Scopo del Blog
Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.
Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.
Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.
Ciao e grazie della visita.
Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:
http://indipezzenti.blogspot.ch/
https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/
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Showing posts with label Platone. Show all posts
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Wednesday, April 20, 2016
Saturday, November 7, 2015
Tuesday, October 20, 2015
I numeri in un mondo capovolto
http://zret.blogspot.ch/2015/10/i-numeri-in-un-mondo-capovolto.html
https://archive.is/L1ep2
Anni fa conobbi uno studente universitario che, ritenendo il numero la quintessenza della realtà, si era persino convinto che le sequenze alfanumeriche delle targhe automobilistiche contenevano messaggi reconditi.
zretino, pensa che c'e' anche chi pensa che i codici a barre nascondano significati demoniaci.
https://archive.is/L1ep2
Anni fa conobbi uno studente universitario che, ritenendo il numero la quintessenza della realtà, si era persino convinto che le sequenze alfanumeriche delle targhe automobilistiche contenevano messaggi reconditi.
zretino, pensa che c'e' anche chi pensa che i codici a barre nascondano significati demoniaci.
Thursday, October 9, 2014
Il cubo volante di Rimini (saranno arrivati i transformers in riviera)
http://zret.blogspot.ch/2014/10/il-cubo-volante-di-rimini.html
Il cubo volante di Rimini

Il recente libro di Carlo Di Litta e Quinto Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”,
contiene un interessante rapporto a proposito di un avvistamento U.F.O.
Carlo Di Litta riferisce di un oggetto volante dall’inusuale forma
cubica. L’ordigno fu scorto e fotografato nel cielo di Rimini il giorno
15 giugno del 2011, alle ore 21:30, durante l’eclissi di Luna.
Nel capitolo dedicato al caso, giustamente Carlo Di Litta disquisisce sui significati simbolici ed esoterici del cubo. A questo solido geometrico consacrammo un breve articolo, Cubo, dove scrivemmo:
“L’arca che Ziusudra, re di Shuruppak, (il Noè biblico) costruì, su consiglio del dio Enki, aveva la forma di un cubo, con ciascun lato di 120 cubiti. Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di Dio, era un parallelepipedo: 150 cubiti di lunghezza per 30 di altezza e 50 di larghezza. […]
L’arca di Ziusudra era dunque un gigantesco dado che è l’espressione simbolica tridimensionale del quadrato, adombrando tutto ciò che è saldo e durevole. Tra i corpi regolari, Platone assegna al dado l’elemento terra. Nell’alchimia è in relazione alll’elemento “sal” come principio del concreto. La Gerusalemme celeste, città ideale dell’Apocalissi attribuita a Giovanni (21-16,17) è cubica: “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della città sono eguali”. I suoi lati sono di 12.000 stadi (2200 km), un corpo perfetto sulla base del numero 12. E’ un cubo pure la Kaaba, nel santuario della Mecca: ivi è custodita la pietra divenuta nera per i peccati degli uomini.[…]
Secondo l’ipotesi di David Wilcock, il cubo di Ziusudra potrebbe essere uno stargate, grazie al quale il re sumero riuscì a mettere in salvo sé stesso, i congiunti e gli animali, seguendo le istruzioni del dio Enki (Ea). Wilcock nota che l’ipercubo (o n-cubo), forma geometrica regolare inclusa in uno spazio di quattro dimensioni, secondo gli studi pionieristici di alcuni scienziati, si lega alla fisica iperdimensionale, dunque alla possibilità di varcare il confine del nostro universo per accedere ad un altro piano”.
Invero, l’U.F.O. immortalato da Carlo Di Litta in alcuni suggestivi scatti, è sì un dado, ma proteiforme. Dalle immagini si nota che esso cambia colore (fenomeno frequente nella letteratura) nonché aspetto, delineando dei grafemi riconducibili a talune lettere dell’alfabeto ebraico.
In particolare si possono riconoscere i grafemi ח (Chet, Heth, Khe: recinto per il bestiame); ת (Tav, giogo); צ (Tzadi, Sade, Gufo).
Non sorprenda la correlazione tra antichi idiomi (sumero, aramaico, ebraico…) e presunte civiltà aliene. (Si legga A. Marcianò, La lingua dei visitatori, in "X Times" n. 39, gennaio 2012).
Vediamo i significati emblematici dei segni sopra citati.
La lettera ח, Heth, ha valore numerico 8. Essa rappresenta la trascendenza, la grazia divina e la vita. Il numero otto simboleggia la capacità dell'uomo di trascendere (andare oltre) i limiti dell'esistenza fisica (Maharal).
La lettera ת, Tau, ha valore numerico 400; è simbolo di verità e perfezione. Tau sta per ’æmet (verità). Contrariamente a molti altri casi, in cui è la prima lettera del nome a conferire il significato, nel caso di ’æmet (verità), l'ultima lettera, Tau, lega il sostantivo al nucleo semantico. La verità è eterna, ma quando le viene tolta la ’alef, che è il più piccolo valore di ’æmet, allora rimane la Met (morte). Probabilmente la valenza di questo grafema-fonema risale al concetto egizio di Maat, giustizia, equilibrio, misura. E’ plausibile, come sostengono molti specialisti, che la tradizione ebraica, incluso l’alfabeto, affondi le sue radici in un substrato sumero ed egizio.
La lettera צ, Ṣade, possiede valore numerico 90. Questo grafema richiama la giustizia e l’umiltà. Ṣade sta per Ṣaddîq, il Giusto, riferendosi a Dio che è chiamato Ṣaddîq we yašār, il Giusto e Retto – Deut.32:4. Ṣaddîq è anche usato per definire l'uomo che emula l’equità di Dio, conducendo una vita integerrima.
E’ notevole lo spunto che ci offre Carlo Di Nitta nel momento in cui coglie il sorprendente parallelismo tra le configurazioni dell’oggetto non identificato ed alcune caratteri ebraici. Esseri non terrestri vollero codificare un messaggio attraverso segnali nel cielo? E’ corretto evocare i significati metaforici di certi segni o bisogna attenersi all’ambito letterale?
Auspichiamo ulteriori indagini per opera di di glottologi e di ufologi.
Fonti:
C. Di Litta, Q. Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, 2014, pp. 153-155
Enciclopedia dei simboli, Milano, 1991
Nel capitolo dedicato al caso, giustamente Carlo Di Litta disquisisce sui significati simbolici ed esoterici del cubo. A questo solido geometrico consacrammo un breve articolo, Cubo, dove scrivemmo:
“L’arca che Ziusudra, re di Shuruppak, (il Noè biblico) costruì, su consiglio del dio Enki, aveva la forma di un cubo, con ciascun lato di 120 cubiti. Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di Dio, era un parallelepipedo: 150 cubiti di lunghezza per 30 di altezza e 50 di larghezza. […]
L’arca di Ziusudra era dunque un gigantesco dado che è l’espressione simbolica tridimensionale del quadrato, adombrando tutto ciò che è saldo e durevole. Tra i corpi regolari, Platone assegna al dado l’elemento terra. Nell’alchimia è in relazione alll’elemento “sal” come principio del concreto. La Gerusalemme celeste, città ideale dell’Apocalissi attribuita a Giovanni (21-16,17) è cubica: “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della città sono eguali”. I suoi lati sono di 12.000 stadi (2200 km), un corpo perfetto sulla base del numero 12. E’ un cubo pure la Kaaba, nel santuario della Mecca: ivi è custodita la pietra divenuta nera per i peccati degli uomini.[…]
Secondo l’ipotesi di David Wilcock, il cubo di Ziusudra potrebbe essere uno stargate, grazie al quale il re sumero riuscì a mettere in salvo sé stesso, i congiunti e gli animali, seguendo le istruzioni del dio Enki (Ea). Wilcock nota che l’ipercubo (o n-cubo), forma geometrica regolare inclusa in uno spazio di quattro dimensioni, secondo gli studi pionieristici di alcuni scienziati, si lega alla fisica iperdimensionale, dunque alla possibilità di varcare il confine del nostro universo per accedere ad un altro piano”.
Invero, l’U.F.O. immortalato da Carlo Di Litta in alcuni suggestivi scatti, è sì un dado, ma proteiforme. Dalle immagini si nota che esso cambia colore (fenomeno frequente nella letteratura) nonché aspetto, delineando dei grafemi riconducibili a talune lettere dell’alfabeto ebraico.
In particolare si possono riconoscere i grafemi ח (Chet, Heth, Khe: recinto per il bestiame); ת (Tav, giogo); צ (Tzadi, Sade, Gufo).
Non sorprenda la correlazione tra antichi idiomi (sumero, aramaico, ebraico…) e presunte civiltà aliene. (Si legga A. Marcianò, La lingua dei visitatori, in "X Times" n. 39, gennaio 2012).
Vediamo i significati emblematici dei segni sopra citati.
La lettera ח, Heth, ha valore numerico 8. Essa rappresenta la trascendenza, la grazia divina e la vita. Il numero otto simboleggia la capacità dell'uomo di trascendere (andare oltre) i limiti dell'esistenza fisica (Maharal).
La lettera ת, Tau, ha valore numerico 400; è simbolo di verità e perfezione. Tau sta per ’æmet (verità). Contrariamente a molti altri casi, in cui è la prima lettera del nome a conferire il significato, nel caso di ’æmet (verità), l'ultima lettera, Tau, lega il sostantivo al nucleo semantico. La verità è eterna, ma quando le viene tolta la ’alef, che è il più piccolo valore di ’æmet, allora rimane la Met (morte). Probabilmente la valenza di questo grafema-fonema risale al concetto egizio di Maat, giustizia, equilibrio, misura. E’ plausibile, come sostengono molti specialisti, che la tradizione ebraica, incluso l’alfabeto, affondi le sue radici in un substrato sumero ed egizio.
La lettera צ, Ṣade, possiede valore numerico 90. Questo grafema richiama la giustizia e l’umiltà. Ṣade sta per Ṣaddîq, il Giusto, riferendosi a Dio che è chiamato Ṣaddîq we yašār, il Giusto e Retto – Deut.32:4. Ṣaddîq è anche usato per definire l'uomo che emula l’equità di Dio, conducendo una vita integerrima.
E’ notevole lo spunto che ci offre Carlo Di Nitta nel momento in cui coglie il sorprendente parallelismo tra le configurazioni dell’oggetto non identificato ed alcune caratteri ebraici. Esseri non terrestri vollero codificare un messaggio attraverso segnali nel cielo? E’ corretto evocare i significati metaforici di certi segni o bisogna attenersi all’ambito letterale?
Auspichiamo ulteriori indagini per opera di di glottologi e di ufologi.
Fonti:
C. Di Litta, Q. Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, 2014, pp. 153-155
Enciclopedia dei simboli, Milano, 1991
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati
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Zret
Wednesday, September 10, 2014
Il giusto ed il buongusto
http://zret.blogspot.ch/2014/09/il-giusto-ed-il-buongusto_9.html
Il giusto ed il buongusto

"Non
è giusto!" Così esclama il bimbo cui è stato sottratto in modo
immotivato un balocco. Si deve ritenere che un senso etico, per quanto
confuso, sia innato o, per lo meno, precoce nell'essere umano. Che cosa
significa "giusto"? Qual è la differenza tra "giusto" ed "ingiusto" di
là da una concezione empirica e superficiale? Ancora una volta
l'indagine etimologica non ci è di grande ausilio: "Giusto proviene
dal latino ius, antichissima definizione di una formula di incitamento,
portafortuna, sopravvissuta solo nelle aree che hanno conservata intatta
la classe sacerdotale (indo-iranica e latina) e da cui si è svolta la
nozione di diritto. Forma originaria è yeus alternante con yewes".(G. Devoto) Il lessema latino si connette al verbo iurare, giurare.
Dunque il diritto sembra radicato in forme solenni e sacre di giuramento. Tuttavia la sacralità del giuramento è venata di alcunché di sacrilego, se, ad esempio, in inglese, il verbo (to) swear significa sia "giurare" sia "bestemmiare". Anche i Vangeli condannano il giuramento. E' impossibile quindi definire il concetto di giustizia, laddove il quasi sinonimo "equità" riesce ad evocare un'ombra di significato, allorché pensiamo al latino aequor, mare, da aequus, inteso come superficie piana. Quindi l'equità è qualcosa di livellato, di uniforme.
Non erra alla fine Platone (attraverso il suo alter ego, Socrate) che, rifiutando l'idea secondo cui l'equità sarebbe "beneficare gli amici e nuocere ai nemici", o "l'utile del più forte", alla fine getta la spugna. Infatti, nella conclusione della “Politeia”, il filosofo ateniese riconosce che le sue argomentazioni non hanno fruttato i risultati sperati: non è stato chiarito che cosa sia veramente la giustizia, sebbene se ne sia riconosciuto il giovamento e si sia ammesso che essa deve essere una qualche virtù.
Che differenza rispetto a molti filosofastri, intellettualoidi, pseudo-scienziati contemporanei che pensano di poter distinguere tra giusto ed ingiusto, tra vero e falso, tra scientifico e non scientifico! Certi concetti e vocaboli dovrebbero essere maneggiati con cura, altrimenti si rischia di cristallizzarsi nel dogmatismo. Nonostante la tanto sbandierata tolleranza, la società attuale è dogmatica, intransigente. Il "sapere" è diventato apodittico. Ignoranti ed idioti, con la cassa di risonanza costituita dai media istituzionali, propagandano il pensiero unico. Lo spirito critico, l'abitudine alla ricerca e l'approccio epistemologico sono defunti. E’ necessario persino il buon gusto, quando ci si accosta a taluni lessemi e sensi. E’ una questione di savoir faire: si deve cominciare con il riconoscimento che la "giustizia" dei tribunali è quasi sempre una parodia per poi degustare i veri valori dell’equità, nel senso più nobile del termine. Proprio come un assaggiatore di vini, occorre saper apprezzare il bouquet delle parole.
Le persone sono regredite a livelli infantili, simili a quei pargoli che gridano: "Non è giusto!", quando ad un coetaneo sono date due caramelle ed a lui neanche una. Come i bambini, oggi gli adulti sono del tutto incapaci di suggerire un'idea di "giustizia", mentre si lasciano trascinare da parole emotive, da motivazioni deamicisiane. Ecco allora che i governi ed il clero facilmente persuadono la gente che una guerra è “giusta”, “umanitaria”, “intelligente”. Il popolino non si accorge dello stridente contrasto tra il nome “guerra” e gli opportunistici aggettivi che vi sono incollati. Ecco perché è sufficiente una campagna orchestrata dai parolai al "potere" per scatenare un sanguinoso conflitto. Si affila la lingua, prima di affilare le baionette.
Dunque il diritto sembra radicato in forme solenni e sacre di giuramento. Tuttavia la sacralità del giuramento è venata di alcunché di sacrilego, se, ad esempio, in inglese, il verbo (to) swear significa sia "giurare" sia "bestemmiare". Anche i Vangeli condannano il giuramento. E' impossibile quindi definire il concetto di giustizia, laddove il quasi sinonimo "equità" riesce ad evocare un'ombra di significato, allorché pensiamo al latino aequor, mare, da aequus, inteso come superficie piana. Quindi l'equità è qualcosa di livellato, di uniforme.
Non erra alla fine Platone (attraverso il suo alter ego, Socrate) che, rifiutando l'idea secondo cui l'equità sarebbe "beneficare gli amici e nuocere ai nemici", o "l'utile del più forte", alla fine getta la spugna. Infatti, nella conclusione della “Politeia”, il filosofo ateniese riconosce che le sue argomentazioni non hanno fruttato i risultati sperati: non è stato chiarito che cosa sia veramente la giustizia, sebbene se ne sia riconosciuto il giovamento e si sia ammesso che essa deve essere una qualche virtù.
Che differenza rispetto a molti filosofastri, intellettualoidi, pseudo-scienziati contemporanei che pensano di poter distinguere tra giusto ed ingiusto, tra vero e falso, tra scientifico e non scientifico! Certi concetti e vocaboli dovrebbero essere maneggiati con cura, altrimenti si rischia di cristallizzarsi nel dogmatismo. Nonostante la tanto sbandierata tolleranza, la società attuale è dogmatica, intransigente. Il "sapere" è diventato apodittico. Ignoranti ed idioti, con la cassa di risonanza costituita dai media istituzionali, propagandano il pensiero unico. Lo spirito critico, l'abitudine alla ricerca e l'approccio epistemologico sono defunti. E’ necessario persino il buon gusto, quando ci si accosta a taluni lessemi e sensi. E’ una questione di savoir faire: si deve cominciare con il riconoscimento che la "giustizia" dei tribunali è quasi sempre una parodia per poi degustare i veri valori dell’equità, nel senso più nobile del termine. Proprio come un assaggiatore di vini, occorre saper apprezzare il bouquet delle parole.
Le persone sono regredite a livelli infantili, simili a quei pargoli che gridano: "Non è giusto!", quando ad un coetaneo sono date due caramelle ed a lui neanche una. Come i bambini, oggi gli adulti sono del tutto incapaci di suggerire un'idea di "giustizia", mentre si lasciano trascinare da parole emotive, da motivazioni deamicisiane. Ecco allora che i governi ed il clero facilmente persuadono la gente che una guerra è “giusta”, “umanitaria”, “intelligente”. Il popolino non si accorge dello stridente contrasto tra il nome “guerra” e gli opportunistici aggettivi che vi sono incollati. Ecco perché è sufficiente una campagna orchestrata dai parolai al "potere" per scatenare un sanguinoso conflitto. Si affila la lingua, prima di affilare le baionette.
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati
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Zret
Saturday, May 10, 2014
Antropologia e politica
http://zret.blogspot.it/2014/05/antropologia-e-politica.html
Antropologia e politica

