L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Saturday, November 8, 2014

Traduzioni e tradizioni

http://zret.blogspot.ch/2014/11/traduzioni-e-tradizioni.html

Traduzioni e tradizioni


Qualche giorno addietro mi è stato donato un libretto contenente i Vangeli ed i Salmi. Si può immaginare la mia meraviglia, quando, per sincerarmi di com’è stato tradotto il testo “originale”, ho scelto Matteo 11, 12, di cui ho letto la seguente versione: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza ed i violenti se ne impadroniscono”.

Altre rese sono le seguenti:

C.E.I.

"Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza ed i violenti se ne impadroniscono".

Nuova Diodati

"E dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza ed i violenti lo rapiscono".

Diodati

"Ora, da' giorni di Giovanni Battista infino ad ora, il regno de' cieli è sforzato ed i violenti lo rapiscono".

La traduzione in cui mi sono imbattuto è quella più vicina all’archetipo dove è scritto: ἀπὸ δὲ τῶν ἡμερῶν Ἰωάννου τοῦ βαπτιστοῦ ἕως ἄρτι ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν βιάζεται καὶ βιασταὶ ἁρπάζουσιν αὐτήν. Il versetto, a mio parere, si dovrebbe rendere nel modo seguente: “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad oggi, il Regno dei cieli è ottenuto per mezzo della violenza ed i violenti se ne impadroniscono (letteralmente lo ‘afferrano’)”. Il prestigioso vocabolario del Rocci riporta come accezione del verbo, nella diatesi media, appunto “ottenere”.

E’ naturale che i teologi si avventurano in mille acrobazie ed equilibrismi per giustificare il rapporto tra Regno dei cieli e violenza, ora interpretando in senso metaforico e capzioso la sopraffazione ora intendendo come passivo il verbo “biazetai”, laddove questa forma verbale - media e non passiva (manca, tra le altre cose, il complemento d’agente) - indica un’azione che è compiuta nell’interesse del soggetto. Hanno probabilmente ragione quegli esegeti e storici che, considerando l’intento paolino di depoliticizzare la figura e gli obiettivi del Messia di David, colgono in questo passo un indizio del substrato rivoluzionario inerente al Cristianesimo primitivo. E’ una mestica che è stata quasi sempre rimossa, ma di cui restano qua e là tracce.

E’ evidente che la storia, l’archeologia, la glottologia etc. ricostruiscono una figura del Cristo diversa da quella trasmessa dalle chiese: non il Redentore dal peccato per l’intera umanità, ma uno dei tanti combattenti messianisti che, nella Palestina tra I sec. a. C. e I sec. d.C., miravano a restaurare un terreno Regno di David, una volta rovesciato l’aborrito dominio romano.

E’ anche palese che le acquisizioni degli studiosi turbano solo coloro che ritengono debba esistere una sostanziale solidarietà tra storia e fede. Chi, invece, per “fede” ignora le risultanze degli esperti, conclusioni in grado di minare, almeno potenzialmente, le fondamenta del Cristianesimo, continuerà a credere in tutto ciò che è inverosimile e contraddittorio.

Vero è che, disgregato sotto il profilo storico, il credo cristiano mantiene i suoi significati simbolici. Benedetto Croce ammise che “non possiamo non ritenerci cristiani”. Non aveva tutti i torti, se si considera il Cristianesimo non solo un fenomeno culturale, ma una sorta di forma-pensiero o un’eredità psico-genetica che, volenti o nolenti, influisce, almeno in una certa misura, su chi è nato e vissuto in un paese dove si professa una delle numerose forme di Cristianesimo.

Tuttavia, sotto il profilo oggettivo ed empirico, le narrazioni e le credenze del Cristianesimo si rivelano illusorie e compensatrici, non solo quando si analizza il Nuovo Testamento, ma pure se si cerca di radicarlo nella Torah. Si è costretti, infatti, a rinunciare all valore della Redenzione dal peccato originale, valore che è cardine della religione cristiana, come la dottrina della Risurrezione.

Che cos'è, infatti, scritto in Genesi?

• L’albero della vita è al centro dell’Eden (Gen. 2,9).
• Dio proibisce di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (Gen. 2,17).
• Eva mangia il frutto dell’albero della vita che è al centro dell’Eden (Gen. 3,2).

Gen. 2,9: “Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male”.

Ogni albero è indipendente e produce i suoi frutti. L'albero della vita è in mezzo all’Eden, mentre accanto, ma separatamente prospera l’albero della conoscenza del bene e del male. Il primato e quindi la centralità spettano all’albero della vita senza il quale non esiste alcunché, neppure la conoscenza.

Gen 2,17: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”.

Del Giardino sono indicati due alberi: quello della vita e quello della conoscenza. Dio intima di non mangiare i frutti dell'albero della conoscenza. Proibisce solo i frutti di quell'albero.

Gen. 3,2: “Rispose la donna al serpente: ‘Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’.”

Eva conferma che al centro dell’Eden cresce un solo albero con un solo frutto. La frase è al singolare. E’ l'albero della vita (in Gen. 2,9) il cui frutto Eva ha mangiato, mentre Dio ha ingiunto di NON MANGIARE il frutto dell'albero della conoscenza (Gen. 2,17). Quindi Adamo ed Eva sono espulsi e condannati per un peccato che non hanno commesso.

Viviamo nel Kali-yuga, il tempo più difficile ed oscuro della storia umana. E’ un’età in cui perdere quei pochi appigli che ci permettono di sopravvivere è una tragedia. Dunque il naufragio dei sogni cristiani (e delle altre religioni) può avere effetti disastrosi su un’umanità già allo sbando.

Si può tentare di salvare il Cristianesimo, traducendolo in un sublime mito cosmico che adombra la caduta nel tempo della Coscienza ed il suo anelito a ricongiungersi con il Principio. Sarà, però, un Cristianesimo senza dogmi e riti, avulso da chiese e gerarchie. Non sarà facile compiere questa operazione che ci chiede di cambiare pelle e soprattutto cuore.

