L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, December 16, 2014

Wit

http://zret.blogspot.ch/2014/12/wit.html

Wit

Il Dao non sarebbe tale, se non se ne ridesse. (Dao de qing)



Wit: questa parola inglese è quasi intraducibile nella nostra lingua. Wit, breve e brioso termine, la resa italiana che più ne adombra il significato è “arguzia”: l’arguzia è, infatti, intelligenza sostanziata di spirito, di raffinato e disincantato senso dell’umorismo.

Si osservi che in questi tempi ferali lo humour è sempre più raro: le persone non sanno più che cosa significhi essere ironici o autoironici. Ignorano il distacco partecipe rispetto alle vicende inscenate sul proscenio del mondo. L’ironia è sovente scambiata per un’ingiuria.

Certamente, se non si è intelligenti, non si può essere neppure faceti. Soprattutto per essere spiritosi, bisogna avere un temperamento malinconico: aveva ragione Giordano Bruno a scrivere che egli era “ilare nella tristezza e triste nell’ilarità”. La giocondità e la mestizia si confondono e si fondono nella vita, in questa vita bifronte dove ogni sorriso è una piega amara e viceversa, secondo il punto di osservazione.

Forse solo le persone, il cui cuore è intriso di amarezza, possono essere davvero piacevoli. L’esempio classico è in Manzoni la cui ironia è il volto sorridente di un animo corrucciato. Tuttavia si resterà sorpresi di come Achille Campanile, autore di racconti frizzanti, godibili e spassosi, abbia scritto delle pagine sulla morte di sconvolgente profondità. Le sue riflessioni sono degne dei filosofi più abissali, come Emile Cioran.

Solo chi ha dimestichezza con la comedie humaine può immaginare la fine di una tragedia... e sdrammatizzarla, ma forse il vero umorismo è quello pirandelliano che è l’amaro sentimento del contrario, lo stridio della contraddizione. E’ l’umorismo, che conosciuta la follia dell’umanità e del destino, vira verso la lucida disperazione.

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Monday, August 11, 2014

1+1=4

http://zret.blogspot.ch/2014/08/114.html

1+1=4


Aveva ragione il narratore e poeta tedesco, Hermann Hesse, a scrivere che “la psicologia serve a scrivere libri, non a risolvere i problemi delle persone”. Nonostante ciò, a volte qualche psicologo ha delle intuizioni.

Verbigrazia, la psicologia transazionale ritiene che all’interno dei rapporti interpersonali si creino circostanze per cui a ciascun attore si sovrappone il ruolo che egli/ella riveste.

Così, quando il genitore dialoga con il figlio piccolo, in primo luogo esprime sé stesso, ma in maniera inconsapevole esterna le caratteristiche del genitore, in quanto figura con un preciso ruolo sociale. Il dialogo tra genitore e figlio non è un dialogo, ma una conversazione a tre, addirittura a quattro, qualora il genitore, ad esempio, in qualità di generale dell’aeronautica, manifesti qualche lineamento della sua maschera, tipica di militare d’alto grado.

Si comprende che nelle dinamiche umane si generano interferenze, come se uno o più intrusi intervenissero nell'interazione. Il problema si pone ogni volta in cui è un adulto (l’età adulta è in parte adulterata) ad intervenire: l’adulto non sa del tutto emanciparsi del suo ruolo. In taluni casi ci imbatteremo in personae (letteralmente maschere) che hanno annullato la loro natura primaria per identificarsi in toto in uno stato gerarchico. L’abito non fa il monaco ma il vescovo, vale a dire che, quanto più un individuo è in alto nella scala del consorzio umano, tanto più l’indole si assottiglia, nascosta sotto strati e strati di finzioni. Sono finzioni di cui certi soggetti non sono neppure più consci. L’annichilimento della coscienza passa attraverso la costruzione di un ego falso.

A ben vedere, questo intreccio relazionale era stato già compreso da Pirandello che scopre all’interno della “comunicazione” inganni, travisamenti, moltiplicazione e disgregazione dell’identità, la iattura dell’incomunicabilità.

Uno più uno dà due, solo quando sono due bambini ad interagire [e un marciano' piu' un altro marciano' da' zero]: il bambino non conosce riserve mentali, secondi fini, infingimenti, sottotesti… Sono la scuola, la società e l’”educazione” a rovinarlo… [1]

E’ necessario il più possibile scrollarsi di dosso tutte le mistificazioni che si stratificano sul temperamento per recuperare la sincerità, anche con tutti i suoi spigoli, e la trasparenza. La diversità tra schiettezza ed ipocrisia, sia pure involontaria, è spartiacque tra essere ed esistere (ex-sistere), cioè essere fuori di sé, alienati.

