

“La Bartholic mi ha insegnato a diffidare di quei ricercatori che pretendono di avere tutte le risposte. Devo ancora sentire di una singola teoria o spiegazione che rappresenti tutti i dati.[2]

Alcuni ricercatori hanno messo in evidenza la successione degli eventi nell'esperienza del rapimento, come l'esame fisico, il prelievo di gameti e la presentazione successiva di un bambino ibrido al rapito. Altri patterns includono l’ avvertimento circa qualche disastro imminente su scala planetaria. Si è tentati di pensare che il chiarimento a proposito delle abductions potrebbe risiedere in questi schemi.

Così i ricercatori annunciano che il problema è risolto. Gli Altri stanno compiendo esperimenti di ibridazione oppure ci viene ripetuto che gli Stranieri sono qui per salvarci affinché non distruggiamo noi stessi ed il nostro pianeta con la violenza, l’uso di droghe, le malattie epidemiche, l'inquinamento e lo sfuttamento indiscriminato delle risorse. Non importa se questi problemi sono peggiorati da quando gli extraterrestri hanno cominciato a visitare la Terra.

I ricercatori più esasperanti di tutti ci assicurano che gli extraterrestri non esistono, che ogni fenomeno dipende dal subconscio. Non importa che molti rapiti sono bambini, troppo piccoli per essere affetti da disturbi psicologici. Allora alcuni psicologi immaginano che gli alieni scaturiscano dall’inconscio collettivo in modo da rispecchiare i nostri fallimenti e le nostre paure. Questa teoria adora particolarmente l'archetipo del Grigio, perché il Grigio ricorda una qualche forma malata fetale di umanità e deve quindi essere un ammonimento oggettivato circa quello che la nostra specie potrebbe diventare, se non si pentirà. Non importa che molti, molti rapiti non hanno contatti con i Grigi, giacché sono vittime di Rettiliani e di Insettoidi, senza dimenticare le creature dall'aspetto totalmente umano, bionde o more.

No, troppi ricercatori sembrano aver trovato una teoria e si aggrappano ad essa a dispetto dei fatti che la contraddicono. Sono queste le idee che dominano l’ufologia. Nondimeno, se il pubblico ha la possibilità di accedere ai dati grezzi, ai rapporti di prima mano dei sequestrati, in particolare di quelli che non hanno alcuna dimestichezza con libri, pellicole e riviste del settore, troverà un modello esegetico molto meno strutturato. Questi casi ‘vergini’ - le persone non contaminate dalla letteratura ufologica - forniscono un quadro impressionante di contatti tra uomini ed alieni”.

Così Karla Turner fu uccisa – poiché di omicidio si trattò – non tanto per le verità che aveva attinto e divulgato, ma per il sano dubbio con cui appannò le certezze di scienziati ed esperti. Sono le sue perplessità a spronare ad un’inchiesta inesausta, mai paga dei risultati acquisiti, preludio di chissà quale sconvolgente rivelazione… Si capisce: le teorie esaustive accontentano il pubblico, lo narcotizzano nell’illusione di aver conquistato il vero. Scoperchiare il vaso di Pandora è molto più scomodo che adagiarsi su un cuscino di convinzioni. Se il cuscino nasconde dei chiodi, pazienza: l’importante è che la fodera sia decorata.

Oggi, complici le speculazioni sulla Nuova era, è soprattutto lo scenario dell’ufologia leziosa a riscuotere successo. Nondimeno è una prospettiva in gran parte edulcorata, distorta: questo orientamento dominante ignora a bella posta tutte le tessere che non possono incastrarsi nell’idillico mosaico. Eppure sono proprio queste piccole, petulanti incongruenze a definire l’intero soggetto dell’affresco.

[1] Altre fonti indicano il 10 gennaio come data del decesso.

[2] Barbara Bartholic è un’investigatrice ufologica che collaborò con il matematico ed astronomo Jacques Vallée. Morì di infarto all’età di settantuno anni.
Fonti: goodreads, alienjigsaw, estiqaatsi

Friday, November 2, 2012

Il disertore


http://zret.blogspot.com/2012/11/il-disertore.html

Il disertore

Sit ei terra levis.

