L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Wednesday, March 14, 2012

Rinascimento e morte dell’uomo

http://zret.blogspot.com/2012/03/rinascimento-e-morte-delluomo.html

Rinascimento e morte dell’uomo

Molti uomini di oggi non hanno più neppure il coraggio della propria viltà.

"L'umanità non presenta un’evoluzione verso qualcosa di migliore o di più forte o di più elevato nel modo in cui oggi questo viene creduto. Il 'progresso’ è semplicemente un'idea moderna, cioè un'idea falsa. L'Europeo di oggi resta, nel suo valore, profondamente al di sotto dell'Europeo del Rinascimento; la prosecuzione di uno sviluppo non è assolutamente, per una qualsivoglia necessià, elevazione, potenziamento, consolidamento."(F. Nietzsche, L'Anticristo) Le parole del filosofo tedesco centrano il bersaglio: l’idea di progresso è uno pseudo-mito con cui abbiamo plastificato la nostra età tecnotronica. Vero è anche l’uomo rinascimentale fu superiore all’uomo contemporaneo: persino l’uomo del volgo era meno volgare del più distinto scienziatodi oggi.

Sebbene la cultura umanistico-rinascimentale vagheggi appunto una rinascenza dell’età classica, in realtà plasma una nuova civiltà il cui il valore precipuo risiede nella continuità-discontinuità con l’antico più che nella sua meccanica rivisitazione. Un esempio per tutti: mentre artisti e teorici educano l’occhio e la mente per costruire la prospettiva centrale, non riscoprono una tecnica pristina (la prospettiva antica era ottica ed empirica, non matematica), ma tracciano inedite coordinate visive e figurative.

E’ anche indubbio che la temperie rinascimentale riprende e riannoda i fili dispersi della Tradizione, rileggendola, però, alla luce di sistemi in fieri e, in una certa misura, di esigenze contingenti.

Ne scaturisce un mondo fecondo, versatile, dinamico, in cui le polarità dello spirito umano sono spesso conciliate. Molti intellettuali dell’epoca vivono una vita breve, ma intensa: essi bruciano le esperienze culturali più disparate, generando una fiammata che illumina il periodo tra XV e XVI secolo, con un barlume che rischiara la storia ancora per qualche decennio.

Nella storia, però, agiscono forze disumane che conducono l’umanità verso il baratro. Queste energie distruttive serpeggiavano già nell’Europa trecentesca, specialmente sotto la forma del mercantilismo (“la gente avida di sùbiti guadagni”). Così, intanto che l’Europa risplende per il lampo dei genii (pittori, architetti, poeti, scienziati…), il tarlo dell’usura rode i patrimoni e le coscienze.

Non è tuttavia solo la mentalità borghese a corrodere la marmorea bellezza della civiltà rinascimentale, poiché alcune ombre sono proiettate dalla luce stessa della razionalità. E’ destino delle epoche più inclini alla logica, nutrire in sé il delirio, l’aberrazione. Questo vale per il cosiddetto “secolo dei lumi”, ma in parte pure per il Rinascimento che non può soffocare la parte ctonia dell’uomo. La stessa pittura impeccabile e rigorosa di Piero della Francesca, pittura che non è un’immagine verosimile del reale, ma un’idealizzazione matematica, non eclissa, se non per una breve stagione, cupi orizzonti. L’idolatria della scienza, intesa come strumento di potere, è destinata a condurre all’hybris di Francis Bacon, al rigido dualismo di Cartesio. L’equilibrio tra natura e storia si rompe e l’uomo si atteggia a super-uomo, incarnando caratteristiche sub-umane.

Che l’equilibrio sia fragile è comunque dimostrato dagli atteggiamenti ondivaghi talora fino alla contraddizione di alcuni umanisti: si pensi a Leon Battista Alberti sulla cui nitida, armoniosa architettura, già germinano le disillusioni del "Momo". E’ in nuce la tendenza che porta alla riflessione sulla melancolia, sull’intellettuale saturnino: è la visione che disgrega dall’interno le certezze (e le illusioni) umanistiche. Nelle arti figurative soprattutto alle olimpiche creazioni rinascimentali, reagisce il Manierismo (Pontormo, Rosso Fiorentino, Giulio Romano…) con il suo gusto eccentrico, bizzarro, l’insofferenza per la regola e la misura. Lo stesso “quadrato” Piero della Francesca, con "La flagellazione di Cristo”, dipinge uno dei quadri più enigmatici e densi di sapere esoterico dell’intero Rinascimento. Essoterismo e filigrana iniziatica convivono in molti autori. L’arte (pittori ferraresi) e la scienza si sostanziano di valori alchemici, astrologici, magici, fino alla tabula rasa del simbolico operata da Galilei e dai suoi epigoni. Il movimento centrifugo non degrada l’uomo, piuttosto lo riconduce ad una concezione più realistica e sofferta, poiché l’antico non può sic et simpliciter rinascere. Inoltre l’uomo decade se oblia la scintilla divina, ma specialmente se crede di innalzarsi a dio.