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Sunday, May 25, 2014

Dall'Eden all'Inferno

http://zret.blogspot.it/2014/05/dalleden-allinferno_24.html

Dall'Eden all'Inferno


Francesca Stavrakopoulou, biblista ed archeologa, appartiene a quel nutrito novero di studiosi che si approccia alla Torah secondo una rigorosa metodologia critica. Le sue ricerche in loco l’hanno condotta a chiedersi quale fu la vera natura dell’Eden, se gli antichi ebrei adoravano anche una divinità femminile [zretino, anche tu dovresti adorare la divinita' femminile...], se il regno di David fu leggendario…

Tra le varie investigazioni, quella sul giardino dell’Eden è forse la più gravida di conseguenze per una visione complessiva del testo sacro e delle interpretazioni successive. La Stavrakopoulou, comparata la cultura ebraica con le testimonianze archeologiche, storiche ed iconografiche di altri popoli medio-orientali dell’antichità, propende per l’identificazione dell’Eden con un manufatto architettonico, per la precisione con il tempio di Gerusalemme, costruito su progetto dell’architetto fenicio Hiram per volontà del re Salomone. L’ipotesi può apparire audace, soprattutto perché un tempio non è un verziere: tuttavia l’edificio era adornato con motivi vegetali (foglie di palma, melegrane etc.) e, da un punto di vista metaforico, può essere considerato il giardino di YHWH, la sua dimora.

Ha ragione la biblista, quando interpreta i Cherubini del Paradiso terrestre come ieratiche figure antropozoomorfe riconducibili a sculture simili con cui i re della Mezzaluna fertile abbellivano palazzi e templi. La Stavrakopoulou ritiene che la storia di Genesi non riguardi i progenitori di tutta l’umanità, ma solo un’etnia ed i suoi miti di fondazione. Lo stesso Adamo adombrerebbe un re giudeo detronizzato da un avversario più potente. Questa ci sembra un’esegesi forzata che soprattutto cancella lo sfondo senza dubbio sumerico di Genesi.

A ragione Zecharia Sitchin, Biagio Russo et al., come è notorio, reputano l’Eden un luogo coltivato. Il termine probabilmente origina dall'ugaritico 'dn', con il significato di "posto in cui scorre molta acqua", "luogo ben irrigato", a sua volta dall’accadico edinnu, “pianura”. La fonte è il sumero edin, eden, "steppa", "pianura". Nella Bibbia è descritto come una plaga dalla vegetazione lussureggiante e ben delimitata.

Il libro del profeta Ezechiele 28: 12- 14, ci offre una descrizione dell’Eden che taluni specialisti ritengono più antica del racconto di Genesi. YHWH si rivolge ad Ezechiele con queste parole: “Figlio dell'uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli: ‘Così dice il Signore Dio, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d'ogni pietra preziosa, rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici e diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco”.

La raffigurazione è evocativa e sembra suffragare la congettura della Stavrakopoulou, secondo cui il giardino è una sontuosa costruzione consacrata a Dio, impreziosita da gemme rutilanti e da lamine d’oro.

L’Eden era dunque a Gerusalemme? Capitale del regno ebraico dal 1070 a.C in poi, dopo la divisione della nazione in due regni, (997 a.C.), Gerusalemme continuò ad essere la capitale del regno meridionale di Giuda. Il nome più antico della città di cui si abbia memoria è “Salem” (Ge. 14:18). Il toponimo è presumibilmente da associare ad una divinità semitica occidentale chiamata Salem. Il presunto fondatore del Cristianesimo, Shaul- Paolo (Eb. 7:2) spiega che il vero significato della seconda parte del nome è “pace”, ma pare una falsa etimologia. Nei testi accadici la città era chiamata Urusalim o Ur-sa-li-im-mu. Nel toponimo si può staccare la base Ur che significa “città” nell’idioma dei Sumeri.

I primi abitanti di Gerusalemme furono i Gebusei, un gruppo di Cananei: “Urushalim”, da cui deriva “Gerusalemme”, è una parola cananea-amorrea che significa “fondato dalla divinità Shalem” e la città ha una storia che va ben oltre quella del popolo ebraico, risalendo ai Sumeri.

Gerusalemme è nota anche, per sineddoche, come Sion, toponimo dall’etimo oscuro. ll monte Sion è un'altura di 700 metri sul livello del mare. Su questo poggio si formò il nucleo originario della futura Gerusalemme.

Sitchin opina che il Monte Moriah, dove fu poi eretto il Tempio, fosse un luogo dove gli Annunaki istituirono il secondo centro di controllo della missione dopo il Diluvio universale. Prima del cataclisma, questa base era ubicata a Nippur, ma, dopo che le inondazioni sommersero la Sumeria, fu deciso di creare un altro spazio-porto proprio nel sito che in seguito ospitò Gerusalemme, città sacra per le tre religioni monoteiste medio-orientali, perché furono gli “dei” a fondarla. Sotto il basamento della Spianata delle moschee si dovrebbero trovare monoliti di eccezionali dimensioni e peso, come a Baalbek.

Che sia o no quella di Sitchin una ricostruzione fantasiosa, è incontestabile che Gerusalemme è città decisiva per Ebrei, Cristiani e Musulmani. A Gerusalemme predicarono i Messia ed il profeta Maometto fu assunto in cielo là dove oggi si staglia la scintillante Cupola della roccia.

Dante, che fu iniziato oltre che sommo poeta, riconosce il ruolo centrale della città ma – singolare scelta – vi colloca nei pressi l’ingresso dell’Inferno.

Con un volo pindarico, lungo il solco che si immerge nelle viscere del pianeta, possiamo accennare alla pellicola “Matrix” dove Zion-Sion, è l’unico centro di "Matrix” in cui gli uomini sono liberi, ma è situato (non è poi così strano) nelle profondità della Terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave. Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Che Gerusalemme sia la “città della pace” donde si irradia la luce per l’umanità è forse un sogno romantico, come tutti i sogni destinati a dissiparsi con il risveglio.

