Scopo del Blog
Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.
Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.
Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.
Ciao e grazie della visita.
Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:
http://indipezzenti.blogspot.ch/
https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/
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Saturday, February 6, 2016
Sunday, April 6, 2014
Superare il riduzionismo antropologico
http://zret.blogspot.it/2014/04/superare-il-riduzionismo-antropologico.html
Superare il riduzionismo antropologico
Il pensiero libero deve essere anche provocatorio.
Il dibattito tra chi sostiene che la specie Homo sapiens differisce dagli animali da un punto di vista meramente quantitativo e chi, invece, crede l’uomo manifesti delle caratteristiche irriducibili rispetto agli altri esseri viventi, è infuocato. Come spesso avviene, il problema in questi termini dilemmatici è mal posto. Se si affrontano le questioni con discernimento, esse diventano meno ostiche e si evitano dicotomie inconciliabili.
Vediamo dunque come si potrebbe approcciare tale spinoso tema. E’ forse errato disquisire di uomini tout court. Piaccia o no, gli uomini non sono tutti uguali: alcuni – abbiamo il coraggio di ammetterlo – sono inferiori agli animali; altri sono senza dubbio, sotto il profilo qualitativo, superiori. Non sono forse dei bruti tutti coloro che oggigiorno sono incapaci di usare i cinque sensi e la ragione, donati loro dalla Natura? Se potessimo immedesimarci in alcuni primati non umani, probabilmente scopriremmo che possiedono sensi più vividi ed un’intelligenza più acuta della massa irragionevole. Coloro che, come ci insegna Giovanni Pico della Mirandola nel “De dignitate hominis”, sono scivolati sul pendio che conduce alll’imbarbarimento, non sono più “uomini”, non appartengono più alla specie Homo sapiens sapiens, avendo subito una mutazione antropologica.
La Bibbia ed altre tradizioni (si pensi soprattutto alla cultura gnostica) sembrano suggerire che l’umanità del passato non coincideva con un’unica specie: coesistettero diversi tipi dissimili da un punto di vista strutturale. Forse da uno dei vari gruppi discendono le cosiddette élites, invero una stirpe degenere di degenerati che definire “umana” è erroneo in rapporto alla loro origine e natura.
Resta un barlume di umanità e di etica in tutta quella masnada di individui che definiamo “negazionisti”? Essi ci sembrano l’incarnazione di una subspecie che pare non avere alcuna speranza o perché a tal punto corrotta da occupare una nuova nicchia biologica, la specie Homo insipiens insipiens, o in quanto derivante da una razza imbastardita cui si accenna in pristini retaggi.
Sono accese le polemiche tra i carnivori ed i vegetariani-vegani: i primi accusano i secondi di essere incoerenti, di difendere gli agnelli, ma non le zanzare. Li incolpano di commuoversi per la mucca ed il maiale mandati al macello, ma di non muovere un dito per tutti i bambini che muoiono di fame e di sete. Quasi sempre queste accuse sono strumentali e pretestuose. Spesso provengono da chi non ha cuore la vita né umana né animale né vegetale. Esistono i Giainisti che, per quanto è loro possibile, cercano di evitare anche l’uccisione accidentale di un moscerino e, accontentando i carnivori, considerano strappare un frutto dall’albero un’azione riprovevole come macellare una capra.
Ora, chi reputa la vita sacra, cerca di rispettarla in ogni sua forma, sebbene ci possa riuscire solo in alcuni casi: chi comincia ad eliminare un po’ di sofferenza dal mondo è da apprezzare, visto che il male non potrà mai essere del tutto annichilito.
Quanto alle zanzare che i vegetariani-vegani non esitano a schiacciare, allorquando questi insetti diventano molesti, quanto ai frutti ed agli ortaggi che finiscono sulle tavole dei sanguinari vegetariani-vegani, non è certo colpa di costoro se la vita si basa, almeno in una certa misura, sulla morte. Bisogna dunque rivolgersi alla Natura o a Dio per tentare di capire per quale ragione il mondo debba fondarsi sul pesce piccolo divorato dal pesce grande, sull’erbivoro sbranato dal predatore. L’Artefice (o chi per Lui) ha generato (o promanato) un universo in cui per alimentarsi occorre, volenti o nolenti, uccidere: in linea teorica, se Egli avesse voluto (o potuto?), la vita potrebbe sostenersi solo con l’etere o qualcosa del genere. Compito dell’uomo non è dunque abolire il male da questa dimensione – è, infatti, impresa impossibile – ma provare a migliorare le condizioni del mondo.