E’ dunque un bilanciamento precario ed effimero a donare all’Europa un periodo splendido: la caduca concilazione tra ragione e follia, tra Cristianesimo e Neoplatonismo, tra umanesimo cortigiano ed umanesimo civile, tra città e contado, tra disinteresse ed amministrazione ocutata del denaro… si spezza. Soprattutto si perde la simbiosi tra teoria e prassi, sicché da un lato si sviluppano uomini tutti mentali, dall’altro esseri tutti ilici: la frattura tra anima e corpo produce creature scisse, monche, in cui le pulsioni naturali non sono sublimate ma represse. [1]

La coscienza un po’ alla volta si intorpidisce, vuoi per il freddo razionalismo che culmina in Cartesio vuoi per la raison d’état vuoi per il fanatismo luterano-calvinista e controriformistico, istanze cui è costretta ad adeguarsi la società, nonostante nobili eccezioni e nobili ribellioni (Bruno, Caravaggio etc.).

Più dell’irrazionalità che s’insinua nelle concezioni estetiche e negli animi, è la logica del dominio e del profitto ad oscurare il senso: la Banca svedese è fondata nel 1656 e la Banca d’Inghilterra nel 1694. Il potere del denaro, alimentato da un’oscura pulsione di morte, si rafforza sino a soggiogare l’interiorità prima che il mondo. Il dominio suscita rivolte: la rivolta romantica e, più tardi, quella decadente pur ambigua, esprimono il rifiuto della modernità e dei suoi disvalori, ma ormai ai denari sono saldati, in un invincibile connubio, l’industrialismo e la tecnologia che sono adulterazione della natura lato sensu. Perciò il rifiuto diventa velleitario, impotente. Eppure, nella sua impotenza, oggi più isolata che solitaria, gli uomini (se ancora ne sopravvivono) riscoprono ed affermano l’unica dignità: il culto della verità e della bellezza.

[1] Circa questa frattura si leggano le sagaci osservazioni di Leopardi nello “Zibaldone”.

Articolo correlato: G. Ranella, Il senso della Tradizione, 2012

Saturday, January 14, 2012

Un’esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2012/01/unesperienza-di-pre-morte-raccontata-da.html

Un’esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (prima parte)

Gregorio Magno nei “Dialogi” riferisce un episodio meraviglioso che oggi definiremmo, usando l’espressione coniata dal dottor Raymond Moody Jr, “esperienza di pre-morte”. [1] E’ proprio Moody Jr a riportare il passo tratto dai “Dialogi”, per dimostrare che le near death experiences non sono un fenomeno peculiare dei nostri tempi, poiché se ne rintracciano testimonianze anche nell’antichità (si pensi al cosiddetto mito di Er, dipanato da Platone nella “Politeia”) e nel Medioevo. In effetti, l’aneddoto inserito nell’interessante saggio “La vita oltre la vita”, manifesta non pochi tratti tipici dei resoconti dovuti ai “redivivi”, sebbene in un’ottica religiosa, laddove le dichiarazioni dei “resuscitati” attuali sono pervase da una spiritualità alquanto lontana dai dogmi delle religioni positive. Gli stadi delle esperienze al confinetra la vita e la morte, sono stati individuati dagli studiosi e così, di solito, elencati:

- Cessazione dell'attività cardiaca

- Uscita dal corpo fisico e collocazione del corpo astrale sopra la posizione reale del soma

- Visione degli eventi che occorrono nella sala operatoria ed impossibilità di comunicare con le persone ivi presenti

- Sensazione di un benessere indescrivibile

- Viaggio improvviso attraverso l'oscurità (spesso descritta come tunnel) con allontanamento dalla zona in cui è posto il corpo fisico