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Saturday, November 30, 2013

La Bibbia non è un libro sacro

http://zret.blogspot.it/2013/11/la-bibbia-non-e-un-libro-sacro.html

La Bibbia non è un libro sacro

“La Bibbia non è un libro sacro” è l’ultima fatica del Professor Mauro Biglino. Il titolo e la tesi sono perentori: se la Bibbia non è un testo di fede, che cos’è? E’ in buona misura un’opera storiografica o, meglio, l’epopea, dalle forti coloriture ideologiche, di un antico ed oscuro popolo medio-orientale. Il Genesi poi è un manuale di biologia molecolare ante-litteram.



Il saggio di Biglino porta la tradizione biblica dal Cielo alla Terra, dimostrando attraverso esplorazioni filologiche ed archeologiche che millenni di costruzioni religiose e spirituali sono un inganno, un grande inganno. L’autore non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo a compiere questo lavoro di critica biblica. Tuttavia egli si segnala per la chiarezza nell’esposizione, lontana dai bizantinismi di certi filologi. D’altronde una lettura oggettiva di molti capitoli contenuti nel Pentateuco permette a chiunque sia dotato di normale intelligenza di accorgersi che di sublime la Torah ha poco o nulla. Ciò, nonostante le traduzioni edulcorate che sono ammannite dai catechisti e dal clero.

E’ proprio la traduzione il campo in cui il Nostro si impegna con maggiore tenacia: conscio che l’ultima roccaforte da espugnare è quella dei sedicenti esperti che si ostinano a tradurre Elohim con il singolare, Biglino allestisce un’artiglieria formidabile con cui smura la rocca e la conquista. Nel momento in cui si dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che Elohim è un plurale, si sovvertono inveterati pregiudizi, radicate ricostruzioni. Gli Ebrei (Shasu), una delle tante etnie che pullulavano in Palestina dove si contendevano pascoli e sorgenti, sono ricollocati nel loro preciso contesto storico; YHWH è ridimensionato ad uno dei tanti “dei” che, tra II e I millennio a.C., si affannò per ritagliarsi la sua sfera d’influenza; il “peccato originale” è negato ipso facto…

E’ evidente che le conseguenze delle indagini condotte da Biglino e da altri specialisti sono colossali, perché il Vecchio Testamento crolla sull’edificio già pericolante del Nuovo. Non è solo la religione ebraica a sgretolarsi, ma pure il Cristianesimo, insieme con la sua estrema, strana metamorfosi, l’Islam.

Sia chiaro: altri, prima del Professor Biglino, avevano inferto colpi micidiali alle tre fedi monoteiste, ma qui l’analisi è condotta oltre i confini della critica biblica e della storia antica per tratteggiare il quadro di una dominazione plurimillenaria. Auspichiamo che l’autore proceda lungo questa direzione per denunciare il legame tra poteri forti e mistificazioni ideologiche: non è un caso se gli specialisti del forum “Consulenza ebraica” sono dei negazionisti…

Ci si chiederà: “Se la Bibbia non è un libro sacro, che cosa resta?” Rassegniamoci: se cerchiamo dei valori mistici ed esoterici, dobbiamo rivolgerci altrove. Leggiamo o rileggiamo dei classici, in primis la Commedia e il nostro appetito sarà soddisfatto. E’ vero: la Bibbia contiene qualche bella pagina, spesso creata da abili arrangiatori del testo “originale”, ma nel complesso, è cosa noiosa e pragmatica, un po’ come i Commentarii di Cesare dove la pazienza del lettore è messa a dura prova da una ridda di scaramucce, battaglie, spedizioni, assedi… Se intendiamo trovare risposte al mistero dell’essere e del male, dovremo compulsare altri volumi ed interrogare la nostra reticente coscienza.

Che cosa resta dunque? Si ha l’impressione che rimanga una distesa incenerita da un incendio, ma è una terra su cui un po’ alla volta spuntano germogli verdissimi destinati a crescere in vigorosi arbusti ed imponenti alberi.

Lo sappiamo: molti reputeranno questo libro un'opera iconoclasta, anzi blasfema, ma riflettiamo... anche un bambino che frequenta, suo malgrado, i corsi di catechismo, si accorge che qualcosa nella Bibbia non quadra. Se approfondirà, se imparerà a porsi domande, con il tempo comprenderà che, mentre una strada è sbarrata, se ne aprono molte altre. Inoltre anche le indagini dell’ottimo Garbini, per citare solo uno dei tanti biblisti, approdano a conclusioni simili a quelle di Biglino. Se egli è “sacrilego”, è in buona compagnia.

Come sempre, invitiamo i lettori ad accostarsi al saggio in oggetto con spirito critico e serenità: la fede in Dio non è neppure scalfita dalla ricerca, una ricerca che è ancora in fieri a tal punto che non sappiamo di preciso dove potrà portarci. L’erta è stata indicata: avremo la lena per percorrerla sino a toccare la vetta?


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Saturday, March 9, 2013

Dei, legislatori ed impostori

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Dei, legislatori ed impostori

Dei, legislatori ed impostori

La quintessenza del potere pare essere il sadismo.

Premessa

Nella recensione all’ultimo saggio del Professor Biglino, avevo accennato al fatto che la Torah è soprattutto un libro storico e come tale va interpretato. Avevo anche portato come campione di testi caratterizzati in senso prevalentemente denotativo i poemi omerici. Riconosco che l’esempio non è del tutto calzante: avrei dovuto citare i "Commentari di Cesare", libri che interpretare in modo esoterico è del tutto illegittimo. In verità, per quanto attiene all’Iliade e all’Odissea, un’esegesi simbolica è possibile, ma purché i capolavori omerici siano collocati nel loro originario contesto storico-geografico, il mondo nordico, ed a condizione che i valori reconditi siano enucleati là dove essi sostanziano l’ispirazione dell’autore (o degli autori). Ad esempio, è palese che Calipso è la dea che allude alla morte, anzi ad una dimensione di confine tra la vita e l’oltremondo. Calipso, il cui nome significa “Nasconditrice”, offre ad Odisseo l’immortalità, ossia la possibilità di trascendere i limiti spazio-temporali, rinunciando al nòstos ed all’esistenza terrena. Anche la gara dell’arco, con Odisseo (o Filottete?) che scocca un dardo che passa attraverso i fori di dodici scuri, ha una valenza emblematica, adombrando il percorso del Sole nei dodici segni dello Zodiaco nonché l’itinerario umano lungo i cicli temporali. In quanto opere letterarie, Iliade ed Odissea, manifestano una sostanza simbolica, purché per simbolo non si intenda una fantasia etimologica né un significato che ad ogni costo vogliamo attribuire al testo. D’altronde l’essenza della poesia è nel suono e nel ritmo, ancora prima che essi si addensino in significati. Affermare che Itaca vale “teca dell’io” è un modo brillante per applicare un’idea che mi pare estranea al testo, considerando pure che gli Achei avevano una concezione dell’io diversa dalla nostra. Naturalmente potrei sbagliarmi e forse l’ingegner Chiarini ha ragione, ma, fino a quando si useranno para-etimologie per interpretare le saghe antiche, mi atterrò ad una concezione antropologica e non esoterica.