Molte parabole buddhiste narrano di animali che si immolano per salvare vite umane preziose. Se un filosofo vegetariano, la cui benevolenza è destinata ad alleviare le sofferenze del prossimo, decide, spinto dalla fame, di uccidere una lepre e di cibarsene, la sua azione è equiparabile alle crapule carnee di un maldicente che sul pianeta diffonde solo veleni?
Vediamo quindi quanto sia utile il discernimento: ci aiuta a distinguere caso per caso, a non perderci in diatribe infinite. Allora gli uomini sono differenti per natura dagli animali? Alcuni sì ed altri no? Quali uomini? Che cosa s’intende per “uomo”? Vale più la vita di una mosca o quella del principe Filippo d’Edimburgo?
Il dibattito tra chi sostiene che la specie Homo sapiens differisce dagli animali da un punto di vista meramente quantitativo e chi, invece, crede l’uomo manifesti delle caratteristiche irriducibili rispetto agli altri esseri viventi, è infuocato. Come spesso avviene, il problema in questi termini dilemmatici è mal posto. Se si affrontano le questioni con discernimento, esse diventano meno ostiche e si evitano dicotomie inconciliabili.
Vediamo dunque come si potrebbe approcciare tale spinoso tema. E’ forse errato disquisire di uomini tout court. Piaccia o no, gli uomini non sono tutti uguali: alcuni – abbiamo il coraggio di ammetterlo – sono inferiori agli animali; altri sono senza dubbio, sotto il profilo qualitativo, superiori. Non sono forse dei bruti tutti coloro che oggigiorno sono incapaci di usare i cinque sensi e la ragione, donati loro dalla Natura? Se potessimo immedesimarci in alcuni primati non umani, probabilmente scopriremmo che possiedono sensi più vividi ed un’intelligenza più acuta della massa irragionevole. Coloro che, come ci insegna Giovanni Pico della Mirandola nel “De dignitate hominis”, sono scivolati sul pendio che conduce alll’imbarbarimento, non sono più “uomini”, non appartengono più alla specie Homo sapiens sapiens, avendo subito una mutazione antropologica.
La Bibbia ed altre tradizioni (si pensi soprattutto alla cultura gnostica) sembrano suggerire che l’umanità del passato non coincideva con un’unica specie: coesistettero diversi tipi dissimili da un punto di vista strutturale. Forse da uno dei vari gruppi discendono le cosiddette élites, invero una stirpe degenere di degenerati che definire “umana” è erroneo in rapporto alla loro origine e natura.
Resta un barlume di umanità e di etica in tutta quella masnada di individui che definiamo “negazionisti”? Essi ci sembrano l’incarnazione di una subspecie che pare non avere alcuna speranza o perché a tal punto corrotta da occupare una nuova nicchia biologica, la specie Homo insipiens insipiens, o in quanto derivante da una razza imbastardita cui si accenna in pristini retaggi.
Sono accese le polemiche tra i carnivori ed i vegetariani-vegani: i primi accusano i secondi di essere incoerenti, di difendere gli agnelli, ma non le zanzare. Li incolpano di commuoversi per la mucca ed il maiale mandati al macello, ma di non muovere un dito per tutti i bambini che muoiono di fame e di sete. Quasi sempre queste accuse sono strumentali e pretestuose. Spesso provengono da chi non ha cuore la vita né umana né animale né vegetale. Esistono i Giainisti che, per quanto è loro possibile, cercano di evitare anche l’uccisione accidentale di un moscerino e, accontentando i carnivori, considerano strappare un frutto dall’albero un’azione riprovevole come macellare una capra.
Ora, chi reputa la vita sacra, cerca di rispettarla in ogni sua forma, sebbene ci possa riuscire solo in alcuni casi: chi comincia ad eliminare un po’ di sofferenza dal mondo è da apprezzare, visto che il male non potrà mai essere del tutto annichilito.
Quanto alle zanzare che i vegetariani-vegani non esitano a schiacciare, allorquando questi insetti diventano molesti, quanto ai frutti ed agli ortaggi che finiscono sulle tavole dei sanguinari vegetariani-vegani, non è certo colpa di costoro se la vita si basa, almeno in una certa misura, sulla morte. Bisogna dunque rivolgersi alla Natura o a Dio per tentare di capire per quale ragione il mondo debba fondarsi sul pesce piccolo divorato dal pesce grande, sull’erbivoro sbranato dal predatore. L’Artefice (o chi per Lui) ha generato (o promanato) un universo in cui per alimentarsi occorre, volenti o nolenti, uccidere: in linea teorica, se Egli avesse voluto (o potuto?), la vita potrebbe sostenersi solo con l’etere o qualcosa del genere. Compito dell’uomo non è dunque abolire il male da questa dimensione – è, infatti, impresa impossibile – ma provare a migliorare le condizioni del mondo.