- Esame e considerazione delle esperienze della propria vita

- Ingresso in un luogo ricco di particolari luminosi e colorati, con sensazioni di serenità e di amore che avvolgono il nuovo arrivato

- Incontro con entità disincarnate, che possono essere i propri congiunti già deceduti o entità spirituali ignote, o divinità della propria religione

- Ritorno, spesso contro voglia, nel proprio corpo fisico, dopo l'avvertimento di non aver ancora concluso la propria avventura terrena

- Riluttanza a raccontare ad altri il tipo di avventura vissuta

- Nuovo modo di concepire la morte

- Nuova scala di valori

- Cambiamento del modo di vivere [2]

Gregorio Magno racconta di un soldato che ritorna dalla “morte”: vivida è la raffigurazione dell’aldilà e della sorte d’un uomo d’affari, Stefano, originario di Costantinopoli. La relazione, che manifesta molte analogie con i vissuti dei “resuscitati” esaminati da Moody e da altri ricercatori, se ne discosta, laddove è rappresentato il ponte, struttura che, nella tradizione mazdea ed islamica, lo spirito del defunto attraversa. Se costui è malvagio, il ponte si assottiglia sempre più, finché l’anima precipita nell’Ade, se il trapassato è un giusto, invece, avanza senza difficoltà verso il Paradiso. Archetipi, reminiscenze di episodi realmente vissuti, invenzioni letterarie? Ciascuno giudichi liberamente.

[1] Gregorio I Magno (Roma, 540- ca 604), papa dal 590 all’anno della morte, di famiglia patrizia, fu prefetto di Roma (573) e, dopo la conversione alla vita monastica (578), diacono e nunzio di Pelagio II a Costantinopoli, alla corte del basiléus Tiberio. Eletto al soglio pontificio, valorizzò l’esperienza politico-amministrativa acquisita, riordinando il patrimonio della Chiesa, provvedendone ai bisogni di Roma colpita dalla peste e minacciata dai Longobardi. Inviò in Britannia, ai fini di evangelizzare l’isola, una missione di monaci guidata da Agostino, il futuro arcivescovo di Canterbury. Delle sue numerose opere si ricordano le Epistole, in 14 libri, i Dialogorum libri IV de vita et miraculis patrum Italorum et de aeternitate animarum, notevoli per la biografia di Benedetto da Norcia, il Liber regulae pastoralis, dove è delineato il ritratto del “perfetto vescovo”, un commento in 35 libri a Giobbe (Moralia in Iob), numerose omelie. Scritte in uno stile piano ed elegante, le opere di G.M. esercitarono un influsso determinante sulla cultura del Medioevo.

[2] Un’altra scansione, più concisa e che differisce in un solo aspetto, comprende le seguenti tappe: percezione di un suono, attraversamento di una galleria, senso di pace, inesprimibilità, abbandono dellinvolucro materiale, assunzione del corpo “sottile”, incontro con esseri spirituali, colloquio con l’essere di luce, film della vita, ritorno sulla terra.

Monday, July 25, 2011

La teoria dell’universo olografico: alcune implicazioni filosofiche

http://zret.blogspot.com/2011/07/la-teoria-delluniverso-olografico.html

La teoria dell’universo olografico: alcune implicazioni filosofiche

Per teoria dell’universo olografico si intende un modello interpretativo della realtà, secondo cui il mondo fenomenico è una proiezione priva di consistenza “oggettiva” ed in cui ogni parte contiene il tutto. Formulata dallo scienziato David Bohm, ripresa, con qualche variante da altri ricercatori, tale sistema è, mutatis mutandis, radicato in antiche concezioni (si pensi ai Veda) e dottrine filosofiche. Il visionario scrittore statunitense Philip K. Dick ne elaborò un’originale interpretazione.

Non approfondisco i capisaldi di tale teoria e di visioni contigue, perché li ho già discussi in parecchi articoli cui rimando, ma vorrei qui puntualizzarne alcune implicazioni.

E’ opportuna in primo luogo una riflessione linguistica: la materia è illusione (maya). Ora il termine “illusione” vale letteralmente “gioco interno” (da in e ludere): ne consegue che gli oggetti “là fuori” sono in verità nel nostro cervello. Nel cervello, che non è colpito dalla luce (fotoni), si formano le immagini delle cose che erroneamente collochiamo fuori di noi.

