L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, December 22, 2015

Dalla Fenicia al New Mexico


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Io allotrio, tu allotrii, egli allotria...


https://archive.is/RP8tP

Thursday, December 17, 2015

Tuesday, May 19, 2015

Origini e fine del contratto sociale

http://zret.blogspot.ch/2015/05/origini-e-fine-del-contratto-sociale.html

Origini e fine del contratto sociale



Non si può individuare alcuna genesi del contratto sociale: non è mai accaduto che una comunità primordiale si sia riunita per concordare i criteri sui quali fondare lo Stato. Esso è simile alle sabbie mobili: subito non ti accorgi nemmeno della loro esistenza; quando te ne avvedi, è troppo tardi: ormai sei intrappolato. Assomiglia pure ad un ficus strangolatore che con mortale lentezza avvolge le sue spire attorno ad altre piante.

Lo Stato sorge a danno degli uomini, sebbene ami ammantarsi di paludamenti etici, giuridici e persino religiosi. Sorge a seguito di una volontà e coercizione unilaterale: si pensi alle élites antiche, un ceto di re-sacerdoti, di governatori e di condottieri che un po’ alla volta, sulla base di una concezione sacra del potere, gettano le fondamenta della comunità statuale. [1]

Così probabilmente nascono le città-stato dei Sumeri, così si afferma la dinastia egizia del primo faraone, Menes-Narmer. Se anche le pòleis primigenie sono talvolta amministrate in modo saggio, secondo princìpi nobili, la divisione del lavoro e la conseguente stratificazione sociale ratificano le diseguaglianze su cui lo Stato si fonda, sperequazioni che anzi sono l’architrave dell’edificio eretto dalle classi dirigenti.

La legge, l’esercito e la fiscalità sono i tre pilastri degli apparati. Nelle civiltà antiche la giustificazione del potere è radicata nella religione: ad esempio, YHWH è il Signore di un popolo il cui sovrano è consacrato dallo ierofante, mediatore tra il popolo e la divinità.

Oggi lo Stato dissacrato e dissacrante accampa la sua legittimità (del tutto usurpata), incarnando il ruolo di unico garante della “democrazia”. Alla finzione giuridica si associa l’immensa insincerità di uno Stato-genitore (in realtà patrigno) che, fingendo di occuparsi dei cittadini, allevandoli e proteggendoli, li stritola ope legis.

E’ palese che, stando così le cose, l’unico obiettivo desiderabile non è riformare una compagine in sé irriformabile, ma por fine allo Stato. L’unico fine che deve perseguire l’uomo degno di questo nome è la fine dello Stato.

[1] Sembra che alcune tribù di Nativi americani possano costituire un’eccezione.
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Friday, December 19, 2014

I comandamenti del commis

su alcuni punti della rosicata sarei quasi d'accordo, ma che fatica leggere 'sta roba...

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I comandamenti del commis


Di recente Roberto Benigni ha imbambolato un pubblico di bambocci con due puntate sui “dieci comandamenti”. La pantomima è rivelatrice di quanto sia radicata l’ignoranza. Per disquisire sul Decalogo e per commentarlo, bisognerebbe conoscere il soggetto e saperlo contestualizzare. In verità, la ciarlatanesca rassegna sulle leggi vetero-testamentarie è stata solo un pretesto per una pseudo-analisi della “politica” attuale, secondo criteri falsamente moralistici e pedagogici che trasudano ipocrisia e paternalismo. Benigni è un pessimo maestro, dolciastro e sciocco, incapace di comprendere anche solo il senso letterale dei testi che egli profana, mentre crede di interpretarli. Famigerate furono le sue dilettantesche e sacrileghe “lezioni” sulla Commedia dantesca.

Se solo ci si premurasse di consultare un manuale scolastico di storia, si eviterebbe di prendere certe sonore cantonate. I Comandamenti che i bambini imparano a catechismo sono il risultato di una lunga rielaborazione culminata con Agostino nel IV sec. d.C.: le regole partorite del vescovo di Ippona poco o punto c’entrano con i precetti dettati da YHWH al suo popolo. Per nessuna ragione al mondo YHWH si sarebbe sognato di stabilire l’assurda, insensata norma “Non desiderare la donna d’altri” che dapprincipio [o come direbbe strakky: d'apprincipio] doveva suonare più o meno così: “Non gettare il malocchio sulle donne e le cose altrui”.

Il comandamento più importante e disatteso oggi da quasi tutti i “cristiani” nel mondo verteva sul divieto di farsi immagini delle cose che esistono sulla terra ed in cielo e di adorarle. La chiesa nicena eluse questa proibizione per inventarsi un Decalogo a suo uso e consumo. Sull’esecrazione dell’idolatria chi oggi insiste tra gli esponenti del clero o chi soltanto vi accenna? Tra le varie norme oggi dimenticate, ma che il dio degli Ebrei riteneva significativa menzioneremmo almeno la seguente: “Non cuocerai il capretto nel latte della madre”.

Questo rapido excursus ci permette di capire che trapiantare credenze antiche nel presente, oltre a denotare crasso analfabetismo, causa danni interpretativi irreparabili. Ogni evento ed ogni fenomeno culturale devono essere collocati nel loro milieu e studiati in rapporto alle circostanze sociali, economiche, antropologiche, spirituali etc. in cui essi si situano. Diversamente si tradisce il passato e lo si strumentalizza per fini di propaganda o, nel migliore dei casi, di becero intrattenimento.

Così sbagliano coloro che credono di poter fondare la dottrina dell’immortalità dell’anima, del Paradiso e dell’Inferno, richiamandosi alla Bibbia, in special modo alla Torah. Nella Bibbia i termini “nephesh” e “ruach” che spesso sono resi con “anima” o “spirito” non designavano un’essenza individuale imperitura.

L’oltretomba biblico è lo Sheol, simile all’Ade omerico ed a quello dei Sumeri, una plaga brumosa dove i morti sono ormai privi di coscienza e di identità. Qualche breve rimando al Paradiso ed all’Inferno come luoghi, rispettivamente, di beatitudine e di dannazione si reperisce nel Nuovo Testamento, ma sono passi contraddetti da altri e di valore metaforico, insufficienti comunque a definire una topografia precisa dell’aldilà cristiano che non esiste.

Semmai lo studio comparato delle religioni ci dimostra che di solito le genti dell’antichità in origine concepirono l’oltremondo come un luogo indistinto per poi, un po’ alla volta, approdare ad una concezione in cui sono fissate per le anime immortali precise sedi dove esse dimoreranno post mortem nonché punizioni o ricompense.

Ciò precisato, è evidente che la milionaria dissertazione di Benigni sul decalogo è priva di qualsiasi valore culturale, anche soltanto divulgativo. Questo nonostante le tronfie lodi ed i lautissimi compensi con cui è stato incensato l’abominevole spettacolo.

A proposito comunque di comandamenti, ne vorremmo suggerire uno ed è questo: “Spegnete il televisore e non siate mai benigni con Benigni”.

Articolo correlato: I veri dieci comndamenti

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Thursday, October 9, 2014

Il cubo volante di Rimini (saranno arrivati i transformers in riviera)

http://zret.blogspot.ch/2014/10/il-cubo-volante-di-rimini.html

Il cubo volante di Rimini


Il recente libro di Carlo Di Litta e Quinto Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, contiene un interessante rapporto a proposito di un avvistamento U.F.O. Carlo Di Litta riferisce di un oggetto volante dall’inusuale forma cubica. L’ordigno fu scorto e fotografato nel cielo di Rimini il giorno 15 giugno del 2011, alle ore 21:30, durante l’eclissi di Luna.