“In verità vi dico: se non vi convertite e non diventate come fanciulli, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli”. (Matteo, 18,5)

[1] Anche nei bambini qualcosa non quadra: non si può idealizzare l’infanzia. L’analisi di questo problema, però, esula dalla breve riflessione svolta. [un vero peccato]


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Monday, March 10, 2014

Parnassus

http://zret.blogspot.it/2014/03/parnassus.html

Parnassus


Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il diavolo” (titolo originale “The imaginarium of Doctor Parnassus”) è una pellicola per la regia di Terry Gilliam. Tra gli interpreti si annoverano Heath Ledger, Johnny Depp, Colin Farrell, Jude Law, Christopher Plummer, Andrew Garfield, Verne Troyer, Lily Cole, Tom Waits, (il Diavolo), Cassandra Sawtell, Paloma Faith, Carrie Genzel, Michael Eklund, Simon Day, Johnny Harris.

Il regista rispolvera il tòpos del patto con il diavolo per evocare una realtà fantastica e fantasmagorica. Il Dottor Parnassus, condannato all’immortalità e ad invecchiare indefinitamente come il mitico Titone, è il capocomico di una sgangherata compagnia teatrale in cui lavora la bellissima figlia, preda ambita dal Diavolo. Soprattutto Parnassus è il mago che può condurre ignari spettatori nel mondo immaginifico dei propri sogni (ed incubi) più segreti.

Opera barocca, sontuosa e talora persino kitsch, “Parnassus” mescola teatro, cinema e vita. E’il teatro come meravigliosa finzione, cinema come magia e vita che ha un po’ dell’uno e dell’altro. L’autore ha voluto proiettare un caleidoscopio di immagini, di riferimenti, di citazioni: è un caleidoscopio che abbaglia e stordisce. La tradizione vedica, il mito classico, i tarocchi, Goethe, Lewis Carroll, la Massoneria… sono soltanto alcuni tra gli ingredienti che Gilliam riesce per lo più a dosare e a mescolare in modo sapiente.

Sull’onda di un evento fortuito (ma esiste il caso?), il regista è capace pure di incastrare Pirandello e la polverizzazione dell’identità nel momento in cui l’avventuriero Tony, interpretato all’inizio da Heath Ledger morto sul set, è sostituito da un trio di alter ego nell’universo onirico oltre lo specchio. Qui la fiction si fonde e si confonde con la cronaca nera su cui si addensano le cupe ombre di una maledizione, come nel film “Il corvo” con Brandon Lee. [1]

Come “Il corvo”, anche la produzione di Gilliam è un intrico di simboli e di straniti adombramenti: Anton, uno fra gli istrioni della compagnia, veste il costume di Hermes psicopompo, guida delle anime; sulla fronte di Tony si intravede una piramide tronca con l’occhio onniveggente; il palco e le quinte del teatro itinerante mostrano un disegno massonico, identico alla scenografia dell'ultima edizione del Festival di Sanremo...

Credo che Gilliam, nell’intricata sceneggiatura abbia codificato, oltre ad emblemi densi di suggestioni, un messaggio quanto mai scabroso: Tony si è arricchito con un’organizzazione non governativa che, fingendo di occuparsi di bambini bisognosi, ne preleva gli organi. Nell’intreccio incalzante ed involuto, questa denuncia quasi non si avverte, ma la morte di Ledger durante la lavorazione ha il sentore di un sinistro presagio, di un inquietante avvertimento...

[1] Heath Ledger morì il 22 gennaio 2008. [so what?]

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Friday, March 18, 2011

Coccarde e mostarde

http://straker-61.blogspot.com/2011/03/coccarde-e-mostarde.html

Coccarde e mostarde

Festeggia, stupido omiciattolo, mentre io ti avveleno

!7 marzo 2011: si festeggiano i centocinquant’anni dall’unità d’Italia. Il ferale evento è celebrato con strade ed edifici pavesati da coccarde e bandiere tricolori, per mezzo di concioni e magniloquenti parate. Patetici festoni penzolano in ogni dove, persino dagli schermi televisivi. Occorre ricordare che codeste commemorazioni sono quanto di più lontano si possa immaginare dal genuino spirito patriottico sostanziato di identità culturale, un’identità svilita e conculcata da governi a delinquere.