Ha suscitato cordoglio la morte di un altro soldato italiano, Tiziano Chierotto. L’alpino è stato ucciso in Afghanistan ed è la cinquantesima e seconda [pareva brutto dire 'cinquantaduesima'?] vittima della missione di “pace”. La lacerante disperazione di parenti ed amici è l’ennesima prova di un fallimento culturale. Se, infatti, i giovani continuano ad essere carne da cannone, si deve, in primo luogo, all’indottrinamento cui sono sottoposte le nuove generazioni. La scuola, lungi dall’educare, plagia. [parola dell'esperto di fama mondiale] I media poi concorrono a deformare le menti. La Chiesa, colpevole in primo luogo il vescovo di Ippona, benedice armi e massacri.

Un adolescente che abbia letto le pagine più celebri dei “Promessi sposi” non può decidere di arruolarsi. Il romanzo è una condanna inappellabile non solo della guerra, ma dell’untuosa retorica con cui essa è ammantata. L’ironia dell’autore milanese punge il potere e le sue menzogne, denuncia e demistifica il cinismo e la doppiezza delle classi dirigenti. Quelle attuali sono di gran lunga peggiori che le élites di un tempo. Oggi lo “stato democratico” - supremo ossimoro –colpisce alle spalle i cittadini, mentre finge di adoperarsi per loro.

Chi abbia inteso certi capitoli del capolavoro manzoniano [tu sei escluso, quindi] può solo concepire un totale ripudio della guerra in ogni sua forma. Gli snodi della storia ed altre letture dovrebbero portare a concludere che i militari muoiono per i banchieri, anzi per carnefici spregiudicati che vedono nei conflitti la fonte di un lucro immondo e specialmente lo strumento per perpetuare il loro sanguinario dominio.

Non si “cade” per la patria, che non esiste, ma affinché si avverino gli incubi dei tagliagole.

In un intenso racconto, “Il disertore”, lo scrittore ucraino Ivan Babel(1894-1941) narra di un coscritto francese, Beaugy, che, stanco della guerra, delle granate il cui scoppio assordante gli impedisce di chiudere occhio per sei notti consecutive, decide di disertare. Mentre si trova tra le linee francesi e quelle nemiche, viene, però, scorto da alcuni commilitoni, arrestato e condotto dal capitano Gémier. Gémier è il prototipo del borghese benpensante, sciovinista ed orgoglioso. Egli vuole salvare l’onore del soldato e gli promette che non sarà giudicato come traditore dalla corte marziale, perché ai familiari sarà comunicato che è morto combattendo come un eroe contro i “barbari”. Deve, però, uccidersi: l'ufficiale inferiore porta il soldato in un bosco. Consegnatagli una rivoltella, gli ingiunge di togliersi la vita. Giacché Beaugy non ha il coraggio di spararsi, Gémier strappa la pistola dalle mani tremanti del giovane e gli trapassa il cranio con una pallottola.

Il sarcasmo che corrode la figura di Gémier e la propaganda bellicista fa da contrappunto alla contenuta ma umanissima pietas con cui è ritratto lo sventurato Beaugy, il suo tenero mondo di affetti e di sogni destinati a naufragare contro gli scogli della storia.

Mediante la prospettiva variabile, il narratore onnisciente ora si immedesima nel capitano per prendere le distanze, ora si incarna nel fante per condividerne la disgrazia. I dialoghi amputati, l’analessi che precipita il lettore nell’abominio della violenza, “il profondo silenzio del bosco” dove si consuma il dramma, il sapiente dosaggio degli accorgimenti narrativi rendono “Il disertore” un piccolo capolavoro antimilitarista.

Indimenticabile, infine, è il quadretto dove Babel dipinge “un roseo, splendente mattino di primavera”. Ogni tragedia è preannunziata da una luce vivida, da una olimpica, eterea serenità. 




2 commenti ulteriori vaccate:

  1. Quell'alpino, Tiziano Chierotto, era di Arma di Taggia (Sanremo), ma potrebbe essere un giovane di qualsiasi città italiana, non importa la loro provenienza.

    In tutto questo dolore che continua a perpetrarsi va giustamente ricercato nella scuola e nell'istruzione ai veri valori che vengono soffocati dalle false mire economiche a cui i ragazzi sono sottoposti.