Nel capitolo dedicato al caso, giustamente Carlo Di Litta disquisisce sui significati simbolici ed esoterici del cubo. A questo solido geometrico consacrammo un breve articolo, Cubo, dove scrivemmo:

“L’arca che Ziusudra, re di Shuruppak, (il Noè biblico) costruì, su consiglio del dio Enki, aveva la forma di un cubo, con ciascun lato di 120 cubiti. Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di Dio, era un parallelepipedo: 150 cubiti di lunghezza per 30 di altezza e 50 di larghezza. […]

L’arca di Ziusudra era dunque un gigantesco dado che è l’espressione simbolica tridimensionale del quadrato, adombrando tutto ciò che è saldo e durevole. Tra i corpi regolari, Platone assegna al dado l’elemento terra. Nell’alchimia è in relazione alll’elemento “sal” come principio del concreto. La Gerusalemme celeste, città ideale dell’Apocalissi attribuita a Giovanni (21-16,17) è cubica: “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della città sono eguali”. I suoi lati sono di 12.000 stadi (2200 km), un corpo perfetto sulla base del numero 12. E’ un cubo pure la Kaaba, nel santuario della Mecca: ivi è custodita la pietra divenuta nera per i peccati degli uomini.[…]

Secondo l’ipotesi di David Wilcock, il cubo di Ziusudra potrebbe essere uno stargate, grazie al quale il re sumero riuscì a mettere in salvo sé stesso, i congiunti e gli animali, seguendo le istruzioni del dio Enki (Ea). Wilcock nota che l’ipercubo (o n-cubo), forma geometrica regolare inclusa in uno spazio di quattro dimensioni, secondo gli studi pionieristici di alcuni scienziati, si lega alla fisica iperdimensionale, dunque alla possibilità di varcare il confine del nostro universo per accedere ad un altro piano”.

Invero, l’U.F.O. immortalato da Carlo Di Litta in alcuni suggestivi scatti, è sì un dado, ma proteiforme. Dalle immagini si nota che esso cambia colore (fenomeno frequente nella letteratura) nonché aspetto, delineando dei grafemi riconducibili a talune lettere dell’alfabeto ebraico.

In particolare si possono riconoscere i grafemi ח (Chet, Heth, Khe: recinto per il bestiame); ת (Tav, giogo); צ (Tzadi, Sade, Gufo).

Non sorprenda la correlazione tra antichi idiomi (sumero, aramaico, ebraico…) e presunte civiltà aliene. (Si legga A. Marcianò, La lingua dei visitatori, in "X Times" n. 39, gennaio 2012).

Vediamo i significati emblematici dei segni sopra citati.

La lettera ח, Heth, ha valore numerico 8. Essa rappresenta la trascendenza, la grazia divina e la vita. Il numero otto simboleggia la capacità dell'uomo di trascendere (andare oltre) i limiti dell'esistenza fisica (Maharal).

La lettera ת, Tau, ha valore numerico 400; è simbolo di verità e perfezione. Tau sta per ’æmet (verità). Contrariamente a molti altri casi, in cui è la prima lettera del nome a conferire il significato, nel caso di ’æmet (verità), l'ultima lettera, Tau, lega il sostantivo al nucleo semantico. La verità è eterna, ma quando le viene tolta la ’alef, che è il più piccolo valore di ’æmet, allora rimane la Met (morte). Probabilmente la valenza di questo grafema-fonema risale al concetto egizio di Maat, giustizia, equilibrio, misura. E’ plausibile, come sostengono molti specialisti, che la tradizione ebraica, incluso l’alfabeto, affondi le sue radici in un substrato sumero ed egizio.

La lettera צ, Ṣade, possiede valore numerico 90. Questo grafema richiama la giustizia e l’umiltà. Ṣade sta per Ṣaddîq, il Giusto, riferendosi a Dio che è chiamato Ṣaddîq we yašār, il Giusto e Retto – Deut.32:4. Ṣaddîq è anche usato per definire l'uomo che emula l’equità di Dio, conducendo una vita integerrima.

E’ notevole lo spunto che ci offre Carlo Di Nitta nel momento in cui coglie il sorprendente parallelismo tra le configurazioni dell’oggetto non identificato ed alcune caratteri ebraici. Esseri non terrestri vollero codificare un messaggio attraverso segnali nel cielo? E’ corretto evocare i significati metaforici di certi segni o bisogna attenersi all’ambito letterale?

Auspichiamo ulteriori indagini per opera di di glottologi e di ufologi.

Fonti:

C. Di Litta, Q. Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, 2014, pp. 153-155
Enciclopedia dei simboli, Milano, 1991


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Sunday, August 17, 2014

The objective

 
http://zret.blogspot.ch/2014/08/the-objective.html

The objective

Sunday, May 25, 2014

Dall'Eden all'Inferno

http://zret.blogspot.it/2014/05/dalleden-allinferno_24.html

Dall'Eden all'Inferno


Francesca Stavrakopoulou, biblista ed archeologa, appartiene a quel nutrito novero di studiosi che si approccia alla Torah secondo una rigorosa metodologia critica. Le sue ricerche in loco l’hanno condotta a chiedersi quale fu la vera natura dell’Eden, se gli antichi ebrei adoravano anche una divinità femminile [zretino, anche tu dovresti adorare la divinita' femminile...], se il regno di David fu leggendario…

Tra le varie investigazioni, quella sul giardino dell’Eden è forse la più gravida di conseguenze per una visione complessiva del testo sacro e delle interpretazioni successive. La Stavrakopoulou, comparata la cultura ebraica con le testimonianze archeologiche, storiche ed iconografiche di altri popoli medio-orientali dell’antichità, propende per l’identificazione dell’Eden con un manufatto architettonico, per la precisione con il tempio di Gerusalemme, costruito su progetto dell’architetto fenicio Hiram per volontà del re Salomone. L’ipotesi può apparire audace, soprattutto perché un tempio non è un verziere: tuttavia l’edificio era adornato con motivi vegetali (foglie di palma, melegrane etc.) e, da un punto di vista metaforico, può essere considerato il giardino di YHWH, la sua dimora.

Ha ragione la biblista, quando interpreta i Cherubini del Paradiso terrestre come ieratiche figure antropozoomorfe riconducibili a sculture simili con cui i re della Mezzaluna fertile abbellivano palazzi e templi. La Stavrakopoulou ritiene che la storia di Genesi non riguardi i progenitori di tutta l’umanità, ma solo un’etnia ed i suoi miti di fondazione. Lo stesso Adamo adombrerebbe un re giudeo detronizzato da un avversario più potente. Questa ci sembra un’esegesi forzata che soprattutto cancella lo sfondo senza dubbio sumerico di Genesi.

A ragione Zecharia Sitchin, Biagio Russo et al., come è notorio, reputano l’Eden un luogo coltivato. Il termine probabilmente origina dall'ugaritico 'dn', con il significato di "posto in cui scorre molta acqua", "luogo ben irrigato", a sua volta dall’accadico edinnu, “pianura”. La fonte è il sumero edin, eden, "steppa", "pianura". Nella Bibbia è descritto come una plaga dalla vegetazione lussureggiante e ben delimitata.

Il libro del profeta Ezechiele 28: 12- 14, ci offre una descrizione dell’Eden che taluni specialisti ritengono più antica del racconto di Genesi. YHWH si rivolge ad Ezechiele con queste parole: “Figlio dell'uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli: ‘Così dice il Signore Dio, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d'ogni pietra preziosa, rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici e diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco”.

La raffigurazione è evocativa e sembra suffragare la congettura della Stavrakopoulou, secondo cui il giardino è una sontuosa costruzione consacrata a Dio, impreziosita da gemme rutilanti e da lamine d’oro.

L’Eden era dunque a Gerusalemme? Capitale del regno ebraico dal 1070 a.C in poi, dopo la divisione della nazione in due regni, (997 a.C.), Gerusalemme continuò ad essere la capitale del regno meridionale di Giuda. Il nome più antico della città di cui si abbia memoria è “Salem” (Ge. 14:18). Il toponimo è presumibilmente da associare ad una divinità semitica occidentale chiamata Salem. Il presunto fondatore del Cristianesimo, Shaul- Paolo (Eb. 7:2) spiega che il vero significato della seconda parte del nome è “pace”, ma pare una falsa etimologia. Nei testi accadici la città era chiamata Urusalim o Ur-sa-li-im-mu. Nel toponimo si può staccare la base Ur che significa “città” nell’idioma dei Sumeri.

