http://zret.blogspot.ch/2015/11/che-cosa-succede-dopo-la-morte.html
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Scopo del Blog
Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.
Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.
Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.
Ciao e grazie della visita.
Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:
http://indipezzenti.blogspot.ch/
https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/
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Saturday, November 7, 2015
Friday, December 19, 2014
I comandamenti del commis
su alcuni punti della rosicata sarei quasi d'accordo, ma che fatica leggere 'sta roba...
http://zret.blogspot.ch/2014/12/i-comandamenti-del-commis.html

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I comandamenti del commis

Di
recente Roberto Benigni ha imbambolato un pubblico di bambocci con due
puntate sui “dieci comandamenti”. La pantomima è rivelatrice di quanto
sia radicata l’ignoranza. Per disquisire sul Decalogo e per commentarlo,
bisognerebbe conoscere il soggetto e saperlo contestualizzare. In
verità, la ciarlatanesca rassegna sulle leggi vetero-testamentarie è
stata solo un pretesto per una pseudo-analisi della “politica” attuale,
secondo criteri falsamente moralistici e pedagogici che trasudano
ipocrisia e paternalismo. Benigni è un pessimo maestro, dolciastro e
sciocco, incapace di comprendere anche solo il senso letterale dei testi
che egli profana, mentre crede di interpretarli. Famigerate furono le
sue dilettantesche e sacrileghe “lezioni” sulla Commedia dantesca.
Se solo ci si premurasse di consultare un manuale scolastico di storia, si eviterebbe di prendere certe sonore cantonate. I Comandamenti che i bambini imparano a catechismo sono il risultato di una lunga rielaborazione culminata con Agostino nel IV sec. d.C.: le regole partorite del vescovo di Ippona poco o punto c’entrano con i precetti dettati da YHWH al suo popolo. Per nessuna ragione al mondo YHWH si sarebbe sognato di stabilire l’assurda, insensata norma “Non desiderare la donna d’altri” che dapprincipio [o come direbbe strakky: d'apprincipio] doveva suonare più o meno così: “Non gettare il malocchio sulle donne e le cose altrui”.
Il comandamento più importante e disatteso oggi da quasi tutti i “cristiani” nel mondo verteva sul divieto di farsi immagini delle cose che esistono sulla terra ed in cielo e di adorarle. La chiesa nicena eluse questa proibizione per inventarsi un Decalogo a suo uso e consumo. Sull’esecrazione dell’idolatria chi oggi insiste tra gli esponenti del clero o chi soltanto vi accenna? Tra le varie norme oggi dimenticate, ma che il dio degli Ebrei riteneva significativa menzioneremmo almeno la seguente: “Non cuocerai il capretto nel latte della madre”.
Questo rapido excursus ci permette di capire che trapiantare credenze antiche nel presente, oltre a denotare crasso analfabetismo, causa danni interpretativi irreparabili. Ogni evento ed ogni fenomeno culturale devono essere collocati nel loro milieu e studiati in rapporto alle circostanze sociali, economiche, antropologiche, spirituali etc. in cui essi si situano. Diversamente si tradisce il passato e lo si strumentalizza per fini di propaganda o, nel migliore dei casi, di becero intrattenimento.
Così sbagliano coloro che credono di poter fondare la dottrina dell’immortalità dell’anima, del Paradiso e dell’Inferno, richiamandosi alla Bibbia, in special modo alla Torah. Nella Bibbia i termini “nephesh” e “ruach” che spesso sono resi con “anima” o “spirito” non designavano un’essenza individuale imperitura.
L’oltretomba biblico è lo Sheol, simile all’Ade omerico ed a quello dei Sumeri, una plaga brumosa dove i morti sono ormai privi di coscienza e di identità. Qualche breve rimando al Paradiso ed all’Inferno come luoghi, rispettivamente, di beatitudine e di dannazione si reperisce nel Nuovo Testamento, ma sono passi contraddetti da altri e di valore metaforico, insufficienti comunque a definire una topografia precisa dell’aldilà cristiano che non esiste.