Non sarà l’uomo a risolvere i problemi dell’umanità.
Ancora qualcuno crede alle ricette ed alle promesse dei patetici “politici”? Spero proprio di no. Ammesso e non concesso che davvero qualcuno intenda agire per il bene della collettività, non si scontrerà con ostacoli insormontabili?
Almeno dai tempi di Platone si teorizza lo stato ideale: si sono solo costruiti organismi pessimi. Perché lambiccarsi per delineare un modello di governo perfetto, un paradigma di democrazia, quando ci ritroviamo con il peggiore degli stati possibili pressoché in ogni dove?
Si sono soltanto vagheggiate utopie, spesso pericolose come ci avverte Emil Cioran. Basti pensare al Cristianesimo, la “religione dell’amore” secondo la vulgata (in realtà la comunità dei Nazirei era tutt’altro che pacifica) capace solo di generare il monstrum della Chiesa. Se certi valori furono proclamati, essi non fecondarono per nulla la società e, a distanza di duemila anni, possiamo constatare il totale fallimento delle “magnifiche sorti e progressive” proclamate dai primi “cristiani”, Paolo in primis.
Il discorso vale anche per tutti quegli autori che si illusero di poter definire un modello statuale organico. Gli specula principis medievali sono opere i cui intenti sono tanto nobili, quanto irrealizzabili. E’ un disegno che palesa dabbenaggine nel momento in cui si crede di poter concretare certe idee. Non sfugge a questa imbarazzante sublimazione Dante con il trattato in tre libri, De monarchia. La verità è sconvolgente: tra ideale e reale il divario non è ampio ma infinito.
Pochi pensatori compresero la vera natura del potere: tra questi Machiavelli e soprattutto Guicciardini. Il “segretario fiorentino” con amarezza constata come sia impossibile coniugare etica e politica; il secondo, inariditasi anche l’ultima vena di idealizzazione con cui Machiavelli descrive uno stato forte, ma, nel complesso eretto nell’interesse della comunità, registra l’assoluta spregiudicatezza degli apparati che schiacciano l’individuo privo di “discrezione”.
Lo Stato è visto ora come necessità ineludibile (Hobbes) ora come male assoluto (Marx e Nietzsche); di converso è glorificato da chi, si pensi a Hegel, tratteggia un consorzio sociale e politico che non è mai esistito e mai esisterà. Si è che le teorie devono fare i conti con la “verità effettuale”, con la natura umana. Sono conti molto salati.
Non so se l’uomo sia naturalmente incline al bene o al male: so, però, che nel corso della storia l’unica compagine in cui di solito regna l’armonia è quella formata da un solo individuo. Già, quando si è in due, cominciano i problemi: non oso pensare quali dissidi si generano in comunità ampie, formate da milioni di persone. Certo, poi interviene un diabolico (in senso letterale) esecutivo di turno a sistemare le cose. Povera umanità, incapace di governarsi e che delega ogni autorità a chi la governa con la coercizione e la frode! Si rinuncia alla libertà con il sogno di ottenere un po’ di sicurezza: ci si accorge dopo poco tempo, di aver perso entrambe. Per sempre.
Esistono forse le eccezioni: le società gilaniche, alcune tribù di nativi americani in cui ognuno ricopriva il suo ruolo, senza prevaricazioni ed in sintonia con il prossimo; la Comune del 1871, i consigli di Liebknecht e Luxembourg... ma sono esempi sporadici, effimeri, non scevri da una certa dose di trasfigurazione, di nostalgico ripiegamento.
E’ possibile dunque ipotizzare un’amministrazione volta a garantire i diritti dei cittadini, sancendo solo i doveri davvero ineludibili? Horkheimer auspica che lo Stato sia diluito in una forma di conduzione il più possibile leggera, quasi impalpabile. Purtroppo non solo il suo auspicio è rimasto lettera morta, ma addirittura siamo costretti a rilevare che, con il passare del tempo, le strutture di potere diventano sempre più tiranniche, pur dietro le pallide parvenze della democrazia (in realtà demoncrazia). Non solo, ci dobbiamo sorbire i peana in onore delle “democrazie occidentali” per opera di servi del sistema, come Karl Popper.
Di fronte ad una situazione siffatta si può solo sperare in un sovvertimento radicale e definitivo di ogni Stato, nel crollo di tutte le istituzioni che sono irriformabili. Alla loro natura degenere si somma la natura comunque ambigua dell’uomo di cui né la morale né la religione né l’educazione possono sradicare i difetti che anzi scaltri personaggi alimentano e strumentalizzano. Si innesca una climax in cui il male individuale si moltiplica a causa della nequizia connaturata alle classi dirigenti tutte.
Si può sperare in un cambiamento, in un’evoluzione dell’uomo, una palingenesi tale da costituire la premessa per un mondo migliore? Atroce è non avere le risposte; ancora più atroce sapere che a pochi importa cercare risposte e risoluzioni.
Ancora qualcuno crede alle ricette ed alle promesse dei patetici “politici”? Spero proprio di no. Ammesso e non concesso che davvero qualcuno intenda agire per il bene della collettività, non si scontrerà con ostacoli insormontabili?
Almeno dai tempi di Platone si teorizza lo stato ideale: si sono solo costruiti organismi pessimi. Perché lambiccarsi per delineare un modello di governo perfetto, un paradigma di democrazia, quando ci ritroviamo con il peggiore degli stati possibili pressoché in ogni dove?
Si sono soltanto vagheggiate utopie, spesso pericolose come ci avverte Emil Cioran. Basti pensare al Cristianesimo, la “religione dell’amore” secondo la vulgata (in realtà la comunità dei Nazirei era tutt’altro che pacifica) capace solo di generare il monstrum della Chiesa. Se certi valori furono proclamati, essi non fecondarono per nulla la società e, a distanza di duemila anni, possiamo constatare il totale fallimento delle “magnifiche sorti e progressive” proclamate dai primi “cristiani”, Paolo in primis.
Il discorso vale anche per tutti quegli autori che si illusero di poter definire un modello statuale organico. Gli specula principis medievali sono opere i cui intenti sono tanto nobili, quanto irrealizzabili. E’ un disegno che palesa dabbenaggine nel momento in cui si crede di poter concretare certe idee. Non sfugge a questa imbarazzante sublimazione Dante con il trattato in tre libri, De monarchia. La verità è sconvolgente: tra ideale e reale il divario non è ampio ma infinito.
Pochi pensatori compresero la vera natura del potere: tra questi Machiavelli e soprattutto Guicciardini. Il “segretario fiorentino” con amarezza constata come sia impossibile coniugare etica e politica; il secondo, inariditasi anche l’ultima vena di idealizzazione con cui Machiavelli descrive uno stato forte, ma, nel complesso eretto nell’interesse della comunità, registra l’assoluta spregiudicatezza degli apparati che schiacciano l’individuo privo di “discrezione”.
Lo Stato è visto ora come necessità ineludibile (Hobbes) ora come male assoluto (Marx e Nietzsche); di converso è glorificato da chi, si pensi a Hegel, tratteggia un consorzio sociale e politico che non è mai esistito e mai esisterà. Si è che le teorie devono fare i conti con la “verità effettuale”, con la natura umana. Sono conti molto salati.
Non so se l’uomo sia naturalmente incline al bene o al male: so, però, che nel corso della storia l’unica compagine in cui di solito regna l’armonia è quella formata da un solo individuo. Già, quando si è in due, cominciano i problemi: non oso pensare quali dissidi si generano in comunità ampie, formate da milioni di persone. Certo, poi interviene un diabolico (in senso letterale) esecutivo di turno a sistemare le cose. Povera umanità, incapace di governarsi e che delega ogni autorità a chi la governa con la coercizione e la frode! Si rinuncia alla libertà con il sogno di ottenere un po’ di sicurezza: ci si accorge dopo poco tempo, di aver perso entrambe. Per sempre.
Esistono forse le eccezioni: le società gilaniche, alcune tribù di nativi americani in cui ognuno ricopriva il suo ruolo, senza prevaricazioni ed in sintonia con il prossimo; la Comune del 1871, i consigli di Liebknecht e Luxembourg... ma sono esempi sporadici, effimeri, non scevri da una certa dose di trasfigurazione, di nostalgico ripiegamento.
E’ possibile dunque ipotizzare un’amministrazione volta a garantire i diritti dei cittadini, sancendo solo i doveri davvero ineludibili? Horkheimer auspica che lo Stato sia diluito in una forma di conduzione il più possibile leggera, quasi impalpabile. Purtroppo non solo il suo auspicio è rimasto lettera morta, ma addirittura siamo costretti a rilevare che, con il passare del tempo, le strutture di potere diventano sempre più tiranniche, pur dietro le pallide parvenze della democrazia (in realtà demoncrazia). Non solo, ci dobbiamo sorbire i peana in onore delle “democrazie occidentali” per opera di servi del sistema, come Karl Popper.
Di fronte ad una situazione siffatta si può solo sperare in un sovvertimento radicale e definitivo di ogni Stato, nel crollo di tutte le istituzioni che sono irriformabili. Alla loro natura degenere si somma la natura comunque ambigua dell’uomo di cui né la morale né la religione né l’educazione possono sradicare i difetti che anzi scaltri personaggi alimentano e strumentalizzano. Si innesca una climax in cui il male individuale si moltiplica a causa della nequizia connaturata alle classi dirigenti tutte.
Si può sperare in un cambiamento, in un’evoluzione dell’uomo, una palingenesi tale da costituire la premessa per un mondo migliore? Atroce è non avere le risposte; ancora più atroce sapere che a pochi importa cercare risposte e risoluzioni.
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati
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Zret
Saturday, September 21, 2013
Natura del Demiurgo
http://zret.blogspot.it/2013/09/natura-del-demiurgo.html
Natura del Demiurgo
Recentemente lo studioso Tom Montalk (pseudonimo) ha disegnato una piramide del Potere
il cui vertice è occupato dal Demiurgo (Arconte). Montalk ipotizza che
il Demiurgo sia un sistema informatico codificante l’universo in cui
siamo imprigionati.
Montalk si richiama ad alcune esperienze visionarie (si pensi in special modo a certi raggelanti racconti di Phlip K. Dick nonché all’ambiguo apologo “Matrix”): esse suggeriscono sfumature artificiali e tecnologiche del mondo. L’universo è descritto alla maniera di un programma informatico interattivo, come cablato all’interno di ciascuno di noi.

Gli oggetti sono bit. La percezione è generata da un software. Nell’officina aliena è tutto rigidamente organizzato e diretto. Il cosmo olografico è un gioco di ruolo, con piattaforme e livelli. Le leggi di natura (ma è una “natura” meccanica) sono le regole del gioco. L’applicativo viene di volta in volta aggiornato. Il fulcro di tutto è un dispositivo generatore di numeri, un’intelligenza artificiale la cui anima è un microprocessore.
Se così fosse, non sarebbe lontano dalla verità chi reputa le scienze esatte inutili per comprendere l’Essenza, la Vita. Le scienze, i cui capisaldi sono il numero e la misurabilità, rispecchiano la struttura di una realtà schematica. Ciò che esula dalla cifra e dalla serialità – le emozioni, l’arte, la creatività, l’elan vitale, i valori qualitativi – non si può ridurre ad equazioni ed a matrici.
Dunque se Dio esiste, non è un Architetto, ma un Artista, una sorta di compositore che crea magnifiche sinfonie, pur non conoscendo la musica, grazie ad un talento innato ed al fuoco sacro dell’ispirazione.
Si configurerebbe una differenza, per mutuare la terminologia di Bohm, tra l’ordine esplicito, che obbedisce a leggi ferree, ed un ordine implicito, il regno della Coscienza, libero da ogni condizionamento. E’ naturale che pensare di accedere alla realtà reale con gli strumenti della logica e della matematica è assurdo. La ragione deve fermarsi proprio là dove le domande si tendono come corde sul punto di spezzarsi. La vera conoscenza è nel misticismo, nel tuffo nell’oceano incognito che tutto permea, pur restando intangibile.
In alcune culture il Demiurgo è il Trickster, ossia il Burlone, dalla duplice natura, umana ed animale, e di carattere androgino. Presso il popolo Winnebago, etnia di nativi americani, il ciclo mitologico narra l’evoluzione e delinea la caratterizzazione fisica e psichica del Briccone: progressivamente emerge da una situazione in cui era del tutto privo di individualità e, un po’ alla volta, prende coscienza di sé e del mondo circostante.
Non manca chi identifica il Demiurgo con il Diavolo, sottolineandone l’indole fraudolenta e l’abitudine a mentire. Talune correnti della Gnosi antica vedono in YHWH il Creatore del mondo sensibile (hyle) contrapposto allo Spirito (Pneuma).
Natura completamente diversa ha il demiurgo nella filosofia di Platone: per il pensatore greco è il dio che plasma una materia pre-esistente, seguendo il modello formativo degli Archetipi, le Idee.
Ricapitoliamo.
• Il Demiurgo è un’intelligenza artificiale che genera l’universo olografico
• Il Demiurgo è una divinità inferiore, creatrice del mondo ilico
• Il Demiurgo è il Demonio (Satana) che inganna gli uomini per catturare la loro anima
• Il Demiurgo è il dio che modella, sulla base di esemplari iperuranici, una materia pre-esistente
Montalk si richiama ad alcune esperienze visionarie (si pensi in special modo a certi raggelanti racconti di Phlip K. Dick nonché all’ambiguo apologo “Matrix”): esse suggeriscono sfumature artificiali e tecnologiche del mondo. L’universo è descritto alla maniera di un programma informatico interattivo, come cablato all’interno di ciascuno di noi.