Il libro “Non c’è creazione nella Bibbia” ha suscitato, com’era prevedibile, un vespaio. Quello che si contesta all’autore del saggio è soprattutto la sua sostanziale adesione alle ipotesi di Sitchin, quindi degli studiosi di archeologia spaziale, secondo i quali in un lontano passato esseri di altri pianeti sarebbero approdati sulla Terra ed avrebbero contribuito a fondare antiche civiltà. E’ un’ipotesi e tale resta per chi scrive. Ulteriori acquisizioni nell’ambito della Paleontologia, della Glottologia, della Biologia, dall’Archeologia etc. la verificheranno o falsificheranno del tutto o in parte. [1]

La controversia si appunta per lo più su problemi linguistici, sulla vexata quaestio “Elohim”: sono dispute molto sottili e spesso ostiche su cui non intendiamo indugiare, rimandando a studi settoriali. Accenniamo solo alla traduzione proposta dagli esperti del forum “Consulenza ebraica”: essi sostengono che “Elohim” vale “Legislatori”. In particolare costoro controbattono, affermando che gli extraterrestri non c’entrano alcunché con la Bibbia, in quanto gli Habiru furono discendenti degli Atlantidei. Il Legislatore dell’universo è YHWH, il Pentateuco è una summa di eccelse verità che vanno colte sia in senso letterale sia metaforico, l’ingegneria genetica ed altre conoscenze scientifiche sono contenute nella Torah: queste, per sommi capi, le idee propugnate dagli specialisti di cui sopra. [2]

Ora, prescindendo dai termini di una diatriba spinosa, riteniamo che il merito maggiore del Professor Biglino e di ricercatori in sintonia con lui, sia l’aver contribuito a superare la visione edulcorata tipica della Paleoastronautica in voga nei decenni passati. Kolosimo et al. dipingevano progrediti e benevoli popoli delle stelle che elargirono gratis et amore Dei ad orde di trogloditi il dono prezioso della cultura. Tale concezione si sposa con la rosea pittura del mondo medio-orientale dove un’etnia attinse mirabili vette culturali e spirituali sì da elaborare un credo sublime. Ci pare che la storia fornisca qualche esempio in grado di dimostrare che il passato non fu tutto rose e fiori, non in ogni luogo, non sempre. Se veramente la religione degli Habiru promana da saggissimi legislatori ed intemerati profeti (abbiamo buone ragioni per dubitarne), non si comprende per quale motivo i frutti di cotanti Maestri furono e sono tanto amari. Tale fiduciosa interpretazione collide con quella di chi vede nelle chiese di ieri e di oggi per lo più degli apparati di potere, pur nella consapevolezza che alcune scuole esoteriche svilupparono concetti purissimi inerenti alla trascendenza, impegnandosi a trasmetterli ad una catena di iniziati. Si ha l’impressione, però, che già pristine confraternite poco custodissero degli ancestrali segreti. Le religioni comunque sono soffi spirituali cristallizzati o, peggio, nelle loro varianti exoteriche, dei sistemi per controllare le coscienze. [3]

Ben venga dunque chi concorre a demolire ingenui miti, oggi concretatisi nello stereotipo dei “fratelli dello spazio” intenti a prodigarsi per avvertire gli uomini che se continueranno ad inquinare il pianeta (sic), saranno dolori. D’altronde il canestro della frutta può nascondere una serpe: i Sumeri, diffondendo la coltivazione dei cereali, portarono più danni che benefici. Inoltre, se i loro antenati (supposizione in gran parte ancora da dimostrare) crearono la specie homo sapiens, siamo inclini a vedere in questo intervento una decisione dissennata, un’interferenza, poiché in contrasto con i processi naturali ed in quanto volte a creare una popolazione di servitori.

Nessuno ha mai osservato che gli Anunna plasmarono il lulu amelu (se il mito sumero codifica questa vicenda, ossia la creazione del Sapiens attraverso l’ibridazione genetica) non tanto per la necessità di usufruire di manodopera nelle miniere, ma per essere ossequiati, per una volontà di supremazia fine a sé stessa. Il potere non corrompe: è già corruzione. D’altronde le infami élites attuali (discendono da primitive dinastie di dominatori?) vessano i popoli non perché intendano spillare loro altro denaro che possiedono già in gran copia, ma talora per mera crudeltà, per ridurli alla fame e godere di tale spettacolo. Per quali ragioni alcune classi dirigenti dell’antichità (re, governatori, sacerdoti...) dovrebbero essere state tanto diverse, pur con luminose eccezioni? Si pensi agli Assiri ed al loro impero fondato sul terrore. [4]

Dunque, a nostro parere, è il declassamento di presunti “stranieri” il merito maggiore di Biglino. Tale declassamento è in atto pure nella pregevole serie “Ancient aliens”, documentario prodotto negli Stati Uniti dal canale “History channel”. Mentre le prime stagioni del prodotto privilegiavano l’immagine degli antichi astronauti latori di conoscenze e progresso, le ultime insinuano sempre più spesso che essi furono talora all’origine di conflitti, pestilenze e persino calamità “naturali”.

