Scopo del Blog
Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.
Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.
Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.
Ciao e grazie della visita.
Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:
http://indipezzenti.blogspot.ch/
https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/
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Saturday, February 6, 2016
Thursday, February 17, 2011
Corpus hominis
http://zret.blogspot.com/2011/01/corpus-hominis.html
Corpus hominis

Il corpo: come considerarlo? La duplicità, che non è necessariamente dualismo, implica un movimento di attrazione-repulsione. Forse le anime, come sostengono alcune tradizioni, furono attratte dalla materia in cui restarono imprigionate: il corpo diventa un sarcofago da cui l’anima anela disperatamente a liberarsi, di vita in vita. È una caduta per concupiscenza, poiché le anime desiderano esperire, attraverso i sensi, il mondo della densità. L’attrazione per la materia, una volta conosciuto il suo destino di disfacimento, si inverte in ripulsa, ma ormai è tardi. Troppo tardi.
Le correnti gnostiche, di cui alcuni princìpi confluirono nei sistemi dei Bogomili e dei Catari, enfatizzando la differenza tra Spirito e materia, negano ogni possibile conciliazione. E’ tragicamente ironico che il persecutore degli Albigesi, Innocenzo III, nel De contemptu mundi, mostrò una visione del soma e delle sue ribrezzose impurità non dissimile da quella dai Buoni uomini.
E’ necessario il corpo per maturare dei vissuti? La seduzione della conoscenza lato sensu ebbe il sopravvento: fu la rovina. Le voluttà dei sensi sono più inebrianti del piacere della sfera intelligibile, ma il loro scotto è alto, ossia scendere in una dimensione dove, ad un breve periodo di vigoria, subentra una fase di progressivo, irreversibile decadimento.
Duplicità, si diceva: da un lato l’organismo si rivela un “congegno” strabiliante nella sua complessità ed efficienza, dall’altro è un involucro fatiscente. Suscita ammirazione uno strumento come la mano, con le sue articolazioni, le sue possibilità di afferrare gli oggetti e di manipolarli, eppure…
“Un tronco che soffre”: così definì il corpo Giacomo Leopardi con potente, disperata immagine.
Forse è un’astuzia della natura che perpetua ciecamente sé stessa attraverso gli organismi caduchi delle diverse specie: esisterà pure un disegno, ma ce ne sfuggono i connotati più profondi. Era necessario questo addensamento o fu il risultato di uno scarto ontologico? Anche l'avatar discende, ma poi risale; per i comuni mortali l’anabasi è ardua, quasi impossibile.
L’Orfismo, nella tradizione occidentale, palesò un atteggiamento anti-ilico, recepito poi da filosofi come Platone. Un pensiero anti-cosmico si può reputare una radicalizzazione di quella tendenza. Il sentiero dualistico conduce verso il rifiuto del mondo e diventa nichilismo, se, annichilita la natura, non resta nient’altro. Se, infatti, oltre la materia, sia pure una materia sottile, non si estende una dimensione non-fisica, la liberazione dalla schiavitù ilica è oblio, puro nulla. E’ una posizione estrema, agli antipodi di visioni che celebrano il corpo nella sua sensorialità, nella sua prestanza, almeno finché dura: dacché sottentra la senescenza, piena di magagne, il corpo si tramuta in una tomba cui ci aggrappiamo solo per un’irrazionale Wille. Allora il non-essere appare meno spaventoso di un supplizio senza speranza, di un’agonia lacerante.
Il rigetto del corpo si discosta dalla sua stessa mortificazione, poiché movimenti come quello dei Flagellanti umiliano la carne, come pungolo del peccato, non in quanto degradazione. Nel Cristianesimo paolino al corpus Christi è associato il mistero dell’Incarnazione: occorre incarnarsi per redimere, attraverso lo strazio delle membra sulla croce. La sofferenza del corpo (ente del patimento sino alla follia) si sublima nella salvezza, ma la retorica del sacrificio e del sangue è dietro l'angolo. I docetisti non erano d’accordo con tale interpretazione che sfociò nella teofagia con cui il Cristianesimo ci richiama i culti dionisiaci.
L’etimologia ci aiuta ad inquadrare uno scorcio del tema: soma-sema (corpo-sepolcro), dicevano gli Orfici con significativa paronomasia. In inglese “corpse”, dal latino “corpus”, vale “cadavere”: è possibile concludere così, anche se in modo inconcludente.
Le correnti gnostiche, di cui alcuni princìpi confluirono nei sistemi dei Bogomili e dei Catari, enfatizzando la differenza tra Spirito e materia, negano ogni possibile conciliazione. E’ tragicamente ironico che il persecutore degli Albigesi, Innocenzo III, nel De contemptu mundi, mostrò una visione del soma e delle sue ribrezzose impurità non dissimile da quella dai Buoni uomini.
E’ necessario il corpo per maturare dei vissuti? La seduzione della conoscenza lato sensu ebbe il sopravvento: fu la rovina. Le voluttà dei sensi sono più inebrianti del piacere della sfera intelligibile, ma il loro scotto è alto, ossia scendere in una dimensione dove, ad un breve periodo di vigoria, subentra una fase di progressivo, irreversibile decadimento.