Semmai lo studio comparato delle religioni ci dimostra che di solito le genti dell’antichità in origine concepirono l’oltremondo come un luogo indistinto per poi, un po’ alla volta, approdare ad una concezione in cui sono fissate per le anime immortali precise sedi dove esse dimoreranno post mortem nonché punizioni o ricompense.
Ciò precisato, è evidente che la milionaria dissertazione di Benigni sul decalogo è priva di qualsiasi valore culturale, anche soltanto divulgativo. Questo nonostante le tronfie lodi ed i lautissimi compensi con cui è stato incensato l’abominevole spettacolo.
A proposito comunque di comandamenti, ne vorremmo suggerire uno ed è questo: “Spegnete il televisore e non siate mai benigni con Benigni”.
Articolo correlato: I veri dieci comndamenti
Se solo ci si premurasse di consultare un manuale scolastico di storia, si eviterebbe di prendere certe sonore cantonate. I Comandamenti che i bambini imparano a catechismo sono il risultato di una lunga rielaborazione culminata con Agostino nel IV sec. d.C.: le regole partorite del vescovo di Ippona poco o punto c’entrano con i precetti dettati da YHWH al suo popolo. Per nessuna ragione al mondo YHWH si sarebbe sognato di stabilire l’assurda, insensata norma “Non desiderare la donna d’altri” che dapprincipio [o come direbbe strakky: d'apprincipio] doveva suonare più o meno così: “Non gettare il malocchio sulle donne e le cose altrui”.
Il comandamento più importante e disatteso oggi da quasi tutti i “cristiani” nel mondo verteva sul divieto di farsi immagini delle cose che esistono sulla terra ed in cielo e di adorarle. La chiesa nicena eluse questa proibizione per inventarsi un Decalogo a suo uso e consumo. Sull’esecrazione dell’idolatria chi oggi insiste tra gli esponenti del clero o chi soltanto vi accenna? Tra le varie norme oggi dimenticate, ma che il dio degli Ebrei riteneva significativa menzioneremmo almeno la seguente: “Non cuocerai il capretto nel latte della madre”.
Questo rapido excursus ci permette di capire che trapiantare credenze antiche nel presente, oltre a denotare crasso analfabetismo, causa danni interpretativi irreparabili. Ogni evento ed ogni fenomeno culturale devono essere collocati nel loro milieu e studiati in rapporto alle circostanze sociali, economiche, antropologiche, spirituali etc. in cui essi si situano. Diversamente si tradisce il passato e lo si strumentalizza per fini di propaganda o, nel migliore dei casi, di becero intrattenimento.
Così sbagliano coloro che credono di poter fondare la dottrina dell’immortalità dell’anima, del Paradiso e dell’Inferno, richiamandosi alla Bibbia, in special modo alla Torah. Nella Bibbia i termini “nephesh” e “ruach” che spesso sono resi con “anima” o “spirito” non designavano un’essenza individuale imperitura.
L’oltretomba biblico è lo Sheol, simile all’Ade omerico ed a quello dei Sumeri, una plaga brumosa dove i morti sono ormai privi di coscienza e di identità. Qualche breve rimando al Paradiso ed all’Inferno come luoghi, rispettivamente, di beatitudine e di dannazione si reperisce nel Nuovo Testamento, ma sono passi contraddetti da altri e di valore metaforico, insufficienti comunque a definire una topografia precisa dell’aldilà cristiano che non esiste.
Semmai lo studio comparato delle religioni ci dimostra che di solito le genti dell’antichità in origine concepirono l’oltremondo come un luogo indistinto per poi, un po’ alla volta, approdare ad una concezione in cui sono fissate per le anime immortali precise sedi dove esse dimoreranno post mortem nonché punizioni o ricompense.
Ciò precisato, è evidente che la milionaria dissertazione di Benigni sul decalogo è priva di qualsiasi valore culturale, anche soltanto divulgativo. Questo nonostante le tronfie lodi ed i lautissimi compensi con cui è stato incensato l’abominevole spettacolo.
