L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

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Sunday, March 8, 2015

Esiste il Paradiso?

http://zret.blogspot.ch/2015/03/esiste-il-paradiso.html

Esiste il Paradiso?



Esiste il Paradiso? La risposta a questa domanda implica postulare che sussista una dimensione metafisica, oltre la realtà galileo-newtoniana e persino di là dall’universo quantistico, una realtà in cui le “leggi” naturali sono del tutto trascese. E’ impresa ardua concepire tale regno della beatitudine perfetta, non solo in quanto l’umanità e l’esistenza offrono solo pallidi e rari simulacri dell’Eden, ma pure perché, se l’inferno si può immaginare moltiplicando ad infinitum il tempo, situazione di cui abbiamo esperienza, tale dato non si può sussumere, quando si pensa il Paradiso.

Il Paradiso, infatti, è non-tempo: se la felicità fosse protratta nell’arco temporale, essa risulterebbe alla fine noiosa, terribile quasi quanto l’Inferno. Pertanto l’immagine degli angeli che intonano canti in lode di Dio è appunto solo un’immagine: essa evoca un’armonia perfetta, attraverso la metafora delle creature celesti immerse nella pace e nella luce spirituale. Il Paradiso, descritto nella letteratura (si pensi in particolare alla “Commedia”) attraverso, similitudini, metafore ed esempi, non è, però, una metafora.

L’Empireo, se esiste, non è solo il compimento dell’uomo, la sua piena realizzazione nel disegno cosmico, ma è riconciliazione della natura con sé stessa, ritorno alla perfezione primigenia, redenzione definitiva dal Male, apocatastasi. E’ il ritorno a casa.

Il Cielo è dunque la compiuta ipostasi del Bene, senza incrinature né ombre. E’ il Principio, prima che esso scivoli nel tempo e nello spazio, prima che si deteriori nella storia, prima che esso si di-vida da sé stesso.

A questo punto si pone, però, un problema: quando, dopo incalcolabili cicli cosmici, il Tutto rientrerà in sé stesso, il giorno in cui il Male sarà estirpato in ogni dove, non si creerà una stasi, preludio forse di un annichilimento finale, visto che l’essere scaturisce dal contrasto? Non sarà quindi l’apocatastasi una situazione transitoria, destinata ad essere superata da una nuova (dis)avventura della Coscienza lungo uno degli innumerevoli percorsi ontologici?

Tuttavia se la Coscienza è onnipotente, essa potrà sanare tale contraddizione in modo da armonizzare eternità e tempo, immobilità e moto, divino ed umano, essere ed esistenza.

I “Nuovi cieli e la nuova terra” sono la palingenesi, oltre ogni determinazione concettuale e linguistica, persino oltre ogni intuizione. Questo è il Paradiso assoluto, mentre il Paradiso individuale è forse un’inesprimibile condizione in cui la corda del tempo è come allentata: l’itinerario del singolo prosegue, senza più il peso della corporeità ma con l’anelito verso una conoscenza sempre più profonda, verso una progressiva purificazione.

Il Paradiso è il luogo del Nulla e del Tutto, il luogo del Silenzio: infatti non ne sappiamo nulla, ma comprende tutto. Infine l’unica parola che può descriverlo è il silenzio.
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Friday, January 3, 2014

Dante e le “segrete cose”

http://zret.blogspot.it/2014/01/dante-e-le-segrete-cose.html

Dante e le “segrete cose”

Se è vero, come è vero, che la “Commedia” è opera esoterica (si pensi alle intuizioni di U. Foscolo, D. G. Rossetti, G. Pascoli, L. Valli, R. Guénon...), è indubbio che il valore intimo di certi versi ci sfugge. Dante appartiene a quel Medioevo che abbiamo definito indecifrabile: qualcosa si è compreso, ma non siamo ancora entrati nel sancta sanctorum.



Consideriamo un passaggio del III canto (Inf. 14-21). Dante, insieme con Virgilio, si accinge ad internarsi nell’inferno, quando legge la terribile epigrafe sulla porta dell’Ade. Il pellegrino chiede alla sua guida di illustrargli il significato dell’iscrizione. Il maestro risponde:

"Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.

Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto
".

Quindi...

"E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose
".