Duplicità, si diceva: da un lato l’organismo si rivela un “congegno” strabiliante nella sua complessità ed efficienza, dall’altro è un involucro fatiscente. Suscita ammirazione uno strumento come la mano, con le sue articolazioni, le sue possibilità di afferrare gli oggetti e di manipolarli, eppure…
“Un tronco che soffre”: così definì il corpo Giacomo Leopardi con potente, disperata immagine.
Forse è un’astuzia della natura che perpetua ciecamente sé stessa attraverso gli organismi caduchi delle diverse specie: esisterà pure un disegno, ma ce ne sfuggono i connotati più profondi. Era necessario questo addensamento o fu il risultato di uno scarto ontologico? Anche l'avatar discende, ma poi risale; per i comuni mortali l’anabasi è ardua, quasi impossibile.
L’Orfismo, nella tradizione occidentale, palesò un atteggiamento anti-ilico, recepito poi da filosofi come Platone. Un pensiero anti-cosmico si può reputare una radicalizzazione di quella tendenza. Il sentiero dualistico conduce verso il rifiuto del mondo e diventa nichilismo, se, annichilita la natura, non resta nient’altro. Se, infatti, oltre la materia, sia pure una materia sottile, non si estende una dimensione non-fisica, la liberazione dalla schiavitù ilica è oblio, puro nulla. E’ una posizione estrema, agli antipodi di visioni che celebrano il corpo nella sua sensorialità, nella sua prestanza, almeno finché dura: dacché sottentra la senescenza, piena di magagne, il corpo si tramuta in una tomba cui ci aggrappiamo solo per un’irrazionale Wille. Allora il non-essere appare meno spaventoso di un supplizio senza speranza, di un’agonia lacerante.
Il rigetto del corpo si discosta dalla sua stessa mortificazione, poiché movimenti come quello dei Flagellanti umiliano la carne, come pungolo del peccato, non in quanto degradazione. Nel Cristianesimo paolino al corpus Christi è associato il mistero dell’Incarnazione: occorre incarnarsi per redimere, attraverso lo strazio delle membra sulla croce. La sofferenza del corpo (ente del patimento sino alla follia) si sublima nella salvezza, ma la retorica del sacrificio e del sangue è dietro l'angolo. I docetisti non erano d’accordo con tale interpretazione che sfociò nella teofagia con cui il Cristianesimo ci richiama i culti dionisiaci.
L’etimologia ci aiuta ad inquadrare uno scorcio del tema: soma-sema (corpo-sepolcro), dicevano gli Orfici con significativa paronomasia. In inglese “corpse”, dal latino “corpus”, vale “cadavere”: è possibile concludere così, anche se in modo inconcludente.
Pubblicato da Zret
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Thursday, April 15, 2010
Ragioni e torti dei Catari
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Ragioni e torti dei Catari

La vita e la morte sono due scrigni serrati, ognuno dei quali contiene la chiave dell'altro. (K. Blixen)
I Catari o, meglio, Buoni cristiani, sono, nel loro netto dualismo, anticosmici: il mondo materiale, creato dal Demiurgo, suscita la loro ripugnanza. Una scintilla divina è incarcerata nell'hyle e, per liberarla, è necessaria una continenza che per i Perfetti assurge ad encratismo.
La loro dottrina, combattuta ferocemente dalla Chiesa di Roma che, con Innocenzo III, bandì un'infame crociata, è bollata sic et simpliciter come "eretica". Chi può negarlo? Le religioni dualiste incorrono in varie antinomie ed eccessi. Tuttavia molti Albigesi seppero vivere i princìpi in cui credevano con coerenza ed abnegazione. Essi affrontarono le torture e le persecuzioni e, mentre ostentavano disprezzo per la natura, non uccidevano gli animali per nutrirsene. Disdegnarono i piaceri: a differenza di papi e vescovi cattolici, la loro non fu una posa farisaica, ma prassi. La diffidenza dei Catari verso il matrimonio non è poi così deprecabile.
Certo, la condanna del mondo ci appare segno di rigidità. L'identificazione di YHWH con un dio minore è apparsa blasfema, eppure chi guardi oltre le parvenze, chi si ponga domande cruciali, in parte almeno si riconosce in alcuni convincimenti dei Catari. Veramente viviamo "nel migliore dei mondi possibili?" Veramente la Terra è un Eden? Qualcuno ci addita la mirabile armonia del cosmo: ci invita a scoprire il phi e la serie di Fibonacci in ogni dove. Molto bello, molto interessante, ma è sufficiente la geometria sacra, filigrana dei fenomeni, per cancellare il male?
Visitiamo un mattatoio, un reparto oncologico, un carcere, una camera di tortura, un campo profughi, una trincea, un laboratorio dove si compiono vivisezioni... e la nostra magnifica sezione aurea sarà come donare un quadro raffigurante una fresca sorgente ad un disidratato ormai moribondo. Con ciò, non si intende asserire che la realtà è ahrimanica, ma che qualcosa non quadra è palese. Si obietterà: il male si manifesta a parte hominis, in un'ottica limitata. Concordo, ma da che angolazione dovremmo considerarlo?