A proposito comunque di comandamenti, ne vorremmo suggerire uno ed è questo: “Spegnete il televisore e non siate mai benigni con Benigni”.
Articolo correlato: I veri dieci comndamenti
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Pubblicato da
Zret
Tuesday, August 9, 2011
Le sette resine
http://zret.blogspot.com/2011/08/le-sette-resine.html
Le sette resine

Nota bene: si precisa che le informazioni di questo articolo non costituiscono in alcun modo e per nessun motivo indicazioni terapeutiche. Si tratta di semplici cenni, desunti principalmente da un recente saggio del Dottor Paolo Lissoni, sulle proprietà di alcune resine.
Secondo il Dottor Paolo Lissoni, l’uso delle resine, uno fra le numerose risorse terapeutiche che il generoso mondo vegetale offre all’uomo, era peculiare degli Esseni (Pii? Guaritori?). La medicina essena, che conosceva le proprietà medicamentose di moltissimi vegetali, assegnava uno specifico valore ai benefici effetti delle resine, riferibili all’archetipo di sette differenti piante: Mirra, Incenso, Pino, Abete, Cipresso, Tuia, Cannabis Indica.
Queste piante, da cui sgorga le “rugiada di Dio”, erano considerate sacre dai popoli antichi, nella tradizione degli Esseni e nella cultura islamica. La medicina arabo-musulmana è quella che ha maggiormente ereditato la sapienza degli Esseni a tal punto da definire la fragranza della Mirra un assaggio del profumo e della vita gioiosa che attende i giusti nel Paradiso.
Vediamo le principali caratteristiche terapeutiche delle sette resine fondamentali.
Mirra. Si estrae la gommoresina dalla corteccia di alcune piante del genere Commiphora (famiglia delle Bursacee) diffuse in Egitto e nella penisola arabica. Era adoperata dagli Egizi nell’imbalsamazione. Possiede proprietà antitumorali, antiaterosclerotiche, antinfiammatorie ed immunomodulanti.
Incenso. La gommoresina si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante del genere Boswellia. Ha l’aspetto di un latice biancastro che solidifica lentamente a contatto con l’aria. Grani di incenso erano bruciati dagli antichi in onore degli dei e dell’imperatore: l’effluvio, che se ne sprigionava in soavi volute, esprimeva la devozione. Le chiese cristiane inizialmente reputarono un retaggio del paganesimo la suddetta usanza, salvo poi recuperarla sicché l’incenso è impiegato in alcune occasioni liturgiche. E’ antitumorale ed ansiolitico. Il professor Lissoni ricorda la bassa incidenza di neoplasie tra i lavoratori dell’incenso. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che potrebbe sostituire il cortisone per la riduzione degli edemi cerebrali.
Tuia. E’ un bell’albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee) con foglie squamiformi; le pigne sono formate da squame legnose e piatte. La tuia, comune nell’America settentrionale e nell’Asia orientale, è messa a dimora nei parchi con fini ornamentali. Dalle foglie si ricava un olio essenziale che ha attività immunostimolante.
Cipresso. E’ il noto albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee). La resina è efficace contro la tosse; ha azione trofica e stimolante sul sistema venoso.
Pino. Appartiene alle Conifere. La sua resina è adatta nella terapia di affezioni delle vie aeree superiori ed inferiori (rinite, sinusite, faringite, laringite, tracheiti, broncopolmonite). La resina del Pino marittimo ha proprietà antinfiammatorie e contribuisce a sciogliere i calcoli.
Abete. Albero delle Conifere. La resina è efficace nel caso di reumatismi.
Cannabis Indica. Il suo più rilevante principio attivo è il tetraidrocannabinolo che esplica azione analgesica, antiemetica, antispastica, antitumorale, antisclerotica. E’ anche di giovamento nel caso delle patologie neurodegenerative.
Si possono prospettare associazioni fra due o più delle sette resine fondamentali: in special modo, la combinazione di Mirra, Incenso ed Abete potrebbe rivelarsi fruttuosa nel trattamento delle malattie auto-immuni.