Sino a qui la teoria, pur contraria al senso comune che non solo distingue tra interno ed esterno, ma che attribuisce all’esterno autonomia rispetto alla coscienza, è ancora intuitiva. Diventa, però, contro-intuitiva nel momento in cui lo stesso cervello viene assimilato a tutti gli altri “oggetti”, poiché l’encefalo è visto come un elemento fallace proiettato da un quid che Bohm definisce “ordine implicito”.

Non è quindi il cervello a generare la “realtà”, ma una sorta di coscienza transpersonale: è come se Dio proiettasse le figure e gli eventi di un sogno (o incubo?). Figure ed eventi sono simulacri che gli uomini scambiano per oggetti e fatti “concreti”. Gli uomini si limitano ad osservare la pellicola quadridimensionale della creazione.

Vogliamo trarne alcune inevitabili conclusioni? Il libero arbitrio non esiste, giacché non è l’uomo con il suo cervello a generare una porzione di realtà, ma è un’unica coscienza (affine ad un elaboratore organico?) che la produce. Non solo, l’individuo non può in nessun modo incidere sugli avvenimenti e le cose. Ogni sua azione, sebbene egli non ne sia consapevole, è simile a quella di uno spettatore che in una sala cinematografica pensasse di poter interagire con gli attori del film, rivolgendosi loro, o di poter cambiare l’intreccio, magari tentando di strappare la pistola al marito-attore che sta per uccidere la moglie-attrice, rea di averlo tradito con un altro.

La teoria dell’universo olografico quindi consuona con la forma più radicale di fatalismo che si possa immaginare. Introdurre il concetto di libera volontà significherebbe disintegrarne la logica, dunque costruire un modello incompatibile con quello di cui in parola.

In questo modo l’etica risulta compromessa per due motivi: ogni azione è agita da Qualcos’altro estraneo al soggetto percipiente. Ogni azione plasma e modifica un mondo non solo già plasmato e modificato da un Altro, ma persino di per sé inconsistente ed inesistente. Intervenire su tale realtà è ininfluente, privo di significato morale, perché la realtà materiale non esiste. Parafrasando Dostoevskij, si potrebbe scrivere: “Se non esiste la materia, tutto è lecito”. E’ come se una persona fosse incarcerata per aver ucciso un suo nemico in un sogno! Come si può essere moralmente responsabili di aver assassinato un essere che è solo un’ombra?

Sono situazioni paradossali che, però, non si possono ignorare, se si vuole analizzare ed illustrare la teoria dell’universo olografico in modo rigoroso. Non è facile ignorare tale sistema che scaturisce da un’indagine coerente dell’infinitamente piccolo, cosmo rarefatto ed impalpabile, quasi sull’orlo del nulla, oltre che da una convergenza con molte dottrine tradizionali, senza dimenticare alcune conferme empiriche.

Ne consegue che l’etica si può solo basare su un postulato della ragion pratica e su un rifiuto della teoria dell’universo olografico. Tale rifiuto implica l’elaborazione di un sistema dualista con tutte le aporie che le filosofie dualiste implicano, benché anche i modelli monisti (come la teoria dell’universo olografico) incorrano in sfide concettuali non meno ostiche.

Molti altri aspetti meriterebbero di essere almeno sfiorati: qual è la natura della dimensione onirica all’interno di un cosmo olografico? Come inscrivere i sogni nel Sogno? E’ possibile conciliare tale teoria con altre che attengono alla sfera fenomenica? Se sì, a quale prezzo? Dove si situa il male in questo asettico, perfetto disegno concettuale? Altri potrà provare a rispondere a questi ed altri quesiti vertiginosi che snocciolo come altrettante sciarade.

Va rilevato che questo sistema è l’unico, tra gli schemi scientifici, che tenta di inoltrarsi nel non-manifesto, di cui non sappiamo in verità nulla e sul quale si possono formulare solo ipotesi non falsificabili. Quindi da teoria scientifica tende a configurare una dottrina filosofica.

Alla fine, lo scetticismo di Pirrone, che andava a sbattere contro gli alberi, non disponendo di un criterio di verità da cui arguire che gli alberi esistono e che sono lì dove li vediamo, pare inevitabile. Infatti non sappiamo né possiamo sapere se l’albero esista né se sia lì né perché né come etc.

Il nostro tragico destino è quello di andare a sbattere contro la vita, assai più dura e ruvida degli alberi pirrroniani.


