L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Thursday, October 9, 2014

Il cubo volante di Rimini (saranno arrivati i transformers in riviera)

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Il cubo volante di Rimini


Il recente libro di Carlo Di Litta e Quinto Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, contiene un interessante rapporto a proposito di un avvistamento U.F.O. Carlo Di Litta riferisce di un oggetto volante dall’inusuale forma cubica. L’ordigno fu scorto e fotografato nel cielo di Rimini il giorno 15 giugno del 2011, alle ore 21:30, durante l’eclissi di Luna.

Nel capitolo dedicato al caso, giustamente Carlo Di Litta disquisisce sui significati simbolici ed esoterici del cubo. A questo solido geometrico consacrammo un breve articolo, Cubo, dove scrivemmo:

“L’arca che Ziusudra, re di Shuruppak, (il Noè biblico) costruì, su consiglio del dio Enki, aveva la forma di un cubo, con ciascun lato di 120 cubiti. Anche l’imbarcazione fabbricata da Noè, per volontà di Dio, era un parallelepipedo: 150 cubiti di lunghezza per 30 di altezza e 50 di larghezza. […]

L’arca di Ziusudra era dunque un gigantesco dado che è l’espressione simbolica tridimensionale del quadrato, adombrando tutto ciò che è saldo e durevole. Tra i corpi regolari, Platone assegna al dado l’elemento terra. Nell’alchimia è in relazione alll’elemento “sal” come principio del concreto. La Gerusalemme celeste, città ideale dell’Apocalissi attribuita a Giovanni (21-16,17) è cubica: “la lunghezza, la larghezza e l’altezza della città sono eguali”. I suoi lati sono di 12.000 stadi (2200 km), un corpo perfetto sulla base del numero 12. E’ un cubo pure la Kaaba, nel santuario della Mecca: ivi è custodita la pietra divenuta nera per i peccati degli uomini.[…]

Secondo l’ipotesi di David Wilcock, il cubo di Ziusudra potrebbe essere uno stargate, grazie al quale il re sumero riuscì a mettere in salvo sé stesso, i congiunti e gli animali, seguendo le istruzioni del dio Enki (Ea). Wilcock nota che l’ipercubo (o n-cubo), forma geometrica regolare inclusa in uno spazio di quattro dimensioni, secondo gli studi pionieristici di alcuni scienziati, si lega alla fisica iperdimensionale, dunque alla possibilità di varcare il confine del nostro universo per accedere ad un altro piano”.

Invero, l’U.F.O. immortalato da Carlo Di Litta in alcuni suggestivi scatti, è sì un dado, ma proteiforme. Dalle immagini si nota che esso cambia colore (fenomeno frequente nella letteratura) nonché aspetto, delineando dei grafemi riconducibili a talune lettere dell’alfabeto ebraico.

In particolare si possono riconoscere i grafemi ח (Chet, Heth, Khe: recinto per il bestiame); ת (Tav, giogo); צ (Tzadi, Sade, Gufo).

Non sorprenda la correlazione tra antichi idiomi (sumero, aramaico, ebraico…) e presunte civiltà aliene. (Si legga A. Marcianò, La lingua dei visitatori, in "X Times" n. 39, gennaio 2012).

Vediamo i significati emblematici dei segni sopra citati.

La lettera ח, Heth, ha valore numerico 8. Essa rappresenta la trascendenza, la grazia divina e la vita. Il numero otto simboleggia la capacità dell'uomo di trascendere (andare oltre) i limiti dell'esistenza fisica (Maharal).

La lettera ת, Tau, ha valore numerico 400; è simbolo di verità e perfezione. Tau sta per ’æmet (verità). Contrariamente a molti altri casi, in cui è la prima lettera del nome a conferire il significato, nel caso di ’æmet (verità), l'ultima lettera, Tau, lega il sostantivo al nucleo semantico. La verità è eterna, ma quando le viene tolta la ’alef, che è il più piccolo valore di ’æmet, allora rimane la Met (morte). Probabilmente la valenza di questo grafema-fonema risale al concetto egizio di Maat, giustizia, equilibrio, misura. E’ plausibile, come sostengono molti specialisti, che la tradizione ebraica, incluso l’alfabeto, affondi le sue radici in un substrato sumero ed egizio.

La lettera צ, Ṣade, possiede valore numerico 90. Questo grafema richiama la giustizia e l’umiltà. Ṣade sta per Ṣaddîq, il Giusto, riferendosi a Dio che è chiamato Ṣaddîq we yašār, il Giusto e Retto – Deut.32:4. Ṣaddîq è anche usato per definire l'uomo che emula l’equità di Dio, conducendo una vita integerrima.

E’ notevole lo spunto che ci offre Carlo Di Nitta nel momento in cui coglie il sorprendente parallelismo tra le configurazioni dell’oggetto non identificato ed alcune caratteri ebraici. Esseri non terrestri vollero codificare un messaggio attraverso segnali nel cielo? E’ corretto evocare i significati metaforici di certi segni o bisogna attenersi all’ambito letterale?

Auspichiamo ulteriori indagini per opera di di glottologi e di ufologi.