Gli oggetti sono bit. La percezione è generata da un software. Nell’officina aliena è tutto rigidamente organizzato e diretto. Il cosmo olografico è un gioco di ruolo, con piattaforme e livelli. Le leggi di natura (ma è una “natura” meccanica) sono le regole del gioco. L’applicativo viene di volta in volta aggiornato. Il fulcro di tutto è un dispositivo generatore di numeri, un’intelligenza artificiale la cui anima è un microprocessore.
Se così fosse, non sarebbe lontano dalla verità chi reputa le scienze esatte inutili per comprendere l’Essenza, la Vita. Le scienze, i cui capisaldi sono il numero e la misurabilità, rispecchiano la struttura di una realtà schematica. Ciò che esula dalla cifra e dalla serialità – le emozioni, l’arte, la creatività, l’elan vitale, i valori qualitativi – non si può ridurre ad equazioni ed a matrici.
Dunque se Dio esiste, non è un Architetto, ma un Artista, una sorta di compositore che crea magnifiche sinfonie, pur non conoscendo la musica, grazie ad un talento innato ed al fuoco sacro dell’ispirazione.
Si configurerebbe una differenza, per mutuare la terminologia di Bohm, tra l’ordine esplicito, che obbedisce a leggi ferree, ed un ordine implicito, il regno della Coscienza, libero da ogni condizionamento. E’ naturale che pensare di accedere alla realtà reale con gli strumenti della logica e della matematica è assurdo. La ragione deve fermarsi proprio là dove le domande si tendono come corde sul punto di spezzarsi. La vera conoscenza è nel misticismo, nel tuffo nell’oceano incognito che tutto permea, pur restando intangibile.
In alcune culture il Demiurgo è il Trickster, ossia il Burlone, dalla duplice natura, umana ed animale, e di carattere androgino. Presso il popolo Winnebago, etnia di nativi americani, il ciclo mitologico narra l’evoluzione e delinea la caratterizzazione fisica e psichica del Briccone: progressivamente emerge da una situazione in cui era del tutto privo di individualità e, un po’ alla volta, prende coscienza di sé e del mondo circostante.
Non manca chi identifica il Demiurgo con il Diavolo, sottolineandone l’indole fraudolenta e l’abitudine a mentire. Talune correnti della Gnosi antica vedono in YHWH il Creatore del mondo sensibile (hyle) contrapposto allo Spirito (Pneuma).
Natura completamente diversa ha il demiurgo nella filosofia di Platone: per il pensatore greco è il dio che plasma una materia pre-esistente, seguendo il modello formativo degli Archetipi, le Idee.
Ricapitoliamo.
• Il Demiurgo è un’intelligenza artificiale che genera l’universo olografico
• Il Demiurgo è una divinità inferiore, creatrice del mondo ilico
• Il Demiurgo è il Demonio (Satana) che inganna gli uomini per catturare la loro anima
• Il Demiurgo è il dio che modella, sulla base di esemplari iperuranici, una materia pre-esistente
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Zret
Wednesday, July 10, 2013
Politica e meta-politica
http://zret.blogspot.co.uk/2013/07/politica-e-meta-politica.html
Politica e meta-politica

L’attuale,
rovente situazione in Egitto spinge molti ad interrogarsi a proposito
di come evolverà la situazione politica nello scacchiere del Medio -
oriente, con le inevitabili, ferali ripercussioni sul contesto
internazionale. Ora, premesso che nessuno può sapere quali siano i veri
giochi di potere su cui si può solo astrologare, è errato pure credere
che sia in corso una lotta tra il bene ed il male. La detronizzazione di
Morsi, che ha dovuto demordere [notare il fine umorismo - zret perche' non scrivi qualche testo per Elio e le storie tese?], è stato uno smacco per gli Stati Uniti,
sostenitori dei Fratelli musulmani, sebbene anche nell’opposizione
molti siano i filo-occidentali. Tuttavia pensare che i militari
traghetteranno l’Egitto verso la “democrazia” denota immensa ingenuità.
La “politica” è il regno della violenza e dell’ipocrisia: rileggere
Machiavelli ogni tanto potrebbe giovare. Il male minore causa sempre
massimo orrore.
Il caos egiziano è molto istruttivo. In primo luogo ci insegna che poco importa chi ottenga e detenga il potere, poiché il popolo passa solo dalla padella nella brace o viceversa, in un’altalena infinita. Inoltre comprendiamo che non possono essere gli uomini a salvare l’umanità: le classi “dirigenti”, o per manifesta incapacità e/o perché pilotate da potentati occulti, agiscono sempre contro gli interessi della collettività. L’integralismo islamico è deplorevole, come qualsiasi fondamentalismo, ma l’egemonia dell’esercito non è un optimum, specialmente se i militari esacerberanno gli animi con la repressione e provvedimenti coercitivi, forieri di ulteriori tumulti. Non sarà poi l’aeronautica egiziana a coordinare le operazioni di Biogeoingegneria nella terra dei Faraoni, il cui cielo è senza dubbio chimico? [1]
Evitare di schierarsi in modo manicheo è sempre consigliabile. Tra l’altro i dissesti sociali ed i tracolli economici, spontanei o programmati che siano, sono considerati utili dalle élites sataniste. Se i cittadini ne avessero coscienza, eviterebbero di sostenere in modo partigiano uno o l’altro movimento o fazione o partito, sapendo che ai vertici sono tutti uguali e tutti d’accordo nella spartizione di denaro e privilegi, offerti loro da chi agisce dietro le quinte.
E’ necessario dunque evitare di concentrare la propria attenzione su questa sorta di teatro kabuki, che è la prassi dei governi a livello nazionale ed internazionale, per provare a cogliere le dinamiche interne e segrete sottese agli eventi. In poche parole, è necessario valicare i confini della politica, la cui disamina delle componenti socio-economiche e strategiche non è del tutto inesatta né inefficace, ma parziale e talora angusta, per gettare uno sguardo nell’area off limits della meta-politica.
Così, solo per portare un paio di esempi, ho letto con piacere un recente articolo del Professor Francesco Lamendola che ha denunciato il servilismo dei cialtroni italiani nei confronti di Sion, in un pamphlet intitolato “Riti d’iniziazione e riti di umiliazione”. Tuttavia siamo ancora nell’àmbito di una concezione politica, per quanto lucidissima e tagliente. E’ doveroso salire un altro gradino, ricordando che la patetica adulazione dei quaquaraqua italioti e stranieri si esercita nei confronti dei Sionisti come nei rispetti dei papi. I Khazari sono pur sempre dei camerieri, anche se molto influenti: i Rothschild [GRANDE ZRET! finalmente hai imparato come si scrive Rothschild] da secoli amministrano il fantastico patrimonio del Vaticano. Il criminale Henry Kissinger è stato consigliere personale di Benedetto XVI!
Suscita perciò altrettanto disgusto vedere il pellegrinaggio dei “nostri” rappresentanti da papa Bergoglio da cui probabilmente prendono ordini o con il quale concertano strategie per attuare i loro diabolici piani di dominio planetario. Vedere Napo orso capo ed il cattolicissimo Enrico Letta che sono ricevuti dal pontefice di turno, fra salamelecchi, baci e strette di mano massoniche, è una laida testimonianza di piaggeria, di vile, umiliante sottomissione.
Un breve excursus su papa Francesco: colui si è rivelato un bluff, come era stato predetto da alcuni analisti. Dietro i suoi discorsi deamicisiani e demagogici, si nasconde un marpione, protagonista, da buon Gesuita, delle trame mondialiste tese all’instaurazione di uno stato ecumenico di stampo totalitario.
Saliamo ora qualche altro gradino ed apprezzeremo l’articolo “Parole nel vuoto”, scritto dal curatore di Freeskies. Qui si squaderna una trasparente, rivelatrice, epifanica visione meta-politica. E’ uno sguardo profondissimo oltre le apparenze, di là dalle cronache ufficiali ed oltre pure le indagini più scaltrite. E’ naturale che un affresco così preciso e simile ad un quadro iperrealista: provoca nell’osservatore perplessità e persino ribrezzo di fronte ad una realtà esibita con tanta cruda, impietosa esattezza. Eppure, dopo aver letto questo studio, una persona dotata di discernimento dovrà commentare come lo scrittore André Gide, dopo che ebbe completato “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenauer: “E’ proprio così!”.
Vero è che il disegno tracciato è ritenuto dai più inverosimile, anzi impossibile. Chi potrà mai accettare la pazza idea che l’umanità sia il bestiame degli Altri e la storia un immenso, millenario inganno? Chi potrà mai vedere nel Transumanesimo il passo fatale verso l’ultima mutazione antropologica? Ecco la ragione dello sconsolato titolo “Parole nel vuoto”.
Non siamo neanche più le voci di coloro che gridano nel deserto, ma gli echi fievolissimi di quelle voci, ormai quasi impercettibili.
Articoli correlati:
Tanker Enemy, Il progetto LOFAR ed il C.I.C.A.P., 2012
F. Lamendola, Riti d'iniziazione e riti di umiliazione, 2013
Freeskies, Parole nel vuoto, 2013
[1] La “Politeia” di Platone e la stessa vita del filosofo greco dimostrano quanto sia arduo delineare un sistema politico efficiente ed equo. Le idee collidono con le circostanze concrete, le teorie, anche quelle più nobili, o sfociano in pericolose utopie o cozzano con un’umanità che rispecchia e spesso moltiplica i difetti dei ceti dirigenti. La società pare ingovernabile, anche quando è inquadrata – ed è oggi la situazione più diffusa – nei plotoni dello stato-Leviatano.
Che il popolo, chiunque governi, è sempre vessato è intuizione di uno scrittore “minore” come Fedro. Fedro vale più di tanti “esperti” di politica, economia, società etc.? Sì.
Il caos egiziano è molto istruttivo. In primo luogo ci insegna che poco importa chi ottenga e detenga il potere, poiché il popolo passa solo dalla padella nella brace o viceversa, in un’altalena infinita. Inoltre comprendiamo che non possono essere gli uomini a salvare l’umanità: le classi “dirigenti”, o per manifesta incapacità e/o perché pilotate da potentati occulti, agiscono sempre contro gli interessi della collettività. L’integralismo islamico è deplorevole, come qualsiasi fondamentalismo, ma l’egemonia dell’esercito non è un optimum, specialmente se i militari esacerberanno gli animi con la repressione e provvedimenti coercitivi, forieri di ulteriori tumulti. Non sarà poi l’aeronautica egiziana a coordinare le operazioni di Biogeoingegneria nella terra dei Faraoni, il cui cielo è senza dubbio chimico? [1]
Evitare di schierarsi in modo manicheo è sempre consigliabile. Tra l’altro i dissesti sociali ed i tracolli economici, spontanei o programmati che siano, sono considerati utili dalle élites sataniste. Se i cittadini ne avessero coscienza, eviterebbero di sostenere in modo partigiano uno o l’altro movimento o fazione o partito, sapendo che ai vertici sono tutti uguali e tutti d’accordo nella spartizione di denaro e privilegi, offerti loro da chi agisce dietro le quinte.
E’ necessario dunque evitare di concentrare la propria attenzione su questa sorta di teatro kabuki, che è la prassi dei governi a livello nazionale ed internazionale, per provare a cogliere le dinamiche interne e segrete sottese agli eventi. In poche parole, è necessario valicare i confini della politica, la cui disamina delle componenti socio-economiche e strategiche non è del tutto inesatta né inefficace, ma parziale e talora angusta, per gettare uno sguardo nell’area off limits della meta-politica.
Così, solo per portare un paio di esempi, ho letto con piacere un recente articolo del Professor Francesco Lamendola che ha denunciato il servilismo dei cialtroni italiani nei confronti di Sion, in un pamphlet intitolato “Riti d’iniziazione e riti di umiliazione”. Tuttavia siamo ancora nell’àmbito di una concezione politica, per quanto lucidissima e tagliente. E’ doveroso salire un altro gradino, ricordando che la patetica adulazione dei quaquaraqua italioti e stranieri si esercita nei confronti dei Sionisti come nei rispetti dei papi. I Khazari sono pur sempre dei camerieri, anche se molto influenti: i Rothschild [GRANDE ZRET! finalmente hai imparato come si scrive Rothschild] da secoli amministrano il fantastico patrimonio del Vaticano. Il criminale Henry Kissinger è stato consigliere personale di Benedetto XVI!
Suscita perciò altrettanto disgusto vedere il pellegrinaggio dei “nostri” rappresentanti da papa Bergoglio da cui probabilmente prendono ordini o con il quale concertano strategie per attuare i loro diabolici piani di dominio planetario. Vedere Napo orso capo ed il cattolicissimo Enrico Letta che sono ricevuti dal pontefice di turno, fra salamelecchi, baci e strette di mano massoniche, è una laida testimonianza di piaggeria, di vile, umiliante sottomissione.
Un breve excursus su papa Francesco: colui si è rivelato un bluff, come era stato predetto da alcuni analisti. Dietro i suoi discorsi deamicisiani e demagogici, si nasconde un marpione, protagonista, da buon Gesuita, delle trame mondialiste tese all’instaurazione di uno stato ecumenico di stampo totalitario.
Saliamo ora qualche altro gradino ed apprezzeremo l’articolo “Parole nel vuoto”, scritto dal curatore di Freeskies. Qui si squaderna una trasparente, rivelatrice, epifanica visione meta-politica. E’ uno sguardo profondissimo oltre le apparenze, di là dalle cronache ufficiali ed oltre pure le indagini più scaltrite. E’ naturale che un affresco così preciso e simile ad un quadro iperrealista: provoca nell’osservatore perplessità e persino ribrezzo di fronte ad una realtà esibita con tanta cruda, impietosa esattezza. Eppure, dopo aver letto questo studio, una persona dotata di discernimento dovrà commentare come lo scrittore André Gide, dopo che ebbe completato “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenauer: “E’ proprio così!”.
Vero è che il disegno tracciato è ritenuto dai più inverosimile, anzi impossibile. Chi potrà mai accettare la pazza idea che l’umanità sia il bestiame degli Altri e la storia un immenso, millenario inganno? Chi potrà mai vedere nel Transumanesimo il passo fatale verso l’ultima mutazione antropologica? Ecco la ragione dello sconsolato titolo “Parole nel vuoto”.
Non siamo neanche più le voci di coloro che gridano nel deserto, ma gli echi fievolissimi di quelle voci, ormai quasi impercettibili.
Articoli correlati:
Tanker Enemy, Il progetto LOFAR ed il C.I.C.A.P., 2012
F. Lamendola, Riti d'iniziazione e riti di umiliazione, 2013
Freeskies, Parole nel vuoto, 2013
[1] La “Politeia” di Platone e la stessa vita del filosofo greco dimostrano quanto sia arduo delineare un sistema politico efficiente ed equo. Le idee collidono con le circostanze concrete, le teorie, anche quelle più nobili, o sfociano in pericolose utopie o cozzano con un’umanità che rispecchia e spesso moltiplica i difetti dei ceti dirigenti. La società pare ingovernabile, anche quando è inquadrata – ed è oggi la situazione più diffusa – nei plotoni dello stato-Leviatano.
Che il popolo, chiunque governi, è sempre vessato è intuizione di uno scrittore “minore” come Fedro. Fedro vale più di tanti “esperti” di politica, economia, società etc.? Sì.
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Monday, April 8, 2013
Silicon aliens
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Silicon aliens