[1] Differente è la terminologia con cui i diversi scienziati individuano questo quid: ad esempio l’italiano Sergio Corbucci lo chiama “vuoto quantomeccanico”. Giustamente Luigina Marchese preferisce definirlo “nulla”: è il nulla, infatti, a partorire il tutto. Come ciò possa avvenire, in violazione del principio del terzo escluso, con l’equazione 0 = 1, non possiamo né comprendere né spiegare, ma è un dato che può essere solo constatato.


[2] L’essere è: nessuno ha mai chiarito in modo persuasivo “perché l’essere, invece del non essere”.

Qui un'ampia e perspicua descrizione della teoria.


Saturday, June 25, 2011

Bufala

http://complottisti.blogspot.com/2011/06/bufala.html

Bufala

Nell'attuale società, il disfacimento del linguaggio è al tempo stesso causa e conseguenza del declino generale, comunque ne è uno specchio fedele. Tra i tanti esempi che denunciano una crisi irreversibile del pensiero è l'uso improprio di vocaboli il cui valore è completamente stravolto in una commistione di saccenteria ed ignoranza.

Pensiamo al termine "teoria": la "teoria" è un modello interpretativo della realtà. Purtroppo è invalso di adoperare tale parola come sinonimo di "opinione", "idea", ma siamo in presenza di un uso dozzinale, per lo meno inidoneo, poiché una teoria, essendo una formulazione e sistemazione di principi generali di una scienza o di una sua parte, o di una dottrina filosofica, implica un'esegesi della realtà, una peculiare visione del mondo. Infatti il lessema in questione discende dal verbo greco "theoreo" che vale "guardare", "osservare". [n.d.eSSSe - da wiki: Il termine teoria (dal greco θεωρέω theoréo "guardo, osservo", composto da θεά theà, "dea" e ὁράω horào, "vedo") indica, nel linguaggio comune, un'idea nata in base ad una qualche ipotesi, congettura, speculazione o supposizione, anche astratte rispetto alla realtà.]

Tralasciamo i problemi spinosi dell'antitesi e talora intersezione tra modelli e "fatti, tra teoria e prassi, dobbiamo ribadire che la prima è una concezione, un tentativo di organizzare dati e fenomeni per includerli in un corpus. E' evidente che tale organizzazione è selettiva, ossia alcuni aspetti della realtà vengono scartati, affinché non minino la coerenza del quadro di riferimento. Inoltre, come ci insegnano Feyerabend e Kuhn, le teorie sono paradigmi, non scevri di declinazioni (e derive) ideologiche, paradigmi che possono essere superati o addirittura negati, attraverso salti che generano discontinuità.

E' chiaro che le teorie sono astrazioni con cui si tenta di razionalizzare la realtà, di estrapolare un disegno da una congerie di elementi disparati ed eterogenei. Non ci si avvalga dunque del termine teoria per indicare un'ipotesi che è, invece, una proposizione, un dato iniziale ammesso provvisoriamente per servire di base ad un ragionamento, ad una dimostrazione, ad una spiegazione e che sarà giustificato dalle conseguenze, dall'esperienza.

Si eviti di riferirsi ad un complesso di fenomeni osservati come ad una teoria: è così del tutto errata la dicitura "teoria delle scie chimiche", poiché le attività chimico-biologiche confluiscono in un contesto empirico, coincidono con un riscontro, avulsi da una visione del mondo, sebbene possano fornire indizi per l’interpretazione di particolari eventi.

Quanto più una teoria è generale e tenta di dar conto di un amplissimo settore dell'universo, tanto più essa è astratta e filosofica, laddove l'empiria è situata agli antipodi delle strutture concettuali. Dunque al vertice dei sistemi teorici troviamo gli impianti deduttivi della matematica, contrapposta alle discipline ancorate alla percezione, all'analisi ed alla classificazione dei fenomeni. In modo opportuno il matematico e pensatore britannico, Alfred North Whitehead (1861-1947), nota che la filosofia prende le mosse dalla complessa e multiforme esperienza della vita per tentarne una generalizzazione teorica, consapevole che ogni teoria è un “azzardo” ed una semplificazione ideale ed inadeguata, bisognosa di continui aggiustamenti.

Si apprezzi l’atteggiamento anti-dogmatico e dinamico della concezione dovuta a Whitehead.