    Il romanzo manzoniano, è stato l'antologia scolastica [l'antologia era un'altra cosa]di mio figlio negli anni 80 e ancora prima l'Iliade e l'Odissea di Omero lo è stata per me negli anni 60. [vedi sopra, ignorante]

    Oggi siamo privi di riferimenti, una scuola in decadenza che non porta a nulla se non all'edonismo che lascia ben poco della storia filosofica del passato, ammantandola di una coperta vetusta atta a coprire per non far risvegliare le menti sempre più ottunde e obnubilate [altro esperto] da riti e miti che non ci appartengono come l'appena tragica festa Halloween, una festa celtica, festa dell'occulto che non ci appartiene, che più o meno si riferisce a "Offri o soffri?", [più o meno una fava, non era 'dolcetto o scherzetto'? E che cazzo c'entra Halloween, innanzitutto?] beh la sofferenza c'è di sicuro e qualche vita è stata immolata per questa festa priva di ogni senso logico.

    Il vero senso di questa festa va ricercato nei culti romani dei morti e nella raccolta dei semi, che nulla hanno a che vedere con il macabro e satanico rito che è stato importato da oltreoceano.
    Rispondi
  2. Commento lucidissimo, Wlady. Aggiungere qualcosa significherrebbe offuscarne la cristallina chiarezza.

    Ciao
    Rispondi

Thursday, July 5, 2012

"Marco e Mattio": omaggio ai vinti

http://zret.blogspot.co.uk/2012/07/marco-e-mattio-omaggio-ai-vinti.html

"Marco e Mattio": omaggio ai vinti

“Marco e Mattio”, libro di Sebastiano Vassalli, narra le peripezie di Mattio, figlio del calzolaio di Zoldo, borgo del Bellunese. A Zoldo comincia il viaggio del protagonista verso l’insania, itinerario che culmina a Venezia nel tentativo di crocifiggersi, novello Cristo, per redimere l’umanità.

Più dell’opera a tesi e manichea “La chimera”, “Marco e Mattio” impone un confronto con “I promessi sposi”: il modello manzoniano è ineludibile per Vassalli che (ri)costruisce gli eventi principali sulla base di documenti d’epoca. E’ un romanzo storico dunque, purché si consideri la storia umana come un inferno in cui l’autore si inoltra per strappare ai dannati la dichiarazione della loro, in qualche caso, eroica sconfitta. “Ogni sconfitta è insieme testimonianza e protesta, assoluta e senza speranza, che viene insinuata qua e là nei confronti della realtà di oggi, a chiarire come i tempi cambino, ma il mondo proceda sempre uguale”.

La comparazione verte in primo luogo sullo stile e sulle strategie narrative: alcune trascuratezze linguistiche incrinano la prosa altrimenti tornita, venata di un pàthos contenuto. Le tecniche coincidono per lo più con i moduli della narrativa tradizionale, manzoniana in primis. Il narratore onnisciente è, però, è più partecipe, persino dolente. L’ironia è spesso amara, ma senza la degnazione aristocratica del Manzoni.

Il raffronto, alla fine – so che sarò considerato eretico, ma tant’è… – è a vantaggio di Vassalli, il cui nichilismo e sfiducia nell’umanità, mitigati da una sincera adesione alle sofferenze dei “vinti”, sono un antidoto contro gli schemi delle ideologie. “I promessi sposi”, pur apprezzabili per tanti motivi, sono comunque un’opera cattolica o, meglio, cristiano-giansenista: l’Ideenkleid agisce da filtro e da abbellimento sicché, anche scavando nella realtà più turpe, se ne offre un’interpretazione consolatoria. Quando il Manzoni si interroga sul male, ha già le risposte, parziali e perplesse quanto si vuole, ma le ha. In alcune circostanze più del credo religioso, agisce un residuo illuminista che, se consente di gettare uno sguardo lucido e razionale sulle cose, preclude una visione mistica della natura e della vita.

