L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Saturday, November 8, 2014

Traduzioni e tradizioni

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Traduzioni e tradizioni


Qualche giorno addietro mi è stato donato un libretto contenente i Vangeli ed i Salmi. Si può immaginare la mia meraviglia, quando, per sincerarmi di com’è stato tradotto il testo “originale”, ho scelto Matteo 11, 12, di cui ho letto la seguente versione: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza ed i violenti se ne impadroniscono”.

Altre rese sono le seguenti:

C.E.I.

"Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza ed i violenti se ne impadroniscono".

Nuova Diodati

"E dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza ed i violenti lo rapiscono".

Diodati

"Ora, da' giorni di Giovanni Battista infino ad ora, il regno de' cieli è sforzato ed i violenti lo rapiscono".

La traduzione in cui mi sono imbattuto è quella più vicina all’archetipo dove è scritto: ἀπὸ δὲ τῶν ἡμερῶν Ἰωάννου τοῦ βαπτιστοῦ ἕως ἄρτι ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν βιάζεται καὶ βιασταὶ ἁρπάζουσιν αὐτήν. Il versetto, a mio parere, si dovrebbe rendere nel modo seguente: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad oggi, il Regno dei cieli è ottenuto per mezzo della violenza ed i violenti se ne impadroniscono (letteralmente lo ‘afferrano’)”. Il prestigioso vocabolario del Rocci riporta come accezione del verbo, nella diatesi media, appunto “ottenere”.

E’ naturale che i teologi si avventurano in mille acrobazie ed equilibrismi per giustificare il rapporto tra Regno dei cieli e violenza, ora interpretando in senso metaforico e capzioso la sopraffazione ora intendendo come passivo il verbo “biazetai”, laddove questa forma verbale - media e non passiva (manca, tra le altre cose, il complemento d’agente) - indica un’azione che è compiuta nell’interesse del soggetto. Hanno probabilmente ragione quegli esegeti e storici che, considerando l’intento paolino di depoliticizzare la figura e gli obiettivi del Messia di David, colgono in questo passo un indizio del substrato rivoluzionario inerente al Cristianesimo primitivo. E’ una mestica che è stata quasi sempre rimossa, ma di cui restano qua e là tracce.

E’ evidente che la storia, l’archeologia, la glottologia etc. ricostruiscono una figura del Cristo diversa da quella trasmessa dalle chiese: non il Redentore dal peccato per l’intera umanità, ma uno dei tanti combattenti messianisti che, nella Palestina tra I sec. a. C. e I sec. d.C., miravano a restaurare un terreno Regno di David, una volta rovesciato l’aborrito dominio romano.

E’ anche palese che le acquisizioni degli studiosi turbano solo coloro che ritengono debba esistere una sostanziale solidarietà tra storia e fede. Chi, invece, per “fede” ignora le risultanze degli esperti, conclusioni in grado di minare, almeno potenzialmente, le fondamenta del Cristianesimo, continuerà a credere in tutto ciò che è inverosimile e contraddittorio.

Vero è che, disgregato sotto il profilo storico, il credo cristiano mantiene i suoi significati simbolici. Benedetto Croce ammise che “non possiamo non ritenerci cristiani”. Non aveva tutti i torti, se si considera il Cristianesimo non solo un fenomeno culturale, ma una sorta di forma-pensiero o un’eredità psico-genetica che, volenti o nolenti, influisce, almeno in una certa misura, su chi è nato e vissuto in un paese dove si professa una delle numerose forme di Cristianesimo.

Tuttavia, sotto il profilo oggettivo ed empirico, le narrazioni e le credenze del Cristianesimo si rivelano illusorie e compensatrici, non solo quando si analizza il Nuovo Testamento, ma pure se si cerca di radicarlo nella Torah. Si è costretti, infatti, a rinunciare all valore della Redenzione dal peccato originale, valore che è cardine della religione cristiana, come la dottrina della Risurrezione.

Che cos'è, infatti, scritto in Genesi?

• L’albero della vita è al centro dell’Eden (Gen. 2,9).
• Dio proibisce di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (Gen. 2,17).
• Eva mangia il frutto dell’albero della vita che è al centro dell’Eden (Gen. 3,2).

Gen. 2,9: “Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male”.