Chi confonde teoria, ipotesi, dottrina, osservazioni, esperienze, pareri... in un unico calderone, non ha compreso alcunché di temi epistemologici e linguistici ed è d'uopo che si dedichi, se ne è capace, ad allevare bufale. Almeno acquisirà dimestichezza con bufale reali e ci risparmierà le sue sgrammaticate elucubrazioni.


Wednesday, June 1, 2011

Teoria

http://zret.blogspot.com/2011/06/teoria.html

Teoria

Nell'attuale società, il disfacimento del linguaggio è al tempo stesso causa e conseguenza del declino generale, comunque ne è uno specchio fedele. Tra i tanti esempi che denunciano una crisi irreversibile del pensiero è l'uso improprio di vocaboli il cui valore è completamente stravolto in una commistione di saccenteria ed ignoranza.

Pensiamo al termine "teoria": la "teoria" è un modello interpretativo della realtà. Purtroppo è invalso di adoperare tale parola come sinonimo di "opinione", "idea", ma siamo in presenza di un uso dozzinale, per lo meno inidoneo, poiché una teoria, essendo una formulazione e sistemazione di principi generali di una scienza o di una sua parte, o di una dottrina filosofica, implica un'esegesi della realtà, una peculiare visione del mondo. Infatti il lessema in questione discende dal verbo greco "theoreo" che vale "guardare", "osservare".

Tralasciamo i problemi spinosi dell'antitesi e talora intersezione tra modelli e "fatti, tra teoria e prassi, dobbiamo ribadire che la prima è una concezione, un tentativo di organizzare dati e fenomeni per includerli in un corpus. E' evidente che tale organizzazione è selettiva, ossia alcuni aspetti della realtà vengono scartati, affinché non minino la coerenza del quadro di riferimento. Inoltre, come ci insegnano Feyerabend e Kuhn, le teorie sono paradigmi, non scevri di declinazioni (e derive) ideologiche, paradigmi che possono essere superati o addirittura negati, attraverso salti che generano discontinuità.

E' chiaro che le teorie sono astrazioni con cui si tenta di razionalizzare la realtà, di estrapolare un disegno da una congerie di elementi disparati ed eterogenei. Non ci si avvalga dunque del termine teoria per indicare un'ipotesi che è, invece, una proposizione, un dato iniziale ammesso provvisoriamente per servire di base ad un ragionamento, ad una dimostrazione, ad una spiegazione e che sarà giustificato dalle conseguenze, dall'esperienza.

Si eviti di riferirsi ad un complesso di fenomeni osservati come ad una teoria: è così del tutto errata la dicitura "teoria delle scie chimiche", poiché le attività chimico-biologiche confluiscono in un contesto empirico, coincidono con un riscontro, avulsi da una visione del mondo, sebbene possano fornire indizi per l’interpretazione di particolari eventi.

Quanto più una teoria è generale e tenta di dar conto di un amplissimo settore dell'universo, tanto più essa è astratta e filosofica, laddove l'empiria è situata agli antipodi delle strutture concettuali. Dunque al vertice dei sistemi teorici troviamo gli impianti deduttivi della matematica, contrapposta alle discipline ancorate alla percezione, all'analisi ed alla classificazione dei fenomeni. In modo opportuno il matematico e pensatore britannico, Alfred North Whitehead (1861-1947), nota che la filosofia prende le mosse dalla complessa e multiforme esperienza della vita per tentarne una generalizzazione teorica, consapevole che ogni teoria è un “azzardo” ed una semplificazione ideale ed inadeguata, bisognosa di continui aggiustamenti.

Si apprezzi l’atteggiamento anti-dogmatico e dinamico della concezione dovuta a Whitehead.

Chi confonde teoria, ipotesi, dottrina, osservazioni, esperienze, pareri... in un unico calderone, non ha compreso alcunché di temi epistemologici e linguistici ed è d'uopo che si dedichi, se ne è capace, ad allevare bufale. Almeno acquisirà dimestichezza con bufale reali e ci risparmierà le sue sgrammaticate elucubrazioni.