E’ una bella differenza. Tra un becero ottimismo ed un atteggiamento guardingo, saremmo proclivi ad alimentare il secondo.

[1] Basti qui un cenno glottologico che avvalora l’assunto di una genesi concreta della lingua: il sumero originariamente esprimeva solo referenti concreti. Per produrre termini astratti si aggiungeva l’affisso nam-. Ad esempio, lugal (re) --> nam-lugal: "regalità", dingir (dio) --> nam-dingir: "divinità".

[2] Invero, gli indizi atti a suffragare tale modello esegetico non sono pochi. Inoltre, con il passare del tempo, se ne raccolgono sempre di nuovi.

[3] Il vituperato Sitchin potrebbe essere stato nel giusto quando concepì, interpretando le tavolette fittili ed i poemi sumeri, un sistema solare dinamico, come d’altronde Velikovskij: si susseguono notizie di strane anomalie che stanno investendo il Sole ed i pianeti. Nibiru o no, qualcosa di aberrante pare agire ai confini del sistema solare. L’intensificazione dell’attività tettonica è probabilmente anche la conseguenza di influssi cosmici su cui i media di regime tacciono.

[4] Il classico di Nietzsche “La genealogia della morale” ci squaderna, pur nel taglio polemico ed infocato dell’autore, l’ipocrisia e l’opportunismo delle caste sacerdotali, ma siamo noi che non sappiamo apprezzare il sommo valore di sacrifici umani ed animali, di guerre, di stragi, di vendette, di ladrocinii e consimili delicatezze… Sono delicatezze che naturalmente si spiegano, chiamando in causa il contesto storico, la proiezione delle imperfezioni umane sul divino ed adducendo altri persuasivi argomenti. La Bibbia lascerebbe affiorare due orientamenti, uno nobile ed un altro meno. Sono riconducibili a due differenti entità poi fuse in una sola, come ritiene Friedman?

Monday, March 21, 2011

Tracce di Atlantide (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2011/03/tracce-di-atlantide-prima-parte.html

Tracce di Atlantide (prima parte)

Qual è la fonte della Tradizione? Credo che potrebbe essere Atlantide. Sul continente scomparso sono stati scritti centinaia di libri, per tentare di stabilire in primo luogo dove Atlantide fosse ubicata. Pochi autori hanno, però, compreso che l’isola inabissatasi nell’oceano non fu solo una terra, ma un tempo prima del tempo, un’altra umanità. I miti non sono né storielle né sciarade, ma archetipi, messaggi in bottiglie affidate alle correnti di oceani metastorici. Gli stessi abitanti di Atlantide erano probabilmente esseri metacorporei, i cui sensi ed intelletto erano acutissimi.

Quanto del sapere appannaggio degli Atlantidei – alcuni li chiamano Pelasgi – fu trasfuso nelle culture successive che la storiografia ufficiale, a torto, considera le prime a sbocciare sul pianeta? I superstiti portarono con sé conoscenze e tradizioni: molte cognizioni furono di natura tecnica, ma altre furono esoteriche. Ritengo che, con il passare dei secoli e l’avvicendamento dei diluvi, gli eredi dei Pelasgi, inclusi i gruppi da quelli istruiti, cominciarono a perdere per strada alcuni saperi. Platone nel IV secolo scrisse di Atlantide nel "Timeo" e nel "Crizia", ma probabilmente egli apprese e divulgò meno di quanto avesse appreso e divulgato Solone. Solone acquisì e diffuse meno dei sacerdoti egizi che l’avevano indottrinato e via discorrendo.

Dunque i testi antichi sono scrigni di sapienza, ma, poiché il vero sapere si tramanda attraverso l’oralità e per mezzo di scuole esoteriche, è, a mio avviso, errato, pensare che alcuni libri del passato siano in toto iniziatici. Così la Bibbia, accanto a parti storiche (o quasi storiche), cronachistiche, normative, poetiche etc. custodisce concetti simbolici per lo più di origine egizia e sumera: le redazioni successive, la confluenza di diverse fonti, intenti catechetici e persino egemonici della casta sacerdotale ebraica rendono la Torah un testo. Testo è letteralmente un libro intrecciato, dove i contenuti, afferenti a diverse funzioni di Jakobson ed a circostanze eterogenee, si intersecano, creando nodi sovente inestricabili. [1] Ci si imbatte, ad esempio, nel termine Elohim, plurale di Eloha. Ora, tale forma è stata ed è interpretata in modi molteplici, ma è tutto tranne un pluralis maiestatitis che era ignoto agli antichi: in alcuni scrittori latini era un pluralis modestiae: l’esatto contrario! [2] Bisogna prestare attenzione a non affrontare testimonianze del passato con categorie attuali, a non sovrapporvi costruzioni simboliche posteriori. Il rischio è quello di attribuire valori estranei ai testi antichi sino a leggervi tutto ciò che ci si vuole leggere: qualcuno ha addirittura individuato nella Bibbia, tra le numerose profezie, un vaticinio sul 9 11 e sui dirottatori arabi muniti di coltellini, peccato che…

[1] Secondo questa distinzione, l’Iliade, l’Odissea, il Corano etc. sono testi, mentre, ad esempio, la Commedia è un libro, perché scritto da un unico autore e secondo un piano concepito in modo organico, mentre le opere sorte attorno ad un centro originario, cui si agglutinano altri nuclei, uniti da compilatori e da rapsodi, interpolate e modificate nel tempo, sono testi.


[2] Nel grossolano errore di scambiare il "pluralis modestiae" per un "pluralis maiestatis" incorre Fichipedia…



Tuesday, October 26, 2010

Caino tra mito e storia

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Caino tra mito e storia

Chi fu veramente Caino?