Ogni albero è indipendente e produce i suoi frutti. L'albero della vita è in mezzo all’Eden, mentre accanto, ma separatamente prospera l’albero della conoscenza del bene e del male. Il primato e quindi la centralità spettano all’albero della vita senza il quale non esiste alcunché, neppure la conoscenza.

Gen 2,17: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”.

Del Giardino sono indicati due alberi: quello della vita e quello della conoscenza. Dio intima di non mangiare i frutti dell'albero della conoscenza. Proibisce solo i frutti di quell'albero.

Gen. 3,2: “Rispose la donna al serpente: ‘Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’.”

Eva conferma che al centro dell’Eden cresce un solo albero con un solo frutto. La frase è al singolare. E’ l'albero della vita (in Gen. 2,9) il cui frutto Eva ha mangiato, mentre Dio ha ingiunto di NON MANGIARE il frutto dell'albero della conoscenza (Gen. 2,17). Quindi Adamo ed Eva sono espulsi e condannati per un peccato che non hanno commesso.

Viviamo nel Kali-yuga, il tempo più difficile ed oscuro della storia umana. E’ un’età in cui perdere quei pochi appigli che ci permettono di sopravvivere è una tragedia. Dunque il naufragio dei sogni cristiani (e delle altre religioni) può avere effetti disastrosi su un’umanità già allo sbando.

Si può tentare di salvare il Cristianesimo, traducendolo in un sublime mito cosmico che adombra la caduta nel tempo della Coscienza ed il suo anelito a ricongiungersi con il Principio. Sarà, però, un Cristianesimo senza dogmi e riti, avulso da chiese e gerarchie. Non sarà facile compiere questa operazione che ci chiede di cambiare pelle e soprattutto cuore.

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Monday, May 2, 2011

Il principio della fine

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Il principio della fine

"Il principio della fine" è l'ultimo capitolo di "Demian" (1919), celebre romanzo di Herman Hesse. La prima parte dell'unità, di taglio narrativo-riflessivo, trascolora rapidamente dalla luce e dal senso di benessere in un'inquietudine alimentata da oscuri presentimenti. Un giorno, Emil Sinclair, il protagonista, in preda allo sconforto, raduna tutte le sue energie psichiche per comunicare con Eva, donna dei suoi pensieri, guida e dolce rifugio. Al suo richiamo risponde Max Demian che sopraggiunge come un messaggero dell'aldilà su un destriero al galoppo. Pallido e madido di sudore, egli annunzia all'amico l'ormai imminente conflitto mondiale.

La guerra rappresenta la cesura tra il noncurante torpore del mondo borghese e l'avvento di una nuova era in cui tutti saranno chiamati ad una prova tremenda. La conflagrazione incombente è pure la metafora del travaglio interiore del protagonista che, solo attraverso laceranti e dolorose trasformazioni, potrà generare un io rinnovellato. Come lo sparviero squarcia l'uovo per venire alla luce, così questo mondo deve andare in frantumi per rinascere. Nella rievocazione della vita al fronte, il giovane riflette sul significato del destino che soverchia gli uomini affratellati da una comune sventura.

Durante un combattimento Emil viene colpito da una granata, ma la descrizione del ferimento viene trasposta su un piano visionario ed apocalittico: compare nel cielo la grandiosa figura di Eva dalla cui fronte s'irradiano fulgide stelle. Dopo essere stato ricoverato in ospedale da campo, ripresa conoscenza, il soldato rivede per l'ultima volta Max Demian, al quale potrà d'ora in poi rivolgersi guardando in sé stesso.

L'epilogo del romanzo è potentemente drammatico e simbolico, sospeso com'è tra vertigine dell'autorealizzazione e supremo sacrificio di sé. Demian è morto: da lui, che ora è voce dell'anima, Emil potrà trovare consiglio ed il necessario ardimento per affrontare le sfide della vita.

L'ominosa conclusione dell'opera si squaderna, nella turbinosa ripetizione degli eventi, come un monito, un appello ad armarsi di coraggio, di fronte al cimento decisivo.