Monday, January 10, 2011

Genesi biblica (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2011/01/genesi-biblica-prima-parte.html

Genesi biblica (prima parte)

“Genesi biblica. Evoluzione o creazione? Caino è la chiave del mistero”, Belluno, 2007, è un singolare saggio scritto da don Guido Bortoluzzi (1907-1991). Ad esser precisi, l’opera ambisce a presentarsi come una rivelazione ricevuta da don Guido, intemerata e schietta figura di sacerdote nato a Farra d’Alpago (Belluno): infatti il Signore avrebbe comunicato al parroco, per mezzo di visioni, la verità sulle origini del genere umano a spiegazione ed integrazione del Genesi. Corre l’obbligo di non ignorare questo titolo, benché non sia imperniato su una mera ricerca, considerato l’interesse dei temi trattati e le pur parziali convergenze con recenti indagini genetiche, paleontologiche e storico-archeologiche.

Vediamo di riassumere le singolari tesi del libro. Dio creò il primo Uomo puro e perfetto. Il “peccato originale” fu un rapporto procreativo avuto da Adamo con una specie inferiore che don Guido chiama “ancestri”. Il frutto di tale trasgressione, compiuta solo da Adamo, non da Eva, fu un’ibridazione della specie umana perfetta. La prima Donna era perfetta ed innocente perché bambina quando fu commesso il peccato originale. Il marchio che rendeva riconoscibile Caino, rampollo misto di Adamo, era la parola, l’unico segno umano percettibile. L’ibridazione della specie umana, discendente da Caino, provocò una corruzione delle successive generazioni a tal punto che gli ibridi assunsero i caratteri di ominidi. Tuttavia ripetuti interventi rigeneratori di Dio portarono l’uomo alla sua rievoluzione fino ad essere in grado, nella pienezza dei tempi, di accogliere la Redenzione. Va puntualizzato che Eva apparteneva alla specie inferiore degli ancestri: ella non fu la vera moglie di Adamo, ma una partner occasionale in una copula non lecita, da cui nacque Caino, laddove la prima Donna che al tempo del peccato aveva solo un paio d’anni e che, crescendo, diventò la sposa legittima del Capostipite, fu completamente estranea a qualsiasi colpa. Ecco perché la tradizione ebraica menziona due mogli del Protoplasta: Lilith (Eva) che generò mostri e diavoli (ibridi) ed una consorte, la Donna che diede alla luce, gli uomini, i Figli di Dio. Costoro si invaghirono delle figlie degli uomini, i mescolati, sicché, unitisi a quelle donne, la specie pura risultò inquinata.

Eva, femmina ancestre, era bianca di pelle e glabra: fu creata da Dio come esemplare unico. Ella partorì la Bambina, ossia la futura sposa dell’Archegete. La Bambina fu “tratta dalla costola di Adamo”, cioè dal suo seme, mentre egli era sprofondato nel sonno: Dio creò nella matrice di Eva “un gamete perfetto della specie dei Figli di Dio che, unendosi al gamete del Progenitore, diede vita alla prima cellula della bellissima Neonata”.

Se ho ben interpretato il complesso quadro delineato dall’autore, Eva fu usata come ospite per generare la Donna, come ponte tra una specie di ominidi e la specie umana.

Centrale è in questa ricostruzione, la simbologia dei due alberi citati nel Genesi: stando allo scrittore,
l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male è la linea genetica (il philon) degli ancestri rappresentata dalla femmina Eva: fu albero del Bene "quando per volontà di Dio era stato conosciuto da Adamo nel sonno e fu concepita la Bambina; divenne albero del Male, quando Adamo ebbe con Eva un rapporto di conoscenza sessuale al di fuori del progetto di Dio.” In tale esegesi, Eva ed il Serpente, animale metafora dell’ancestre fattrice, coincidono.

Come giudicare l’interpretazione di “Genesi biblica”? Si sarebbe tentati di liquidare il tutto come un insieme di idee fantasiose, soprattutto perché disancorate dal
testo biblico di cui sembrano una rielaborazione. Tuttavia i contenuti del saggio sono altrettanti spunti per tentare di gettare un po’ di luce su una materia intricatissima, in cui confluiscono scienze ed approcci disparati.

Aveva ragione Edgar Allan Poe che, nel racconto “La lettera rubata”, ci spinge a riflettere su come ciò che è davanti agli occhi è spesso invisibile. Rileggiamo la Bibbia: noteremo che, sebbene Elohim abbia proibito ai Protoplasti di nutrirsi del frutto che cresce sull’albero della Conoscenza, Eva mangia il pomo dell’albero della Vita al centro del giardino! Quale violazione ella, che comunque fraintende il divieto, commise, se Elohim aveva vietato di mangiare il frutto di un’altra pianta, frutto che Eva, obbedendo alla prescrizione divina, non gustò?