Fonti:
Enciclopedia delle scienze, Milano, 2005 s.v. inerenti
P. Lissoni, La medicina essenica, 2011
Ringrazio il gentilissimo G. per la segnalazione.
Secondo il Dottor Paolo Lissoni, l’uso delle resine, uno fra le numerose risorse terapeutiche che il generoso mondo vegetale offre all’uomo, era peculiare degli Esseni (Pii? Guaritori?). La medicina essena, che conosceva le proprietà medicamentose di moltissimi vegetali, assegnava uno specifico valore ai benefici effetti delle resine, riferibili all’archetipo di sette differenti piante: Mirra, Incenso, Pino, Abete, Cipresso, Tuia, Cannabis Indica.
Queste piante, da cui sgorga le “rugiada di Dio”, erano considerate sacre dai popoli antichi, nella tradizione degli Esseni e nella cultura islamica. La medicina arabo-musulmana è quella che ha maggiormente ereditato la sapienza degli Esseni a tal punto da definire la fragranza della Mirra un assaggio del profumo e della vita gioiosa che attende i giusti nel Paradiso.
Vediamo le principali caratteristiche terapeutiche delle sette resine fondamentali.
Mirra. Si estrae la gommoresina dalla corteccia di alcune piante del genere Commiphora (famiglia delle Bursacee) diffuse in Egitto e nella penisola arabica. Era adoperata dagli Egizi nell’imbalsamazione. Possiede proprietà antitumorali, antiaterosclerotiche, antinfiammatorie ed immunomodulanti.
Incenso. La gommoresina si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante del genere Boswellia. Ha l’aspetto di un latice biancastro che solidifica lentamente a contatto con l’aria. Grani di incenso erano bruciati dagli antichi in onore degli dei e dell’imperatore: l’effluvio, che se ne sprigionava in soavi volute, esprimeva la devozione. Le chiese cristiane inizialmente reputarono un retaggio del paganesimo la suddetta usanza, salvo poi recuperarla sicché l’incenso è impiegato in alcune occasioni liturgiche. E’ antitumorale ed ansiolitico. Il professor Lissoni ricorda la bassa incidenza di neoplasie tra i lavoratori dell’incenso. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che potrebbe sostituire il cortisone per la riduzione degli edemi cerebrali.
Tuia. E’ un bell’albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee) con foglie squamiformi; le pigne sono formate da squame legnose e piatte. La tuia, comune nell’America settentrionale e nell’Asia orientale, è messa a dimora nei parchi con fini ornamentali. Dalle foglie si ricava un olio essenziale che ha attività immunostimolante.
Cipresso. E’ il noto albero delle Conifere (famiglia delle Cupressacee). La resina è efficace contro la tosse; ha azione trofica e stimolante sul sistema venoso.
Pino. Appartiene alle Conifere. La sua resina è adatta nella terapia di affezioni delle vie aeree superiori ed inferiori (rinite, sinusite, faringite, laringite, tracheiti, broncopolmonite). La resina del Pino marittimo ha proprietà antinfiammatorie e contribuisce a sciogliere i calcoli.
Abete. Albero delle Conifere. La resina è efficace nel caso di reumatismi.
Cannabis Indica. Il suo più rilevante principio attivo è il tetraidrocannabinolo che esplica azione analgesica, antiemetica, antispastica, antitumorale, antisclerotica. E’ anche di giovamento nel caso delle patologie neurodegenerative.
Si possono prospettare associazioni fra due o più delle sette resine fondamentali: in special modo, la combinazione di Mirra, Incenso ed Abete potrebbe rivelarsi fruttuosa nel trattamento delle malattie auto-immuni.
Fonti:
Enciclopedia delle scienze, Milano, 2005 s.v. inerenti
P. Lissoni, La medicina essenica, 2011
Ringrazio il gentilissimo G. per la segnalazione.