I primi abitanti di Gerusalemme furono i Gebusei, un gruppo di Cananei: “Urushalim”, da cui deriva “Gerusalemme”, è una parola cananea-amorrea che significa “fondato dalla divinità Shalem” e la città ha una storia che va ben oltre quella del popolo ebraico, risalendo ai Sumeri.

Gerusalemme è nota anche, per sineddoche, come Sion, toponimo dall’etimo oscuro. ll monte Sion è un'altura di 700 metri sul livello del mare. Su questo poggio si formò il nucleo originario della futura Gerusalemme.

Sitchin opina che il Monte Moriah, dove fu poi eretto il Tempio, fosse un luogo dove gli Annunaki istituirono il secondo centro di controllo della missione dopo il Diluvio universale. Prima del cataclisma, questa base era ubicata a Nippur, ma, dopo che le inondazioni sommersero la Sumeria, fu deciso di creare un altro spazio-porto proprio nel sito che in seguito ospitò Gerusalemme, città sacra per le tre religioni monoteiste medio-orientali, perché furono gli “dei” a fondarla. Sotto il basamento della Spianata delle moschee si dovrebbero trovare monoliti di eccezionali dimensioni e peso, come a Baalbek.

Che sia o no quella di Sitchin una ricostruzione fantasiosa, è incontestabile che Gerusalemme è città decisiva per Ebrei, Cristiani e Musulmani. A Gerusalemme predicarono i Messia ed il profeta Maometto fu assunto in cielo là dove oggi si staglia la scintillante Cupola della roccia.

Dante, che fu iniziato oltre che sommo poeta, riconosce il ruolo centrale della città ma – singolare scelta – vi colloca nei pressi l’ingresso dell’Inferno.

Con un volo pindarico, lungo il solco che si immerge nelle viscere del pianeta, possiamo accennare alla pellicola “Matrix” dove Zion-Sion, è l’unico centro di "Matrix” in cui gli uomini sono liberi, ma è situato (non è poi così strano) nelle profondità della Terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave. Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Che Gerusalemme sia la “città della pace” donde si irradia la luce per l’umanità è forse un sogno romantico, come tutti i sogni destinati a dissiparsi con il risveglio.

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Saturday, November 30, 2013

La Bibbia non è un libro sacro

http://zret.blogspot.it/2013/11/la-bibbia-non-e-un-libro-sacro.html

La Bibbia non è un libro sacro

“La Bibbia non è un libro sacro” è l’ultima fatica del Professor Mauro Biglino. Il titolo e la tesi sono perentori: se la Bibbia non è un testo di fede, che cos’è? E’ in buona misura un’opera storiografica o, meglio, l’epopea, dalle forti coloriture ideologiche, di un antico ed oscuro popolo medio-orientale. Il Genesi poi è un manuale di biologia molecolare ante-litteram.



Il saggio di Biglino porta la tradizione biblica dal Cielo alla Terra, dimostrando attraverso esplorazioni filologiche ed archeologiche che millenni di costruzioni religiose e spirituali sono un inganno, un grande inganno. L’autore non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo a compiere questo lavoro di critica biblica. Tuttavia egli si segnala per la chiarezza nell’esposizione, lontana dai bizantinismi di certi filologi. D’altronde una lettura oggettiva di molti capitoli contenuti nel Pentateuco permette a chiunque sia dotato di normale intelligenza di accorgersi che di sublime la Torah ha poco o nulla. Ciò, nonostante le traduzioni edulcorate che sono ammannite dai catechisti e dal clero.

E’ proprio la traduzione il campo in cui il Nostro si impegna con maggiore tenacia: conscio che l’ultima roccaforte da espugnare è quella dei sedicenti esperti che si ostinano a tradurre Elohim con il singolare, Biglino allestisce un’artiglieria formidabile con cui smura la rocca e la conquista. Nel momento in cui si dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che Elohim è un plurale, si sovvertono inveterati pregiudizi, radicate ricostruzioni. Gli Ebrei (Shasu), una delle tante etnie che pullulavano in Palestina dove si contendevano pascoli e sorgenti, sono ricollocati nel loro preciso contesto storico; YHWH è ridimensionato ad uno dei tanti “dei” che, tra II e I millennio a.C., si affannò per ritagliarsi la sua sfera d’influenza; il “peccato originale” è negato ipso facto…

E’ evidente che le conseguenze delle indagini condotte da Biglino e da altri specialisti sono colossali, perché il Vecchio Testamento crolla sull’edificio già pericolante del Nuovo. Non è solo la religione ebraica a sgretolarsi, ma pure il Cristianesimo, insieme con la sua estrema, strana metamorfosi, l’Islam.

Sia chiaro: altri, prima del Professor Biglino, avevano inferto colpi micidiali alle tre fedi monoteiste, ma qui l’analisi è condotta oltre i confini della critica biblica e della storia antica per tratteggiare il quadro di una dominazione plurimillenaria. Auspichiamo che l’autore proceda lungo questa direzione per denunciare il legame tra poteri forti e mistificazioni ideologiche: non è un caso se gli specialisti del forum “Consulenza ebraica” sono dei negazionisti…

Ci si chiederà: “Se la Bibbia non è un libro sacro, che cosa resta?” Rassegniamoci: se cerchiamo dei valori mistici ed esoterici, dobbiamo rivolgerci altrove. Leggiamo o rileggiamo dei classici, in primis la Commedia e il nostro appetito sarà soddisfatto. E’ vero: la Bibbia contiene qualche bella pagina, spesso creata da abili arrangiatori del testo “originale”, ma nel complesso, è cosa noiosa e pragmatica, un po’ come i Commentarii di Cesare dove la pazienza del lettore è messa a dura prova da una ridda di scaramucce, battaglie, spedizioni, assedi… Se intendiamo trovare risposte al mistero dell’essere e del male, dovremo compulsare altri volumi ed interrogare la nostra reticente coscienza.

Che cosa resta dunque? Si ha l’impressione che rimanga una distesa incenerita da un incendio, ma è una terra su cui un po’ alla volta spuntano germogli verdissimi destinati a crescere in vigorosi arbusti ed imponenti alberi.

Lo sappiamo: molti reputeranno questo libro un'opera iconoclasta, anzi blasfema, ma riflettiamo... anche un bambino che frequenta, suo malgrado, i corsi di catechismo, si accorge che qualcosa nella Bibbia non quadra. Se approfondirà, se imparerà a porsi domande, con il tempo comprenderà che, mentre una strada è sbarrata, se ne aprono molte altre. Inoltre anche le indagini dell’ottimo Garbini, per citare solo uno dei tanti biblisti, approdano a conclusioni simili a quelle di Biglino. Se egli è “sacrilego”, è in buona compagnia.

Come sempre, invitiamo i lettori ad accostarsi al saggio in oggetto con spirito critico e serenità: la fede in Dio non è neppure scalfita dalla ricerca, una ricerca che è ancora in fieri a tal punto che non sappiamo di preciso dove potrà portarci. L’erta è stata indicata: avremo la lena per percorrerla sino a toccare la vetta?


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Thursday, July 4, 2013

Into darkness

http://zret.blogspot.co.uk/2013/07/into-darkness.html

Into darkness


Era difficile oltrepassare le brutture del primo episodio appartenente alla saga rifatta e stracotta di "Star Trek", eppure il capocomico ed i guitti della pellicola "Into darkness" ci sono riusciti in pieno. Questo non è cinema naturalmente - non si può definire cinema una specie di infantile videogioco – ma non è neppure narrazione.