Sotto il profilo esoterico, è palese che l’Inferno è il mondo dei profani, il Purgatorio evoca i gradi dell’affiliazione, il Paradiso adombra la dimensione degli iniziati. Questo è il disegno simbolico, al cui interno, però, molti particolari sono sfocati.

Per quale ragione il vate di Andes, dopo aver spiegato al viandante il senso dell’epigrafe, decide di rivelargli ulteriori “segrete cose”? In che cosa consistono codeste “segrete cose” che gli esegeti di solito interpretano con “soggetti ignoti ai vivi”?

Forse l’autore latino intende chiarire al suo discepolo che il luogo della perdizione non è interminabile, ma uno stato dell’anima che, nell’infinita misericordia divina, è destinato ad essere un giorno trasceso, come nell’escatologia di Origene?

E’ arduo rispondere. Dante era “cristiano” (anche se le accezioni dell’aggettivo “cristiano” sono molteplici e talora difformi): purtuttavia la sua Weltanschauung accoglie concezioni ai margini dell’”ortodossia”, talvolta persino catare. Ad esempio, nel canto in oggetto, il cenno alle schiere degli angeli non ribelli a Dio, ma che neppure seguirono Lucifero, trova riscontro solo nella teologia albigese.

Per un motivo o per un altro, sia il concetto di una gehenna senza termine sia quello di un inferno che un giorno lontanissimo finirà, ripugnano alla coscienza umana.

Dante, grazie alla profonda saggezza di Virgilio, riuscì a trovare la quadratura del cerchio?

Post scriptum

Il saggio di Adriana Mazzarella, “Alla ricerca di Beatrice, Il viaggio di Dante e l’uomo moderno” offre del capolavoro dantesco un’esegesi simbolico-iniziatica alla luce (a volte offuscata) della psicologia junghiana.


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Wednesday, April 14, 2010

L'enigma della doppia creazione

http://zret.blogspot.com/2010/04/lenigma-della-doppia-creazione.html

L'enigma della doppia creazione

"Genesi" riporta una doppia creazione dei progenitori: di solito tale iterazione è ricondotta alla coesistenza di due fonti, una elohista originaria del Regno di Israele (1,26-28) ; l'altra jahvista sorta ed affermatasi nel Regno di Giuda (2,7). Nella prima, Dio è Elohim (plurale intensivo o termine da rendere con Potenze?); nella seconda Dio è YHWH.

Si potrebbe liquidare il problema, appellandosi alla giustapposizione delle fonti, ma non sono mancati e non mancano coloro che, invece di concepire i due racconti riferiti alla creazione dei protoplasti, come differenti letture dello stesso evento, secondo una prospettiva multipla, vedono un'azione creatrice (o formatrice) compiuta in due riprese.

Nell'antichità, fra i teologi cristiani, furono Origene e Gregorio di Nissa a formulare l'ipotesi della doppia creazione. Origene, teologo ed esegeta alessandrino, (185 ca.- 253 d.C. ca.) pensò che le anime pre-esistenti (noes) venissero in seguito incorporate. Gregorio di Nissa (Cesarea di Cappadocia 335 - Nissa 395 d.C. ca.) elaborò una dottrina, secondo cui la natura primigenia di Adamo ed Eva era ontologicamente diversa da quella successiva, quando i protoplasti acquisirono una costituzione composita. Entrambe le esegesi, l'ipotesi di Origene e quella del Nisseno, richiamano l’insegnamento di Filone ebreo per il quale il primo uomo è incorporeo, archetipo, né maschio né femmina; il secondo Adam è, invece, corporeo e mortale. [1]

Pur nella diversità delle visioni, in cui la sequenza temporale si articola alla dimensione ontologica, secondo differenti accentuazioni, i teologi condividono l''idea di uno scostamento da Dio quanto più si manifesta la natura sensibile. Così, l'Adam prototipo è essere che appartiene alla sfera intelligibile, mentre l'uomo in cui l'anima si è unita al soma, è creatura confinata, benché in modo non definitivo, in un mondo di caducità e di imperfezione. Sono evidenti n queste concezioni le reminiscenze dell'antropologia platonica, anche se con qualche addentellato con eccentrici orizzonti interpretativi del testo biblico.