Pubblicato da Zret
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Tuesday, May 31, 2011
Felicità, essere e tempo
http://zret.blogspot.com/2011/05/felicita-essere-e-tempo.html
Felicità, essere e tempo

L’insopprimibile anelito alla felicità che alberga in ogni uomo è forse il segno di una nostalgia, di una condizione contraddistinta da una perfezione primigenia. Chi e perché ci strappò da quello stato che cerchiamo disperatamente come ciechi che brancicano nel buio? Esiste la felicità o è solo una chimera? Perché è connaturata all’essere umano la ricerca della serenità? Sono domande che sono destinate a restare senza un responso soddisfacente, almeno nell’arco della nostra breve vita.
Un quesito cui, invece, è più facile replicare verte sulle circostanze che possiamo considerare elargitrici di gioia. Se, come notava Schopenauer, non sappiamo veramente per quale recondita ragione tendiamo verso obiettivi che ci donano un per quanto effimero appagamento, siamo consci di quanto siano gratificanti certi risultati. Il ricordo, sia pure sfocato, di quei piaceri ci sprona a ripercorrere le strade che menano al soddisfacimento. Sono strade – è arcinoto – disseminate di sassi roventi e di spini, ma tant’è…
Uomini simili a bruti perseguono solo la voluttà dei sensi, mentre le persone di natura elevata aspirano a ben altre mete, al nutrimento dell’anima. Le situazioni intermedie sono numerose. Gli Ottentotti, in fondo, desiderano prolungare indefinitamente certe sensazioni gradevoli, laddove gli “spiriti magni” vedono proprio nel tempo l’inciampo, adoperandosi per trascenderlo e negarlo. L’estasi di Plotino ed il nirvana sono proprio superamenti dei limiti spazio-temporali in cui è serrata l’esistenza.
Che cosa pensare dunque di quelle chiese che promettono una felicità eterna ai giusti in una terra rigenerata, ma pur sempre su questa terra, attraverso una vita idilliaca e serena, situata nello spazio e nel tempo? Mi pare una prospettiva poco desiderabile: non subentrerebbe ad un certo punto la noia? Anche qualora quella vita paradisiaca fosse allietata da mille delizie ed animata dal desiderio di studiare le meraviglie della natura, si gusterebbe, primo o dopo, il sapore stucchevole del già noto, a meno che tale stato non combaci con un flusso inconsapevole, ossia con una felicità dimentica, ignara di sé stessa, un po’ come quella degli animali che non provano la sofferenza legata alla coscienza di esistere. Suprema contraddizione: si è felici solo se non si sa di esserlo.
Vivere per sempre? Certo, Ziusudra tentò in ogni modo di carpire agli "dei" il segreto dell’immortalità, ma forse gli uomini sono più felici degli dei proprio perché mortali. Paradossalmente la felicità prospettata da taluni diverrebbe una condanna.
Antitetica è, ad esempio, la concezione della felicità in Dante che considera la beatitudine un pieno adeguamento alla volontà di Dio. Il Paradiso è luogo che è un non-luogo, un tempo che è un non-tempo. La beatitudine, ineffabile stato, è sull’orlo del non essere.
Chissà, forse l’unica vera felicità concessa all’uomo, creatura curva sul dolore e sull’angoscia, è l’estinzione, il nulla. Quante volte abbiamo desiderato spegnerci! Inutilmente. Eppure se la felicità non è l’annientamento, abita nelle regioni limitrofe dell’oblio, del silenzio, della lontananza infinita dal mondo.
Infine l’unica vera ricompensa per aver tanto patito e sopportato invano, potrebbe essere il niente… meglio di niente.