Molte parabole buddhiste narrano di animali che si immolano per salvare vite umane preziose. Se un filosofo vegetariano, la cui benevolenza è destinata ad alleviare le sofferenze del prossimo, decide, spinto dalla fame, di uccidere una lepre e di cibarsene, la sua azione è equiparabile alle crapule carnee di un maldicente che sul pianeta diffonde solo veleni?
Vediamo quindi quanto sia utile il discernimento: ci aiuta a distinguere caso per caso, a non perderci in diatribe infinite. Allora gli uomini sono differenti per natura dagli animali? Alcuni sì ed altri no? Quali uomini? Che cosa s’intende per “uomo”? Vale più la vita di una mosca o quella del principe Filippo d’Edimburgo?
Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati
Pubblicato da
Zret
Sunday, January 20, 2013
Non c’è creazione nella Bibbia: la Genesi ci racconta un’altra storia e tu innumerevoli vaccate in un italiano a esser buoni pessimo
http://zret.blogspot.com/2013/01/non-ce-creazione-nella-bibbia-la-genesi.html
Non c’è creazione nella Bibbia: la Genesi ci racconta un’altra storia
L’ultima fatica [facile parlare di chi lavora, eh Zret?] di Mauro Biglino, “Non c’è creazione nella Bibbia: la Genesi ci racconta un’altra storia”, implica una radicale rivisitazione di consolidati criteri interpretativi. L’autore, nella restituzione della Bibbia al contesto storico e sociale in cui nacque e si formò, disconosce che la Torah includa un livello simbolico. [1] Ha ragione? Crediamo proprio di sì. I significati esoterici e cabalistici scaturiscono da successivi interventi: sono ingegnosi e persino mirabili, ma estranei al testo. Sono simili alle decorazioni barocche con cui si nasconde la sobria architettura di una chiesa romanica: potranno pure essere pregevoli, ma non appartengono al manufatto originario.Ammiriamo coloro che si industriano nell’invenzione di sensi reconditi, di inediti accostamenti, di fantasiose etimologie: essi, però, sono degli artisti, non degli storici. E’ credibile che un rozzo popolo di pastori creò un’opera plurivoca e non piuttosto un resoconto volto a mettere in risalto la propria identità etnico-culturale? Sarebbe come pensare che l’Iliade e l’Odissea codifichino chissà quali valori ermetici, invece di essere l’espressione letteraria di una società aristocratica tra il II millennio a.C. e Medioevo ellenico. Ciò non toglie che nell’épos greco non enuclereemo alcune immagini simboliche, ma sono circoscritte a pochi versi e talora sono idee posteriori. Quando si menziona l’ethos omerico, si sottolinea proprio la sostanziale oggettività con cui il rapsodo ripercorre le vicende e delinea personaggi e luoghi.
Sappiamo che il letteralismo non piace. Non piace soprattutto poiché rompe la magia, dissolve un alone incantevole: la verità nuda e disadorna è poco attraente. Bisogna, però, essere onesti e discernere le situazioni in cui un’interpretazione emblematica è non solo legittima, ma persino doverosa (si pensi all’Apocallise [correttori automatici fuori uso?] di Cerinto o alle Metamorfosi di Apuleio), e quei casi dove è, invece, arbitraria. Il letteralismo suscita tante scomposte reazioni, ma pochissimi tentativi di confutazione. Ecco allora la levata di scudi contro chi vede nell’arca dell’Alleanza un oggetto tecnologico. Ecco allora una pioggia di dardi infuocati contro i traduttori che scorgono nel termine Elohim un plurale. Ecco allora una scarica di tronitruanti cornigere allotrie ed esecrande puttanate.