Monday, January 10, 2011

Genesi biblica (prima parte)

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Genesi biblica (prima parte)

“Genesi biblica. Evoluzione o creazione? Caino è la chiave del mistero”, Belluno, 2007, è un singolare saggio scritto da don Guido Bortoluzzi (1907-1991). Ad esser precisi, l’opera ambisce a presentarsi come una rivelazione ricevuta da don Guido, intemerata e schietta figura di sacerdote nato a Farra d’Alpago (Belluno): infatti il Signore avrebbe comunicato al parroco, per mezzo di visioni, la verità sulle origini del genere umano a spiegazione ed integrazione del Genesi. Corre l’obbligo di non ignorare questo titolo, benché non sia imperniato su una mera ricerca, considerato l’interesse dei temi trattati e le pur parziali convergenze con recenti indagini genetiche, paleontologiche e storico-archeologiche.

Vediamo di riassumere le singolari tesi del libro. Dio creò il primo Uomo puro e perfetto. Il “peccato originale” fu un rapporto procreativo avuto da Adamo con una specie inferiore che don Guido chiama “ancestri”. Il frutto di tale trasgressione, compiuta solo da Adamo, non da Eva, fu un’ibridazione della specie umana perfetta. La prima Donna era perfetta ed innocente perché bambina quando fu commesso il peccato originale. Il marchio che rendeva riconoscibile Caino, rampollo misto di Adamo, era la parola, l’unico segno umano percettibile. L’ibridazione della specie umana, discendente da Caino, provocò una corruzione delle successive generazioni a tal punto che gli ibridi assunsero i caratteri di ominidi. Tuttavia ripetuti interventi rigeneratori di Dio portarono l’uomo alla sua rievoluzione fino ad essere in grado, nella pienezza dei tempi, di accogliere la Redenzione. Va puntualizzato che Eva apparteneva alla specie inferiore degli ancestri: ella non fu la vera moglie di Adamo, ma una partner occasionale in una copula non lecita, da cui nacque Caino, laddove la prima Donna che al tempo del peccato aveva solo un paio d’anni e che, crescendo, diventò la sposa legittima del Capostipite, fu completamente estranea a qualsiasi colpa. Ecco perché la tradizione ebraica menziona due mogli del Protoplasta: Lilith (Eva) che generò mostri e diavoli (ibridi) ed una consorte, la Donna che diede alla luce, gli uomini, i Figli di Dio. Costoro si invaghirono delle figlie degli uomini, i mescolati, sicché, unitisi a quelle donne, la specie pura risultò inquinata.

Eva, femmina ancestre, era bianca di pelle e glabra: fu creata da Dio come esemplare unico. Ella partorì la Bambina, ossia la futura sposa dell’Archegete. La Bambina fu “tratta dalla costola di Adamo”, cioè dal suo seme, mentre egli era sprofondato nel sonno: Dio creò nella matrice di Eva “un gamete perfetto della specie dei Figli di Dio che, unendosi al gamete del Progenitore, diede vita alla prima cellula della bellissima Neonata”.

Se ho ben interpretato il complesso quadro delineato dall’autore, Eva fu usata come ospite per generare la Donna, come ponte tra una specie di ominidi e la specie umana.

Centrale è in questa ricostruzione, la simbologia dei due alberi citati nel Genesi: stando allo scrittore,
l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male è la linea genetica (il philon) degli ancestri rappresentata dalla femmina Eva: fu albero del Bene "quando per volontà di Dio era stato conosciuto da Adamo nel sonno e fu concepita la Bambina; divenne albero del Male, quando Adamo ebbe con Eva un rapporto di conoscenza sessuale al di fuori del progetto di Dio.” In tale esegesi, Eva ed il Serpente, animale metafora dell’ancestre fattrice, coincidono.

Come giudicare l’interpretazione di “Genesi biblica”? Si sarebbe tentati di liquidare il tutto come un insieme di idee fantasiose, soprattutto perché disancorate dal
testo biblico di cui sembrano una rielaborazione. Tuttavia i contenuti del saggio sono altrettanti spunti per tentare di gettare un po’ di luce su una materia intricatissima, in cui confluiscono scienze ed approcci disparati.

Aveva ragione Edgar Allan Poe che, nel racconto “La lettera rubata”, ci spinge a riflettere su come ciò che è davanti agli occhi è spesso invisibile. Rileggiamo la Bibbia: noteremo che, sebbene Elohim abbia proibito ai Protoplasti di nutrirsi del frutto che cresce sull’albero della Conoscenza, Eva mangia il pomo dell’albero della Vita al centro del giardino! Quale violazione ella, che comunque fraintende il divieto, commise, se Elohim aveva vietato di mangiare il frutto di un’altra pianta, frutto che Eva, obbedendo alla prescrizione divina, non gustò?