Gli Arconti nei manoscritti di Nag Hammadi e gli alieni nella xenologia
Il mondo antico offre sovente delle risposte a noi uomini d’oggi, ma preferiamo pascerci di illusioni, indulgere all’ignoranza ed all’inerzia.
I codici di Nag Hammâdi sono una raccolta di testi gnostici, rinvenuti nei pressi di Nag Hammâdi (Alto Egitto) nel 1946. Sono tredici papiri reperiti in una giara di terracotta da un abitante del villaggio di al Qasr, presso un monastero pacomiano nell'isola di Nag Hammâdi, nota anche come Isola elefantina. I documenti sono, per la maggior parte, scritti gnostici, ma includono anche tre opere appartenenti al Corpus hermeticum ed una traduzione parziale della “Politeia” di Platone. Così alle tendenziose testimonianze degli scrittori “cristiani” (Ireneo, Ippolito, Epifanio etc.) ed agli scarsi testi originali si sono aggiunte quarantaquattro opere gnostiche.
Nonostante il carattere talora frammentario e l’oscurità che esaspera anche gli studiosi più pazienti, i testi in oggetto sono una miniera di preziose notizie. Si pensi ai Vangeli e agli altri libercoli che evocano il dominio degli Arconti. Essi sono dipinti come una progenie imitatrice. “Arconti” significa sia “reggitori” sia “esseri del principio”, giacché nacquero prematuramente, donde l’analogia con l’aborto spontaneo nei papiri di Nag Hammâdi. Questa genia deviante venne alla luce prima che si formasse la Terra: a differenza degli uomini e delle altre specie, gli Arconti non originarono dalla Luce, ma dalla materia inorganica.
In principio gli Arconti non possedevano un habitat, ma brulicavano attorno alla Terra a guisa di cavallette fameliche, attratti da Sophia, da cui furono respinti. Queste creature sono prive di ennoia, ossia volontà ed intenzione, rappresentando un’aberrazione cosmica.
Nei codici sono tratteggiate le loro sembianze: assomigliano a feti prematuri o ad insetti dagli occhi abnormi. Dalla legione degli Arconti, attraverso una mutazione, eruppe poi una razza leonino-draconiana. I due generi di Arconti purtroppo sono appena delineati nei manoscritti, da cui comunque si evince che le creature draconiane, dal temperamento aggressivo, tendono a dominare il gruppo dei “feti” di indole passiva.[1]
Gli Arconti non possono creare alcunché, ma solo scimmiottare: la loro capacità mimetica è definita “phantasia”, cioè immaginazione delirante, distinta dall’”ennoia”. Nel “Vangelo apocrifo di Giovanni” le dimore celesti generate dagli spiriti menzogneri sono riproduzioni tridimensionali, simili ad un ologramma. Su questo regno fittizio impera il Demiurgo, Yaldalbaoth. I codici spiegano che il cosmo proiettato dal Demiurgo è virtuale, una simulazione meccanica, priva di vita, affine ad una rappresentazione di un paesaggio formata da pixel. Usando la parola HAL, “contraffazione” in copto, gli autori degli opuscoli gnostici, sottolineano il carattere spurio dell’universo arcontico. Singolare: HAL è pure il nome del dispotico elaboratore nella nota pellicola “2001, Odissea nello spazio”.
Nell’Apocrifo di Giovanni leggiamo: “Il Signore Arconte ordinò tutto nel suo mondo, seguendo il modello degli Eoni primari, fornitogli, secondo lui, per vedere se fosse in grado di riprodurli, non perché avesse visto gli Eoni imperituri, (grazie al suo potere, scil.), ma per mezzo del potere che aveva dentro di sé, preso da sua Madre (Sophia, n.d.r.) che gli permise di creare per somiglianza”.
Non saranno sfuggite ai lettori certe “coincidenze” tra alcuni aspetti della “demonologia” gnostica da un lato, la tassonomia xenologica dall’altro. Più, però, delle somiglianze fisiognomiche tra Arconti ed Alieni, colpiscono i parallelismi psicologico-comportamentali, spie di una natura bionica. Fu già il colonnello Philip J. Corso a rivelare che i Grigi sono androidi. Alla stessa conclusione sono giunti diversi ufologi: tra costoro il britannico Nigel Kerner ha inquadrato la questione dei Grigi macrocefali, dai grandi occhi ipnotici, in una cornice che si riferisce alla tradizione biblica e gnostica. William Henry, nel saggio “Oracle of the Illuminati”, identifica Arconti ed Anunnaki.
Naturalmente queste congruenze tra l’antico ed il moderno sono reputate accidenti o, nella migliore della ipotesi, sono riguardate quali fragili indizi. Eppure chi rifletta sull’idolatria della tecnica in cui si è sclerotizzata la nostra società, sul culto per il Moloch informatico, silicea religione del “mondo nuovo”, non mancherà di riconoscere in codeste degenerazioni il marchio di una stirpe votata all’algida esecuzione di un programma.
La voce di queste entità ha timbro metallico, lo sguardo è asettico, l’incarnato siliconico.
[1] Non mancano testimonianze all’interna dell’Ufologia circa visitatori di fisionomia leonina. Quasi sempre sono individuati nei Siriani. Si veda D. Bortoluzzi, Alla ricerca dei libri di Thot, 2005
Fonti:
Philip J. Corso, Il giorno dopo Roswell, 2008
Dizionario di antichità classica, Milano, 2009, s.v. Gnosticismo
J. Lamb Nash, Non a sua immagine, 2013, pp. 267-278
N. Kerner, The song of Greys, 2008
Il mondo antico offre sovente delle risposte a noi uomini d’oggi, ma preferiamo pascerci di illusioni, indulgere all’ignoranza ed all’inerzia.
I codici di Nag Hammâdi sono una raccolta di testi gnostici, rinvenuti nei pressi di Nag Hammâdi (Alto Egitto) nel 1946. Sono tredici papiri reperiti in una giara di terracotta da un abitante del villaggio di al Qasr, presso un monastero pacomiano nell'isola di Nag Hammâdi, nota anche come Isola elefantina. I documenti sono, per la maggior parte, scritti gnostici, ma includono anche tre opere appartenenti al Corpus hermeticum ed una traduzione parziale della “Politeia” di Platone. Così alle tendenziose testimonianze degli scrittori “cristiani” (Ireneo, Ippolito, Epifanio etc.) ed agli scarsi testi originali si sono aggiunte quarantaquattro opere gnostiche.
Nonostante il carattere talora frammentario e l’oscurità che esaspera anche gli studiosi più pazienti, i testi in oggetto sono una miniera di preziose notizie. Si pensi ai Vangeli e agli altri libercoli che evocano il dominio degli Arconti. Essi sono dipinti come una progenie imitatrice. “Arconti” significa sia “reggitori” sia “esseri del principio”, giacché nacquero prematuramente, donde l’analogia con l’aborto spontaneo nei papiri di Nag Hammâdi. Questa genia deviante venne alla luce prima che si formasse la Terra: a differenza degli uomini e delle altre specie, gli Arconti non originarono dalla Luce, ma dalla materia inorganica.
In principio gli Arconti non possedevano un habitat, ma brulicavano attorno alla Terra a guisa di cavallette fameliche, attratti da Sophia, da cui furono respinti. Queste creature sono prive di ennoia, ossia volontà ed intenzione, rappresentando un’aberrazione cosmica.
Nei codici sono tratteggiate le loro sembianze: assomigliano a feti prematuri o ad insetti dagli occhi abnormi. Dalla legione degli Arconti, attraverso una mutazione, eruppe poi una razza leonino-draconiana. I due generi di Arconti purtroppo sono appena delineati nei manoscritti, da cui comunque si evince che le creature draconiane, dal temperamento aggressivo, tendono a dominare il gruppo dei “feti” di indole passiva.[1]
Gli Arconti non possono creare alcunché, ma solo scimmiottare: la loro capacità mimetica è definita “phantasia”, cioè immaginazione delirante, distinta dall’”ennoia”. Nel “Vangelo apocrifo di Giovanni” le dimore celesti generate dagli spiriti menzogneri sono riproduzioni tridimensionali, simili ad un ologramma. Su questo regno fittizio impera il Demiurgo, Yaldalbaoth. I codici spiegano che il cosmo proiettato dal Demiurgo è virtuale, una simulazione meccanica, priva di vita, affine ad una rappresentazione di un paesaggio formata da pixel. Usando la parola HAL, “contraffazione” in copto, gli autori degli opuscoli gnostici, sottolineano il carattere spurio dell’universo arcontico. Singolare: HAL è pure il nome del dispotico elaboratore nella nota pellicola “2001, Odissea nello spazio”.
Nell’Apocrifo di Giovanni leggiamo: “Il Signore Arconte ordinò tutto nel suo mondo, seguendo il modello degli Eoni primari, fornitogli, secondo lui, per vedere se fosse in grado di riprodurli, non perché avesse visto gli Eoni imperituri, (grazie al suo potere, scil.), ma per mezzo del potere che aveva dentro di sé, preso da sua Madre (Sophia, n.d.r.) che gli permise di creare per somiglianza”.
Non saranno sfuggite ai lettori certe “coincidenze” tra alcuni aspetti della “demonologia” gnostica da un lato, la tassonomia xenologica dall’altro. Più, però, delle somiglianze fisiognomiche tra Arconti ed Alieni, colpiscono i parallelismi psicologico-comportamentali, spie di una natura bionica. Fu già il colonnello Philip J. Corso a rivelare che i Grigi sono androidi. Alla stessa conclusione sono giunti diversi ufologi: tra costoro il britannico Nigel Kerner ha inquadrato la questione dei Grigi macrocefali, dai grandi occhi ipnotici, in una cornice che si riferisce alla tradizione biblica e gnostica. William Henry, nel saggio “Oracle of the Illuminati”, identifica Arconti ed Anunnaki.
Naturalmente queste congruenze tra l’antico ed il moderno sono reputate accidenti o, nella migliore della ipotesi, sono riguardate quali fragili indizi. Eppure chi rifletta sull’idolatria della tecnica in cui si è sclerotizzata la nostra società, sul culto per il Moloch informatico, silicea religione del “mondo nuovo”, non mancherà di riconoscere in codeste degenerazioni il marchio di una stirpe votata all’algida esecuzione di un programma.
La voce di queste entità ha timbro metallico, lo sguardo è asettico, l’incarnato siliconico.
[1] Non mancano testimonianze all’interna dell’Ufologia circa visitatori di fisionomia leonina. Quasi sempre sono individuati nei Siriani. Si veda D. Bortoluzzi, Alla ricerca dei libri di Thot, 2005
Fonti:
Philip J. Corso, Il giorno dopo Roswell, 2008
Dizionario di antichità classica, Milano, 2009, s.v. Gnosticismo
J. Lamb Nash, Non a sua immagine, 2013, pp. 267-278
N. Kerner, The song of Greys, 2008
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Zret
Sunday, January 27, 2013
Mondo cerebrale d'o professò sommerso da immondizia
http://zret.blogspot.it/2013/01/mondo-sommerso.html
Mondo sommerso
La storia è la versione dei fatti di chi detiene il potere. (G. W. F. Hegel)E’ del tutto sostenibile l’idea che il corso della storia sia guidato e, ancor più, determinato da forze occulte, tutte tese alla realizzazione di progetti eversivi, a guisa di burattinai che, invisibili, tirano i fili della storia, sottoponendola ad un piano diabolicamente orchestrato. (G. Damiano, parafrasi)
Esiste un mondo sommerso di cui gli uomini comuni ignorano l’esistenza. E’ come se essi vivessero su un’immensa isola, pensando che il mare attorno, dalla superficie sino agli abissi più bui, sia del tutto privo di vita.
Basterebbe un romanzo come “1984” di George Orwell per denunciare e svelare le trame di un’élite occulta, ma purtroppo il capolavoro di Orwell, insieme con altre opere distopiche – si pensi a “Brave new world” di Aldous Huxley – è letto solo come una feroce critica dello stalinismo. E’ comunque interpretato come una condanna dei regimi totalitari del passato, laddove “1984” è proiettato, anzi scaraventato, con profetica lungimiranza, sul futuro che è il nostro tragico presente. Tale interpretazione è assecondata dal sistema che concentra tutto l’orrore nel nazionalsocialismo e nel “terrorismo islamico”: al di fuori di questi lager si estende il dorato, incantevole paradiso della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza.
Non bastano le prove, i documenti, i fatti per convincere l’opinione pubblica che è raggirata, posta di fronte a parvenze evanescenti, scambiate per oggetti concreti. Si riproduce una condizione simile a quella descritta nel “mito della caverna”: lo schiavo, liberatosi dalle catene, scopre che la vera realtà è costituita dal mondo delle idee, mentre le cose sono pallide ombre. Invano, però, chi ha scoperto il vero lo addita ad un volgo incredulo ed ostinato nella sua cecità. Il pensiero di Platone, trasferito ad àmbito differente ma contiguo, ci è di insegnamento. Insegna soprattutto che l’umanità non è fecondata dalla cultura.
Così, mentre si vive ignari sulla superficie, gli Invisibili scavano gallerie ed erodono le fondamenta di una società destinata a crollare, ma del pericolo ci si accorgerà, solo quando sarà troppo tardi.
I perversi princìpi su cui si basa il potere sono espressamente indicati nel libro di Orwell, ma continuiamo a credere che sia letteratura, finzione. [1] La storiografia ufficiale, anche con i suoi intelletti più acuti, può soltanto strappare qualche brandello di verità, poiché la storia vera, almeno dall’età contemporanea in poi, non è quella ufficiale, ad usum Delphini, ma la sequenza di avvenimenti diretti e realizzati da una banda di tagliagole. Simile ad un convoglio che corre in una galleria a notevole profondità, la storia segreta è invisibile e parallela a quella che è raccontata e dichiarata nei testi scolastici.
La storia segreta è insaguinata: rigurgita di stragi efferate, di sacrifici umani, di sparizioni inspiegate, di genocidi, di torture... Essa è anche il tempio nefando adornato di lugubri simboli, di tetre panoplie.
Olimpiadi estive del 1972, 5-6 settembre, Monaco di Baviera (Germania Ovest): un commando di terroristi dell'organizzazione “Settembre nero” irrompe negli alloggi israeliani del villaggio olimpico. Due atleti, che hanno tentato di opporre resistenza, sono uccisi. Altri nove componenti della squadra olimpica sono presi in ostaggio. Alla fine un tentativo di liberazione (?), compiuto dalla polizia tedesca, causa la morte di tutti gli olimpionici sequestrati, di cinque fedayyin (?) e di un agente germanico.
Dubitiamo che l’eccidio fu perpetrato da Palestinesi: “Settembre nero” fu il Mossad sotto copertura? A prescindere da ciò, la carneficina di Monaco ci ammannisce il consueto pasto numerologico: 11 atleti israeliani trucidati, 5 fedayyn (?), un agente, per un totale di 17 vittime! Sul massacro infine l’ombra tenebrosa di quel nome, “Settembre nero”, come un preludio al settembre che avrebbe impresso al corso degli eventi una formidabile accelerazione verso il Nuovo ordine mondiale, il 9 11, con gli autoattentati dei servizi segreti internazionali alle Torri gemelle ed al Pentagono. I lavori per la costruzione dell’edificio atto ad ospitare il quartier generale del Dipartimento della “difesa”, erano stati avviati il giorno 11 settembre (9 11) del 1941... [Già, la strage di Monaco del 1972 e la costruzione del Pentagono preludi dell'11 settembre 2001... sei un poveretto, con quale faccia ti presenterai domani ai tuoi alunni, maledetto straccione?]
18 novembre 1978, Guyana. Il folle reverendo Jim Jones convince i proseliti della sua congregazione, il People’s temple, ad uccidersi assieme a lui, assumendo del cianuro. Il predicatore è trovato esanime con un colpo di proiettile in testa; attorno a lui giacciono i cadaveri di 911 adepti.
La storia occulta è simile al sangue bollente in cui sono puniti i violenti nell’inferno dantesco. Il paradosso è questo: l’inferno viene decantato come eden. Leggiadri veli di menzogne coprono le più immonde turpitudini, le atrocità più mostruose.
E’ incredibile, ma tutto vero: fu, tra gli altri, un gruppo di Ebrei, in cooperazione con banchieri statunitensi ed europei, a decidere di sacrificare un considerevole numero di loro connazionali per perseguire gli obiettivi coincidenti con la destabilizzante creazione dello stato di Israele in Medio Oriente e l’istituzione dell’O.N.U., un “rimedio” peggiore dei mali, in quanto premessa alla truce tirannia planetaria. [2] [ci vedi bene? si? vedi d'annà aff...]
Quelli della cricca mondialista non badano a patrie, etnie, nazioni: schiacciano i popoli e se ne servono per i loro mefistofelici fini, ma - suprema ipocrisia e sfacciata inversione - amano presentarsi come custodi dei più venerandi valori. Non esitano a provocare calamità di ogni genere pur di trarne profitto o spesso solo per un crudele divertimento, per mero sadismo.
Asseriscono che bisogna ricordare il passato, celebrare la “giornata della memoria”, ma dimenticano – come sono sbadati – che Hitler era ebreo per parte di madre. Obliano tutte le altre vittime di ieri e di oggi della loro Realpolitik.
Affermano che è necessario proteggere la natura, ma avvelenano il pianeta senza un istante di requie.
Proclamano che è d’uopo promuovere la cultura, ma sanno soltanto inculcare l’ignoranza e la disinformazione.
Gridano ai quattro venti che occorre debellare la povertà e le malattie, ma affamano intere popolazioni e le ammorbano.
Giurano e spergiurano che vogliono la pace, ma accecano, straziano ed amputano corpi con le loro armi micidiali, nelle loro “missioni umanitarie”.
Sono gli stessi che si commuovono e cui sgorga una lacrima, dopo aver dato il loro plauso all’ideazione ed attuazione dell’ennesima ecatombe in una scuola o in cinema. Si troverà poi il solito capro espiatorio: un adolescente disadattato, subito tolto di mezzo affinché non sopravviva alcun testimone.
Falsi, bugiardi incalliti, ma attori consumati, i governanti sanno simulare e dissimulare.
Fabrizio De André scrisse che “non esistono poteri buoni”. Perfetto! Non esistono ovviamente neppure poteri sinceri.
[1] “La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza. La guerra è pace”.
[2] Si consideri anche la curiosa “coincidenza”, il vaticinio incastonato nell’episodio spin-off della serie televisiva “The lone gunmen”, una produzione poi confluita nel celebre telefilm “X Files”. Il primo episodio, trasmesso il 4 marzo 2001, mette in scena una fazione segreta all'interno del governo degli Stati Uniti. Questa frangia cospira per dirottare a distanza un Boeing 727 in modo che si schianti contro il World Trade Center. Il fine precipuo è quello di ottenere che sia rimpinguato il bilancio del Dipartimento della “difesa”, accusando alcuni paesi stranieri di essere i mandanti dell'attentato. Nell'episodio, l'attacco è sventato dai protagonisti che, a bordo dell'aereo, disattivano il pilota automatico, pochi secondi prima che il velivolo raggiunga il bersaglio.
[3] Sul tema si legga almeno M. Pizzuti, Rivelazioni non autorizzate, Il sentiero occulto del potere, 2008. Ci si riferisca pure alla corposa bibliografia ivi contenuta.
Pubblicato da Zret straccione bugiardo incallito cornigero
Thursday, June 28, 2012
Lacerazione
http://zret.blogspot.co.uk/2012/06/lacerazione.html
Lacerazione