Ci sia permessa qui una breve digressione linguistica [oddìo...]: Elohim è un plurale, ma non un pluralis maiestatis che fu introdotto dalla Chiesa nicena nel IV secolo d.C. Ci si rassegni, evitando di alambiccarsi per tentare di dimostrare ciò che dimostrabile non è. Agli esperti l’onere di giustificare il numero plurale all’interno del Pentateuco prodotto da una gente che, a torto, è ritenuta da molti monoteista ab origine. Noi possiamo solo constatare il dato morfologico. [2]
E’ naturale: i simboli esistono, ma in precisi campi. [3] Gran parte dei libri biblici più antichi ne è priva. Questa è la premessa, a nostro [nostro DI CHI?] modesto parere corretta, da cui è scaturita la ricerca rigorosa ed onesta di Mauro Biglino. E’ pacifico che tale approccio non esaurisce le indagini né scioglie tutti gli enigmi: ad esempio, la cultura ebraica conserva, anche se in modo confuso e grossolano, antiche conoscenze sumeriche ed egizie già criptate nell’alfabeto. Come motivarle nel quadro di un discorso circa le origini dell’umanità? Veramente meritorio è stato Luca Bitondi che, in un articolo pubblicato su "X Times" di dicembre, ha rispolverato
Insomma, Peter Kolosimo ha trovato un continuatore che, a differenza dell’archegeta, offre un cospicuo equipaggiamento di dati linguistici e filologici tali da avvalorare congetture ieri come oggi disdegnate, perché ritenute fantasie fanciullesche. [PK, pur essendo stato un discreto fuffaro, era un 10 volte premio Nobel, in confronto a te, STRACCIONE] E’, infatti, sempre più veemente la polemica di chi rifiuta di prendere in considerazione l’ipotesi extraterrestre in ordine al passato dell’umanità, arrocandosi nell’interpretazione parafisica, come se le due teorie fossero incompatibili. [5]
Si accennava al substrato glottologico su cui Biglino può fondare certe affermazioni: ha ragione Alessandro Demontis, di cui è riportato lo stralcio di uno studio, quando scrive: “A mano a mano che si va avanti nel tempo, nelle derivazioni di una lingua all’altra, i significati perdono di specificità materiale ed acquistano generalizzazione ed estensione”. Anche in questo modo, rammentando che i significati concreti precedono quelli traslati, si ridimensionano pristine civiltà. E’ un ridimensionamento che consuona con una visione disincantata a proposito di “dei” per nulla divini, fossero visitatori interstellari, discendenti degli Atlantidei o chissà chi… In particolare gli Israeliti sono declassati ad uno dei tanti popoli medio-orientali - non certo tra i più raffinati - la cui lingua fu un dialetto assurto ad idioma importante, per una serie di circostanze fortuite.
E’ assodato che, una volta compiute investigazioni in àmbito storico, archeologico, paleontologico etc., resta la dimensione metafisica dove il Professor Biglino non vuole addentrarsi. Si leggano dunque gli autori che si avventurano in territori liminali, se si intende definire un disegno più ampio.
Con queste note metodologiche, affidiamo a lettori dalla mentalità aperta il saggio del Nostro. Siamo consci che tutto si ha da guadagnare da un incremento della conoscenza, pure qualora sia una conoscenza che dapprincipio sovverte convincimenti inveterati. Con la nuova resa della parte iniziale del Genesi l’autore demolisce uno dei pregiudizi più radicati: è emozionante scoprire che cosa si cela dietro il racconto della “creazione ex nihilo”…
Ammettiamo che il titolo del volume è un po’ brusco, ma il libro di Biglino merita una fruizione spassionata, emancipata dalle illusioni pseudo-esoteriche e soprattutto da ogni cieco fideismo.
[1] Il simbolo (Σύμβολον) per gli Elleni era una "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale": l'usanza voleva che due individui, due famiglie o anche due città spezzasero una tessera, di solito fittile, per conservare una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza. Nel linguaggio comune e nella retorica, il simbolo è un’icona cui si associa un particolare significato. Di solito è bivalente, talvolta polisemico. [brematuratamente come fosse antani]
[2] Sulla vexata quaestio del singolare o plurale, si veda qui.
[3] Semplificando, si potrebbe distinguere tra simboli elementari (i segni, volgarmente "parole") ed i simboli complessi: se l'origine dei primi è difficile da conoscere, il discorso vale ancora di più per i simboli complessi, ossia le immagini stratificate, plurivoche, dense, gli archetipi sedimentati nel superconscio e che si palesano nell'arte, nelle esperienze oniriche, nei disegni dei bambini…
[4] Cfr L. Bitondi, “Adamo, il primo ibrido”, 2012. La corrispondenza numerica tra le lettere e gli amminoacidisi si realizza, aggiungendo alla ventunesima macromolecola l’immagine del D.N.A. adombrata dall’alef. Lo studio di Bitondi indugia pure sui Rossi per cui si veda il datato ma non irrilevante [NO. E' rilevante quanto una mia verruca al mignolo del piede sinistro]“Alla ricerca del sigillo reale”.
[5] Vedi Zeit und Geist, 2012
Antonio Marcianò (Tutti i diritti riservati di sparare puttanate in un italiano scandaloso)
Pubblicato da Zret rimbambito come e più di corrado
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