Bisogna qui ricordare che, per quanto mi consta, è stato Alessandro De Angelis, a cogliere l’incongruenza biblica, la confusione tra i due alberi.

I passi biblici, di seguito riportati, dimostrano quanto evidenziato.

“Dio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l'uomo che aveva formato. Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. […] Dio poi ordinò all'uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché, nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai».

[…] Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?» La donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete"». Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che, nel giorno in cui ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».

La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei ed egli ne mangiò”.




Tuesday, May 11, 2010

Malum

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Malum

In un antico sigillo sumerico sono raffigurate due divinità, una maschile ed una femminile. Entrambe sono assise. Dietro la divinità muliebre si insinua un serpente, mentre al centro del manufatto si innalza un albero con sette rami da cui pendono dei frutti oblunghi. Pare la rappresentazione dell'Eden: lo scenario del Paradiso biblico è simile. Sebbene il testo di "Genesi" non specifichi il frutto che Eva coglie dall'Albero della Conoscenza, nell'immaginario popolare il pomo è identificato con la mela. E' probabile che a tale erronea assimilazione abbia contribuito l'omofonia tra il latino malum, "male" e malum, "mela". Esiste un canale sotterraneo che collega i due termini? La parola "male" - ci ricorda Giacomo Devoto - "discende da una radice indogermanica 'mel', di valore religioso e largamente attestata, per esempio nelle aree iranica, armena, baltica, celtica, greca, sia pure con sensibili differenze di significato". Invero, si ignora la valenza originaria del morfema. Nietzsche pensò ad una correlazione tra il latino malus ed il greco melainos, scuro, nero, con implicazioni etniche più che etiche. La testimonianza di una sovrapposizione-confusione tra i due ambiti è nella voce "melancolia/malinconia", dove la tristezza si intinge nel nero dell'uggia. Parole e suoni congiurano in intrecci creativi, forse non scevri di una loro motivazione profonda.

Ha un senso cogliere nel frutto di quell'albero il male? Secondo il mito, il creatore della mela fu Dioniso: ne scaturisce un contenuto vitalistico ed erotico che, stando ad alcuni esegeti, è adombrato pure nel frutto biblico. Assume un significato funesto il pomo della discordia che la dea Eris gettò sulla mensa degli dei riuniti a convito durante le nozze di Peleo e Teti. L'Occidente è il luogo della Beatitudine e della Conoscenza (una Conoscenza sublimata nella Sapienza) e dell'Immortalità: per questo motivo Eracle si avventurò nelle Isole dei Beati per prendere le mele nel giardino delle Esperidi. Erano custodite da un drago che rammenta il serpente della Genesi. Nella cultura celtica, la mela era emblema del sapere iniziatico. Avalon, l'oltremondo dei Celti, è situato nella regione dell'occaso. Avalon è collegato ad apple, "mela". Una nota società informatica nel logo mostra una mela morsa. Una teoria, forse fantasiosa ma suggestiva, collega il logo al suicidio di Alan Turing, compiuto, secondo alcune versioni, per mezzo di una mela intrisa nel cianuro, ad imitazione della "letifera" mela di Biancaneve. L'informatica, un frutto avvelenato.

Tragressione, male e morte sono i significati che si rincorrono in questo simbolo, ma contraddetti o sfumati da altri valori solari: sia i pomi delle Esperidi sia il frutto biblico pendono da alberi che crescono in luoghi edenici.

I percorsi simbolici sono innumerevoli: ci portano, ad esempio, alle mele azzurre di Rennes le Chateau, in cui il colore evoca la dimensione spirituale. In totale antitesi è la mela d’oro all’interno del fangoso romanzo omonimo scritto da Robert Wilson e Robert Shea: è l’icona pop di una confraternita formata da depravati.

La mela è anche simbolo cosmico per via della sua forma quasi sferica. Non solo, se spacchiamo questo frutto vi scopriamo un microcosmo: al centro un astro di semi è attorniato da un piccolo cielo di polpa. Simile ad una ruota, ci mena nel mondo del divenire. Il divenire è il male?