Il regista, J. J. Abrams, e gli sceneggiatori insultano la residua intelligenza del pubblico con questa cosa sconclusionata ed enfatica, dalla “trama torbida, che è tanto sciocca quanto arbitraria”(Lumenick). Gli scalcinati attori cercano di scimmiottare i personaggi di Star Trek - prima serie, esibendosi in gigionesche performances. Il peggiore è proprio il glaucopide Chris Pine, un “veramente falso” dell’inimitabile capitano James Kirk-William Shatner. Pine e gli altri mestieranti credono di esseri intensi, perché corrugano la fronte e guardano vitrei nella camera. La sceneggiatura è tanto vuota quanto reboante, la recitazione spiaccicata, la colonna sonora barocca.

Succede di tutto ed alla fine non accade niente in questo “Into darkness” e lo schifo nel vederlo non dipende solo dalla puerilità dei colpi di scena, dalla banalità con cui è ostentata la violenza. J.J. Abrams e i suoi cosceneggiatori sanno solo far zampettare delle marionette, cercando di riempire il vuoto pneumatico delle idee con una gragnola di effetti speciali.

Film più pericoloso che inutile, “Into darkness” è un’operazione ideologica tipicamente hollywoodiana volta ad incensare gli “eroi” che, sotto strati di viscido cerone, sono i soliti Yankees in versione ciurma dell’astronave “Enterprise” che per giunta genera "scie di condensazione", anche quando attraversa gli spazi siderali.

Non mancano i messaggi obliqui (neanche tanto): i nostri paladini si battono contro il “terrorismo”. Velate, ma non troppo, le allusioni alla campagna pubblicitaria post 11 settembre con il suo volgare e sfacciato stravolgimento della realtà: i veri terroristi (George Bush jr e tutti gli altri) accusano degli innocenti di aver distrutto le Torri gemelle, trovando così il pretesto per scatenare l’inferno sulla terra. A questa lurida mistificazione contribuisce la pellicola di Abrams con l’aggravante che strizza l’occhio, tramite le sue avventure fumettistiche, agli spettatori giovani e giovanissimi, più esposti al lavaggio del cervello dei media.

Tra un dialogo smozzicato e l’altro, tra una scena pulp e l’altra, viene incastrato pure un cenno a Nibiru... Polpettone indigesto, chewing gum al finto gusto di fragola, bambola gonfiabile... : questo e molto peggio è “Into darkness”, espressione di un cinema turgido e falso, come le labbra siliconate di una prostituta di basso bordo.

La propaganda ha sostituito il cinema... anzi l'ha prostituito.



Monday, June 10, 2013

La pista sumera (seconda parte)

http://zret.blogspot.co.uk/2013/06/la-pista-sumera-seconda-parte.html

La pista sumera (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Mauro Biglino, insieme con qualche altro esperto, ha cominciato a concatenare gli Ebrei ai Sumeri. E’ noto che Shinaar nella Bibbia indica la terra di Shumer, ma anche gli Anakiti evocano gli Anunnaki. Il professor Biglino in particolare enuclea un passo del Deuteronomio (7,6) in cui è precisato che gli Ebrei, come popolo, sono proprietà di YHWH ed è a lui “consacrato”, cioè a lui riservato in via esclusiva. Questo brano della Torah ricorda un documento cuneiforme conosciuto con il titolo “Enki e l’ordine del mondo”. Come Kramer e Poebel, Biglino scorge un filo sottile che lega Giudei e Sumeri. Egli così riassume l’ipotesi: "Da Noè nasce Sem/Shem; l’accadico Shum di Shumer corrisponde(?) allo Shem di Genesi 10, 21; i figli di Shem, cioè i Semiti possono quindi essere in realtà i figli di Shum, cioè i Sumeri; da Shem deriva Eber, dunque gli Ebrei; da Eber discendono sia Pele (ed Abramo) sia Ioktan, con i popoli da lui generati e spostatisi verso oriente; al tempo di Peleg fu eseguita la divisione tra i vari 'signori dell’alto': YHWH ottiene il territorio in cui si insediarono Abramo e la sua discendenza.

Gli Anakiti sono descritti come giganti in alcuni passi della Torah.

“Salirono attraverso il Negheb e andarono fino a Ebron, dove erano Achiman, Sesai e Talmai, figli di Anak. Ora Ebron era stata edificata sette anni prima di Tanis in Egitto.” (Nm. 13,22)

“Vi abbiamo visto i giganti, figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro. ”(Nm. 13,33)

“Di un popolo grande ed alto di statura, dei figli degli Anakiti che tu conosci e dei quali hai sentito dire: ‘Chi mai può resistere ai figli di Anak?”(Dt. 9,2)

“Per questo Caleb, figlio di Iefunne, il Kenizzita, ebbe in eredità Ebron fino ad oggi, perché pienamente fedele al Signore, Dio di Israele. Ebron si chiamava prima Kiriat-Arba: Arba era stato l’uomo più grande tra gli Anakiti. Poi il paese non ebbe più la guerra”. (Gs. 14,14)

“A Caleb, figlio di Iefunne, fu data una parte in mezzo ai figli di Giuda, secondo l’ordine del Signore a Giosuè: fu data Kiriat-Arba, padre di Anak, cioè Ebron.” (Gs. 15,33)

Gli Anunnaki ed i Sumeri continuano a perseguitarci e ad incuriosirci: il loro sistema linguistico ci appare allotrio, non sappiamo donde provenissero. Furono capostipiti di una tra le prime e più progredite civiltà del pianeta, eppure sospettati di annoverare fra loro degli astuti manipolatori, degli scienziati opportunisti.

25 aprile 1964. Stati Uniti. Un ufficiale dei Servizi d’informazione dell’Aeronautica militare s’incontrò con due extraterrestri in un luogo stabilito nel deserto del New Mexico, a Holloman. Il contatto durò quasi due ore e, durante l’incontro, l’ufficiale dell’Aeronautica poté scambiare con gli extraterrestri informazioni di fondamentale importanza. Il rendez-vous fu il coronamento del Progetto Sigma che risale al 1954. Il suo obiettivo era quello di stabilire un'interazione con le civiltà stellari.

In un’intervista concessa alla giornalista investigativa Linda Moulton Howe il 20 febbraio 1989 il rivelatore William Cooper dichiarò: “Holloman è reale. Gli extraterrestri sbarcarono. Essi furono in contatto con noi per diversi giorni e soggiornarono negli edifici della base. Asserirono che esistevano altri alieni che visitavano la Terra, ma non sapevano né chi fossero né da dove provenissero”.

La descrizione degli alieni (con tanto di disegno esplicativo) realizzata da Cooper alla Howe è la seguente: “Cinque piedi di altezza, pelle bluastra, nastri attorno alla testa con appendici che terminavano dietro le orecchie: queste appendici sono in realtà dispositivi di traduzione dell’inglese e di altre lingue. Un qualche tipo di ‘schermatura’ sugli occhi. Gli occhi hanno pupille verticali, come i gatti. Il naso è aquilino, molto pronunciato; la bocca è una semplice fessura ed il mento è sfuggente. Il viso è piatto ed inespressivo. La testa non è grande, in proporzione, quanto quella dei 'piccoli Grigi', ma è più grande di quella degli esseri umani e nella parte posteriore è molto pronunciata come quella di alcune antiche immagini dei faraoni egizi.”





Tuesday, June 4, 2013

La pista sumera (prima parte)

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La pista sumera (prima parte)

Nella pellicola “Il quarto tipo”, (The fourth kind, 2009) per la regia di Olatunde Osunsanmi, la dottoressa Abigail Tyler indaga sulla morte del marito misteriosamente ucciso una notte mentre dorme accanto a lei. La Tyler scopre che a Nome, in Alaska, dove si è recata per compiere la sua ricerca, alcuni abitanti soffrono di persistenti disturbi del sonno. Si svegliano di soprassalto e ricordano d'aver scorto un gufo alla finestra. La Tyler ipnotizza uno di loro, Tommy, per portarne alla luce i ricordi sedimentati nell’inconscio. Quelle reminiscenze sono, però, così atroci che il paziente dura fatica a recuperarle. Un giorno Tommy prende in ostaggio moglie e figli, minacciando di ucciderli. Vuole che la psicologa gli sveli il significato di alcune parole in una strana lingua. Poiché Abbey non è in grado di decifrarle, Tommy stermina la famiglia e si toglie la vita. Grazie ad uno specialista, il glottologo Odusami, Abbey scopre che quelle frasi sono in sumero. Con l'aiuto del collega dottor Campos, la donna cerca di venire a capo dell’enigma.