Siamo certi che tutto è provvidenzialmente perfetto? Questa persuasione tende a coincidere con una giustificazione dell'esistente, con una teodicea assai simile ad una sanatoria. Un quid di irrazionale e di insano forse si annida nella pur generosa natura stessa, vista dalle correnti New age, solo come madre benevola. Basti pensare alla ferocia di certe leggi di sopravvivenza, all'invecchiamento ed alla morte, disfatte di una natura altrimenti vittoriosa. Si ricordino poi quegli aspetti dell'esistenza repellenti e biologicamente fatali. "E' naturale" - si contesta. Non tutto ciò che è naturale è anche razionale. Il fisiologico sa essere patologico. Si obietta ancora chiamando in causa la visione soggettiva e parziale degli uomini: ma da che cosa dipende l'imperfezione di tale percezione e l'imperfezione dei percipienti?
Bisogna riconoscere che la fisionomia incongruente e complessa del cosmo ci impedisce di attingere quella verità ontologica che semmai può essere surrogata da aporie, ipotesi, provvisorie (consolanti?) definizioni.
Siamo qui "nel deserto del reale". Pensare che un giorno cadrà una pioggia fecondatrice, non significa che il deserto sia un lussureggiante giardino.
I Catari o, meglio, Buoni cristiani, sono, nel loro netto dualismo, anticosmici: il mondo materiale, creato dal Demiurgo, suscita la loro ripugnanza. Una scintilla divina è incarcerata nell'hyle e, per liberarla, è necessaria una continenza che per i Perfetti assurge ad encratismo.
La loro dottrina, combattuta ferocemente dalla Chiesa di Roma che, con Innocenzo III, bandì un'infame crociata, è bollata sic et simpliciter come "eretica". Chi può negarlo? Le religioni dualiste incorrono in varie antinomie ed eccessi. Tuttavia molti Albigesi seppero vivere i princìpi in cui credevano con coerenza ed abnegazione. Essi affrontarono le torture e le persecuzioni e, mentre ostentavano disprezzo per la natura, non uccidevano gli animali per nutrirsene. Disdegnarono i piaceri: a differenza di papi e vescovi cattolici, la loro non fu una posa farisaica, ma prassi. La diffidenza dei Catari verso il matrimonio non è poi così deprecabile.
Certo, la condanna del mondo ci appare segno di rigidità. L'identificazione di YHWH con un dio minore è apparsa blasfema, eppure chi guardi oltre le parvenze, chi si ponga domande cruciali, in parte almeno si riconosce in alcuni convincimenti dei Catari. Veramente viviamo "nel migliore dei mondi possibili?" Veramente la Terra è un Eden? Qualcuno ci addita la mirabile armonia del cosmo: ci invita a scoprire il phi e la serie di Fibonacci in ogni dove. Molto bello, molto interessante, ma è sufficiente la geometria sacra, filigrana dei fenomeni, per cancellare il male?
Visitiamo un mattatoio, un reparto oncologico, un carcere, una camera di tortura, un campo profughi, una trincea, un laboratorio dove si compiono vivisezioni... e la nostra magnifica sezione aurea sarà come donare un quadro raffigurante una fresca sorgente ad un disidratato ormai moribondo. Con ciò, non si intende asserire che la realtà è ahrimanica, ma che qualcosa non quadra è palese. Si obietterà: il male si manifesta a parte hominis, in un'ottica limitata. Concordo, ma da che angolazione dovremmo considerarlo?
Siamo certi che tutto è provvidenzialmente perfetto? Questa persuasione tende a coincidere con una giustificazione dell'esistente, con una teodicea assai simile ad una sanatoria. Un quid di irrazionale e di insano forse si annida nella pur generosa natura stessa, vista dalle correnti New age, solo come madre benevola. Basti pensare alla ferocia di certe leggi di sopravvivenza, all'invecchiamento ed alla morte, disfatte di una natura altrimenti vittoriosa. Si ricordino poi quegli aspetti dell'esistenza repellenti e biologicamente fatali. "E' naturale" - si contesta. Non tutto ciò che è naturale è anche razionale. Il fisiologico sa essere patologico. Si obietta ancora chiamando in causa la visione soggettiva e parziale degli uomini: ma da che cosa dipende l'imperfezione di tale percezione e l'imperfezione dei percipienti?
Bisogna riconoscere che la fisionomia incongruente e complessa del cosmo ci impedisce di attingere quella verità ontologica che semmai può essere surrogata da aporie, ipotesi, provvisorie (consolanti?) definizioni.
Siamo qui "nel deserto del reale". Pensare che un giorno cadrà una pioggia fecondatrice, non significa che il deserto sia un lussureggiante giardino.