In Genesi, 4 si legge che Adamo ed Eva generarono Caino ed Abele. Il primo fu agricoltore, il secondogenito pastore. Passato del tempo, Caino offrì a Dio i frutti della terra, mentre Abele immolò per il Signore alcuni primogeniti del suo gregge ed il loro grasso. Poiché Dio mostrò di gradire l’offerta di Abele, ma non quella di Caino, quest’ultimo si sdegnò ed uccise il fratello. Venuto a sapere del fratricidio, Dio maledisse Caino, condannandolo ad errare fuggiasco sulla terra. Il bandito, però - promise Dio - non sarebbe stato ucciso, grazie ad un accorgimento, un segno che Dio mise su Caino, affinché nessuno, pur consapevole dell’iniquità compiuta, essendosi imbattuto nel figlio degenere dei progenitori, lo uccidesse.

Bisogna chiedersi in che cosa consisté il marchio di Caino: fu forse un tatuaggio? Fu, invece, un particolare anatomico, come un neo? Fu, come è più probabile, una caratteristica genetica o un tratto distintivo "sottile”, quindi un suggello spirituale?

Il nome Caino significherebbe “possesso” oppure “fabbro”: qualora significasse “fabbro”, si potrebbe vedere un nesso con il colore associato agli artigiani delle fucine, ovviamente perché esperti nel lavorare i metalli con il fuoco. Se ricordiamo che Caino figura anche nel Corano con il nome di Kabil, si è tentati di rapportarlo, per la somiglianza del nome, ai Cabiri, antichi dei non ellenici collegati alla fertilità e reputati protettori dei naviganti.

Caino è sempre stato considerato il prototipo dell’assassino, del fratricida: tale sinistra reputazione lo accomuna ad un altro personaggio biblico, Giuda, additato come l’incarnazione del tradimento. Di solito gli antropologi vedono nella rivalità tra i due fratelli figli dei progenitori, il conflitto universale tra gli agricoltori stanziali (Caino) ed i pastori nomadi (Abele) per il controllo di terre ed acqua. Questi conflitti sono evocati in testi sumeri come parte della storia dell’umanità primordiale.

La Bibbia, in Genesi, 4, indugia su questa umanità delle origini: dopo aver ricevuto il marchio destinato a durare per sette generazioni, Caino vagò fino a giungere nel paese di Nod (vagabondaggio), ad est di Eden, dove ebbe il figlio Enoch (fondatore, fondazione). I successori di Caino furono Irad, Mecuiael, Metsuael, Lamech, Iabal, Tubalkain. Quest’ultimo fu un fabbro, “padre di quanti lavorano il rame ed il ferro”.

Pur nella sua concisione, l’autore biblico delinea una cultura che, dall’agricoltura passò attraverso una fase di nomadismo pastorale per costruire infine una civiltà urbana forse nella regione dei Monti Zagros, di Elam e della Media, nell’attuale Iran.

Com’è noto, tra le fonti della Torah bisogna annoverare testi sumeri ovvero le parti più antiche della Bibbia sono confrontabili con racconti mesopotamici molto antichi: ecco dunque che la tavoletta fittile catalogata BM 74329, reperto custodito nel British Museum di Londra, ci fornisce un interessante addentellato. Il documento, tradotto da Millard e Lambert, racconta di un gruppo di esuli che vagabondarono fino ad insediarsi nel paese di Dunnu, dove il loro capo costruì una città il cui simbolo era costituito da… due torri identiche. Il capo di questa comunità si chiamava Ka’in.

Mike Plato interpreta la figura di Caino in chiave simbolica: nel suggestivo articolo “Caino, il sigillo della potenza”, l’autore riabilita il “fratricida”, vedendo in lui un simbolo stratificato in cui confluiscono valori iniziatici, alchemici e spirituali. Caino “rappresenta l’evoluzione e l’elevazione spirituale dell’iniziato, se non l’iniziato stesso”, asserisce lo studioso che collega il personaggio biblico ai miti dei gemelli (ad esempio, i Dioscuri), al rapporto tra gli egizi Ka e Ba, cui alluderebbero i nomi Caino ed Abele. Le incursioni etimologiche di Plato, che reperisce nel nome Caino radici riferibili al greco kainos, “nuovo”, all’inglese chain “catena” e knight, “cavaliere”, mi sembrano un po’ forzate, sebbene le riflessioni sul sacrificio di sé, che è arra di vittoria, siano condivisibili.

Lo scrittore asserisce che “Caino è un mito e che non è mai esistito un uomo con tale nome”. Non sarei così apodittico: sull’humus storico crescono piante simboliche, ma l’emblema è sovente il risultato di una stratificazione a posteriori, benché alcuni archetipi siano primigeni. Questi immagini, però, si innestano in contesti culturali da cui sono inscindibili. E’ questo il mito: storia e metastoria al contempo. Così, per rimanere nell’ambito del personaggio in questione, il colore rosso associato a Caino può adombrare sia la presenza di una razza rossa (perseguitata?) sia il legame con la metallurgia (arte iniziatica) sia la rubedo alchemica. Se oggi le strade tra storia ed esoterismo sono separate e parallele, forse – fermo restando che le ricerche serie ed oneste sono in ogni caso feconde, in qualsiasi campo siano condotte – un giorno convergeranno.

Fonti:

A. S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, Roma, 2001 s.v. Caino
M. Plato, Caino, il sigillo della potenza, 2010



Monday, May 31, 2010

Rischi e risorse dell’ermeneutica

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Rischi e risorse dell’ermeneutica

Suscita fervidi dibattiti l'interpretazione dei testi considerati pietre miliari nella storia culturale. Non è agevole l'esegesi di tali Libri, ancor meno riflettere sui metodi ermeneutici corretti. Tuttavia con Gadamer si può ritenere che l'interpretazione sia un colloquio fecondo con la tradizione. Non solo il testo o l’evento sono comprensibili, almeno in una certa misura, tramite il linguaggio, ma anche la natura, per quanto cerchiamo di oggettivarla, è tradotta con strumenti linguistici e culturali.

E' necessario perseguire un'aurea mediocritas che eviti di sdrucciolare in estremi opposti, entrambi sterili, ossia il letteralismo ed il simbolismo aprioristico. In verità, per non incorrere in tali rischi, è opportuno collocare il testo nel suo contesto. Alcuni esempi chiariranno l'interpretazione.