Bisogna qui ricordare che, per quanto mi consta, è stato Alessandro De Angelis, a cogliere l’incongruenza biblica, la confusione tra i due alberi.

I passi biblici, di seguito riportati, dimostrano quanto evidenziato.

“Dio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l'uomo che aveva formato. Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. […] Dio poi ordinò all'uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché, nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai».

[…] Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?» La donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete"». Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che, nel giorno in cui ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».

La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei ed egli ne mangiò”.




Tuesday, September 21, 2010

Simboli

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Simboli

L'uomo è un animale simbolico. La lingua, che connota la specie Sapiens sapiens, è un fenomeno la cui genesi resta enigmatica. Infatti la lingua è un sistema che implica numerose articolazioni e corrispondenze: la biologia da sola non può spiegare né la nascita del codice né la sua complessità. Il codice è basato su segni e su modi di funzionamento. Sebbene non sia corretto considerare il segno un vero e proprio simbolo, essendo il simbolo un archetipo, un "serbatoio" pressoché inesauribile di sensi, è vero che il segno è l'unione di un significante e di un significato. Tale congiungimento è ben espresso dal verbo greco "synballein", che vale letteralmente "gettare insieme", quindi "unire".

E' presumibile che valori simbolici siano insiti nell'uomo inteso come specie: schemi innati, attraverso varie trasformazioni, generano modelli comunicativi. E' verosimile che il D.N.A. - non a caso definito codice genetico - giochi il suo ruolo nella costruzione del linguaggio. Così gli idiomi naturali potrebbero essere il risultato di una convergenza tra strutture a priori e fenomeni appresi durante la vita. Non è tanto, però, una sinergia tra biologia e cultura, quanto una concordanza tra categorie primarie (trascendentali?) ed influssi socio-culturali. Nell'ambito di queste concezioni, il celebre incipit del Vangelo detto di Giovanni, assume una particolare valenza: "In principio era il Logos" si può leggere anche come "In principio era il linguaggio, l'informazione?".

La quintessenza della lingua pare possedere una natura metafisica e, rispetto a De Sausurre ed ai suoi epigoni che vedono nella langue un sistema arbitrario di correlazioni, ha ragione Gadamer che considera le espressioni linguistiche motivate. E' vero che "albero" in inglese è "tree", in greco è "dendron", in latino "arbor" etc. Queste differenze strutturali, però, non dimostrano la totale convenzionalità del rapporto tra segno ed oggetto, poiché è quasi sempre possibile individuare delle connessioni profonde tra il termine e l'oggetto.

Semplificando, si potrebbe distinguere tra simboli elementari (i segni, volgarmente "parole") ed i simboli complessi: se l'origine dei primi è difficile da conoscere, il discorso vale ancora di più per i simboli complessi, ossia le immagini stratificate, plurivoche, dense, gli archetipi sedimentati nel superconscio e che si palesano nell'arte, nelle esperienze oniriche, nei disegni dei bambini… Esistono simboli elementari inclusi in simboli complessi, come tante scatole cinesi.

Riprendo l’esempio dell’albero. In Genesi sono menzionati due alberi del Paradiso: l’albero della Scienza e l’albero della Vita. Ora è evidente che il vocabolo “albero” è qui un simbolo elementare, ossia il lessema che designa un preciso referente composto da radici, tronco, rami, foglie etc. E’ altresì palese, però, che nel contesto biblico, i due alberi sono emblemi.

René Guénon, richiamandosi soprattutto agli studi di Louis Charbonneau-Lassay, ricorda che l’albero della Vita è l’Axis Mundi, il Centro del Mondo, mentre l’albero della Conoscenza esprime la dualità cosmica. E’ questa un’esegesi ancorata ai valori della Tradizione. Tuttavia, a causa della ricchezza semantica che contraddistingue i simboli, continuamente nutriti di nuovi significati, un po’ come il mare che riceve le acque di fiumi, torrenti e piogge, gli alberi della Genesi forse evocano pure qualcos’altro né si deve dimenticare che alcune almeno apparenti anomalie del racconto biblico esigono un continuo aggiustamento delle ipotesi ermeneutiche ed una rilettura degli influssi storici e culturali.