Pubblicato da Zret anticosmico
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Sunday, December 6, 2009
Bibliografia
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Bibliografia

Spesso si chiedono consigli bibliografici per approfondire un tema che ci incuriosisce o ci appassiona. E' lodevole, poiché ampliare le proprie conoscenze, documentarsi sulle fonti e sugli studi critici può solo giovare. Tuttavia mi pare che si corra il rischio di perdersi in un labirinto e di smarrire l'obiettivo della lettura. Potranno essere pure utili dei saggi sulle pietre miliari del pensiero e della letteratura, ma la fruizione diretta dei classici è insostituibile: poco importa se non conosciamo le interpretazioni critiche di passi controversi, purché non rinunciamo alla bellezza di poemi e romanzi né ai profondi ammaestramenti delle opere filosofiche.
Alla fine la pletora degli studi rischia di intrappolare i testi, simile ad un groviglio di rovi che soffocano i fiori di campo. Questo è tanto più vero per i critici d'arte che, con le loro sovente sciocche e paludate elucubrazioni, incrostano i capolavori della pittura e della scultura.
Alcune persone mi chiedono suggerimenti su quali libri consultare prima di leggere i Vangeli: è assurdo. Se si è interessati ai Vangeli, li si affronti senza tante ambagi. Se useremo un po' di discernimento, ne scopriremo l'articolazione narrativa, la complessità semantica, la stratificazione storica. A che serve impelagarsi in ardue e talora cerebrali ricerche, per di più su una materia tanto ostica? Ognuno, senza preconcetti, si accosti ai Vangeli: ne trarrà dubbi o insegnamenti. Il dubbio alimenta domande che sono altrettante tappe sulla via della Queste. E' sicuro: l'optimum sarebbe leggere i testi in lingua originale ed avvicinarsi il più possibile all'archetipo, benché l'archetipo, in molti casi, sia un concetto-limite. Quindi, nel caso dei Vangeli, confrontarsi almeno con la Vetus Latina o con la Vulgata, per poi attingere i codici più antichi. Se ciò non è possibile, una buona traduzione, fa comunque alla bisogna. Con le traduzioni si perdono molti valori e molte sfumature, ma evitare di leggere un classico russo, perché non se ne conosce la lingua, è insensato.
Spesso è bene scavalcare tanti saggi che, lungi dal chiarire i testi, sono stati scritti per sviare e per fornire "interpretazioni" addomesticate in linea con la propaganda. Che cosa scopriremo, se risaliremo direttamente alle fonti, pur consci che anche le fonti talora sono inquinate! Occorre poi sempre mantenere uno spirito critico e rifiutare la dicotomia "credere", "non credere". Anche la vera fede non è cieca credulità, ma ascolto, apertura ed introspezione. E' incompatibile con l'indagine ogni atteggiamento fideistico.
Sono principi metodologici e pedagogici ormai dimenticati: gli storici antichi più avveduti erano abituati a documentarsi, a consultare gli archivi, a confrontare le fonti, a vagliarle, ad interpellare i testimoni degli eventi. Incorrevano in errori ed in distorsioni dovute a pregiudizi, ma uno scrittore come Giuseppe Flavio ci ha restituito uno spaccato della storia e della cultura ebraica di notevole caratura. Invano oggi cercheremmo una summa equivalente. Oggi gli "storici", quando non riportano le veline del sistema, si basano sui programmi condotti da Alberto Angela per le loro sapienti ricostruzioni. Gli studenti consultano la pessima enciclopedia della Rete.
Alcune situazioni sono paradossali: accademici ed eruditi discettano sui Catari, senza essersi mai recati in Linguadoca e senza per giunta ritenerlo necessario. La conoscenza che costoro ostentano del Catarismo è realistica quanto un fumetto ed altrettanto risibile. Gli scienziati sentenziano e pontificano, sciorinando formule e matrici. Si atteggiano ad orefici che esibiscono con compiacimento diamanti incastonati in anelli d'oro scintillante; in realtà mostrano della pacchiana bigiotteria acquistata in un mercatino dell'usato. Scommetto che moltissimi biologi non hanno mai osservato una foglia, pur sapendo tutto del Darwinismo... Peccato che il Darwinismo sia una sesquipedale idiozia. Poche nozioni e sbagliate.
A ben riflettere, le opere, pur capitali, sono ancora dei filtri: a volte è necessario andare oltre. E' esperienza istruttiva contemplare il paesaggio che ha ispirato un artista, rivivere un’esperienza che ha suscitato le riflessioni, cercare di immedesimarsi nella sua visione, sintonizzarsi sulle "frequenze" del luogo e del tempo, assorbire le energie...
Il libro per eccellenza non è formato da pagine né esibisce una copertina.
Occorre aprire l'occhio interiore per leggerlo: questo sì che è arduo!
Alla fine la pletora degli studi rischia di intrappolare i testi, simile ad un groviglio di rovi che soffocano i fiori di campo. Questo è tanto più vero per i critici d'arte che, con le loro sovente sciocche e paludate elucubrazioni, incrostano i capolavori della pittura e della scultura.