La produzione, ricorrendo nei momenti topici alla tecnica dello split, affianca la ricostruzione dei fatti a materiale “autentico”, in una sorta di metacinema. Gli eventi “reali” sono affidati alla finzione (?) ed agli attori proprio come il rifacimento, con effetto straniante, talora cerebrale. Le immagini sgranate e vacillanti delle videocamere offrono un’illusione di verosimiglianza, ma sùbito sembrano smentirla nel gioco narrativo. Si rischia così di ignorare il messaggio che si è inteso forse veicolare con il film: alludiamo alla “questione sumera”. Gli spaventevoli alieni, che rapiscono alcuni residenti di Nome e la stessa figlia della psicologa, si esprimono nell’antico idioma parlato in Mesopotamia. Questo riferimento non sembra fortuito, ma un indizio che qualcuno ha voluto lasciare.

Da alcuni decenni, il “problema sumero” è diventato decisivo, oltre che nell’archeologia (ufficiale e no), nella linguistica, nella storia… persino in campi in cui non ci saremmo attesi che acquisisse particolare aggetto. Si pensi alle speculazioni sul Pianeta X identificabile con Nibiru, l’enigmatico corpo celeste della mitologia mesopotamica. L’astronomia e la cultura sumere non catalizzarono l’interesse soltanto del controverso Zecharia Sitchin e dei suoi epigoni, ma anche del cosmologo Sagan.

Carl Edward Sagan (1934-1996), noto soprattutto per aver indagato con zelo il tema della possibile esistenza di civiltà tecnologiche nel cosmo e l’eventualità di comunicare con loro, partecipò a questo fine, con esperimenti e progetti, ai programmi spaziali Mariner, Viking e Voyager. Questi programmi della N.A.S.A. erano volti all’esplorazione dei pianeti e dei satelliti. Sagan studiò anche l’evoluzione(?) della vita sulla Terra fino all’uomo tecnologico. Ispirò pure il film “Contact”, con protagonista l’attrice Jodie Foster. La sceneggiatura della pellicola dipende dall’omonimo romanzo scritto dal cosmologo.

Sagan era un uomo che sapeva assai più di quanto osasse ammettere di fronte alla comunità degli scienziati(?) ed all’opinione pubblica. Negli anni ’70 del XX secolo, lo studioso predispose per la sonda Pioneer 10 un messaggio destinato a civiltà stellari. La comunicazione comprendeva musiche di un complesso mariachi ed auguri scritti in sumero, per illustrare a nazioni extraterrestri i caratteri precipui della vita sul nostro pianeta.

Infatti, reputando che anche altre civiltà stessero compiendo le stesse ricerche, ebbe l'idea di collocare sulla Pioneer 10, attualmente ancora in viaggio fuori dal sistema solare verso la stella Proxima Centauri, una targa d'oro con incisi i simboli della Terra, dell'uomo e della donna, del D.N.A. ed altre informazioni sul nostro pianeta, affinché un giorno qualche intelligenza aliena potesse scoprire da dove proveniva la sonda.

Sunday, November 25, 2012

The American Armageddon


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The American Armageddon

Watch therefore, for ye know neither the day nor the hour wherein the Son of man cometh. ("John", 25, 1) [AHAHAHAHAHAHAHAHAH POVERETTO: il passo NON PROVIENE dal Vangelo di Giovanni, ma da quello di Matteo, 25,13 leggi qui http://kingjbible.com/matthew/25.htm pagliaccio straccione triste che non sei altro]

‘The American Armageddon’ è un saggio di Luca Scantamburlo, pubblicato nel 2009. Vorrei spendere qualche parola sull’autore, prima di recensire il libro continuare a sparare puttanate come ridere. Scantamburlo (Treviso, 1974), ex giornalista pubblicista ed attualmente autore freelance, è un ricercatore indipezzente onesto e meticoloso , non a caso disdegnato dalle case editrici: oggidì molti sono abituati a compilare voluminosi testi, attingendo a piene mani a studi che regolarmente non sono citati. Invece Scantamburlo non trascura neppure la più piccola fonte nelle note ricchissime e precise del suo lavoro. Il plagio è malcostume diffusissimo, cui il Nostro [con la N maiuscola, manco fosse Dante o Galileo o Picasso o Marie Curie... ma vahgare poveraccio, mi sono stufato delle tue cazzate e scantamburlate di 'sta fava. Cùrati.] è del tutto estraneo. [1]

‘The American Armageddon’ è uno spaccato sull’enigma Nibiru e sul ‘Jesuit footage’. [2] Lo scrittore, raccogliendo un ampio repertorio di testimonianze (Robert O. Dean in primis), ricerche, ipotesi, cerca di comprendere se siano prossimi dei cambiamenti cosmici insabbiati dal governo ombra. Che qualcosa stia cambiando e sia cambiato nel sistema solare è indubbio: arduo è stabilire se Nibiru esista. Se esiste, è un pianeta, una nana bruna, una cometa, un simbolo, un portale o ancora… un avamposto? Qualora fosse un varco interdimensionale o un avamposto abitato da una razza bellicosa, come suppone qualcuno, si potrebbe capire lo scopo del selvaggio Terraforming [sì, terraformami 'sta fava] cui è sottoposto il pianeta: creare un ambiente adatto ad una stirpe esterna. Ad ogni modo non è neppure così importante definire la vera natura di Nibiru, quanto imparare ad aprire gli occhi, ad osservare il cielo e le sue inquietanti presenze.

Per quanto ci riguarda, riteniamo [NOI CHI??? Il sindacato dei clown ciarlatani, forse?] che proprio dallo spazio arriverà la risposta nel bene o nel male. Non siamo inclini ad a sposare la posizione di Scantamburlo secondo cui l’esecutivo segreto non fornisce ragguagli scabrosi a proposito degli eventi venturi per non causare anomia, ossia il caos sociale ed economico. Anche se può apparire paradossale, le classi dirigenti preservano lo status quo proprio fomentando l’instabilità ed il disordine.

Merito dell’autore è aver subodorato l’inganno dietro le versioni ufficiali, aver sfiorato i tentacoli di una piovra ben annidata negli anfratti della retropolitica. Tuttavia continuare a nutrire fiducia in figure come Gorbacev e Giovanni Paolo II è, a modesto parere di chi scrive, contraddittorio e rischioso.

Nonostante questo aspetto, la fatica [FATICA??? AHAHAHAHAHAHAHAH andatelo a dire a un minatore del Sulcis, straccioni fannulloni che non siete altro, TU - Zret - IN PRIMIS] di Scantamburlo è degna di attenzione, poiché offre una panoramica suggestiva che si muove dall’astronomia accademica, al tempo stesso ammiccante e reticente sul Pianeta X, alla storia antica (con Zecharia Sitchin ed Immabuel Velikovsky che sono punti di riferimento), dalla politica all’ufologia.

Nell’alveo scavato da Cristoforo Barbato, misteriosamente scomparso dalla Rete, l’analisi chiama in causa i servizi segreti italiani, la N.A.S.A., il Vaticano… È pure valorizzata l’investigazione di Burak Eldem, outsider turco le cui conclusioni sono pressoché sconosciute al pubblico. Eldem identifica nel 666 dell’Apocalisse lo shar sumero corrispondente, stando al ricercatore, a 3661 anni e vede nell’Ab.zu lo spazio cosmico, suffragando le congetture circa un incipiente perielio di Nibiru, causa di aberrazioni nel sistema solare.

Che il Sole ed i pianeti siano da alcuni decenni interessati da anomalie e che la Terra sia colpita da fenomeni in alcuni casi di origine naturale, ma esacerbati dalla Geoingegneria, è indiscutibile.