Il Manzoni, nel suo lirismo, non si innalza oltre il cielo di Lombardia, “così bello quando è bello”, laddove Vassalli squaderna alcuni brani cosmici in cui si fondono turbamento e meraviglia. Il primo ignora, nel suo antropocentrismo, i patimenti degli animali; l’altro si china compassionevole sulle torture inflitte loro: “L’urlo silenzioso di quella carne macellata che reclamava vendetta ad un Creatore indifferente e lontano”.

Vassalli, che non è cristiano né razionalista, riesce ad aderire al corpo nudo della verità per mostrarne i pori, le rughe, le macchie… Come in una sorta di visione iperrealista, i personaggi schiacciano, con le loro dimensioni eccessive, il lettore: un parroco spilorcio (erede di don Abbondio, ma senza alcun tratto umoristico), una santa anoressica, un falsario di monete, un padre, quello di Mattio, infoiato, un attante misterioso, Marco, incarnazione del mito dell’Ebreo errante… Le loro vicende più che intrecciarsi con la storia, collidono con essa. Gli echi dei lumi settecenteschi arrivano fiochi e non scalfiscono la miseria e le malattie, alleggeriscono, ma solo per un breve periodo, il giogo dei privilegi. I luoghi poi non sono descritti, ma visti attraverso lo sguardo allucinato di Mattio: Zoldo, stretto nella morsa della fame e delle ripide montagne, Venezia, nella sua splendida decadenza, la pianura brumosa… assumono i connotati di un sogno (conturbante) ad occhi aperti.

“Marco e Mattio” vuole essere un tributo ai matti, come scritto nella dedica e nella premessa. La follia è, in primo luogo, irrazionalità del destino e sono i “folli” che lucidamente la riconoscono, mentre i “sani”, non essendone coscienti, sono terribili nella loro passiva accettazione della sorte e dello status quo. E’ proprio all’assurdo, accolto come normale, che Mattio si ribella, tentando di immolarsi sulla croce: il sacrificio di uno solo può salvare l’umanità o tutte le azioni, anche le più nobili, sono vane? Vassalli conosce la risposta: “Mi piace perdermi col pensiero in quel pulviscolo di sistemi solari che si vedono tra una costellazione e l’altra e in quel buio dove si muovono inutilmente milioni di mondi. Soffermarmi a riflettere sull’infinità di quello sperpero che chiamiamo universo mi fa bene e mi aiuta a stare bene. Che altro sono le nostre impercettibili vite e le nostre microscopiche storie, se non sperpero nello sperpero?” A Vassalli, con la sua narrativa amara ma solidale, il merito di aver compensato, anche se in piccolissima misura, questo sperpero.

Saturday, June 9, 2012

Un infinito numero di idiozie a cura di un frustrato Zret


http://zret.blogspot.it/2012/06/un-infinito-numero.html

Un infinito numero

Gli ho chiesto: ‘Cosa verrà dopo il futuro? Tu forse lo sai?”
“Tornerà il passato – ha risposto Nicodemo – Cos’altro vuoi che succeda?”

“Un infinito numero” è un libro di Sebastiano Vassalli. Mecenate, Virgilio ed il suo segretario Nicodemo si inoltrano nelle terre dell’Etruria per scoprire le origini di Roma: alla fine comprendono che il tempo è un cappio mortale e la scrittura menzogna [da buon esperto di menzogne... Sai che cosa ci potresti fare, con un cappio?].

Vassalli è stato definito un “Manzoni senza la Provvidenza”, ma “Un infinito numero” non è romanzo storico, poiché della storia l’autore raccoglie solo qualche frammento per costruire una parabola metafisica sul nulla. Il Nostro è fondamentalmente autore nichilista: d’altronde gli stessi “Promessi sposi” - cui si richiama spesso lo scrittore genovese - se vi sradica Dio, sono un’opera mortuaria e desolata [mortuario e desolato sarai tu].