Alcune persone mi chiedono suggerimenti su quali libri consultare prima di leggere i Vangeli: è assurdo. Se si è interessati ai Vangeli, li si affronti senza tante ambagi. Se useremo un po' di discernimento, ne scopriremo l'articolazione narrativa, la complessità semantica, la stratificazione storica. A che serve impelagarsi in ardue e talora cerebrali ricerche, per di più su una materia tanto ostica? Ognuno, senza preconcetti, si accosti ai Vangeli: ne trarrà dubbi o insegnamenti. Il dubbio alimenta domande che sono altrettante tappe sulla via della Queste. E' sicuro: l'optimum sarebbe leggere i testi in lingua originale ed avvicinarsi il più possibile all'archetipo, benché l'archetipo, in molti casi, sia un concetto-limite. Quindi, nel caso dei Vangeli, confrontarsi almeno con la Vetus Latina o con la Vulgata, per poi attingere i codici più antichi. Se ciò non è possibile, una buona traduzione, fa comunque alla bisogna. Con le traduzioni si perdono molti valori e molte sfumature, ma evitare di leggere un classico russo, perché non se ne conosce la lingua, è insensato.
Spesso è bene scavalcare tanti saggi che, lungi dal chiarire i testi, sono stati scritti per sviare e per fornire "interpretazioni" addomesticate in linea con la propaganda. Che cosa scopriremo, se risaliremo direttamente alle fonti, pur consci che anche le fonti talora sono inquinate! Occorre poi sempre mantenere uno spirito critico e rifiutare la dicotomia "credere", "non credere". Anche la vera fede non è cieca credulità, ma ascolto, apertura ed introspezione. E' incompatibile con l'indagine ogni atteggiamento fideistico.
Sono principi metodologici e pedagogici ormai dimenticati: gli storici antichi più avveduti erano abituati a documentarsi, a consultare gli archivi, a confrontare le fonti, a vagliarle, ad interpellare i testimoni degli eventi. Incorrevano in errori ed in distorsioni dovute a pregiudizi, ma uno scrittore come Giuseppe Flavio ci ha restituito uno spaccato della storia e della cultura ebraica di notevole caratura. Invano oggi cercheremmo una summa equivalente. Oggi gli "storici", quando non riportano le veline del sistema, si basano sui programmi condotti da Alberto Angela per le loro sapienti ricostruzioni. Gli studenti consultano la pessima enciclopedia della Rete.
Alcune situazioni sono paradossali: accademici ed eruditi discettano sui Catari, senza essersi mai recati in Linguadoca e senza per giunta ritenerlo necessario. La conoscenza che costoro ostentano del Catarismo è realistica quanto un fumetto ed altrettanto risibile. Gli scienziati sentenziano e pontificano, sciorinando formule e matrici. Si atteggiano ad orefici che esibiscono con compiacimento diamanti incastonati in anelli d'oro scintillante; in realtà mostrano della pacchiana bigiotteria acquistata in un mercatino dell'usato. Scommetto che moltissimi biologi non hanno mai osservato una foglia, pur sapendo tutto del Darwinismo... Peccato che il Darwinismo sia una sesquipedale idiozia. Poche nozioni e sbagliate.
A ben riflettere, le opere, pur capitali, sono ancora dei filtri: a volte è necessario andare oltre. E' esperienza istruttiva contemplare il paesaggio che ha ispirato un artista, rivivere un’esperienza che ha suscitato le riflessioni, cercare di immedesimarsi nella sua visione, sintonizzarsi sulle "frequenze" del luogo e del tempo, assorbire le energie...
Il libro per eccellenza non è formato da pagine né esibisce una copertina.
Occorre aprire l'occhio interiore per leggerlo: questo sì che è arduo!
Pubblicato da Zret
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Friday, November 13, 2009
Francesco d'Assisi ed i Catari
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Francesco d'Assisi ed i Catari
Una meta, tante vie.
Francesco nacque ad Assisi intorno al 1182. Nel 1206, dopo una giovinezza dissipata, si convertì ad una vita di penitenza. Nel 1208 fondò l'ordine dei Frati minori. Autorizzato oralmente da Innocenzo III, fu papa Onorio III ad approvarne ufficialmente la regola. Francesco morì nel 1226.
Alcuni dati biografici circa il poverello d'Assisi parrebbero collegarlo ai Catari o, per lo meno, delinearne un'immagine un po' eccentrica rispetto alla tradizione agiografica. Il padre fu il mercante Pietro Bernardone dei Moriconi; la madre fu la nobile Giovanna (detta la Pica) Bourlemont. La genitrice volle che fosse battezzato con il nome di Giovanni (dal nome dell'apostolo Giovanni) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Tuttavia il padre - così si racconta - decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, in onore della Francia che aveva determinato la sua fortuna finanziaria.
La madre era nata a Tarascon, in Linguadoca, terra in cui erano numerosi i Buoni uomini. Il nome di battesimo, Giovanni, si riferisce all'apostolo cui è attribuito il Quarto Vangelo, l'unico tra i quattro libretti considerato canonico dagli "eretici". Il nome Francesco ribadisce il legame con il retaggio d'oltralpe.