Le presenti note saranno meglio comprese, se prima si leggeranno “Peccato originale” e gli articoli correlati.
Se pensiamo all’incidente primigenio, dobbiamo risalire ad un’era antecedente la storia, ad un tempo che precede il tempo stesso. Lo intuisce Simone Weil nei “Quaderni” dove scrive: “L’Agnello è stato sgozzato sin dalla fondazione del mondo: è il rapporto con lo spazio-tempo a costituire la lacerazione”. Lo sgozzamento è quindi contemporaneo, anzi consustanziale alla “fondazione del mondo”. L’essenza alogica (non aristotelica) del mondo è poi espressa dalla pensatrice cristiana con parole ancora più forti: “La Creazione, l’Incarnazione, la Passione costituiscono la follia di Dio.”
La stessa nascita dell’uomo implica lo strappo: infatti l’uomo è letteralmente un “simbolo”, ossia metà di un uomo (si pensi anche a Platone che considera gli esseri umani dimidiati ed alla ricerca della metà che li reintegri, acquietando la loro angoscia). Il simbolo (Σύμβολον) per gli Elleni era una "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale": l'usanza voleva che due individui, due famiglie o anche due città spezzasero una tessera, di solito fittile, per conservare una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza. Il perfetto combaciare delle due parti provava l'esistenza dell'accordo. Quindi siamo frammenti staccati dall’Essere, schegge proiettate ai confini del cosmo. Cerchiamo di ricongiuncerci all’Origine, ma le correnti ci hanno spinto e ci trascinano alla deriva.
Ogni creazione implica un cambiamento, un movimento entropico, persino una distruzione: forse nell’atto creativo è la scaturigine del male? Sempre la Weil si chiede: “L’universo è un’opera d’arte: quale artista ne è l’autore?”
Alla visione religiosa e mistica della Weil (di un misticismo tormentato), vorrei accostare le riflessioni di un laico, Sebastiano Vassalli che, nel romanzo “Marco e Mattio”, si perde negli abissali pensieri del protagonista, mentre contempla il pulviscolo delle stelle: “Camminava su quei pianeti sconosciuti e vedeva che gli esseri che li popolavano, gli animali forniti di ragione che avevano talvolta forma di ragno o di scimmia, talvolta erano piccoli come formiche oppure grandi come montagne, però sempre e dappertutto nascevano e morivano, gioivano e soffrivano e vivevano lacerati dai contrari che non riuscivano a compensare in loro e tra loro, fino a comporre un vero equilibrio… Dovunque nell’universo la colpa originaria doveva ancora essere patita ed espiata, in tutti i mondi doveva ancora compiersi la redenzione anche là dove già s’era compiuta una volta. Che follia credere che per un milione di mondi o per un mondo solo bastasse un solo redentore! La redenzione – pensò Mattio - era la sofferenza di Dio che avrebbe voluto riunire in sé tutte le sue parti divise e non ci riusciva, era il rimorso che lacerava il suo pensiero, d’essere lui stesso imperfetto”.
Anche qui è proclamato lo squarcio che è, in primo luogo, lo slittamento nella temporalità. E’ vero che il tempo è un’llusione, ma è pure lo spazio in cui pare crocifissa l’esistenza del cosmo, uno spazio in cui “sùbito” è già tardi.
Se pensiamo all’incidente primigenio, dobbiamo risalire ad un’era antecedente la storia, ad un tempo che precede il tempo stesso. Lo intuisce Simone Weil nei “Quaderni” dove scrive: “L’Agnello è stato sgozzato sin dalla fondazione del mondo: è il rapporto con lo spazio-tempo a costituire la lacerazione”. Lo sgozzamento è quindi contemporaneo, anzi consustanziale alla “fondazione del mondo”. L’essenza alogica (non aristotelica) del mondo è poi espressa dalla pensatrice cristiana con parole ancora più forti: “La Creazione, l’Incarnazione, la Passione costituiscono la follia di Dio.”
La stessa nascita dell’uomo implica lo strappo: infatti l’uomo è letteralmente un “simbolo”, ossia metà di un uomo (si pensi anche a Platone che considera gli esseri umani dimidiati ed alla ricerca della metà che li reintegri, acquietando la loro angoscia). Il simbolo (Σύμβολον) per gli Elleni era una "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale": l'usanza voleva che due individui, due famiglie o anche due città spezzasero una tessera, di solito fittile, per conservare una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza. Il perfetto combaciare delle due parti provava l'esistenza dell'accordo. Quindi siamo frammenti staccati dall’Essere, schegge proiettate ai confini del cosmo. Cerchiamo di ricongiuncerci all’Origine, ma le correnti ci hanno spinto e ci trascinano alla deriva.
Ogni creazione implica un cambiamento, un movimento entropico, persino una distruzione: forse nell’atto creativo è la scaturigine del male? Sempre la Weil si chiede: “L’universo è un’opera d’arte: quale artista ne è l’autore?”
Alla visione religiosa e mistica della Weil (di un misticismo tormentato), vorrei accostare le riflessioni di un laico, Sebastiano Vassalli che, nel romanzo “Marco e Mattio”, si perde negli abissali pensieri del protagonista, mentre contempla il pulviscolo delle stelle: “Camminava su quei pianeti sconosciuti e vedeva che gli esseri che li popolavano, gli animali forniti di ragione che avevano talvolta forma di ragno o di scimmia, talvolta erano piccoli come formiche oppure grandi come montagne, però sempre e dappertutto nascevano e morivano, gioivano e soffrivano e vivevano lacerati dai contrari che non riuscivano a compensare in loro e tra loro, fino a comporre un vero equilibrio… Dovunque nell’universo la colpa originaria doveva ancora essere patita ed espiata, in tutti i mondi doveva ancora compiersi la redenzione anche là dove già s’era compiuta una volta. Che follia credere che per un milione di mondi o per un mondo solo bastasse un solo redentore! La redenzione – pensò Mattio - era la sofferenza di Dio che avrebbe voluto riunire in sé tutte le sue parti divise e non ci riusciva, era il rimorso che lacerava il suo pensiero, d’essere lui stesso imperfetto”.
Anche qui è proclamato lo squarcio che è, in primo luogo, lo slittamento nella temporalità. E’ vero che il tempo è un’llusione, ma è pure lo spazio in cui pare crocifissa l’esistenza del cosmo, uno spazio in cui “sùbito” è già tardi.
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Tuesday, May 1, 2012
Il colore dei suoni
http://zret.blogspot.it/2012/04/il-colore-dei-suoni.html
Il colore dei suoni