Così i personaggi, lo spregiudicato e miserabile Augusto, Mecenate, lubrico ed implacabile, Virgilio ed il liberto Nicodemo non sono protagonisti delle vicende, poiché non agiscono, ma sono agiti dal Fato. L’intreccio, in bilico tra quête e dolore, si dipana come un filo spinato da cui sgocciola il sangue delle vicissitudini umane, destinate a ripetersi all’infinito, precipitate nell’inferno di un perpetuo ritorno. A questo allude il titolo. Vassalli, lontano da una rievocazione idealizzante dell’antichità, ci restituisce un’immagine squallida dell’Impero augusteo e non meno disincantata del mondo etrusco. La stirpe dei Rasenna (i Rossi) – scopre il poeta di Andes – è una genìa di feroci conquistatori originari della Lidia e celebrare le mitiche origini di Roma significa mistificare la verità. Ecco perché Virgilio, abiurando la bellezza di false leggende, chiede nel testamento che l’Eneide sia bruciata. E’ comunque il misticismo dei Tirreni ad offrire ai viaggiatori nella terra dei Tusci l’opportunità di compiere un viaggio nel tempo; essi capiscono che nessuna civiltà declina, poiché ogni civiltà nasce dal difacimento [vogliamo metterlo, un SIC?] per perire nel grigiore.

E’ il mondo intero a portare su di sé l’ipoteca e l’errore dell’esistenza che è nominazione e principium individuationis. Spiega Aisna, sacerdote di Velthune, ai pellegrini nella terra dei Rasenna: “Ci fu un’epoca in cui l’universo era il regno del dio del nulla, Mantus, e della sua fedele ombra, Mania. Un giorno il dio-dea della vita, Velthune, incontrò il dio-dea del tempo, Northia. I due incominciarono a parlare e ad immaginare un ambiente più bello e confortevole del vuoto che avevano attorno: immaginarono il sole e la luna, i mari e le montagne, gli animali e le piante e tutto ciò che prendeva forma nella loro fantasia, immediatamente diventava realtà. L’universo si riempì di cose e di vita. Allora Mantus, per ristabilire il suo predominio sulle cose, inventò un nome per ciascuna di loro. Chiamò la roccia granito o selce e l’infelicità penetrò nella roccia… Poi Mantus chiamò gli alberi quercia o pino o fico o alloro e l’infelicità penetrò negli alberi. Alcuni incominciarono a perdere le foglie ed a ricrearle ogni anno nella buona stagione: tutti presero la ruggine, le muffe e furono assaliti dagli insetti nocivi.[…] Venne il turno degli animali. Mantus li chiamò lupo e pecora, falco e serpente e li costrinse ad essere infelici: a sbranarsi, ad ammalarsi, a soffrire per mancanza di acqua e di cibo. Infine Mantus si rivolse agli uomini che, fino a quel momento, erano vissuti senza nuocersi e senza conoscersi e diede un nome specifico a ciascuno di loro … e gli uomini e le donne immediatamente diventarono infelici”.

Libro dunque tetro, eppure non privo di fascino, nell’apertura di alcune pagine verso il mistero del cosmo, nel disegno di una cultura, quella etrusca, popolata di ombre, ma pure amante dei piaceri della vita.

Nell’epilogo l’io narrante, il greco Nicodemo, emerso dalle nebbie del passato, passa il testimone all’autore (ed a noi) per consegnargli la sua amara saggezza, la sua deserta verità.
 
Pubblicato da Zret che recensisce i libri in base alla IV di copertina e vi aggiunge una 50ina di virgole

Thursday, November 10, 2011

Psicologia

http://zret.blogspot.com/2011/11/psicologia.html

Psicologia

Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto. (A. Manzoni)

Hermann Hesse evidenzia che “la psicologia serve a scrivere libri, non a risolvere i problemi delle persone”. E’ nel giusto. In verità, la psicologia non è certo una scienza, ammesso che esistano oggigiorno delle scienze, ma un approccio empirico ed estemporaneo a situazioni umane eterogenee e difficilmente classificabili. Ho sempre rifuggito da quei discorsi in cui si prendono in esame gli esseri umani per inscriverli in categorie, in schemi. Si disquisisce sui pregi ed i limiti delle donne, sulle qualità ed i difetti dei giovani e via discorrendo, ma si ripetono solo luoghi comuni. Si pronunciano giudizi sulle relazioni interpersonali e persino si dispensano consigli su come interagire con il prossimo. Le banalità, anche se enunciate ex cathedra, restano banalità.