Ben viva era all'epoca in cui visse Francesco la vicenda dei Catari. Alcuni focolai sopravvissero nella vicina Toscana, ma ridotti alla clandestinità, dopo la sanguinosa crociata del 1209 voluta dal pontefice Innocenzo III. Francesco con gli Albigesi condivise la povertà apostolica, la predicazione itinerante, la condotta irreprensibile, il ruolo attivo dei laici. Franco Cardini contesta qualsiasi legame con il Catarismo, poiché "Francesco e i suoi seguaci non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso, infatti, insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti. [...] Inoltre egli non si rifiutava di mangiare alcuni cibi rigettati dai Catari (come carni, latte, uova), anzi accettava tutto quello che gli veniva offerto. Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della materia" dei Catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara".[1]
Le argomentazioni di Cardini non sono del tutto persuasive, in quanto si basano su una visione piuttosto stereotipata e parziale del Catarismo e specialmente perché ignorano che è possibile professare una fede in modo nascosto. Con ciò, non si intende affermare che Francesco fu un cripto-albigese, ma certi aspetti dovrebbero comunque essere studiati, invece di essere liquidati come fantasie. Resta, infatti, un pur labile collegamento tra il poverello d'Assisi e la cultura occitanica.
"Tra il 1212 e il 1213 in località Pian d'Arca di Cannara, al confine con Bevagna, avvenne lo straordinario episodio della predica ai volatili. Insieme con il Santo queste meravigliose creature del Signore dialogano accomunati da una vita semplice ma di grande intensità. L'edicola di Pian d'Arca, al centro di un'oasi naturalistica, con campi coltivati, vigneti ed oliveti, fu eretta nel 1926 in occasione del settimo centenario della morte del Santo".
Orbene, sarà forse una coincidenza, ma il toponimo Pian d'Arca evoca la cittadina di Arques e, di rimando, il celebre dipinto Et in Arcadia ego di Nicolas Poussin. Arques è un piccolo borgo situato nel dipartimento dell'Aveyron nella regione del Midi-Pirenei. Ivi passarono i Crociati guidati da Simone di Montfort di ritorno dall'assedio e dall'espugnazione di Coustassa, Rhaeda (l'attuale Rennes le Chateau) e Le Bézu.
Occorre anche soffermarsi su Tarascon, la città in cui era nata la madre Pica. Tarascon (in italiano Tarascona) è un comune francese di 12.668 abitanti situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. La città fu con ogni probabilità fondata dai Greci di Marsiglia.
Tarascon è situata sulla riva sinistra del Rodano. Secondo la leggenda, Marta di Betania, assieme a sua sorella Maria di Betania (ossia Maria Maddalena), approdò sulle coste provenzali nel 48 d. C., in seguito alle persecuzioni in patria. Più precisamente sbarcarono nella zona della Camargue, una palude alle bocche del Rodano. Oggi in quella plaga, sorge il paese di Saintes-Maries-de-la-Mer. Qui la zona era infestata dalla tarrasque, un mostro che, uscendo dalla sua tana nel letto del fiume Rodano, devastava le campagne. Venne ammansito da Santa Marta con le preghiere: ad ogni preghiera, il mostro diventava sempre più piccolo. Quando arrivò a dimensioni tali da risultare innocuo, la donna lo condusse nella città di Tarascon. Qui, però, i cittadini atterriti uccisero la creatura. Ancora oggi, l'uccisione della tarasque è celebrata a Tarascon l'ultima domenica di giugno.
Si notano in questo caso vestigia di tradizioni relative a Maria Maddalena, figura ed archetipo che rivestirono un importante ruolo nella cultura occitanica e francese, comprese le concezioni dei bons hommes.
Se accantoniamo la definizione forviante di "eresia", come deviazione rispetto ad una presunta ortodossia i cui confini sono sempre soggettivi e storicamente determinati, forse possiamo pensare a Francesco d'Assisi come ad un trait d'union tra cristianesimo ufficiale ed istanze gnostico-dualiste o ad un interprete della dottrina catara. Francesco risentì pure l’influsso dei Sufi, i mistici dell’Islam.
Infine Francesco trova in Dante Alighieri uno spirito affine: l'elogio che il sommo poeta, cripto-templare e forse cripto-cataro, tesse del Santo nel canto XI del Paradiso, testimonia una comune visione del mondo.
[1] F. Cardini, M. Montesano, Storia medievale, Firenze, 2006
Francesco nacque ad Assisi intorno al 1182. Nel 1206, dopo una giovinezza dissipata, si convertì ad una vita di penitenza. Nel 1208 fondò l'ordine dei Frati minori. Autorizzato oralmente da Innocenzo III, fu papa Onorio III ad approvarne ufficialmente la regola. Francesco morì nel 1226.

La madre era nata a Tarascon, in Linguadoca, terra in cui erano numerosi i Buoni uomini. Il nome di battesimo, Giovanni, si riferisce all'apostolo cui è attribuito il Quarto Vangelo, l'unico tra i quattro libretti considerato canonico dagli "eretici". Il nome Francesco ribadisce il legame con il retaggio d'oltralpe.