Occorre tentare di scoprire la vera matrice e le conseguenze per l’umanità di tali mutamenti: per conoscerle non dovremo forse aspettare a lungo. E’ solo questione di tempo… poco tempo.

[1] Il sito di Luca Scantamburlo è www.angelismarriti.it. Di recente è stato dato alle stampe il seguito del libro in oggetto, ossia “Apocalisse dallo spazio. L’avvento di Nibiru e dei Vigilanti”, 2011. Sarà opportuno commentarlo quanto prima.

[2] Sul tema si legga il datato ma corposo “Nibiru tra verità e disinformazione”.

[3] Avemmo l’onore ed il piacere di conoscere di persona il freelance Cristoforo Barbato, in occasione di un congresso tenutosi alcuni anni addietro ad Occhiobello (Ravenna). Acuto indagatore di fatti scottanti e brillante conferenziere, Barbato ha aperto la “pista gesuita”, [aggiornamento: 'LA PISTA GESUITA'??? Ma vattene...] foriera di tanti enigmi e di tante trame. Il suo sito è stato chiuso: il giornalista ha lambito qualche verità inconfessabile? Fortunatamente molti reportages sono ancora disponibili in Rete.

Ringrazio il collaboratore ed amico G. per la preziosa segnalazione.

Monday, July 16, 2012

La questione sumerica

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La questione sumerica

Serendipità, ossia compiere un’importante ed inattesa scoperta, mentre si sta cercando qualcos’altro. Per serendipità sia Mario Biglino sia Biagio Russo, tentando di venire a capo dello spinoso problema concernente le origini degli esseri umani, hanno rispolverato una possibile verità, già intuita nel 1956 da Poebel, ma a lungo ignorata, anzi ostracizzata. [1]

Qual è dunque tale riscoperta? Indagini linguistiche e filologiche sugli antichi testi (le saghe sumere, la Torah etc.) hanno evidenziato una parentela fra i termini Shumer-Shinar e Shem-Sem, quindi fra l’enigmatico popolo dei Sumeri (“Guardiani"?Teste nere”?) ed i Semiti. L’assenza di riferimenti ai Sumeri nel Pentateuco, se si esclude il cenno alla regione di Shinar, quasi certamente la terra di Sumer, ricorda il silenzio circa gli Esseni(?) nei Vangeli canonici. E’ un silenzio che alcuni esegeti hanno interpretato come l’eventualità di un collegamento, per qualche motivo occultato, tra il Messia e la comunità qumranita.

Ecco che cosa scrive il Professor Biglino: “Nella cosiddetta Tavola delle nazioni (Gen. 10) sono elencati i popoli che abitavano nei territori del Medio Oriente e non solo (Egizi, Assiri, Babilonesi, Cananei, Filistei, Hurriti, Hittiti, Etiopi, Amorrei, Evei, Accadi, quelli di Cipro, Rodi, Tarsi, Ofir…), ma non ci sono i Sumeri. Com’è stato possibile dimenticare proprio il popolo da cui l’Antico Testamento ha addirittura tratto gran parte dei suoi contenuti originali? E’ un’incomprensibile ed imperdonabile dimenticanza? Il sumerologo Kramer ci riconduce agli studi del suo maestro Poebel raccolti in un articolo in cui in sostanza si afferma che gli Ebrei sono i discendenti dei Sumeri. La Bibbia non li cita quindi espressamente perché, quando parla degli Ebrei, parla in realtà di un ramo diretto discendente del popolo che portà la civiltà nel mondo. I Sumeri erano dunque Semiti? Proviamo a rispondere con l’aiuto della Bibbia stessa. Sappiamo (Gen. 10, 21 e segg.) che Shem (Sem), figlio di Noè, ebbe vari figli da cui derivarono popolazioni che la storia conosce molto bene: Ashur, Elam, Aram… Da uno di questi figli discese Eber (Ever), capostipite degli Ebrei.”

Gli accademici hanno osservato che le forme Shumer-Sumer e Shum-Shem sono equivalenti sotto il profilo fonetico: a tali annotazioni bisogna aggiungere che i Sumeri si erano insediati nella Mesopotamia, la patria del patriarca Avram (Gen. 15, 7 e 24, 10), rampollo di Ever e dal cui figlio Isacco prosegue la discendenza geneticamente pura. Le consuetudini matrimoniali seguite da Abramo, Isacco e Giacobbe alias Israele corrispondevano agli usi endogamici dei Sumeri ed ancora prima degli Anunnaki. La Bibbia (Gen. 10, 29-30) infine ci informa a proposito del sito in cui si installò un altro gruppo ebraico, quello dei figli di Ioktan, il cui padre fu Ever: la regione è la Mesha, il territorio dell’attuale Arabia fino a Sefar, l’odierna catena dello Zufar che si snoda lungo il Mare arabico.

Annota Russo: “Secondo gli studi di Kramer, gli antenati dei patriarchi ebrei, lasciato l’Eden, si stabilirono nella terra di Shin'ar, l’antica Sumer. … Nella Bibbia vengono citate quasi tutte le civiltà importanti del Vicino Oriente antico come Egizi, Cananei, Amorrei, Hurriti, Hittiti, Assiri, Babilonesi (i Babilonesi sono gli Amorrei, popolo semita occidentale, n.d.r.) ed altri, ma i Sumeri non vengono indicati. Perché? Viene quasi il dubbio che nella famosa ‘questione sumerica’, i sostenitori della negazione del popolo sumero abbiano ragione… Ora, considerato che, come è comunemente accettato dall’intera comunità degli storici, per figli di Eber si intende il popolo ebreo, non potrebbe ugualmente dirsi che il nome Shem rappresenta l’eponimo del termine Shumer, ovvero la terra di Shumer?” [2]

Come si può constatare, identiche valutazioni storiche e glottologiche, spingono i due ricercatori verso lo stesso lido, cioè ad individuare nei Sumeri i predecessori degli Ebrei (Habiru).

A questo punto, però, sono d’obbligo alcune domande. Pur riconoscendo la rilevanza degli indizi raccolti da Poebel, Kramer, Biglino, Russo et al., restano delle zone d’ombra. Le lingue semitiche palesano una notevole discontinuità rispetto alla parlata dei Sumeri, il cui idioma era agglutinante. Come si spiega tale discrepanza? Se gli Ebrei furono i discendenti diretti dei "Guardiani", Giapeti (Indoeuropei) e Camiti, successori anch’essi di Noè, con quali etnie si mescolarono? In che dose il sangue sumerico-ebreo, dopo tanti secoli, scorre nelle vene degli attuali sedicenti Giudei? Le altre nazioni debbono essere considerate “sumerico-ebraiche” diluite? Esistono ceppi umani non derivanti da Shumer? Siamo di fronte a questioni meramente religiose (gli Israeliti come seguaci di YHWH) o, almeno in una certa misura, etnico-linguistiche?

Siamo ancora lontani dal trovare il bandolo della matassa, soprattutto perché non si è ancora riusciti a rispondere in modo soddisfacente ad altri quesiti: chi erano veramente gli AnunnaKi, gli Igigu (o Igigi) ed i Lulu? Esiste ancora oggi una genia che, menando vanto di un’ascendenza dai primigeni Dingir (i Superiori, gli “dei”), agisce dietro le quinte della storia per dirottarla verso inconfessabili obiettivi? E’ evidente che non è sufficiente interpellare l’archeologia, la paleografia, la linguistica, l’antropologia per dissipare le fitte nebbie del passato e per stanare i veri dominatori di oggi. Occorre esplorare altri campi in cui forse si può internare qualche intrepido pioniere. Sono ovviamente campi minati.[3]


[1] Qualcuno ha scritto che Russo, con le sue ipotesi contenute nel libro "Schiavi degli dei", va oltre Sitchin. A me non sembra: il suo saggio è prudente ed interlocutorio. Non si pronuncia sull’identità degli Anunnaki né si avventura in ipotesi riguardanti Nibiru etc. Forse l’autore intende riservare ad un prossimo lavoro risultati più decisivi.