Fu
Agostino ad introdurre la lettura silenziosa: tale novità fu non meno
radicale dell’invenzione della scrittura, attribuita al dio egizio Thot e
deplorata da Platone. Se, da un lato, la lettura acquisì una dimensione
introspettiva e personale, dall’altro si smarrì il suono della voce
propria o altrui – gli antichi solevano ascoltare, traendone diletto,
durante i simposi ed in altre occasioni, dalla viva voce dell’anagnostes passi di opere.
Con un enorme sforzo di immaginazione, riusciamo a figurarci il mégaron del palazzo miceneo, dove al chiarore caldo del focolare, gli astanti si beavano delle saghe declamate da un rapsodo.
Si può immaginare quale fu la perdita: il timbro di una voce si imprime nell’animo, simile ad un calamo con cui si incide la cera. Il suono è già, almeno in parte, senso.
Siamo immersi in un mondo di vibrazioni: il celebre incipit del Quarto vangelo, “In principio era il Logos,” potrebbe valere “In principio era il suono”. Gli stessi rumori sono scanditi da ritmi o venati talora da labili linee melodiche. I suoni della natura creano una sinfonia mirabile, non solo per varietà di toni, di accenti e di modulazioni, ma anche per la profondità degli echi emotivi che essi suscitano.
Si legga un testo ad alta voce o lo si ascolti, mentre qualcun altro lo legge: più facilmente resterà impresso. Se ci si riferisce ad una memoria visiva, esiste pure una reminiscenza fonica.
Fu merito dei poeti simbolisti - in Italia spicca l’esperienza di Pascoli - rivendicare l’autonomia del significante, rispetto al significato. Il suono, essenza e riflesso delle cose, fu valorizzato nella sua potenza espressiva: quando si compenetra al concetto, in una sintesi inscindibile ed armonica, rivela la sua natura primigenia.
E’ palese che la nostra società ha i sensi ottusi: incapace di ascoltare ed auscultare, ci si limita ad udire distrattamente. I suoni sono privi di colore, di sfumature: tutto è livellato nel grigio più tetro o scavato nel frastuono. Le necessità comunicative mantengono in vita le voci, con qualche rimasuglio di inflessione, ma già nelle stazioni e negli aeroporti impera una rigida voce digitale. Anonima e fredda si staglia su un panorama piatto.
Con un enorme sforzo di immaginazione, riusciamo a figurarci il mégaron del palazzo miceneo, dove al chiarore caldo del focolare, gli astanti si beavano delle saghe declamate da un rapsodo.
Si può immaginare quale fu la perdita: il timbro di una voce si imprime nell’animo, simile ad un calamo con cui si incide la cera. Il suono è già, almeno in parte, senso.
Siamo immersi in un mondo di vibrazioni: il celebre incipit del Quarto vangelo, “In principio era il Logos,” potrebbe valere “In principio era il suono”. Gli stessi rumori sono scanditi da ritmi o venati talora da labili linee melodiche. I suoni della natura creano una sinfonia mirabile, non solo per varietà di toni, di accenti e di modulazioni, ma anche per la profondità degli echi emotivi che essi suscitano.
Si legga un testo ad alta voce o lo si ascolti, mentre qualcun altro lo legge: più facilmente resterà impresso. Se ci si riferisce ad una memoria visiva, esiste pure una reminiscenza fonica.
Fu merito dei poeti simbolisti - in Italia spicca l’esperienza di Pascoli - rivendicare l’autonomia del significante, rispetto al significato. Il suono, essenza e riflesso delle cose, fu valorizzato nella sua potenza espressiva: quando si compenetra al concetto, in una sintesi inscindibile ed armonica, rivela la sua natura primigenia.
E’ palese che la nostra società ha i sensi ottusi: incapace di ascoltare ed auscultare, ci si limita ad udire distrattamente. I suoni sono privi di colore, di sfumature: tutto è livellato nel grigio più tetro o scavato nel frastuono. Le necessità comunicative mantengono in vita le voci, con qualche rimasuglio di inflessione, ma già nelle stazioni e negli aeroporti impera una rigida voce digitale. Anonima e fredda si staglia su un panorama piatto.
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Zret
Saturday, January 14, 2012
Un’esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (prima parte)
http://zret.blogspot.com/2012/01/unesperienza-di-pre-morte-raccontata-da.html
Un’esperienza di pre-morte raccontata da Gregorio Magno (prima parte)

Gregorio
Magno nei “Dialogi” riferisce un episodio meraviglioso che oggi
definiremmo, usando l’espressione coniata dal dottor Raymond Moody Jr,
“esperienza di pre-morte”. [1] E’ proprio Moody Jr a riportare il passo
tratto dai “Dialogi”, per dimostrare che le near death experiences
non sono un fenomeno peculiare dei nostri tempi, poiché se ne
rintracciano testimonianze anche nell’antichità (si pensi al cosiddetto
mito di Er, dipanato da Platone nella “Politeia”) e nel Medioevo. In
effetti, l’aneddoto inserito nell’interessante saggio “La vita oltre la
vita”, manifesta non pochi tratti tipici dei resoconti dovuti ai
“redivivi”, sebbene in un’ottica religiosa, laddove le dichiarazioni dei
“resuscitati” attuali sono pervase da una spiritualità alquanto lontana
dai dogmi delle religioni positive. Gli stadi delle esperienze al
confinetra la vita e la morte, sono stati individuati dagli studiosi e
così, di solito, elencati:
- Cessazione dell'attività cardiaca
- Uscita dal corpo fisico e collocazione del corpo astrale sopra la posizione reale del soma
- Visione degli eventi che occorrono nella sala operatoria ed impossibilità di comunicare con le persone ivi presenti
- Sensazione di un benessere indescrivibile
- Viaggio improvviso attraverso l'oscurità (spesso descritta come tunnel) con allontanamento dalla zona in cui è posto il corpo fisico
- Esame e considerazione delle esperienze della propria vita
- Ingresso in un luogo ricco di particolari luminosi e colorati, con sensazioni di serenità e di amore che avvolgono il nuovo arrivato
- Incontro con entità disincarnate, che possono essere i propri congiunti già deceduti o entità spirituali ignote, o divinità della propria religione
- Ritorno, spesso contro voglia, nel proprio corpo fisico, dopo l'avvertimento di non aver ancora concluso la propria avventura terrena
- Riluttanza a raccontare ad altri il tipo di avventura vissuta
- Nuovo modo di concepire la morte
- Nuova scala di valori
- Cambiamento del modo di vivere [2]
Gregorio Magno racconta di un soldato che ritorna dalla “morte”: vivida è la raffigurazione dell’aldilà e della sorte d’un uomo d’affari, Stefano, originario di Costantinopoli. La relazione, che manifesta molte analogie con i vissuti dei “resuscitati” esaminati da Moody e da altri ricercatori, se ne discosta, laddove è rappresentato il ponte, struttura che, nella tradizione mazdea ed islamica, lo spirito del defunto attraversa. Se costui è malvagio, il ponte si assottiglia sempre più, finché l’anima precipita nell’Ade, se il trapassato è un giusto, invece, avanza senza difficoltà verso il Paradiso. Archetipi, reminiscenze di episodi realmente vissuti, invenzioni letterarie? Ciascuno giudichi liberamente.
[1] Gregorio I Magno (Roma, 540- ca 604), papa dal 590 all’anno della morte, di famiglia patrizia, fu prefetto di Roma (573) e, dopo la conversione alla vita monastica (578), diacono e nunzio di Pelagio II a Costantinopoli, alla corte del basiléus Tiberio. Eletto al soglio pontificio, valorizzò l’esperienza politico-amministrativa acquisita, riordinando il patrimonio della Chiesa, provvedendone ai bisogni di Roma colpita dalla peste e minacciata dai Longobardi. Inviò in Britannia, ai fini di evangelizzare l’isola, una missione di monaci guidata da Agostino, il futuro arcivescovo di Canterbury. Delle sue numerose opere si ricordano le Epistole, in 14 libri, i Dialogorum libri IV de vita et miraculis patrum Italorum et de aeternitate animarum, notevoli per la biografia di Benedetto da Norcia, il Liber regulae pastoralis, dove è delineato il ritratto del “perfetto vescovo”, un commento in 35 libri a Giobbe (Moralia in Iob), numerose omelie. Scritte in uno stile piano ed elegante, le opere di G.M. esercitarono un influsso determinante sulla cultura del Medioevo.
[2] Un’altra scansione, più concisa e che differisce in un solo aspetto, comprende le seguenti tappe: percezione di un suono, attraversamento di una galleria, senso di pace, inesprimibilità, abbandono dellinvolucro materiale, assunzione del corpo “sottile”, incontro con esseri spirituali, colloquio con l’essere di luce, film della vita, ritorno sulla terra.
- Cessazione dell'attività cardiaca
- Uscita dal corpo fisico e collocazione del corpo astrale sopra la posizione reale del soma
- Visione degli eventi che occorrono nella sala operatoria ed impossibilità di comunicare con le persone ivi presenti
- Sensazione di un benessere indescrivibile
- Viaggio improvviso attraverso l'oscurità (spesso descritta come tunnel) con allontanamento dalla zona in cui è posto il corpo fisico
- Esame e considerazione delle esperienze della propria vita
- Ingresso in un luogo ricco di particolari luminosi e colorati, con sensazioni di serenità e di amore che avvolgono il nuovo arrivato
- Incontro con entità disincarnate, che possono essere i propri congiunti già deceduti o entità spirituali ignote, o divinità della propria religione
- Ritorno, spesso contro voglia, nel proprio corpo fisico, dopo l'avvertimento di non aver ancora concluso la propria avventura terrena
- Riluttanza a raccontare ad altri il tipo di avventura vissuta
- Nuovo modo di concepire la morte
- Nuova scala di valori
- Cambiamento del modo di vivere [2]
Gregorio Magno racconta di un soldato che ritorna dalla “morte”: vivida è la raffigurazione dell’aldilà e della sorte d’un uomo d’affari, Stefano, originario di Costantinopoli. La relazione, che manifesta molte analogie con i vissuti dei “resuscitati” esaminati da Moody e da altri ricercatori, se ne discosta, laddove è rappresentato il ponte, struttura che, nella tradizione mazdea ed islamica, lo spirito del defunto attraversa. Se costui è malvagio, il ponte si assottiglia sempre più, finché l’anima precipita nell’Ade, se il trapassato è un giusto, invece, avanza senza difficoltà verso il Paradiso. Archetipi, reminiscenze di episodi realmente vissuti, invenzioni letterarie? Ciascuno giudichi liberamente.
[1] Gregorio I Magno (Roma, 540- ca 604), papa dal 590 all’anno della morte, di famiglia patrizia, fu prefetto di Roma (573) e, dopo la conversione alla vita monastica (578), diacono e nunzio di Pelagio II a Costantinopoli, alla corte del basiléus Tiberio. Eletto al soglio pontificio, valorizzò l’esperienza politico-amministrativa acquisita, riordinando il patrimonio della Chiesa, provvedendone ai bisogni di Roma colpita dalla peste e minacciata dai Longobardi. Inviò in Britannia, ai fini di evangelizzare l’isola, una missione di monaci guidata da Agostino, il futuro arcivescovo di Canterbury. Delle sue numerose opere si ricordano le Epistole, in 14 libri, i Dialogorum libri IV de vita et miraculis patrum Italorum et de aeternitate animarum, notevoli per la biografia di Benedetto da Norcia, il Liber regulae pastoralis, dove è delineato il ritratto del “perfetto vescovo”, un commento in 35 libri a Giobbe (Moralia in Iob), numerose omelie. Scritte in uno stile piano ed elegante, le opere di G.M. esercitarono un influsso determinante sulla cultura del Medioevo.
[2] Un’altra scansione, più concisa e che differisce in un solo aspetto, comprende le seguenti tappe: percezione di un suono, attraversamento di una galleria, senso di pace, inesprimibilità, abbandono dellinvolucro materiale, assunzione del corpo “sottile”, incontro con esseri spirituali, colloquio con l’essere di luce, film della vita, ritorno sulla terra.
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Zret
Monday, August 29, 2011
Rosicata 1: L'uovo e la gallina
http://zret.blogspot.com/2011/08/luovo-e-la-gallina.html
L'uovo e la gallina