Ben viva era all'epoca in cui visse Francesco la vicenda dei Catari. Alcuni focolai sopravvissero nella vicina Toscana, ma ridotti alla clandestinità, dopo la sanguinosa crociata del 1209 voluta dal pontefice Innocenzo III. Francesco con gli Albigesi condivise la povertà apostolica, la predicazione itinerante, la condotta irreprensibile, il ruolo attivo dei laici. Franco Cardini contesta qualsiasi legame con il Catarismo, poiché "Francesco e i suoi seguaci non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso, infatti, insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti. [...] Inoltre egli non si rifiutava di mangiare alcuni cibi rigettati dai Catari (come carni, latte, uova), anzi accettava tutto quello che gli veniva offerto. Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della materia" dei Catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara".[1]
Le argomentazioni di Cardini non sono del tutto persuasive, in quanto si basano su una visione piuttosto stereotipata e parziale del Catarismo e specialmente perché ignorano che è possibile professare una fede in modo nascosto. Con ciò, non si intende affermare che Francesco fu un cripto-albigese, ma certi aspetti dovrebbero comunque essere studiati, invece di essere liquidati come fantasie. Resta, infatti, un pur labile collegamento tra il poverello d'Assisi e la cultura occitanica.
"Tra il 1212 e il 1213 in località Pian d'Arca di Cannara, al confine con Bevagna, avvenne lo straordinario episodio della predica ai volatili. Insieme con il Santo queste meravigliose creature del Signore dialogano accomunati da una vita semplice ma di grande intensità. L'edicola di Pian d'Arca, al centro di un'oasi naturalistica, con campi coltivati, vigneti ed oliveti, fu eretta nel 1926 in occasione del settimo centenario della morte del Santo".
Orbene, sarà forse una coincidenza, ma il toponimo Pian d'Arca evoca la cittadina di Arques e, di rimando, il celebre dipinto Et in Arcadia ego di Nicolas Poussin. Arques è un piccolo borgo situato nel dipartimento dell'Aveyron nella regione del Midi-Pirenei. Ivi passarono i Crociati guidati da Simone di Montfort di ritorno dall'assedio e dall'espugnazione di Coustassa, Rhaeda (l'attuale Rennes le Chateau) e Le Bézu.
Occorre anche soffermarsi su Tarascon, la città in cui era nata la madre Pica. Tarascon (in italiano Tarascona) è un comune francese di 12.668 abitanti situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. La città fu con ogni probabilità fondata dai Greci di Marsiglia.
Tarascon è situata sulla riva sinistra del Rodano. Secondo la leggenda, Marta di Betania, assieme a sua sorella Maria di Betania (ossia Maria Maddalena), approdò sulle coste provenzali nel 48 d. C., in seguito alle persecuzioni in patria. Più precisamente sbarcarono nella zona della Camargue, una palude alle bocche del Rodano. Oggi in quella plaga, sorge il paese di Saintes-Maries-de-la-Mer. Qui la zona era infestata dalla tarrasque, un mostro che, uscendo dalla sua tana nel letto del fiume Rodano, devastava le campagne. Venne ammansito da Santa Marta con le preghiere: ad ogni preghiera, il mostro diventava sempre più piccolo. Quando arrivò a dimensioni tali da risultare innocuo, la donna lo condusse nella città di Tarascon. Qui, però, i cittadini atterriti uccisero la creatura. Ancora oggi, l'uccisione della tarasque è celebrata a Tarascon l'ultima domenica di giugno.
Si notano in questo caso vestigia di tradizioni relative a Maria Maddalena, figura ed archetipo che rivestirono un importante ruolo nella cultura occitanica e francese, comprese le concezioni dei bons hommes.
Se accantoniamo la definizione forviante di "eresia", come deviazione rispetto ad una presunta ortodossia i cui confini sono sempre soggettivi e storicamente determinati, forse possiamo pensare a Francesco d'Assisi come ad un trait d'union tra cristianesimo ufficiale ed istanze gnostico-dualiste o ad un interprete della dottrina catara. Francesco risentì pure l’influsso dei Sufi, i mistici dell’Islam.
Infine Francesco trova in Dante Alighieri uno spirito affine: l'elogio che il sommo poeta, cripto-templare e forse cripto-cataro, tesse del Santo nel canto XI del Paradiso, testimonia una comune visione del mondo.
[1] F. Cardini, M. Montesano, Storia medievale, Firenze, 2006
Per approfondire Giuseppe Spadaro, L'Albero del Bene. San Francesco, teologo cataro, 2009
Pubblicato da Zret
Sunday, May 10, 2009
L'angelo esadattilo nel portale del Duomo di Ventimiglia
http://zret.blogspot.com/2009/05/langelo-esadattilo-nel-portale-del.html
L'angelo esadattilo nel portale del Duomo di Ventimiglia

La cattedrale di Santa Maria Assunta è ubicata nel comune di Ventimiglia (Imperia). Secondo alcune fonti, la cattedrale dell'Assunta fu eretta tra l'XI e il XII secolo sulle rovine di una precedente chiesa dell'epoca carolingia. Quest'ultima, stando alle tradizioni locali, era stata innalzata sul sito ove anticamente sorgeva un tempio pagano dedicato alla dea Giunone. Ancor prima il luogo era sacro alla divinità celtica Sirona. Durante l'alto Medioevo, la struttura della chiesa fu ad unica navata: al principio dell'XI secolo il tempio fu completamente ricostruito a tre navate. Del XIII secolo sono il portale, ad arco acuto, le tre absidi ed il presbiterio sormontato dal tiburio di forma ottagonale, mentre il tetto ligneo fu sostituito con volte a botte sostenute da semicolonne e pilastri compositi in stile romanico.