La simbolica cinese si incentra sull'omofonia delle parole che significano mela e pace (p'ing), cui, però, assomiglia il nome che designa la malattia (ping). E' una sorta di omeopatia lessicale. Alla fine si resta confinati nel giardino della lingua: qui si erge l'albero mitico, il linguaggio come coscienza e come maledizione.

Fonti:

G. Devoto, Avviamento all'etimologia italiana, Firenze, 1968, sv. male
Enciclopedia della mitologia, Milano, 1990, s.v. Esperidi
Enciclopedia dei simboli, a cura di Hans Biedermann, Milano, 1991, s.v. mela


Wednesday, April 14, 2010

L'enigma della doppia creazione

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L'enigma della doppia creazione

"Genesi" riporta una doppia creazione dei progenitori: di solito tale iterazione è ricondotta alla coesistenza di due fonti, una elohista originaria del Regno di Israele (1,26-28) ; l'altra jahvista sorta ed affermatasi nel Regno di Giuda (2,7). Nella prima, Dio è Elohim (plurale intensivo o termine da rendere con Potenze?); nella seconda Dio è YHWH.

Si potrebbe liquidare il problema, appellandosi alla giustapposizione delle fonti, ma non sono mancati e non mancano coloro che, invece di concepire i due racconti riferiti alla creazione dei protoplasti, come differenti letture dello stesso evento, secondo una prospettiva multipla, vedono un'azione creatrice (o formatrice) compiuta in due riprese.

Nell'antichità, fra i teologi cristiani, furono Origene e Gregorio di Nissa a formulare l'ipotesi della doppia creazione. Origene, teologo ed esegeta alessandrino, (185 ca.- 253 d.C. ca.) pensò che le anime pre-esistenti (noes) venissero in seguito incorporate. Gregorio di Nissa (Cesarea di Cappadocia 335 - Nissa 395 d.C. ca.) elaborò una dottrina, secondo cui la natura primigenia di Adamo ed Eva era ontologicamente diversa da quella successiva, quando i protoplasti acquisirono una costituzione composita. Entrambe le esegesi, l'ipotesi di Origene e quella del Nisseno, richiamano l’insegnamento di Filone ebreo per il quale il primo uomo è incorporeo, archetipo, né maschio né femmina; il secondo Adam è, invece, corporeo e mortale. [1]

Pur nella diversità delle visioni, in cui la sequenza temporale si articola alla dimensione ontologica, secondo differenti accentuazioni, i teologi condividono l''idea di uno scostamento da Dio quanto più si manifesta la natura sensibile. Così, l'Adam prototipo è essere che appartiene alla sfera intelligibile, mentre l'uomo in cui l'anima si è unita al soma, è creatura confinata, benché in modo non definitivo, in un mondo di caducità e di imperfezione. Sono evidenti n queste concezioni le reminiscenze dell'antropologia platonica, anche se con qualche addentellato con eccentrici orizzonti interpretativi del testo biblico.

Alcuni studiosi ricordano che le apparenti contraddizioni dei due passi si possono sanare, se si radica il primo libro del
Pentateuco nel suo substrato in buona parte sumerico, dove la creazione degli uomini viene presentata come il risultato di una serie di esperimenti, anzi tentativi. Si sarebbe passati dai lulu amelu [2], lavoratori primitivi, all'adamu, per concludere con l'adapa. E' possibile che il lulu fosse incapace di riprodursi, a differenza dei suoi discendenti?

E’ palese che, in tal maniera, l’antropologia delineata dai biblisti succitati è rivista, cambiando il contesto e la prospettiva valoriale.

Le ricostruzioni che privilegiano i significati storici, rispetto a quelli simbolici, cominciano ad essere avvalorate da riscontri provenienti dalla paleontologia, dall’archeologia e dalla genetica: si sta uscendo dal campo delle indagini più o meno fantasiose? E’ lecito chiedersi se non si annidi della disinformazione surrettizia e strumentale in codeste analisi. E’ doverosa un’estrema cautela, senza, però, chiusure preconcette.

[1] La doppia creazione è rintracciabile pure in alcuni testi dei Mandei, una comunità religiosa medio-orientale che discenderebbe dai seguaci di Giovanni Battista.

[2] Se la traduzione del termine "lulu" con "mescolato" è corretta, tale significato dovrebbe indurre ad approfondite riflessioni.