Un quesito cui, invece, è più facile replicare verte sulle circostanze che possiamo considerare elargitrici di gioia. Se, come notava Schopenauer, non sappiamo veramente per quale recondita ragione tendiamo verso obiettivi che ci donano un per quanto effimero appagamento, siamo consci di quanto siano gratificanti certi risultati. Il ricordo, sia pure sfocato, di quei piaceri ci sprona a ripercorrere le strade che menano al soddisfacimento. Sono strade – è arcinoto – disseminate di sassi roventi e di spini, ma tant’è…
Uomini simili a bruti perseguono solo la voluttà dei sensi, mentre le persone di natura elevata aspirano a ben altre mete, al nutrimento dell’anima. Le situazioni intermedie sono numerose. Gli Ottentotti, in fondo, desiderano prolungare indefinitamente certe sensazioni gradevoli, laddove gli “spiriti magni” vedono proprio nel tempo l’inciampo, adoperandosi per trascenderlo e negarlo. L’estasi di Plotino ed il nirvana sono proprio superamenti dei limiti spazio-temporali in cui è serrata l’esistenza.
Che cosa pensare dunque di quelle chiese che promettono una felicità eterna ai giusti in una terra rigenerata, ma pur sempre su questa terra, attraverso una vita idilliaca e serena, situata nello spazio e nel tempo? Mi pare una prospettiva poco desiderabile: non subentrerebbe ad un certo punto la noia? Anche qualora quella vita paradisiaca fosse allietata da mille delizie ed animata dal desiderio di studiare le meraviglie della natura, si gusterebbe, primo o dopo, il sapore stucchevole del già noto, a meno che tale stato non combaci con un flusso inconsapevole, ossia con una felicità dimentica, ignara di sé stessa, un po’ come quella degli animali che non provano la sofferenza legata alla coscienza di esistere. Suprema contraddizione: si è felici solo se non si sa di esserlo.
Vivere per sempre? Certo, Ziusudra tentò in ogni modo di carpire agli "dei" il segreto dell’immortalità, ma forse gli uomini sono più felici degli dei proprio perché mortali. Paradossalmente la felicità prospettata da taluni diverrebbe una condanna.
Antitetica è, ad esempio, la concezione della felicità in Dante che considera la beatitudine un pieno adeguamento alla volontà di Dio. Il Paradiso è luogo che è un non-luogo, un tempo che è un non-tempo. La beatitudine, ineffabile stato, è sull’orlo del non essere.
Chissà, forse l’unica vera felicità concessa all’uomo, creatura curva sul dolore e sull’angoscia, è l’estinzione, il nulla. Quante volte abbiamo desiderato spegnerci! Inutilmente. Eppure se la felicità non è l’annientamento, abita nelle regioni limitrofe dell’oblio, del silenzio, della lontananza infinita dal mondo.
Infine l’unica vera ricompensa per aver tanto patito e sopportato invano, potrebbe essere il niente… meglio di niente.
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Tuesday, April 20, 2010
Il giardino, il cielo (e il terrazzino???)
http://zret.blogspot.com/2010/04/il-giardino-il-cielo.html
Il giardino, il cielo
Raggi d'oro tra le fronde
Freschi brividi
Splendore nell'ombra
(Kobayashi Issa)
Si è smarrito oggi del tutto o quasi il significato esoterico del giardino. Nelle nostre tetre città, le aree verdi sono patetiche sopravvivenze di alberi e cespugli assediati dal cemento, sfigurati da cartelli, pali, antenne.
Il giardino tradizionale era, invece era una creazione in cui le geometrie delle aiuole e la bellezza delle essenze vegetali rispecchiavano l'armonia del cosmo. Il giardino, il cui mistico silenzio si impregna di soffi e si increspa di cinguettii, è in primis un paesaggio dell'anima: le linee rette si ammorbidiscono nelle curve delle chiome, trasfigurando le esperienze caduche della vita nell'avvolgente concordanza della pace interiore. L'aria, l'acqua, la luce e la terra permeano il giardino in cui la natura e la cultura si compenetrano, fino a fondersi.
E' noto che il verziere, soprattutto nella tradizione islamica, è metafora del Paradiso che appunto significa "giardino" in greco, luminoso adombramento della condizione ineffabile di unione con il divino. I primi capitoli del Genesi sono ambientati in un luogo verdeggiante ed ameno in cui spira una piacevole brezza: è la dimora perfetta per i progenitori, prima della loro caduta.