[2] Sono, tra gli altri, D. Marin, E. Schievenin, I. Minella nel saggio "Atlantidi, i tre diluvi che hanno cancellato la civiltà", 2010, a negare l’esistenza del popolo sumero.

[3] Si pensi all’idea di Carl Edward Sagan (1934-1996). Il celebre astronomo statunitense, noto soprattutto per aver indagato con zelo il tema della possibile esistenza di civiltà tecnologiche nel cosmo e l’eventualità di comunicare con loro, predispose per la sonda Pioneer 10 un messaggio destinato a civiltà stellari che comprendeva musiche di un complesso mariachi ed auguri scritti in sumero, per illustrare a nazioni extraterrestri i caratteri precipui della vita sul nostro pianeta. Nella pellicola per la regia di Olatunde Osusanmi, Il quarto tipo, 2010, malvagi alieni parlano… in sumero.

Fonti:

M. Biglino, Il dio alieno della Bibbia, 2011
S. N. Kramer, I Sumeri agli esordi della civiltà, Milano, 1958
Id., I Sumeri alle radici della storia, Roma, 1979
B. Russo, Schiavi degli dei, 2010, pp. 115-124, 146-150


Tuesday, July 3, 2012

L'enigma di Göbekli Tepe

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L'enigma di Göbekli Tepe


"Göbekli Tepe è il più importante sito archeologico del mondo" (David Lewis-Williams).

Göbekli Tepe (in turco, “la collina dal ventre gonfio”) è un sito archeologico presso la città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico o alla fine del Mesolitico. Vi è stato rinvenuto il più antico complesso templare litico (11.500-8.000 a.C. circa), la cui edificazione si protrasse presumibilmente per tre o quattro secoli.

Il complesso è ubicato su una collina artificiale alta circa quindici metri e con un diametro di pressappoco trecento metri, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma oblunga. Da lì si domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove sorge la città di Harran.

Il sito fu individuato nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell'età della pietra.

Göbekli Tepe fu riscoperta trent'anni dopo da un pastore curdo: l’uomo notò alcune singolari pietre che affioravano dal suolo. La notizia del rinvenimento giunse al responsabile del museo della città di Şanlıurfa. Egli contattò il ministero preposto: a sua volta i funzionari del dicastero si rivolsero all’Istituto archeologico germanico con sede ad Istanbul. Nel 1995 cominciarono gli scavi per opera di una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico, sotto la direzione di Klaus Schmidt. Nel 2006 le attività furono assegnate alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.

Si portò così alla luce un monumentale santuario megalitico, costituito da una collina artificiale delimitata da muri di pietra grezza a secco. Furono anche reperiti quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre dieci tonnellate ciascuno. Secondo il direttore del dissotterramento, le pietre, drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggiano assemblee di uomini.

Sono stati poi dissotterrati circa quaranta blocchi a forma di Tau e che raggiungono i tre metri di altezza. Nella maggior parte dei casi vi sono effigiati in rilievo diversi animali (serpenti, anatre, gru, tori, volpi, leoni, gazzelle, cinghiali, gamberi, scorpioni, formiche…). Alcune sculture vennero volontariamente abrase. Altre pietre sono decorate con motivi geometrici. Certuni monoliti sono istoriati con forme falliche. Forse risalgono ad epoche successive e trovano similitudini nelle culture medio-orientali (siti di Byblos, Nemrik, Helwan e Aswad).

Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altri duecentocinquanta macigni ancora inumati.

Secondo gli archeologi ufficiali, l’esistenza di codesta struttura monumentale dimostra che anche precedentemente allo sviluppo dell'agricoltura e nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, gli uomini possedevano mezzi bastevoli per erigere poderosi complessi. Il direttore dello scavo ritiene che fu proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di Göbekli Tepe a promuovere uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari ed a favorire le prime pratiche agricole. Il sito si trova, infatti, nella regione della Mezzaluna fertile, dove cresceva il grano selvatico.

Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata tuttavia recuperata negli scavi, inoltre mancano resti di abitazioni. A circa quattro metri di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della costruzione del santuario, sono stati dissepolti frammenti di utensili litici (raschiatoi e punte per frecce), insieme con ossi di animali selvatici, semi di piante spontanee e legno carbonizzato. Sono vestigia che testimoniano la presenza in questo periodo di un insediamento stabile.

Intorno al IX millennio a.C. il centro fu deliberatamente abbandonato e sepolto sotto un colle artificiale.

Göbekli Tepe è un enigma archeologico, la tessera che mal si incastra nel mosaico della storia accademica: come coniugare la primitiva cultura di genti del Mesolitico, dedite alla caccia, alla raccolta e ad una rudimentale agricoltura con la costruzione di un sito megalitico di tale imponenza e complessità? In verità, alcune questioni meritano delle indagini che non si limitino alle analisi stratigrafiche ed alla catalogazione tipologica dei manufatti. Bisognerebbe in primo luogo tentare di comprendere il valore iconografico degli animali scolpiti sulle pietre a Tau: molti studiosi hanno ipotizzato un contenuto di tipo sciamanico; altri hanno sottolineato il valore simbolico delle raffigurazioni…. Spesso, quando si brancica nel buio, ci si appella alla valenza simbolica delle immagini, il che può significare tutto e niente. E’ evidente che molti animali non sono legati alla pastorizia ed alle attività venatorie: dunque qual è il retroterra culturale da cui emerse tale “bestiario”? Se non si pensa ad uno scenario totemico o archeoastronomico, è arduo formulare supposizioni plausibili. [1]

Göbekli Tepe non fu una città, ma un gigantesco tempio eretto in una zona non distante da Harran, il centro che, nella tradizione è collegato, insieme con Ur, ad Abraham, il patriarca sumero. Non siamo lontani dalla Siria, dalla Fenicia e dalla Mesopotamia, regioni in cui si incontrarono e scontrarono popoli di diverse stirpi (Sumeri, Camiti, Semiti, Indoeuropei), dove furono fondate splendide ed opulente città (si ricordi almeno Ebla), crocevia di commerci, di fecondi scambi culturali, fucine di miti e di invenzioni (l’alfabeto, il vetro…). Gobekli Tepe è, però, più antica: dovrebbe avere grosso modo l’età di Catal Huyuk (nell’attuale Turchia) e della biblica Gerico.

Perché il luogo fu abbandonato e coperto con tonnellate di terra? Chi l’aveva creato volle forse occultare ai posteri un inconfessabile segreto? Chi decise di consacrare la vasta area? Quali dei adoravano i costruttori di Göbekli Tepe? Il complesso irradia un fascino che ha alcunché di sinistro. Saranno certi rilievi di animali rappresentati in modo rude con tratti a volte terrifici, saranno i pilastri a Tau, simili ad uomini pietrificati (le sculture della Lunigiana sono circonfuse da un’aura simile, sacrale ed enigmatica e, come certi idoli del santuario medio-orientale, hanno spesso braccia stilizzate). [2] Sono pilastri che non sorreggono nulla, inframezzati ad altri reperti, talora inquietanti: statue lapidee con teste prive di bocca, sculture itifalliche, blocchi con glifi indecifrabili…

Si ha l’impressione che questa specie di Stonehenge curda sia, in qualche modo, la sesquipedale impronta di una genia estinta (?), una razza di Giganti (i Nephilim? ), un’area in cui si installarono poi gruppi di cacciatori-raccoglitori che non padroneggiavano tecniche architettoniche e scultoree tanto raffinate.

Göbekli Tepe, per lo più sottovalutata in Italia, all’estero, invece, è oggetto di appassionate ricerche: ad esempio, Linda Moulton Howe le sta dedicando un dossier in costante aggiornamento, con interviste ad archeologi e geologi, fotografie, disamine di varia natura.

Il mistero più impenetrabile riguarda l’abbandono e l’esumazione del complesso templare: se delle modificazioni climatiche e pedologiche possono spiegare lo spopolamento, non motivano la sepoltura di un luogo dove furono praticati riti di cui non sappiamo nulla.