L’essere umano sfugge a facili modelli interpretativi, ad etichette: la complessità della dimensione psicologica sfida anche la più acuta analisi. Anzi, un’analisi vera sarà dialettica, paradossale, negatrice delle conclusioni cui, dopo un percorso accidentato, è addivenuta. I tipi psicologici sono tipizzazioni, simili ad immagini araldiche, semplificate di oggetti tridimensionali.

Per conoscere gli altri, bisognerebbe conoscere in primo luogo sé stessi. Il “gnòti sautòn” delfico e socratico non è tanto un invito all’introspezione, quanto una terribile sfida. Conoscere sé stessi significa impegnarsi in un’audace ricerca, in un viaggio non solo periglioso, ma la cui meta potrebbe essere simile ad un baratro spaventevole. A volte è meglio ignorare la propria natura più profonda. Superato l’istmo della coscienza, in quale regione tenebrosa e popolata di demoni, ci addentreremmo? O forse scopriremmo una terra radiosa, ma nella nostra condizione di caducità e di incompletezza, quella luce ci abbacinerebbe.

Sono riluttante dunque ad esprimermi, anche solo in modo interlocutorio, sugli altri, a definirli, a costringerli in “forme”. L’indole dell’individuo è insofferente di categorizzazioni e semmai, nella sua abissale sublimità, le si addice un’antitesi chiastica di Arrigo Boito che definì l’uomo “angelica farfalla e verme immondo”. Pure in questo caso, però, siamo al cospetto di una dicotomia che non rende la poliedricità della natura umana, con tutte le sfumature cromatiche dall’azzurro del Cielo al nero dell’Inferno. Con enorme sorpresa, forse un giorno scopriremo la generosità di un egoista o, vice versa, l’aridità di un filantropo.

Siamo nati sotto il segno della contraddizione e, per di più, in questi tempi finali, siamo intimamente scissi e disintegrati. Qualsiasi tentativo di catalogare e di chiarire è destinato ad arenarsi, a fallire.

Le tessere taglienti del singolo (un singolo che è pluralità) non si possono ordinare per ricostruirne l’immagine complessiva, senza ferirsi le mani.

P.s. Naturalmente la presente riflessione non riguarda gli automi.

Monday, September 19, 2011

Rancore

http://zret.blogspot.com/2011/09/rancore.html

Rancore

Strange world people kill and people hate and people talk and people kill and still I wonder wonder why why. (Ke)

Dalle incomprensioni e dalle inezie provengono i mali maggiori.

Qualche giorno addietro è morto nel mare prospiciente Ventimiglia un giovane. Stava compiendo una battuta di pesca in apnea, quando, per tentare di liberare la fiocina rimasta incagliata sul fondale, arpione con cui aveva uncinato uno scorfano, è stato colto da una sincope sicché non è potuto tornare in superficie. E’ purtroppo una delle tante tragedie che gettano nella disperazione parenti ed amici. Il luttuoso evento è poi tanto più atroce, se si considera che è una fine prematura.

Eppure questa disgrazia unisce, sebbene – lo ammetto – in un rapporto squilibrato, due vittime: anche lo scorfano arpionato ha incontrato una morte orribile, dopo una lunga agonia. Dobbiamo riconoscere che un unico inspiegabile destino di sofferenza affratella gli esseri viventi, carnefici e vittime, a tal punto che il carnefice di oggi è la vittima di domani o viceversa, a tal punto che non si sa più chi possa reputarsi davvero innocente. Così, forse, prima o dopo, come sostiene qualcuno, pagheremo il fio con usura dei nostri sbagli ed è plausibile che alcuni paghino lo scotto (anche di altre esistenze?) in anticipo. Del giovane ligure resteranno le fotografie che lo immortalano, l’espressione orgogliosa, con i suoi sanguinari trofei di pesca.

In verità, agli uomini non è concesso sconfiggere il male che domina la Terra: è solo possibile tentare di alleviare qualche sofferenza e cercare di rendere il mondo un po’ migliore di quanto non sia, anche con piccoli gesti, se non è dato compiere atti decisivi ed eroici. Tuttavia siamo alacremente impegnati proprio nelle azioni contrarie! Nota giustamente William Golding che “l’uomo produce il male, come le api producono il miele”. Così al danno ontologico, ineliminabile, aggiungiamo altri danni. Nella sventura ci accapigliamo, dando il peggio di noi stessi, come ci insegna quel grande moralista che fu Alessandro Manzoni, con l’icastica descrizione dei capponi di Renzo. Nella buona sorte il nostro egoismo si accentua in modo parossistico; nella cattiva ci dividiamo. Nessuna etica ha mai cambiato né mai cambierà lo stato delle cose.