Come si accennava, al di sotto della Cattedrale romanica restano vestigia di un edificio altomedioevale, composto da un’unica navata e dalla cripta, in cui sono stati rinvenuti frammenti di sculture.
Il portale della chiesa, di forme gotiche, ma concepite ancora secondo un saldo rapporto tra architettura e plastica di stampo romanico, è un "testo" che squaderna segni tradizionali, per lo più apotropaici. Il Cervini illustra i soggetti nel modo seguente: "Sugli spigoli esterni dell'avancorpo si dispongono due coppie di oranti che sono anche pseudo-telamoni (di uno sopravvive solo la testa)... A sinistra i capitelli sono decorati, nell'ordine, da tre teste umane incorniciate da un rudimentale sistema ad archetti pensili, da un mascherone zoomorfo ed ancora da tre teste. Sulla mensola si nota un telamone-orante nudo. La mensola opposta presenta, invece, la figura di un angelo ad ali spiegate (con mani di sei dita), vestito di una lunga tunica. Un altro angelo torna sul primo capitello interno dello strombo destro, insieme con due teste umane e due croci. Nel secondo capitello due quadrupedi araldici, speculari, dall'apparenza di lepri, mordono una protome umana; l'ultima testa, nel terzo capitello, è fiancheggiata da due mascheroni cornuti, presumibilmente diabolici."
Così viene descritta la sobria decorazione scultorea dall'erudito Cervini che non indugia sulla particolarità costituita dall'angelo con mani di sei dita. Nell'ambito culturale comprendente la Provenza e la Liguria occidentale, tra i secoli XI e XIII, persistenze altomedievali e declinazioni popolari si spiegano con il relativo isolamento ed il tradizionalismo di un'area in cui filtrarono influssi genovesi ed antelamici, ma che fu restia a mutuare le originali invenzioni gotiche d'oltralpe. Questo chiarisce per quale motivo il complesso scultoreo del portale intemelio manifesti una struttura paratattica con lessemi arcaici (figure sbozzate di valore magico-profilattico), ma motiva pure singolari reminiscenze come la figura esadattila? E' forse possibile congetturare una sopravvivenza di espressioni ereticali e di segnali esoterici, in un contesto appartato e distante dal rigido controllo esercitato dalle diocesi più importanti. Vescovi e canonici della zona tollerarono un linguaggio imperniato su credenze paganeggianti, ancorché cristianizzate, ma che non configurarono cicli iconografici desunti dalla Bibbia.
Il repertorio tematico del portale intemelio annovera angeli e mostri in un’antitesi tra Bene (a destra) e Male (a sinistra): l’angelo, le cui mani terminano in sei dita, occupa il capitello della colonnina addossata al pilastro che sorregge l’architrave: capo grosso e sproporzionato rispetto al torso, la figura tiene gli avambracci alzati, mentre le ali, accennate con incisioni sommarie e poco profonde, sovrastano, come a proteggerle, due teste. Annota il Cervini: “In questo caso, il protettore-angelo è una creatura cristiana (conclusione un po’ affrettata e molto generica, n.d.a.). Di fronte, solo teste ed un mascherone animale… All’esterno dell’avancorpo i quattro ‘oranti’, rappresentanti simbolici del popolo di Dio, si atteggiano anche a telamoni, quindi a peccatori che reggono un peso.” [1]
Genova pullulò di eretici. Nella regione si erano diffuse comunità catare provenienti dal Piemonte. I "buoni cristiani" erano concentrati nell'Occitania, ma con propaggini nelle plaghe limitrofe. [...]
Non è facile individuare chi, alieno da investigazioni aridamente erudite e da interessi compilativi, si cimenti nella decifrazione di testimonianze tanto eccentriche, come l'angelo esadattilo di Ventimiglia, forse un pallido vestigio di un remoto retaggio, il cui significato emblematico o naturale è in buona parte caduto nell'oblio.
[1] Un altro motivo iconografico piuttosto insolito, che connota il duomo della città ligure, è l’eptagramma dell’avancorpo: “Sul fronte del pilastro di levante, nel portale, all’ingresso principale, la superficie del concio di ponente, della settima fila dal basso, è scolpita: contiene una stella a sette punte, inscritta in un cerchio”. Cfr Maccario, La stella della cattedrale nella tradizione enigmatica (sic), 2002, con la bibliografia ivi contenuta.
Fonti:
F. Cervini, La pietra e la croce, Cantieri medievali tra le Alpi ed il Mediterraneo, Ventimiglia, 2005
Id., Liguria romanica, Milano, 2002
N. Lamboglia, Note sulla cattedrale di Albenga, 1949
N. Pazzini, R. Paglieri, Chiese di Liguria, Genova, 1990
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