Assistiamo ad un diluvio di retorica ipocrita e tronfia ed è naturale che le celebrazioni siano promosse ed enfatizzate da chi intende suscitare rigurgiti sciovinisti utili per manipolare la massa acefala, ma è sconsolante notare come persone di media cultura (si tratta probabilmente di erudizione o, meglio, di ignoranza ex cathedra) si lascino imbambolare dalla viscida propaganda. Addirittura i docenti di Lettere e di Storia, insegnanti che dovrebbero essere preparati su certi temi, si uniscono al peana, dimentichi affatto di un romanzo come “I Malavoglia” e della novella “Libertà”, in cui Giovanni Verga denuncia, tramite l’icastica tecnica dell’impersonalità, i sogni risorgimentali tramutatisi in incubi osceni.



Quanti altri esempi si potrebbero proporre! L’impietosa opera narrativa “I viceré” di De Roberto, il disincantato libro, “I Vecchi ed i giovani” di Pirandello, l'epicedio di Tommasi di Lampedusa, "Il gattopardo" nonché tutte le pagine di storici rigorosi che misero a nudo il carattere ingannevole dei panegirici in onore dell’ignominiosa dinastia sabauda e della sua feroce guerra di conquista. Problemi come la vigliacca invasione del regno borbonico, il cosiddetto brigantaggio, l’esoso fiscalismo della neonata compagine unitaria, l’asservimento dell’Italia a rapaci potenze straniere, quali il Regno Unito, la coscrizione obbligatoria con il suo strascico di miseria e di combattenti massacrati su fronti lontani… sono relegati in un censorio silenzio.

Nelle scuole, encicliche vomitate del Ministero della pubblica distruzione, esortano ad onorare la reproba ricorrenza: le nuove generazioni sono subdolamente plagiate, mentre la carcassa dei media servili ci assorda con cacofoniche riproduzioni dell’inno le cui parole furono plagiate da Goffredo Mameli. E’ inno che, tra versi di dozzinale solennità e crescendo ampollosi, mostra tutta la sua ridicola bruttezza di sinfonia abortita.

La retorica con i suoi paludamenti è sempre detestabile, anche quando è strumento per rievocare circostanze insigni; allorquando è un espediente mefistofelico per inculcare disvalori e blandire il popolo bue, si deve soltanto rigettare con vibrata ed inappellabile indignazione.



Saturday, March 12, 2011

Testamento

http://zret.blogspot.com/2011/03/testamento.html

Testamento

Una conversazione, non un trattato teologico.

Tempo fa, discorrevo con un amico sul motivo che avrebbe spinto Dio a creare o ad emanare questo universo meravigliosamente sciancato. Alla fine ipotizzammo che fu il senso di solitudine. E’ ovvio che tale congettura prescinde da un ragionamento teologico rigoroso, poiché Dio, comprendendo tutto in sé, non dovrebbe essere afflitto dalla solitudine, ma, in fondo, in questa maniera lo si umanizza.

Così immaginiamo che, nel modo in cui uno scrittore costruisce i suoi personaggi per poi muoverli nel bosco della narrazione, così Dio ha creato il cosmo con i suoi abitanti, per sentirsi in compagnia. Come il narratore delinea figure ed inventa intrecci che, un po’ alla volta, prendono vita propria – si pensi al dramma “Sei personaggi in cerca d’autore” - in guisa analoga Dio ha dato vita ad esseri in carne ed ossa per animare uno spazio altrimenti vuoto.

E’ incredibile come una disciplina per molti versi arida e pedantesca, quale la narratologia (qui narrateologia), si riveli ricca di spunti non solo per interpretare testi non imperniati sul racconto, i sogni e la stessa vita, ma pure per bizzarre (forse non tanto) riflessioni sull'Eterno. Dio è una specie di narratore onnisciente: disegna i personaggi, ne sonda l’interiorità e sovente li giudica. Questo tipo di narratore fa e disfa, manipola la dimensione cronotopica, inventa e reinventa… Se non è soddisfatto del manoscritto, lo getta nel fuoco. Evidentemente, Dio, gratificato o no, dagli uomini da lui creati, ha deciso di tenerseli con i loro difetti, moltissimi, ed i loro pregi, pochi, nonostante qualche ripensamento. Forse distruggere il genere umano implica una mutilazione di Dio. Distruggerne per sempre anche uno solo che cosa comporterebbe? Foss’anche un essere infimo, detestabile?

Aristotele scrive che “solo gli animali e gli dei possono vivere in solitudine”: gli dei sì, ma forse ciò non vale per Dio. Certamente gli uomini, se escludiamo gli eremiti ed i saggi, non ci riescono: essi cercano gli altri, si circondano di conoscenti, di amici, dapprincipio per condividere con loro frammenti di vita, poi per tormentarli e tormentarsi in un crescendo che può tramutare l’amicizia e l’amore (ma esisteranno mai l’amicizia e l’amore?) in gelosia, risentimento, discordia. Non si comprende per quale motivo si tenti di rompere il cerchio dell’isolamento, se alla fine ci si accorge che si stava meglio, quando si stava peggio.