Un filo sottile connette l’epica catastrofe, che miete migliaia di vittime, al dissapore familiare che ci avvelena intere giornate. Siamo sempre di fronte al granitico mistero del dolore, in tutte le sue manifestazioni, con tutta la sua gamma: dalla semplice contrarietà alla disperazione, passando per la delusione, il patimento psicologico, l’amarezza, lo sconforto, il cruccio. Paradossalmente un’immane tragedia talora è più facile da tollerare del rancore sordo di chi pensavamo non fosse capace di nutrire tale acredine, del tradimento di un amico(?): in fondo, la nostra vita scorre “tranquilla” come prima, se non fosse che dentro, qualcosa si è rotto... per sempre.[1]

E’ una sofferenza invisibile che traspare solo in alcuni momenti, in uno sguardo velato di tristezza, nell’improvvisa increspatura della fronte. E’ uno strazio tanto più intollerabile, perché sovente originato da motivi futili. Lascia un solco profondo nell’animo: possiamo perdonare, non dimenticare. L’esperienza non insegna alcunché. Riusciamo a rovinare tutto con il puntiglioso orgoglio.

Ancora più della malvagità annichilisce e delude la meschinità che molti uomini dimostrano: se la scelleratezza ci rende figli del Diavolo, la miseria morale testimonia un vuoto disarmante. Invano abbiamo cercato l’umanità nell’umanità: neppure si può postulare l’esistenza di un dio secondario, genitore di un’umanità tanto arida.

È come se la vita ci fosse stata data in prestito, ma ci comportiamo, quasi ne potessimo disporre ad libitum per sempre, ripetendo errori e ripicche, in una sequenza che non sembra aver fine.

Uomini siffatti da tempo non credono più in Dio: non credono in nulla, se non nel denaro e nell’ego. Neppure Dio – se esiste – crede più in codesti suoi figli. Come dargli torto?


[1] Nietzsche scrive che “gli uomini magnanimi sono incapaci di risentimento”: ha ragione, ma penso che si contino sulle dita di una mano… monca.

Monday, August 29, 2011

Rosicata 2: Fumo ed eufemismi

Roba vecchia ripostata dal commander-geometer

http://complottisti.blogspot.com/2011/08/fumo-ed-eufemismi.html

Fumo ed eufemismi

Alessandro Manzoni osserva che l’eufemismo è una figura ipocrita. Come non convenire? Il linguaggio è oggi più che mai snaturato da accorgimenti retorici: oltre all’eufemismo ed alla sua ganza, la litote, i discorsi sono costellati di espressioni sdolcinate e lievi idonee a smussare gli spigoli di una dura realtà, quando non servono a coprirla di spessi drappi.

I combattenti che sono massacrati su un fronte “sono caduti”. Sì, sono caduti per non rialzarsi più. Disgustosa è l’enfasi intrisa di ipocrisia, radicata sovente in una tradizione letteraria ampollosa e patriottarda: “E dimani cadrò”, scrive Giosuè Carducci in una sua celebre lirica. “Cadrò”, non “morrò”. E’ anche il tabù nei confronti della morte.

Glorificati ed elevati ad eroi, i soldati sono carne e sangue. La carne è da cannone. Il loro sangue è inchiostro con cui vergare solenni proclami, trasudanti unta eloquenza, in stile Napo Orso Capo, vero maestro della simulazione più gesuitica, le cui allocuzioni sono fimo fumante.

Se durante i due conflitti mondiali i coscritti cadevano durante un eroico attacco o l’altrettanto eroica difesa del suolo patrio, oggi i volontari che sono dilaniati da un ordigno in Afghanistan, cadono nel corso di una missione di pace. La guerra è diventata, con ossimoro che supera la stessa frode linguistica di Agostino, “umanitaria”. I bombardamenti sono “chirurgici, le bombe “democratiche”.