A proposito dell’Epistola a Cangrande della Scala, che ascriverei ad uno dei figli di Dante, Pietro o Jacopo, Umberto Eco osserva che, anche qualora non fosse stata composta dal sommo poeta, “rifletterebbe comunque un atteggiamento interpretativo assai comune a tutta (sic) la cultura medievale e spiegherebbe il modo in cui è stato letto nei secoli Dante”. Orbene, ciò è superficialmente vero, ma dubito che nelle intenzioni di Dante il "poema sacro" dovesse essere letto secondo la rigida quadripartizione illustrata nella lettera. La distinzione tra senso letterale, allegorico, morale ed anagogico ha tutta l'aria di essere uno strumento esegetico a posteriori, trasposto dal campo biblico (dove tra l'altro in alcuni casi è arbitrario) a quello della "Commedia". Questo non significa che il capolavoro dantesco non includa un substrato semantico: lo stesso autore ci esorta a sollevare il “velame delli versi strani”, ma tale humus ora è più sottile ora più spesso ora sostituito dal senso proprio, secondo gli obiettivi estetici ed ideologici dello scrittore.

Se veramente dovessimo o potessimo adottare il criterio quadripartito dell'"Epistola a Cangrande della Scala", ci troveremmo dinanzi ad una specie di gioco meccanico. Molti testi sommi, per la loro mole e per le vicissitudini della stesura, sono costruzioni in fieri (si pensi ai poemi omerici, alla Bibbia, al Corano etc.) e sarebbe assurdo pensare di costringerli in un'unica metodologia interpretativa, dimentica delle stratificazioni, delle confluenze, dei rimaneggiamenti manifestatisi lungo il tempo. I testi sono letteralmente intrecci: vi si annodano fili di significati talvolta eterogenei.

E' sempre d'uopo distinguere ed inquadrare l’opera nella temperie culturale da cui germoglia. Un altro esempio. Prendiamo il celebre incipit del Quarto Vangelo

"Nel principio era il Logos, il Logos era con Dio ed il Logos era Dio.[...] In esso era la vita e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per render testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per render testimonianza alla luce."

E' evidente che questi versetti non possono essere interpretati in modo letterale: la Luce assume una valenza metaforica e spirituale, non essendo certo la radiazione elettromagnetica. Anche le tenebre alludono all'ignoranza ed al male. Questa lettura si giustifica, ricordando in quale milieu fu elaborato il Vangelo detto di Giovanni e con quale linguaggio. E' un ambito in cui sono usate categorie teologiche e filosofiche nonché modelli culturali ellenistici. E' più che legittimo quindi ricercare nel libretto giovanneo valori mistici, dacché esso fu concepito e vergato come vangelo prevalentemente esoterico. Anche i vangeli canonici sono intessuti di ricami metaforici, ma le parti storiche, biografiche (benché di una storia approssimativa) e parenetiche paiono più numerose.

E' lecito, però, applicare categorie emblematiche ai libri, ai passi ed a singole parole della Torah? Ciò avviene da molti secoli e così pure oggi certi biblisti si cimentano in interpretazioni spesso ingegnose, ma poco o punto fondate, in elucubrazioni lambiccate, frutto di una fantasia ammirevole, ma che alla fine tradisce il testo. Quando leggo che nel Pentateuco, l’Egitto adombra la condizione dell'anima imprigionata dagli Arconti, resto perplesso. Davvero l'autore, allorquando usò il termine "Egitto", intendeva accennare una valenza simbolica e non solo la terra in cui gli Ebrei, secondo la tradizione, erano stati in condizione di schiavitù? Il riferimento agli Arconti non è un anacronismo? Forse no, ma sarebbe necessario dimostrarlo, altrimenti resta una petizione di principio.

Essendo la Bibbia una miscellanea di testi, è naturale che in alcuni predomini un retroterra storico, in altri una dimensione allegorica. E' anche vero che il dialogo ermeneutico può portare, se non a cogliere il vero messaggio, ad un inveramento dei contenuti. Mi spiego: l'interpretazione figurale diffusa nel Medioevo e che induceva a vedere in episodi biblici ed anche del mondo pagano, l'anticipazione degli avvenimenti evangelici, è erronea. Tuttavia nel Medioevo tale interpretazione fu ritenuta corretta a tal punto che era naturale per i dotti considerare la IV Egloga di Virgilio un presagio della nascita di Cristo. Non era così, ma molti ci credettero e sovente è vero (il Pragmatismo docet) ciò in cui si crede. Queste convinzioni plasmarono la cultura e la mentalità dei letterati medievali. Ogni epoca crea e nutre convincimenti, ideali e credenze che contribuiscono a modellare le espressioni culturali.

Mi domando se popoli antichi di pastori nomadi avessero interesse a codificare messaggi nei testi o non a rispecchiare le esigenze concrete legate alla vita di tutti i giorni, in cui anche la religione e la morale erano basate su questioni pratiche. E' vero: alcune tradizioni sumeriche ed egizie si infiltrarono nella Bibbia e persino l'alfabeto ebraico custodisce segreti iniziatici. Spetta all'interprete attento ed accorto, discernere per individuare sensi letterali là dove essi si palesano e linee mistiche in quei passi in cui affiorano o si intrecciano a tratti tangibili. E' un errore sia il riduzionismo letterale sia il fantasticare esoterico. E' compito arduo quindi il discernimento, ma ineludibile. Tale impresa può essere in parte facilitata dallo studio del contesto: situando, ad esempio, il Vangelo detto di Filippo nel quadro delle complesse speculazioni gnostiche, porteremo alla luce profonde radici di tipo iniziatico. Scopriremo pure che i messaggi siffatti sono i più importanti, benché circoscritti ad alcuni patrimoni culturali.

Infine ostinarsi ad estrarre valori esoterici là dove originariamente non esistevano, prescindendo da rigorose (e a volte prosaiche) ricostruzioni storiche, paleontologiche, archeologiche, genetiche, è come voler comprendere il soggetto di un quadro, fissandone ad un centimetro di distanza un particolare. Di converso, chi si ferma sempre e solo alla lettera, rischia di percepire una realtà bidimensionale.