Il frutteto delimitato dal chiostro è uno spazio della contemplazione il cui chiarore si attenua nella mistica penombra dei portici. Ancora più spirituale è il giardino Zen in cui le rocce e la ghiaia, un una grisaille appena svariata di verde tenue, sfiorano la consistenza del vuoto.
Il giardino e l'orto (i due vocaboli sono collegati sul piano etimologico) uniscono quindi il basso e l'alto: le quadripartizione di molti giardini con al centro una scintillante fontana è simbolo della terra con al centro la sua scaturigine. I poligoni delle aiuole ed il cerchio della fontana, in cui gli zampilli assumono movenze e riflessi sempre mutevoli, evocano la compresenza di finito ed infinito. I sentieri che conducono al centro sono percorsi iniziatici.
Anche suggestivi sono i giardini all'inglese, ove le siepi sinuose e le masse di alberi distribuite con studiata naturalezza, paiono profilare la forma sempre cangiante delle nuvole e dei fiumi azzurri che le lambiscono. Talvolta, come in uno specchio, i cumuli si coagulano sopra i gruppi degli alberi, tingendo di cupe sfumature lo smeraldo del fogliame.
Salendo ancora, ammiriamo il giardino del firmamento: gli astri sono boccioli, le costellazioni siepi raggianti, le galassie e le nebulose argentei ammassi di vegetazione. La linea delle coste sui pianeti, per una corrispondenza sottile, si svolge lungo il filo invisibile che lega le stelle.
Freschi brividi
Splendore nell'ombra
(Kobayashi Issa)

Il giardino tradizionale era, invece era una creazione in cui le geometrie delle aiuole e la bellezza delle essenze vegetali rispecchiavano l'armonia del cosmo. Il giardino, il cui mistico silenzio si impregna di soffi e si increspa di cinguettii, è in primis un paesaggio dell'anima: le linee rette si ammorbidiscono nelle curve delle chiome, trasfigurando le esperienze caduche della vita nell'avvolgente concordanza della pace interiore. L'aria, l'acqua, la luce e la terra permeano il giardino in cui la natura e la cultura si compenetrano, fino a fondersi.
E' noto che il verziere, soprattutto nella tradizione islamica, è metafora del Paradiso che appunto significa "giardino" in greco, luminoso adombramento della condizione ineffabile di unione con il divino. I primi capitoli del Genesi sono ambientati in un luogo verdeggiante ed ameno in cui spira una piacevole brezza: è la dimora perfetta per i progenitori, prima della loro caduta.
Il frutteto delimitato dal chiostro è uno spazio della contemplazione il cui chiarore si attenua nella mistica penombra dei portici. Ancora più spirituale è il giardino Zen in cui le rocce e la ghiaia, un una grisaille appena svariata di verde tenue, sfiorano la consistenza del vuoto.
Il giardino e l'orto (i due vocaboli sono collegati sul piano etimologico) uniscono quindi il basso e l'alto: le quadripartizione di molti giardini con al centro una scintillante fontana è simbolo della terra con al centro la sua scaturigine. I poligoni delle aiuole ed il cerchio della fontana, in cui gli zampilli assumono movenze e riflessi sempre mutevoli, evocano la compresenza di finito ed infinito. I sentieri che conducono al centro sono percorsi iniziatici.
Anche suggestivi sono i giardini all'inglese, ove le siepi sinuose e le masse di alberi distribuite con studiata naturalezza, paiono profilare la forma sempre cangiante delle nuvole e dei fiumi azzurri che le lambiscono. Talvolta, come in uno specchio, i cumuli si coagulano sopra i gruppi degli alberi, tingendo di cupe sfumature lo smeraldo del fogliame.
Salendo ancora, ammiriamo il giardino del firmamento: gli astri sono boccioli, le costellazioni siepi raggianti, le galassie e le nebulose argentei ammassi di vegetazione. La linea delle coste sui pianeti, per una corrispondenza sottile, si svolge lungo il filo invisibile che lega le stelle.
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