Alcuni studiosi ricordano che le apparenti contraddizioni dei due passi si possono sanare, se si radica il primo libro del
Pentateuco nel suo substrato in buona parte sumerico, dove la creazione degli uomini viene presentata come il risultato di una serie di esperimenti, anzi tentativi. Si sarebbe passati dai lulu amelu [2], lavoratori primitivi, all'adamu, per concludere con l'adapa. E' possibile che il lulu fosse incapace di riprodursi, a differenza dei suoi discendenti?

E’ palese che, in tal maniera, l’antropologia delineata dai biblisti succitati è rivista, cambiando il contesto e la prospettiva valoriale.

Le ricostruzioni che privilegiano i significati storici, rispetto a quelli simbolici, cominciano ad essere avvalorate da riscontri provenienti dalla paleontologia, dall’archeologia e dalla genetica: si sta uscendo dal campo delle indagini più o meno fantasiose? E’ lecito chiedersi se non si annidi della disinformazione surrettizia e strumentale in codeste analisi. E’ doverosa un’estrema cautela, senza, però, chiusure preconcette.

[1] La doppia creazione è rintracciabile pure in alcuni testi dei Mandei, una comunità religiosa medio-orientale che discenderebbe dai seguaci di Giovanni Battista.

[2] Se la traduzione del termine "lulu" con "mescolato" è corretta, tale significato dovrebbe indurre ad approfondite riflessioni.


Wednesday, July 8, 2009

Apocatastasi

http://zret.blogspot.com/2009/07/apocatastasi.html

Apocatastasi

Nel Nuovo Testamento (Atti 3, 20) l'apocatastasi è la reintegrazione o nuova creazione di tutte le cose. Nel III sec. d.C. Origene, assumendo il concetto nel proprio sistema teologico, lo intese come riconciliazione con Dio dell'intera creazione, compresi Satana e la morte. Tale dottrina fu accolta da alcuni padri orientali (ad esempio, da Gregorio Nisseno) e, nonostante la condanna pronunciata dal secondo concilio di Costantinopoli (553), fu accettata anche da teologi come Scoto Eriugena e Franz Schleiermacher.

E' arduo comprendere la genesi del Male e la sua intima ragione: più che un argomento spinoso è un nodo di Gordio. Qui, tralasciando di tentare la messa a fuoco di un soggetto tanto ostico (se il Male sia uno degli errata Dei, per riprendere una dicitura di Borges, o una caduta ontologica o il risultato di una libera decisione etc.), vorrei chiedermi quale possa essere il destino dei demoni e dei loro accoliti terrestri.

Origene riteneva che anche costoro potessero essere redenti per essere reintegrati nella perfezione divina. E' prospettiva che - dobbiamo riconoscerlo - denota un'attitudine del tutto aliena da risentimento, ma che può ripugnare. La sorte dei reprobi sarebbe dunque eguale a quella degli eletti? Non intercorrerebbe alcuna differenza tra chi è fautore consapevole ed ostinato della distruzione e chi, invece, pur tra molteplici contraddizioni ed errori, ha intrapreso il percorso opposto? Può Ahriman essere accolto nella corte radiosa di Ahura Mazda?

Dall'osservatorio limitato dell'uomo è difficile comprendere quali siano i disegni reconditi degli eventi, quale arra di vittoria possa costituire il martirio, quale elevazione sia custodita nello scrigno della sofferenza. Tuttavia restano delle perplessità: è equo che il futuro di Arconti e malvagi incalliti sia l'annientamento? Non sarebbe auspicabile che essi fossero costretti ad espiare in qualche modo, non per l'eternità, ma per un congruo periodo? I conti, prima o dopo, vanno pareggiati. Non è vendetta, ma giustizia. Se esiste almeno una parte di responsabilità (è questo un postulato dell'etica), è inevitabile che si scontino le conseguenze delle proprie azioni.

Nondimeno nessuno condannerà gli altri: qualunque sia la destinazione degli uomini la cui anima è stata risucchiata dalle Tenebre, essi stessi pronunceranno il verdetto. La loro condanna è già nella loro esistenza mortuaria, chiusa disperatamente alla luce, alla verità ed alla vita. E questo, però, solo un antipasto.