E’ nato prima l’uovo o la gallina? Se rivolgiamo questa domanda, quasi tutti risponderanno con sicumera: “L’uovo!”. E’, infatti, dalla cellula-uovo che si sviluppa l’individuo e non solo nel caso della gallina. Ce lo insegna la biologia.
Eppure, come avviene spesso, il common sense e la “scienza” provinciale, i cui araldi appartengono allo squallido C.I.C.A.P., dimostrano ancora una volta di bandire una visione acritica ed asfittica del mondo. Gli aderenti al gretto comitato osano affermare di non essere gli epigoni del Positivismo ottocentesco! Hanno ragione: sono molto più indietro. Abbarbicati alla logica aristotelica o, peggio, ad una sua parodia, reagiscono piccati, non appena sono capovolti o contestati i loro schemi post-peripatetici. Eppure è probabilmente più vicino ad una possibile verità Platone, rispetto ad Aristotele: il primo, postulando l’esistenza delle idee, si riferisce ad un archetipo di cui le cose “concrete” sono un riflesso.
Certo, è difficile immaginare che ciascun ente empirico trovi la sua ragion d’essere in un modello a priori, come se una Mente elaborasse dei concetti tradotti poi in cose. I problemi sono numerosi e complessi. Nessun rasoio di Ockam può essere utile. Esiste un archetipo di ciascun genere o di ogni cosa o, come ritiene l’ultimo Platone, solo delle “verità” matematiche e dei valori estetici ed etici? Quando un ente singolo o una categoria (ad esempio, la specie del Diplodoco) si estingue, resta il suo stampo, pronto per essere all’occorrenza riusato? Se la risposta fosse affermativa, si potrebbe pensare che la morte del singolo e l’estinzione di una specie non siano definitivi. Essi sopravvivono come forme e pre-esistono come tali, in un archivio in cui sono custoditi innumerevoli prototipi.
Qui il discorso si potrebbe estendere ai simboli, da non considerare solo significati culturalmente determinati, quanto matrici metafisiche. L’uomo penserebbe per simboli, perché da essi pensato. Anche le immagini oniriche, come opina Jung, sarebbero contenuti universali ed a-storici. Ciò potrebbe render conto delle strutture preformanti la lingua che è un sistema simbolico, le cui configurazioni potrebbero essere innate (si pensi al generativismo) e della codificazione che sembra soggiacere al mondo naturale.
Altre questioni si pongono: il numero enorme di specie animali e vegetali implica un altrettanto enorme numero di idee, con l’impressione di ridondanza: il mondo come eccesso di essere e di esseri. Le idee sono collocabili tutte nello stesso dominio o alcune (le idee e le rispettive estrinsecazioni sensibili che paiono aberranti, ad esempio, quella di un parassita micidiale e di abominii, come Paolo Attivissimo) hanno un’altra matrice? Le idee aberranti sono transitorie?
E’ nella biologia, di là dalla stessa querelle tra fissismo ed evoluzionismo, che il tema della specie-archetipo si palesa in tutta la sua enormità: ciascuna specie denota, oltre i tratti dell’individualità, un carattere generale, un disegno intrinseco ed immutabile, che sembra il risultato di un pro-getto.
Il discorso mi induce ad accennare al dominio degli intelligibili che è designato, nella tradizione orientale, akasha. Akasha, la base e l’essenza delle cose nel mondo immanente, è tradotto con “spazio” o con “etere”: in questa sorta di data-base universale, sono contenuti non solo gli esemplari delle cose, ma pure le memorie di azioni, pensieri, emozioni…
Dove si situano poi lo spazio ed il tempo in cui si collocano gli oggetti e gli eventi, sottoinsiemi di un insieme? Anche spazio e tempo potrebbero appartenere all’universo delle categorie o essere percezioni e non costanti universali. Platone definisce il tempo “immagine mobile dell’eternità”, sottolineando il suo valore percettivo ed illusorio (immagine) nonché atemporale (eternità). Nei confronti di tale definizione, appare rozza quella aristotelica: lo Stagirita, infatti, che concepisce il tempo come “il numero del movimento secondo il prima ed il poi”, accozza ad una visione empirica elementare e “soggettiva” (il prima ed il poi), una nozione quantitativa ed “oggettiva” (il numero).
Idee, cose, spazio, tempo: un tutto inesplicabile che è niente.
Eppure, come avviene spesso, il common sense e la “scienza” provinciale, i cui araldi appartengono allo squallido C.I.C.A.P., dimostrano ancora una volta di bandire una visione acritica ed asfittica del mondo. Gli aderenti al gretto comitato osano affermare di non essere gli epigoni del Positivismo ottocentesco! Hanno ragione: sono molto più indietro. Abbarbicati alla logica aristotelica o, peggio, ad una sua parodia, reagiscono piccati, non appena sono capovolti o contestati i loro schemi post-peripatetici. Eppure è probabilmente più vicino ad una possibile verità Platone, rispetto ad Aristotele: il primo, postulando l’esistenza delle idee, si riferisce ad un archetipo di cui le cose “concrete” sono un riflesso.
Certo, è difficile immaginare che ciascun ente empirico trovi la sua ragion d’essere in un modello a priori, come se una Mente elaborasse dei concetti tradotti poi in cose. I problemi sono numerosi e complessi. Nessun rasoio di Ockam può essere utile. Esiste un archetipo di ciascun genere o di ogni cosa o, come ritiene l’ultimo Platone, solo delle “verità” matematiche e dei valori estetici ed etici? Quando un ente singolo o una categoria (ad esempio, la specie del Diplodoco) si estingue, resta il suo stampo, pronto per essere all’occorrenza riusato? Se la risposta fosse affermativa, si potrebbe pensare che la morte del singolo e l’estinzione di una specie non siano definitivi. Essi sopravvivono come forme e pre-esistono come tali, in un archivio in cui sono custoditi innumerevoli prototipi.
Qui il discorso si potrebbe estendere ai simboli, da non considerare solo significati culturalmente determinati, quanto matrici metafisiche. L’uomo penserebbe per simboli, perché da essi pensato. Anche le immagini oniriche, come opina Jung, sarebbero contenuti universali ed a-storici. Ciò potrebbe render conto delle strutture preformanti la lingua che è un sistema simbolico, le cui configurazioni potrebbero essere innate (si pensi al generativismo) e della codificazione che sembra soggiacere al mondo naturale.
Altre questioni si pongono: il numero enorme di specie animali e vegetali implica un altrettanto enorme numero di idee, con l’impressione di ridondanza: il mondo come eccesso di essere e di esseri. Le idee sono collocabili tutte nello stesso dominio o alcune (le idee e le rispettive estrinsecazioni sensibili che paiono aberranti, ad esempio, quella di un parassita micidiale e di abominii, come Paolo Attivissimo) hanno un’altra matrice? Le idee aberranti sono transitorie?
E’ nella biologia, di là dalla stessa querelle tra fissismo ed evoluzionismo, che il tema della specie-archetipo si palesa in tutta la sua enormità: ciascuna specie denota, oltre i tratti dell’individualità, un carattere generale, un disegno intrinseco ed immutabile, che sembra il risultato di un pro-getto.
Il discorso mi induce ad accennare al dominio degli intelligibili che è designato, nella tradizione orientale, akasha. Akasha, la base e l’essenza delle cose nel mondo immanente, è tradotto con “spazio” o con “etere”: in questa sorta di data-base universale, sono contenuti non solo gli esemplari delle cose, ma pure le memorie di azioni, pensieri, emozioni…
Dove si situano poi lo spazio ed il tempo in cui si collocano gli oggetti e gli eventi, sottoinsiemi di un insieme? Anche spazio e tempo potrebbero appartenere all’universo delle categorie o essere percezioni e non costanti universali. Platone definisce il tempo “immagine mobile dell’eternità”, sottolineando il suo valore percettivo ed illusorio (immagine) nonché atemporale (eternità). Nei confronti di tale definizione, appare rozza quella aristotelica: lo Stagirita, infatti, che concepisce il tempo come “il numero del movimento secondo il prima ed il poi”, accozza ad una visione empirica elementare e “soggettiva” (il prima ed il poi), una nozione quantitativa ed “oggettiva” (il numero).
Idee, cose, spazio, tempo: un tutto inesplicabile che è niente.
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Monday, March 21, 2011
Tracce di Atlantide (prima parte)
http://zret.blogspot.com/2011/03/tracce-di-atlantide-prima-parte.html
Tracce di Atlantide (prima parte)
Qual è la fonte della Tradizione? Credo che potrebbe essere Atlantide. Sul continente scomparso sono stati scritti centinaia di libri, per tentare di stabilire in primo luogo dove Atlantide fosse ubicata. Pochi autori hanno, però, compreso che l’isola inabissatasi nell’oceano non fu solo una terra, ma un tempo prima del tempo, un’altra umanità. I miti non sono né storielle né sciarade, ma archetipi, messaggi in bottiglie affidate alle correnti di oceani metastorici. Gli stessi abitanti di Atlantide erano probabilmente esseri metacorporei, i cui sensi ed intelletto erano acutissimi.
Quanto del sapere appannaggio degli Atlantidei – alcuni li chiamano Pelasgi – fu trasfuso nelle culture successive che la storiografia ufficiale, a torto, considera le prime a sbocciare sul pianeta? I superstiti portarono con sé conoscenze e tradizioni: molte cognizioni furono di natura tecnica, ma altre furono esoteriche. Ritengo che, con il passare dei secoli e l’avvicendamento dei diluvi, gli eredi dei Pelasgi, inclusi i gruppi da quelli istruiti, cominciarono a perdere per strada alcuni saperi. Platone nel IV secolo scrisse di Atlantide nel "Timeo" e nel "Crizia", ma probabilmente egli apprese e divulgò meno di quanto avesse appreso e divulgato Solone. Solone acquisì e diffuse meno dei sacerdoti egizi che l’avevano indottrinato e via discorrendo.
Dunque i testi antichi sono scrigni di sapienza, ma, poiché il vero sapere si tramanda attraverso l’oralità e per mezzo di scuole esoteriche, è, a mio avviso, errato, pensare che alcuni libri del passato siano in toto iniziatici. Così la Bibbia, accanto a parti storiche (o quasi storiche), cronachistiche, normative, poetiche etc. custodisce concetti simbolici per lo più di origine egizia e sumera: le redazioni successive, la confluenza di diverse fonti, intenti catechetici e persino egemonici della casta sacerdotale ebraica rendono la Torah un testo. Testo è letteralmente un libro intrecciato, dove i contenuti, afferenti a diverse funzioni di Jakobson ed a circostanze eterogenee, si intersecano, creando nodi sovente inestricabili. [1] Ci si imbatte, ad esempio, nel termine Elohim, plurale di Eloha. Ora, tale forma è stata ed è interpretata in modi molteplici, ma è tutto tranne un pluralis maiestatitis che era ignoto agli antichi: in alcuni scrittori latini era un pluralis modestiae: l’esatto contrario! [2] Bisogna prestare attenzione a non affrontare testimonianze del passato con categorie attuali, a non sovrapporvi costruzioni simboliche posteriori. Il rischio è quello di attribuire valori estranei ai testi antichi sino a leggervi tutto ciò che ci si vuole leggere: qualcuno ha addirittura individuato nella Bibbia, tra le numerose profezie, un vaticinio sul 9 11 e sui dirottatori arabi muniti di coltellini, peccato che…
[1] Secondo questa distinzione, l’Iliade, l’Odissea, il Corano etc. sono testi, mentre, ad esempio, la Commedia è un libro, perché scritto da un unico autore e secondo un piano concepito in modo organico, mentre le opere sorte attorno ad un centro originario, cui si agglutinano altri nuclei, uniti da compilatori e da rapsodi, interpolate e modificate nel tempo, sono testi.
[2] Nel grossolano errore di scambiare il "pluralis modestiae" per un "pluralis maiestatis" incorre Fichipedia…

Dunque i testi antichi sono scrigni di sapienza, ma, poiché il vero sapere si tramanda attraverso l’oralità e per mezzo di scuole esoteriche, è, a mio avviso, errato, pensare che alcuni libri del passato siano in toto iniziatici. Così la Bibbia, accanto a parti storiche (o quasi storiche), cronachistiche, normative, poetiche etc. custodisce concetti simbolici per lo più di origine egizia e sumera: le redazioni successive, la confluenza di diverse fonti, intenti catechetici e persino egemonici della casta sacerdotale ebraica rendono la Torah un testo. Testo è letteralmente un libro intrecciato, dove i contenuti, afferenti a diverse funzioni di Jakobson ed a circostanze eterogenee, si intersecano, creando nodi sovente inestricabili. [1] Ci si imbatte, ad esempio, nel termine Elohim, plurale di Eloha. Ora, tale forma è stata ed è interpretata in modi molteplici, ma è tutto tranne un pluralis maiestatitis che era ignoto agli antichi: in alcuni scrittori latini era un pluralis modestiae: l’esatto contrario! [2] Bisogna prestare attenzione a non affrontare testimonianze del passato con categorie attuali, a non sovrapporvi costruzioni simboliche posteriori. Il rischio è quello di attribuire valori estranei ai testi antichi sino a leggervi tutto ciò che ci si vuole leggere: qualcuno ha addirittura individuato nella Bibbia, tra le numerose profezie, un vaticinio sul 9 11 e sui dirottatori arabi muniti di coltellini, peccato che…
[1] Secondo questa distinzione, l’Iliade, l’Odissea, il Corano etc. sono testi, mentre, ad esempio, la Commedia è un libro, perché scritto da un unico autore e secondo un piano concepito in modo organico, mentre le opere sorte attorno ad un centro originario, cui si agglutinano altri nuclei, uniti da compilatori e da rapsodi, interpolate e modificate nel tempo, sono testi.
[2] Nel grossolano errore di scambiare il "pluralis modestiae" per un "pluralis maiestatis" incorre Fichipedia…
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Thursday, February 17, 2011
Corpus hominis
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Corpus hominis

Il corpo: come considerarlo? La duplicità, che non è necessariamente dualismo, implica un movimento di attrazione-repulsione. Forse le anime, come sostengono alcune tradizioni, furono attratte dalla materia in cui restarono imprigionate: il corpo diventa un sarcofago da cui l’anima anela disperatamente a liberarsi, di vita in vita. È una caduta per concupiscenza, poiché le anime desiderano esperire, attraverso i sensi, il mondo della densità. L’attrazione per la materia, una volta conosciuto il suo destino di disfacimento, si inverte in ripulsa, ma ormai è tardi. Troppo tardi.
Le correnti gnostiche, di cui alcuni princìpi confluirono nei sistemi dei Bogomili e dei Catari, enfatizzando la differenza tra Spirito e materia, negano ogni possibile conciliazione. E’ tragicamente ironico che il persecutore degli Albigesi, Innocenzo III, nel De contemptu mundi, mostrò una visione del soma e delle sue ribrezzose impurità non dissimile da quella dai Buoni uomini.
E’ necessario il corpo per maturare dei vissuti? La seduzione della conoscenza lato sensu ebbe il sopravvento: fu la rovina. Le voluttà dei sensi sono più inebrianti del piacere della sfera intelligibile, ma il loro scotto è alto, ossia scendere in una dimensione dove, ad un breve periodo di vigoria, subentra una fase di progressivo, irreversibile decadimento.
Duplicità, si diceva: da un lato l’organismo si rivela un “congegno” strabiliante nella sua complessità ed efficienza, dall’altro è un involucro fatiscente. Suscita ammirazione uno strumento come la mano, con le sue articolazioni, le sue possibilità di afferrare gli oggetti e di manipolarli, eppure…
“Un tronco che soffre”: così definì il corpo Giacomo Leopardi con potente, disperata immagine.
Forse è un’astuzia della natura che perpetua ciecamente sé stessa attraverso gli organismi caduchi delle diverse specie: esisterà pure un disegno, ma ce ne sfuggono i connotati più profondi. Era necessario questo addensamento o fu il risultato di uno scarto ontologico? Anche l'avatar discende, ma poi risale; per i comuni mortali l’anabasi è ardua, quasi impossibile.
L’Orfismo, nella tradizione occidentale, palesò un atteggiamento anti-ilico, recepito poi da filosofi come Platone. Un pensiero anti-cosmico si può reputare una radicalizzazione di quella tendenza. Il sentiero dualistico conduce verso il rifiuto del mondo e diventa nichilismo, se, annichilita la natura, non resta nient’altro. Se, infatti, oltre la materia, sia pure una materia sottile, non si estende una dimensione non-fisica, la liberazione dalla schiavitù ilica è oblio, puro nulla. E’ una posizione estrema, agli antipodi di visioni che celebrano il corpo nella sua sensorialità, nella sua prestanza, almeno finché dura: dacché sottentra la senescenza, piena di magagne, il corpo si tramuta in una tomba cui ci aggrappiamo solo per un’irrazionale Wille. Allora il non-essere appare meno spaventoso di un supplizio senza speranza, di un’agonia lacerante.
Il rigetto del corpo si discosta dalla sua stessa mortificazione, poiché movimenti come quello dei Flagellanti umiliano la carne, come pungolo del peccato, non in quanto degradazione. Nel Cristianesimo paolino al corpus Christi è associato il mistero dell’Incarnazione: occorre incarnarsi per redimere, attraverso lo strazio delle membra sulla croce. La sofferenza del corpo (ente del patimento sino alla follia) si sublima nella salvezza, ma la retorica del sacrificio e del sangue è dietro l'angolo. I docetisti non erano d’accordo con tale interpretazione che sfociò nella teofagia con cui il Cristianesimo ci richiama i culti dionisiaci.
L’etimologia ci aiuta ad inquadrare uno scorcio del tema: soma-sema (corpo-sepolcro), dicevano gli Orfici con significativa paronomasia. In inglese “corpse”, dal latino “corpus”, vale “cadavere”: è possibile concludere così, anche se in modo inconcludente.
Le correnti gnostiche, di cui alcuni princìpi confluirono nei sistemi dei Bogomili e dei Catari, enfatizzando la differenza tra Spirito e materia, negano ogni possibile conciliazione. E’ tragicamente ironico che il persecutore degli Albigesi, Innocenzo III, nel De contemptu mundi, mostrò una visione del soma e delle sue ribrezzose impurità non dissimile da quella dai Buoni uomini.
E’ necessario il corpo per maturare dei vissuti? La seduzione della conoscenza lato sensu ebbe il sopravvento: fu la rovina. Le voluttà dei sensi sono più inebrianti del piacere della sfera intelligibile, ma il loro scotto è alto, ossia scendere in una dimensione dove, ad un breve periodo di vigoria, subentra una fase di progressivo, irreversibile decadimento.
Duplicità, si diceva: da un lato l’organismo si rivela un “congegno” strabiliante nella sua complessità ed efficienza, dall’altro è un involucro fatiscente. Suscita ammirazione uno strumento come la mano, con le sue articolazioni, le sue possibilità di afferrare gli oggetti e di manipolarli, eppure…
“Un tronco che soffre”: così definì il corpo Giacomo Leopardi con potente, disperata immagine.
Forse è un’astuzia della natura che perpetua ciecamente sé stessa attraverso gli organismi caduchi delle diverse specie: esisterà pure un disegno, ma ce ne sfuggono i connotati più profondi. Era necessario questo addensamento o fu il risultato di uno scarto ontologico? Anche l'avatar discende, ma poi risale; per i comuni mortali l’anabasi è ardua, quasi impossibile.
L’Orfismo, nella tradizione occidentale, palesò un atteggiamento anti-ilico, recepito poi da filosofi come Platone. Un pensiero anti-cosmico si può reputare una radicalizzazione di quella tendenza. Il sentiero dualistico conduce verso il rifiuto del mondo e diventa nichilismo, se, annichilita la natura, non resta nient’altro. Se, infatti, oltre la materia, sia pure una materia sottile, non si estende una dimensione non-fisica, la liberazione dalla schiavitù ilica è oblio, puro nulla. E’ una posizione estrema, agli antipodi di visioni che celebrano il corpo nella sua sensorialità, nella sua prestanza, almeno finché dura: dacché sottentra la senescenza, piena di magagne, il corpo si tramuta in una tomba cui ci aggrappiamo solo per un’irrazionale Wille. Allora il non-essere appare meno spaventoso di un supplizio senza speranza, di un’agonia lacerante.
Il rigetto del corpo si discosta dalla sua stessa mortificazione, poiché movimenti come quello dei Flagellanti umiliano la carne, come pungolo del peccato, non in quanto degradazione. Nel Cristianesimo paolino al corpus Christi è associato il mistero dell’Incarnazione: occorre incarnarsi per redimere, attraverso lo strazio delle membra sulla croce. La sofferenza del corpo (ente del patimento sino alla follia) si sublima nella salvezza, ma la retorica del sacrificio e del sangue è dietro l'angolo. I docetisti non erano d’accordo con tale interpretazione che sfociò nella teofagia con cui il Cristianesimo ci richiama i culti dionisiaci.
L’etimologia ci aiuta ad inquadrare uno scorcio del tema: soma-sema (corpo-sepolcro), dicevano gli Orfici con significativa paronomasia. In inglese “corpse”, dal latino “corpus”, vale “cadavere”: è possibile concludere così, anche se in modo inconcludente.
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Wednesday, June 9, 2010
Voce
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Voce