“L’inferno sono gli altri”, chiosa gelido, Sartre: gli altri, tante celle infernali in cui si aprono inattesi scorci verso il paradiso, qualche rarissima volta. Viceversa, che cosa ci induce ad amare di un affetto appassionato, sincero e nobilissimo, coloro con cui eravamo entrati tante volte in attrito, quando, però, è ormai tardi, troppo tardi? Siamo un groviglio inestricabile di contraddizioni.

Ci piaccia o no, siamo interdipendenti e stridenti, ma gli studiosi inclini a credere che antichi popoli fossero capaci di vivere in perfetta armonia, probabilmente idealizzano delle società mediterranee definite “gilaniche”. Pare che, come pensano Bachofen ed altri, le culture matriarcali fossero concordi e prospere, poi subentrarono gli Indoeuropei con i loro principi e la loro società tripartita in guerrieri, sacerdoti e lavoratori. La situazione mutò. E’ una ricostruzione di un lontano passato, una delle tante: non so quanto sia plausibile.

Alcuni autori addirittura suppongono che gli uomini migliaia di anni addietro potessero intercomunicare. Chi considera in modo obiettivo la storia, deve solo concludere che, accantonato il falso mito del progresso, l’umanità decadde (in modo improvviso?) da una condizione eccelsa fino a sdrucciolare nell’imbastardimento odierno. E’ uno fra gli insegnamenti della Philosophia perennis, quella che la rende invisa ad evoluzionisti vecchi e nuovi. Evidentemente intervenne un cambiamento ontologico o un errore di trascrizione, quasi in senso genetico, causò, di generazione in generazione, un progressivo deterioramento della specie Homo. Dunque non dovremmo stupirci se il mondo attuale è tanto corrotto ed iniquo, ma restare esterrefatti, quando incontriamo la rettitudine e la nobiltà d’animo. Allo stesso modo un fiore bellissimo può nascere in una discarica mefitica.

Le attuali generazioni sono l’ultimo stadio di un processo degenerativo: se ancora nascono bimbi, non è perché i genitori, tranne qualche eccezione, abbiano in mente un progetto di vita, ma poiché essi obbediscono ad un impulso o per mero conformismo (sposarsi e farsi una famiglia). Che poi alcuni genitori, responsabili-non responsabili, si pentano delle loro decisioni è macigno che ricade sui figli, pronti quasi sempre a ripetere errori tanto biasimati.

Questo istinto è l’estrema degradazione di un’inclinazione a (pro)creare che George Stirner, in un bellissimo saggio, “Grammatiche della creazione”, analizza intrecciando la trama estetica e l’ordito teologico.

Così Dio stesso crea non solo perché solo, ma soprattutto in quanto stimolato da un desiderio di estrinsecazione, il medesimo irrazionale desiderio che spinge l’artista a plasmare, scrivere, dipingere, lo stesso scienziato ad elaborare teorie ed ipotesi, persino l’adolescente a tracciare graffiti sui muri o sui banchi.

Anche quando l’artefice decide di distruggere la sua opera, ne resta qualche traccia, per lo meno, il ricordo. Ecco: questa è la dannazione, il ricordo, come rimpianto, rimorso, rammarico, abitudine a rivangare. Dobbiamo, invece, abituarci a diventare palinsesti, ad abradere il passato che, bello o brutto che sia, è un’ipoteca sul presente. Almeno, in questo modo, il passato, pur continuando ad esistere, non è più visibile. Meglio che niente.

Forse un giorno gli errori cosmici saranno riparati: il male allora non sarà giustificato, ma almeno chiarito e cancellato. La gomma in tasca.




Friday, October 22, 2010

Persona

http://zret.blogspot.com/2010/10/persona.html

Persona

Mi pare che la vita degli uomini sia simile ad un lungo corteo di maschere. (Luciano)

Il termine "persona" risale probabilmente al greco "prosopon", volto, attraverso la mediazione dell'etrusco "phersu", con il significato di "maschera". L’ironico vocabolo è davvero idoneo all'uomo di oggi che indossa una maschera in cui si identifica. L'essenza umana è così esteriorizzata in un'immagine di sé che è falsa e statica. Forse, però, è più grave rispetto al nascondimento della propria natura, la sua riduzione a simulacro, ad effigie piatta. Chi oserà internarsi nel profondo, con le sue segrete buie, i baratri amari, le paludi marcescenti? Superato l'istmo doloroso che collega la parvenza all'interiorità, il cammino è periglioso ed oscuro. E' vero che, alla fine dell'itinerario, potremo scoprire una vena aurifera, ma occorre attraversare gli stagni della putrefazione, scendere pendii sdrucciolevoli, sporgersi sugli abissi della follia. Il percorso interiore ci espone ai rischi della conoscenza, il cui viso è meduseo.