L’impostura lessicale si abbatte soprattutto sugli animali, questi oggetti che valgono meno degli oggetti. Quando un cavallo si è azzoppato in modo grave, viene abbattuto. I capi di bestiame, colpiti da un’epidemia, sono abbattuti, non uccisi. Sono muri che si abbattono, ergo cose. In questo ambito forse fermenta un oscuro senso di colpa, lo stesso senso di colpa che spingeva gli antichi Greci ad ornare con bende le corna del toro votato al sacrificio, destinato a dei assetati di sangue. Almeno, prima di procombere sotto la scure del sacrificante, il toro si sentiva al centro dell’attenzione. Furono le caste sacerdotali ad istigare le carneficine animali, persuasi a loro volta da “dei” carnefici. E’ incontrovertibile: il sacerdote è letteralmente colui che compie le azioni sacre, ma “sacer” vale anche “terribile”, “esecrando”. La lingua, denudata dei suoi insinceri paludamenti, manifesta l’orrore di certe contraddizioni.

Abraham non dovette sacrificare il figlio Isaac, ma immolò un montone. E’ sempre un’uccisione, anche se molti la giudicano veniale.

Che cosa pensare del verbo “fare” sempre impiegato per riferirsi alle vittime causate da una guerra, una calamità, un incidente, una strage di stato? “L’attentato ha fatto undici morti”. Il verbo anodino per eccellenza diluisce in una grisaille la tragedia della morte per consegnarla alla mercificazione degli uomini: la produzione tanatologica è allineata alle altre produzioni. Gli eventi mortali sono catene di montaggio… ben oliate. [2]

Un altro settore deturpato dalla falsità eufemistica è l’economia: le tasse sono “contributi”; i prezzi di prodotti e servizi non vengono aumentati, ma “rimodulati”. Salari, stipendi e pensioni non sono tagliati, bensì “ridefiniti”. L’età per il collocamento a riposo non è elevata, ma “adeguata alle aspettative di vita”.

Le scuole non sono soppresse o unite, ma “la loro distribuzione sul territorio è ispirata a princìpi di razionalizzazione”. Le risorse non sono decurtate, bensì “ottimizzate”. I finanziamenti non sono ridotti, piuttosto “assegnati secondo criteri funzionali alle reali esigenze”. Se un insegnante viene a sapere che l’offerta didattico-educativa “sarà valorizzata attraverso una razionalizzazione”, significa che avrà una classe di 35 allievi! Il linguaggio della didattica rigurgita di leziosi eufemismi e di diciture tanto comiche quanto altisonanti. Gli obiettivi del piano didattico sono ormai la “mission d’istituto” (sic); il fine di un’attività è il “focus”; la fase di una procedura è lo "step"; la preparazione di base degli studenti è l”’imput” (con la m!) e ridicolaggini simili su cui è meglio non soffermarsi.

Campioni di lingua bastarda sono, come è noto, i giornalisti o sedicenti tali, ma con codesta genia di beoti rivaleggia la stirpe degenere dei sindacalisti, il cui idioletto è un non-linguaggio, un vuoto pneumatico, il nulla divenuto un brusio. I sindacalisti sono imbonitori, parolai: se non esalassero il fumo dei loro discorsi, sarebbero invisibili.

Ci emanciperemo mai dall’ipoteca dell’eufemismo e dalla mistificazione linguistica? Si avvererebbe un sogno, se un dì potessimo seguire un notiziario o leggere un quotidiano in cui la lingua fosse usata in modo cristallino ed onesto. Una lingua di questo tipo, però, presuppone una coscienza altrettanto cristallina ed onesta. Dunque la vedo grama.

[1] Laura Bossi, nel saggio “Storia naturale dell’anima”, 2003, ricorda che “in occasione dei massacri di animali perpetrati in Europa, durante l’epidemia epizootica, è apparso nel linguaggio degli allevatori, per indicare l’uccisione, il termine ‘smaltimento’, come si direbbe di una merce avariata”.

[2] Ben venga, però, il verbo “fare” quando ne abusa Paolo Cattivissimo: si acconguaglia ad uno che è completamente... fatto. Absit iniuria verbis.

Articolo correlato: Freeanimals, 41 eroi caduti finora per la democrazia, 2011