Monday, March 1, 2010

Chi ha scritto la Bibbia?

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Chi ha scritto la Bibbia?

Non si riconosce alla storia il suo ruolo. Ancella del potere, è oggi mera propaganda. Originariamente la storia era testimonianza oculare il più possibile obiettiva (historia, che vale indagine, deriva da histor, "testimone", a sua volta da una radice id con il significato di "vedere", "sapere"): chiunque oggi si impegni in una vera ricerca storiografica è ostracizzato o più spesso ignorato sicché il pensiero unico continua a dominare.

In uno scrupoloso saggio intitolato Chi ha scritto la Bibbia?, Richard Elliot Friedmann si cimenta nell'impresa di stabilire la paternità dei libri che formano il Pentateuco. Basandosi su studi filologici ed esegetici e su scoperte archeologiche, il saggista, ricapitolando ed aggiustando i risultati di investigazioni che datano dal XVII secolo, formula la tesi secondo cui nella Torah confluiscono quattro fonti: J, E, D, P. J è la tradizione jahvista il cui milieu è il regno di Giuda; E è il testo elaborato all'interno del regno di Israele probabilmente da un Levita di Silo; D è il documento ascrivibile forse al profeta Geremia; P è l'insieme delle tradizioni sacerdotali elaborate da un appartenente al clero aronnita. Egli usa un linguaggio solenne, ieratico e, a differenza dei redattori di JE, reputa fondamentale l’osservanza dei sacrifici. Le prime due fonti sono i nuclei più antichi.

La conclusione interlocutoria ed aperta ad ulteriori approfondimenti nonché correzioni, è la seguente: la Torah è un corpus culturalmente omogeneo, ma risultato di stratificazioni, addizioni e sottrazioni. Friedmann, che colloca E alla fine dell'VIII secolo, evidenzia come molte profezie bibliche siano annotazioni post eventum, riferibili ad un preciso contesto politico e religioso che gli autori conoscevano, perché testimoni o vissuti poche generazioni dopo gli eventi raccontati.

Il merito maggiore del libro scritto dal biblista è la chiarezza espositiva: di solito la filologia è disciplina noiosa, adatta ad eruditi che si incaponiscono per anni su una lectio difficilior, ma che non sono in grado di apprezzare la bellezza di un poema. Friedmann, però, nel suo agile testo, amplia la trattazione verso la cultura materiale, la politica, l'economia, le usanze… riuscendo a delineare un quadro credibile degli Ebrei (tra VIII e V sec. a.C.), lontano sia dall'agiografia sia dall'atteggiamento iconoclasta e sdegnoso, tipico di certi moderni nei confronti degli antichi. Tale equidistanza è apprezzabile: infatti, oggi giorno, da un lato assistiamo a chi si arrocca su posizioni dogmatiche, accusando chi mette in discussione alcune certezze fideistiche di essere un miscredente blasfemo; dall'altro, improvvisati "teologi" alla Odifreddi si avventurano nel campo della storia e delle religioni antiche, tutto distruggendo, senza aver inteso alcunché.

Un altro aspetto pregevole del saggio è la sua somiglianza con un’inchiesta: infatti, raccogliendo indizi di vario genere e con un procedimento induttivo, l’erudito riesce a stabilire con un buon grado di plausibilità gli autori di J, E, D, P. Ne emerge un dualismo, in parte riconducibile alla divisione tra Regno di Israele e Regno di Giuda, dopo la morte del re Salomone, ma anche al contrasto, benché dissimulato, tra corrente mosaica e corrente aronnita.

Ben venga questo spirito di onesta ricerca: chiarire che la Torah (testo composito, pur nella sua unità) fu scritta da uomini (per lo più appartenenti al clero o profeti) con intenti nobili, ma anche con fini pragmatici ed ideologici, non mina la fede in Dio. Lo stesso discorso vale per l'esegesi dei Vangeli: qualunque sia l'approdo delle discussioni, la dimensione spirituale non è neppure sfiorata. Certo, molti paradigmi interpretativi cambieranno, ma l'esistenza di Dio che, di per sé, non può essere né razionalmente dimostrata né negata, nulla c'entra con le indagini storiche e documentarie. Anzi rinunciare ad usare le proprie capacità intellettuali alla ricerca di possibili verità significa, a mio avviso, non usare, affinché fruttino, gli evangelici talenti.

Si tratta di confrontarsi con ipotesi che cozzano con pregiudizi diffusi: ad esempio, Friedmann vede nel Dio degli Ebrei una divinità originata dalla fusione tra Jahweh (YHWH) ed El/Elohim. Egli porta anche alla luce strati di credenze pagane poi inglobati nella fede monoteistica ebraica: si pensi al serpente di bronzo, ai culti sulle alture tra le tribù del Nord. Il biblista rintraccia anche il collegamento con la cultura egizia: i cherubini dell'Arca, nomi egizi come Mosè, Ofni e Fines etc. Non sono le fantasticherie di scrittori esperti in archeomisteri, ma acquisizioni documentate e che emergono da una disamina linguistica, stilistica e strutturale dei testi e dallo studio dei manufatti archeologici.

Intendiamo privare di qualsiasi valore le ricostruzioni storiche? Se non intendiamo applicare metodi rigorosi per investigare l'antichità, potremo poi rivendicare un approccio coraggioso e non allineato, quando si scava nella storia più o meno recente?

Bisogna, però, evitare di commettere anche un altro errore, ossia pensare che, una volta che la storiografia e le altre discipline scientifiche hanno messo a fuoco un soggetto, rimanga solo da accumulare conoscenze su conoscenze e dati su dati, per esaurirlo. Restano, infatti, certi temi preclusi ad un'indagine razionale, come è necessario valicare certi confini per intraprendere studi pionieristici, senza dimenticare che alcuni ambiti sono estranei alle analisi empiriche ed alle dissertazioni logiche.

I significati simbolici ed esoterici della Tradizione (anche quella biblica) si percepiscono - se si percepiscono - con altri sensi.