Abbiamo appena cominciato a riscrivere la storia umana e non solo umana, proprio ora che…

[1] E’ difficile negare che certe figure zoomofe, come gli avvoltoi, non si collochino in un contesto sciamanico.

[2] Uomini colpiti dal fulmine di una divinità adirata o esseri soprannaturali puniti per la loro empietà?

Fonti:

Dizionario di Archeologia, Milano, 2001
G. F. Ferri, Tutto il nostro mondo è cominciato lì, 12.000 anni fa?, 2009
T. Razo, Göbekli Tepe, World known oldest temple, 2011

Friday, May 18, 2012

Ghiandola pineale e scie chimiche


Prossimamente: "penne all'arrabbiata e scie chimiche".

http://www.tankerenemy.com/2012/05/ghiandola-pineale-e-scie-chimiche.html

Ghiandola pineale e scie chimiche

L'epifisi è una struttura diencefalica impari e mediana (straccione: se è UNA sola - e sta "in mezzo" al cervello -  è ovvio che è dispari, di impari c'è solo la lotta tra la tua colossale ignoranza e quella di un termosifone per entrare nel Guinness per "il QI più basso del mondo"), di forma ovoidale, situata in corrispondenza della volta del terzo ventricolo. Nell’adulto raggiunge circa 120 mg. Rivestita dalla pia madre, è suddivisa in lobuli da setti di tessuto connettivo, le cui cellule parenchimatose (pinealociti) sintetizzano la melatonina, un ormone derivato dall'amminoacido triptofano. Questo ormone è prodotto ritmicamente in funzione dell'alternanza luce-buio, con concentrazioni nel plasma più elevate nelle ore notturne. La melatonina è quindi un sincronizzatore dei bioritmi e limita gli effetti negativi associati al cambiamento del fuso orario, in seguito a viaggi aerei molto lunghi (il disturbo noto come jet lag). E' stato dimostrato che la melatonina svolge una funzione protettiva nei confronti dei radicali liberi. Essa possiede anche altre proprietà terapeutiche: è efficace contro certe forme di insonnia e contro alcuni tumori.

Nella tradizione esoterica l’epifisi, chiamata, per la sua forma simile a quella di una pigna (come quelle che affollano il tuo cervello e hanno espulso i tuoi due neuroni), anche ghiandola pineale, è abbinata al terzo occhio, ossia alla percezione extrasensoriale, alla visione di dimensioni normalmente invisibili. Alcuni ricercatori hanno pure osservato che, intorno ai sei anni di età, la secrezione di melatonina diminuisce in modo notevole. Non è forse un caso se è pressappoco l'età in cui i bambini cominciano la scuola primaria dove quasi ex abrupto si devono confrontare col pensiero raziocinante, suscettibile di aprire in parte nuovi orizzonti cognitivi, ma soprattutto di chiudere il terzo occhio che è intuizione, letteralmente "guardare dentro" (tueor e in).

Descartes ritiene l'epifisi sede dell'anima. Per il filosofo e matematico francese, la ghiandola pineale è il punto privilegiato dove anima (res cogitans) e corpo (res extensa) interagiscono, in quanto unica parte dell’encefalo a non essere doppia. Si potrebbe ritenere dunque che l’epifisi, come il D.N.A. , sia un medium tra enti ontologicamente diversi.

Nell’articolo intitolato “L’occhio che tutto vede”, Gianluca Gualtiero si sofferma sulla pineale, rivisitando le concezioni tradizionali che vi vedono il cosiddetto “Terzo occhio”. A tale proposito, l’autore riporta le asserzioni della Dottoressa Saskia Bosman, secondo cui “in un lontano passato la ghiandola pineale era conosciuta come il terzo occhio, nonostante fosse molto di più: era un ricevitore cosmico e veniva considerata come l’emittente ed il destinatario di informazioni multidimensionali provenienti dalla Sorgente. Attraverso gli altri sensi, l’epifisi comunica con il mondo esterno tramite l’invio e la ricezione di impulsi.[…] Il terzo occhio partecipa ad attività fisiologiche in sinergia con la pituitaria che è il ricevitore del pensiero, mentre la pineale, spesso chiamata ghiandola maestra, è il trasmettitore-mediatore del pensiero, la vera chiave per l’elevazione della coscienza”. E’ molto probabile che il simbolo della pigna, reperibile in molte culture passate, adombri proprio la pineale e le sue facoltà.

A proposito delle implicazioni psico-biologiche riguardanti tale ghiandola, meritano attenzione gli studi di Rick Strassman che ha indagato le caratteristiche della dimetil-triptamina (DMT), molecola secreta dall’epifisi in concomitanza con situazioni critiche, estreme e di coscienza alterata: l’inizio e la fine della vita di un individuo, la meditazione, le esperienze oniriche, l’estasi… Annota Strassman: “Quanto accade nella pineale sembrerebbe molto simile al fenomeno di risonanza che si ottiene con un calice di cristallo sottoposto a certe lunghezze d’onda. Il corpo pineale comincerebbe a vibrare in risposta a determinate frequenze cerebrali che indebolirebbero le barriere multiple deputate ad impedire la naturale sintesi di DMT: lo scudo cellulare della ghiandola, i livelli enzimatici e la quantità di anti-DMT. Tale indebolimento provocherebbe quindi un flusso abbondante di molecola dello spirito che a sua volta faciliterebbe l’accesso della coscienza a specifici stati mistici o psichedelici a carattere soggettivo”.

Dopo quella di Strassman, le ricerche sul tema si sono moltiplicate: R. N. Lolley osserva: "Il meccanismo di fototrasduzione (attraverso cui le cellule recettrici della retina trattengono fotoni che poi inviano al cervello) nei foto-recettori cellulari retinici è diventato più comprensibile: allo stesso modo è stato acquisito che i pinealociti (cellule della pineale) posseggono uno specifico insieme di proteine retiniche che prendono parte alla cascata fototrasduttrice”. Resta da comprendere come il terzo occhio possa ricevere i segnali luminosi (fotoni): potrebbero essere i cristalli di calcite, contenuti nella pineale, a consentire il flusso di informazioni fotoniche. Secondo S.S. Bacconier, i microcristalli inclusi nella ghiandola, possedendo proprietà piezoelettriche e piezoluminescenti, sono correlati con la capacità di emettere e trattenere messaggi luminosi. Nick Sand ritiene che la stessa DMT abbia proprietà di piezoluminescenza. [1]

Il chimico Corrado Malanga asserisce che nella pineale si trovano microcristalli di quarzo, le cui caratteristiche piezoelettriche sono note: inoltre – ipotizza il ricercatore (indipezzente) - i composti delle chemtrails potrebbero essere dispersi proprio per inibire le potenzialità dell’epifisi. Un tempo grossa come un bulbo oculare, ora le sue dimensioni sono notevolmente ridotte, mentre il fluoro, nocivo ingrediente di dentifrici, gomme, bibite gassate, acqua “potabile” etc. ne ha provocato e ne sta provocando il malfunzionamento, a causa della decalcificazione.

Le operazioni chimiche sono dunque volte, tra gli altri numerosi e sinistri scopi, a sigillare il terzo occhio, affinché agli uomini sia preclusa la possibilità di scorgere la realtà oltre il velo di Maya? La risposta forse non tarderà a venire. (Eccola qui in tempo reale: NO. Sono immani troiate.

[1] L’effetto di piezoelettricità è presente in un gran numero di cristalli ed avviene sottoponendo due facce del cristallo a pressione o trazione: si ottiene così sulle facce trasversalmente opposte una differenza di potenziale anche elevata da cui origina una scarica elettrica. La piezoluminescenza è, invece, il fenomeno per cui certi cristalli producono scariche elettriche di differente colorazione.

Fonti:

G. Gualtiero, L’occhio che tutto vede, in X Times, n. 41, marzo 2012 con bibliografia ivi contenuta
Enciclopedia delle Scienze, Milano, 2005, s.v. epifisi, piezoelettricità
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