La faccia è facciata. Ci si incarna nell'aspetto e nei suoi corollari: il nome ed il cognome, l'abbigliamento, il ruolo sociale, la professione... Luigi Pirandello definiva questa facies "forma", l'insieme di tratti fittizi e caduchi che costituiscono e soprattutto sostituiscono la natura umana, la garanzia di un "essere" che è essere per gli altri, per il loro giudizio. La rispettabilità borghese atrofizza l'espressione. Sii canonico, logico, razionale, regolare, normale. Sarai allora una "persona umana". "Persona umana", ossimoro grandiosamente spaventevole: una maschera animata appena da un fremito preagonico.

Il timore del giudizio altrui costringe a soffocare la propria indole cui subentra il carattere. "Character" è personaggio: ecco, di nuovo l'inautenticità si appropria del volto e dell'io per spingerlo sul proscenio della società affinché reciti la parte, il cui copione non può essere cambiato di una virgola. Recita dunque e recita sempre: alla fine non ti accorgerai neppure che è una messinscena. L'abitudine compie miracoli. Così i bimbi sono strappati alla spontaneità ed allevati negli asili e nelle scuole: docili ed ubbidienti, anche quando saranno trasgressivi, diventeranno "onesti cittadini".

Lo stato garantisce la dignità e la libertà della "persona umana", ossia le marionette si muovono "liberamente" rette da fili, purché i fili restino invisibili. Se qualcuno mostra un briciolo di intelligenza, la soffocheremo tra roveti di luoghi comuni. Voilà, ora siamo tutti persone, le maschere per la mascherata finale. Ormai la stessa bidimensionalità è assottigliata fino ad essere risucchiata nel grigio dell'indistinto.

Si teme pure la superficie, perché certe superfici - è un prodigio assai raro - rivelano inaspettate profondità.


Saturday, July 10, 2010

Crollo

http://zret.blogspot.com/2010/07/crollo.html

Crollo

Rido se vedo un bimbo che la mano
schiuda nel vuoto,
credendo di posarvi un qualche oggetto;
non rido piú se noto
che a me pur similmente accade
che nel vano del tempo crolli ogni desio nascente,
ogni nascente affetto.


Nella lirica "Crollo" di Luigi Pirandello è contenuta in nuce la celebra poetica nota come "Umorismo", ossia sentimento del contrario, risultato della coscienza che, nella vita, comico e tragico coesistono. L'autore, le cui poesie, spesso misconosciute nel loro valore stilistico ed introspettivo, svelano una dolente sensibilità, instaura un parallelo-antitesi tra l'infanzia e l'età adulta: il bimbo, credendo di poter appoggiare nel vuoto un oggetto, apre fiducioso la mano su di esso, ma l'oggetto fatalmente cade. Consapevole dell'assurdità del gesto, lo scrittore sorride, ma presto l'ilarità si spegne, poiché egli si accorge che, nell'immagine del fanciullo, si rispecchia la sua condizione esistenziale imperniata sull'illusione di costruire qualcosa di stabile.

Così "ogni desio nascente, ogni nascente affetto" crollano: il chiasmo stringe sogni e speranze in un abbraccio mortale. Il nulla è la sostanza della vita, l'inconsistente base su cui erigiamo caduchi edifici di chimere. Gli anni precipitano nell'abisso del non-senso e la tenerezza, con cui l'autore contempla la puerizia, si impregna di amaro.

La chiave interpretativa del testo è il titolo, "Crollo", immagine dell'improvviso sgretolarsi di un mondo e sia un evento esteriore o una muta, ma non meno dolorosa, rovina interiore. La somiglianza fonica tra “crollo” e “nulla”, parola evocata nel "vuoto", inutile superficie del niente, radica il fragile tempo umano nel substrato della perdita.

Pirandello, nei suoi versi accorati e schivi, descrive la caduta repentina e traumatica nell'abisso, ma spesso il tempo erode un po' alla volta aneliti ed affetti: il disfacimento avviene per gradi, in modo quasi inavvertito.

Così continuiamo a (sopra)vvivere, quasi ignari del dolore che abita nella gioia fugace, della morte che alberga nella nascita.

Di questo al destino siamo infinitamente grati.