"Verba volant, scripta manent": questo noto detto aveva in origine significato diverso da quello che gli attribuiamo oggi. Molti credono che si riferisca all'importanza di ancorare ad un testo scritto dichiarazioni e promesse, poiché quanto espresso a voce è fugace e destinato all'oblio. Si ritiene anche che questo proverbio suggerisca la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono formare, soprattutto nelle mani di malintenzionati, dei documenti talora nocivi, quando siano stati vergati in un momento di malumore o sotto l'impeto di infuocate emozioni.
In verità, verba volant è la propaggine delle "alate parole", formula con cui Omero definiva i discorsi intrecciati tra gli uomini e tra gli uomini e gli dei. I suoni aleggiavano nell'etere per recare con sé echi di sentimenti, pensieri, sogni. Il suono custodiva ancora in età omerica un afflato magico, un'ombra spirituale che con il tempo si è sbiadita sino a scomparire.
Qui non occorre ricordare il valore archetipale del Logos né come Platone giudicasse l'invenzione della scrittura, attribuita dagli antichi al dio egizio Thot, invenzione di cui il filosofo scorse i danni più che i benefici. Bisognerebbe, invece, tentare di comprendere come e perché affiorò nell'uomo l'esigenza di articolare suoni per comunicare il suo mondo interiore. Fu la solitudine del silenzio a generare tale impulso? Furono solo esigenze pratiche a riempire il nulla di voci?
Ci piace pensare che la voce nacque come canto (ma fu forse un grido di fronte al riflesso della coscienza in un lago di tenebre?): il vocabolo latino "carmen" sembra confermare questo mito originario, visto che "carmen" è il componimento poetico, il canto, la formula magica. Il termine deriva da una radice “cammen” che è associata al canto rituale, al verso del gallo, nelle aree celtica ed italica, al suono in generale in ambito greco e germanico.
I confini sono labili: i rumori possono evolvere in ritmi, in partiture, voci e persino in rudimentali linee melodiche. Tutti conservano il fascino dell'invisibile: la voce è immaginifica, dipinge e plasma. La voce è il passato che permane, il tempo che non scorre, il sobbalzo di fronte ad un angolo di memoria rischiarato dal raggio di un accento.
Le voci nel buio inquietano, ma pure si librano come palpiti misteriosi di ali fra le volte e le navate di una cattedrale celeste.
In verità, verba volant è la propaggine delle "alate parole", formula con cui Omero definiva i discorsi intrecciati tra gli uomini e tra gli uomini e gli dei. I suoni aleggiavano nell'etere per recare con sé echi di sentimenti, pensieri, sogni. Il suono custodiva ancora in età omerica un afflato magico, un'ombra spirituale che con il tempo si è sbiadita sino a scomparire.
Qui non occorre ricordare il valore archetipale del Logos né come Platone giudicasse l'invenzione della scrittura, attribuita dagli antichi al dio egizio Thot, invenzione di cui il filosofo scorse i danni più che i benefici. Bisognerebbe, invece, tentare di comprendere come e perché affiorò nell'uomo l'esigenza di articolare suoni per comunicare il suo mondo interiore. Fu la solitudine del silenzio a generare tale impulso? Furono solo esigenze pratiche a riempire il nulla di voci?
Ci piace pensare che la voce nacque come canto (ma fu forse un grido di fronte al riflesso della coscienza in un lago di tenebre?): il vocabolo latino "carmen" sembra confermare questo mito originario, visto che "carmen" è il componimento poetico, il canto, la formula magica. Il termine deriva da una radice “cammen” che è associata al canto rituale, al verso del gallo, nelle aree celtica ed italica, al suono in generale in ambito greco e germanico.
I confini sono labili: i rumori possono evolvere in ritmi, in partiture, voci e persino in rudimentali linee melodiche. Tutti conservano il fascino dell'invisibile: la voce è immaginifica, dipinge e plasma. La voce è il passato che permane, il tempo che non scorre, il sobbalzo di fronte ad un angolo di memoria rischiarato dal raggio di un accento.
Le voci nel buio inquietano, ma pure si librano come palpiti misteriosi di ali fra le volte e le navate di una cattedrale celeste.
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Saturday, January 23, 2010
Viaggio ad Atlantide
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Viaggio ad Atlantide

Dionisio di Mileto è storico greco vissuto tra il VI ed il V sec. a.C. La tradizione antica gli attribuisce opere mitologiche di dubbia autenticità, una "Periegesi" e due scritti sulla Persia. E' considerato anche autore di "Viaggio ad Atlantide", un libro sul continente scomparso. Dionisio è il primo scrittore noto di opere di carattere storico-etnografico sui Persiani. "Viaggio ad Atlantide" è un testo che dovette costituire una delle fonti cui attinse Platone. Il filosofo greco nei dialoghi "Timeo" e "Crizia" rievocò le vicende dell'isola inabissatasi nell'Atlantico e di cui descrisse morfologia, ambiente e cultura. Una copia del manoscritto di "Viaggio ad Atlantide" fu reperita tra i documenti personali dello scrittore e storico Pierre Benoit, ma purtroppo fu smarrita nei passaggi tra i restauratori e le persone che la presero in prestito dopo la morte di Benoit.
La sorte del libro è una iattura, poiché priva gli studiosi di un importante documento su Atlantide. Non risulta che tale opera sia stata trascritta e così ne ignoriamo il contenuto. Tuttavia è possibile che si riusciranno a colmare, almeno in parte, le lacune dovute alla sparizione di moltissimi volumi antichi, per mezzo dell'archeologia. Si riuscirà, però, a sopperire alla perdita dei papiri custoditi nella biblioteca di Alessandria, a causa dei vari incendi che incenerirono tante preziose testimonianze culturali? Viene anche il sospetto che lo smarrimento di "Viaggio ad Atlantide", come la distruzione di altre opere del passato, non sia da attribuirsi del tutto al caso. E' una forma di censura, un modo per (ri)scrivere la storia, secondo precisi intenti ideologici ("chi controlla il passato controlla il futuro): è una prassi che dagli Egizi in poi ha contraddistinto il potere, uso a contraffare, interpolare, modificare le testimonianze per trasmettere una visione degli avvenimenti funzionale agli interessi delle élites. E' una prassi che possiamo ben definire instrumentum regni, oggi più che mai diffusa.
Tuttavia, se circoscriviamo il discorso alle civiltà antidiluviane, come accennavo, sarà l'archeologia a lasciar affiorare frammenti di verità occultate per millenni. Sta avvenendo, ad esempio, al largo di Yonaguni, l'isola giapponese che si trova a 125 km dalla costa est del Taiwan, nell'arcipelago delle Ryūkyū. L'isola è diventata famosa all'inizio del XX secolo, dopo che fu scoperta una grande costruzione di pietra conosciuta come Monumento di Yonaguni. Sebbene archeologi e geologi accademici affermino che si tratta di formazioni naturali, recenti indagini subacquee hanno permesso di individuare altre strutture di evidente origine artificiale. Sulla datazione di questo sito sottomarino gli studiosi non sono concordi, poiché la cronologia oscilla dall'undicesimo millennio a.C. al terzo.
Naturalmente questa scoperta, come molte altre, sarà oscurata e finirà nell'oblio, soprattutto perché ammettere che esistettero civiltà in grado di erigere edifici ciclopici e città durante il Paleolitico, quando ufficialmente la terra era abitata solo da orde di cacciatori-raccoglitori, significherebbe dover rivedere le versioni canoniche. Questo è troppo per l'establishment e comunque poco per i cercatori della verità che sono abituati ad esplorare anche regioni oltre la storia.
La sorte del libro è una iattura, poiché priva gli studiosi di un importante documento su Atlantide. Non risulta che tale opera sia stata trascritta e così ne ignoriamo il contenuto. Tuttavia è possibile che si riusciranno a colmare, almeno in parte, le lacune dovute alla sparizione di moltissimi volumi antichi, per mezzo dell'archeologia. Si riuscirà, però, a sopperire alla perdita dei papiri custoditi nella biblioteca di Alessandria, a causa dei vari incendi che incenerirono tante preziose testimonianze culturali? Viene anche il sospetto che lo smarrimento di "Viaggio ad Atlantide", come la distruzione di altre opere del passato, non sia da attribuirsi del tutto al caso. E' una forma di censura, un modo per (ri)scrivere la storia, secondo precisi intenti ideologici ("chi controlla il passato controlla il futuro): è una prassi che dagli Egizi in poi ha contraddistinto il potere, uso a contraffare, interpolare, modificare le testimonianze per trasmettere una visione degli avvenimenti funzionale agli interessi delle élites. E' una prassi che possiamo ben definire instrumentum regni, oggi più che mai diffusa.

Naturalmente questa scoperta, come molte altre, sarà oscurata e finirà nell'oblio, soprattutto perché ammettere che esistettero civiltà in grado di erigere edifici ciclopici e città durante il Paleolitico, quando ufficialmente la terra era abitata solo da orde di cacciatori-raccoglitori, significherebbe dover rivedere le versioni canoniche. Questo è troppo per l'establishment e comunque poco per i cercatori della verità che sono abituati ad esplorare anche regioni oltre la storia.
Pubblicato da Zret
Tuesday, December 29, 2009
Due
http://zret.blogspot.com/2009/12/due.html
Due

Il mondo materiale pare scisso da una dualità: in esso coesistono armonia e crudeltà, magnificenza e lordume. Giacomo Leopardi, nel celebre passo dello Zibaldone in cui descrive il "giardino delle sofferenze", osserva, con sguardo che potremmo definire gnostico, la natura in cui, di là dalle parvenze amene, si consuma una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.
La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una "morta gora".
Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.
E' quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.
Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente "ordine"è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani. Tale dicotomia ontologica ricorda la distinzione gnostica tra uomini pneumatici (spirituali) ed ilici (materiali). Bisogna ammettere che questa visione è impopolare, ma, a mio parere, potrebbe non essere del tutto infondata. Infatti, prescindendo dal significato che intendiamo attribuire alla parola "anima", sembra che un divario incolmabile separi le persone: da un lato uomini con coscienza, dall'altro esseri simili a vuoti involucri, ad automi. Nel celebre film Matrix tale dialettica è riproposta, quantunque in modo ambiguo, nell'antitesi tra gli uomini e le macchine. Tale contrapposizione è evocata da quei ricercatori che individuano negli extraterrestri conosciuti come Grigi delle unità bioniche.
Il discorso è complesso e costellato di aporie, poiché è pressoché impossibile accordarsi sul valore del termine "anima" e sulle sue caratteristiche. Resta l'impressione che non tutti gli uomini siano uguali sicché talora si è tentati di ventilare ipotesi audaci ed eretiche, ad esempio, ammettendo che le piante possiedano una forma di coscienza e, nel contempo, negando che talune persone siano dotate di interiorità, simili a burattini eterodiretti, a robot menomati. Ancora più ardua è la riflessione sulla possibilità che una macchina possa acquisire, insieme con un'autonomia di pensiero e di azione, un'ombra di io. Il paradosso sarebbe se, in futuro, come in alcuni racconti e romanzi di fantascienza, cominciasse a nascere una progenie di automi senzienti in grado di soppiantare un'umanità meccanizzata e "dis-animata".
Già oggi la differenza tra uomini massificati e computers "intelligenti" è minima.
[1] Gli storici delle religioni e gli antropologi lo denominano demiurgo-trickster.
La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una "morta gora".
Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.
E' quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.
Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente "ordine"è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani. Tale dicotomia ontologica ricorda la distinzione gnostica tra uomini pneumatici (spirituali) ed ilici (materiali). Bisogna ammettere che questa visione è impopolare, ma, a mio parere, potrebbe non essere del tutto infondata. Infatti, prescindendo dal significato che intendiamo attribuire alla parola "anima", sembra che un divario incolmabile separi le persone: da un lato uomini con coscienza, dall'altro esseri simili a vuoti involucri, ad automi. Nel celebre film Matrix tale dialettica è riproposta, quantunque in modo ambiguo, nell'antitesi tra gli uomini e le macchine. Tale contrapposizione è evocata da quei ricercatori che individuano negli extraterrestri conosciuti come Grigi delle unità bioniche.
Il discorso è complesso e costellato di aporie, poiché è pressoché impossibile accordarsi sul valore del termine "anima" e sulle sue caratteristiche. Resta l'impressione che non tutti gli uomini siano uguali sicché talora si è tentati di ventilare ipotesi audaci ed eretiche, ad esempio, ammettendo che le piante possiedano una forma di coscienza e, nel contempo, negando che talune persone siano dotate di interiorità, simili a burattini eterodiretti, a robot menomati. Ancora più ardua è la riflessione sulla possibilità che una macchina possa acquisire, insieme con un'autonomia di pensiero e di azione, un'ombra di io. Il paradosso sarebbe se, in futuro, come in alcuni racconti e romanzi di fantascienza, cominciasse a nascere una progenie di automi senzienti in grado di soppiantare un'umanità meccanizzata e "dis-animata".
Già oggi la differenza tra uomini massificati e computers "intelligenti" è minima.
[1] Gli storici delle religioni e gli antropologi lo denominano demiurgo-trickster.
Pubblicato da Zret
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