Fonti:

C. Di Litta, Q. Narducci intitolato, “Cosa nascondono i nostri governi?”, 2014, pp. 153-155
Enciclopedia dei simboli, Milano, 1991


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Sunday, May 25, 2014

Dall'Eden all'Inferno

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Dall'Eden all'Inferno


Francesca Stavrakopoulou, biblista ed archeologa, appartiene a quel nutrito novero di studiosi che si approccia alla Torah secondo una rigorosa metodologia critica. Le sue ricerche in loco l’hanno condotta a chiedersi quale fu la vera natura dell’Eden, se gli antichi ebrei adoravano anche una divinità femminile [zretino, anche tu dovresti adorare la divinita' femminile...], se il regno di David fu leggendario…

Tra le varie investigazioni, quella sul giardino dell’Eden è forse la più gravida di conseguenze per una visione complessiva del testo sacro e delle interpretazioni successive. La Stavrakopoulou, comparata la cultura ebraica con le testimonianze archeologiche, storiche ed iconografiche di altri popoli medio-orientali dell’antichità, propende per l’identificazione dell’Eden con un manufatto architettonico, per la precisione con il tempio di Gerusalemme, costruito su progetto dell’architetto fenicio Hiram per volontà del re Salomone. L’ipotesi può apparire audace, soprattutto perché un tempio non è un verziere: tuttavia l’edificio era adornato con motivi vegetali (foglie di palma, melegrane etc.) e, da un punto di vista metaforico, può essere considerato il giardino di YHWH, la sua dimora.

Ha ragione la biblista, quando interpreta i Cherubini del Paradiso terrestre come ieratiche figure antropozoomorfe riconducibili a sculture simili con cui i re della Mezzaluna fertile abbellivano palazzi e templi. La Stavrakopoulou ritiene che la storia di Genesi non riguardi i progenitori di tutta l’umanità, ma solo un’etnia ed i suoi miti di fondazione. Lo stesso Adamo adombrerebbe un re giudeo detronizzato da un avversario più potente. Questa ci sembra un’esegesi forzata che soprattutto cancella lo sfondo senza dubbio sumerico di Genesi.

A ragione Zecharia Sitchin, Biagio Russo et al., come è notorio, reputano l’Eden un luogo coltivato. Il termine probabilmente origina dall'ugaritico 'dn', con il significato di "posto in cui scorre molta acqua", "luogo ben irrigato", a sua volta dall’accadico edinnu, “pianura”. La fonte è il sumero edin, eden, "steppa", "pianura". Nella Bibbia è descritto come una plaga dalla vegetazione lussureggiante e ben delimitata.

Il libro del profeta Ezechiele 28: 12- 14, ci offre una descrizione dell’Eden che taluni specialisti ritengono più antica del racconto di Genesi. YHWH si rivolge ad Ezechiele con queste parole: “Figlio dell'uomo, intona un lamento sul principe di Tiro e digli: ‘Così dice il Signore Dio, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d'ogni pietra preziosa, rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici e diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi; e d'oro era il lavoro dei tuoi castoni e delle tue legature, preparato nel giorno in cui fosti creato. Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco”.

La raffigurazione è evocativa e sembra suffragare la congettura della Stavrakopoulou, secondo cui il giardino è una sontuosa costruzione consacrata a Dio, impreziosita da gemme rutilanti e da lamine d’oro.

L’Eden era dunque a Gerusalemme? Capitale del regno ebraico dal 1070 a.C in poi, dopo la divisione della nazione in due regni, (997 a.C.), Gerusalemme continuò ad essere la capitale del regno meridionale di Giuda. Il nome più antico della città di cui si abbia memoria è “Salem” (Ge. 14:18). Il toponimo è presumibilmente da associare ad una divinità semitica occidentale chiamata Salem. Il presunto fondatore del Cristianesimo, Shaul- Paolo (Eb. 7:2) spiega che il vero significato della seconda parte del nome è “pace”, ma pare una falsa etimologia. Nei testi accadici la città era chiamata Urusalim o Ur-sa-li-im-mu. Nel toponimo si può staccare la base Ur che significa “città” nell’idioma dei Sumeri.

I primi abitanti di Gerusalemme furono i Gebusei, un gruppo di Cananei: “Urushalim”, da cui deriva “Gerusalemme”, è una parola cananea-amorrea che significa “fondato dalla divinità Shalem” e la città ha una storia che va ben oltre quella del popolo ebraico, risalendo ai Sumeri.

Gerusalemme è nota anche, per sineddoche, come Sion, toponimo dall’etimo oscuro. ll monte Sion è un'altura di 700 metri sul livello del mare. Su questo poggio si formò il nucleo originario della futura Gerusalemme.

Sitchin opina che il Monte Moriah, dove fu poi eretto il Tempio, fosse un luogo dove gli Annunaki istituirono il secondo centro di controllo della missione dopo il Diluvio universale. Prima del cataclisma, questa base era ubicata a Nippur, ma, dopo che le inondazioni sommersero la Sumeria, fu deciso di creare un altro spazio-porto proprio nel sito che in seguito ospitò Gerusalemme, città sacra per le tre religioni monoteiste medio-orientali, perché furono gli “dei” a fondarla. Sotto il basamento della Spianata delle moschee si dovrebbero trovare monoliti di eccezionali dimensioni e peso, come a Baalbek.

Che sia o no quella di Sitchin una ricostruzione fantasiosa, è incontestabile che Gerusalemme è città decisiva per Ebrei, Cristiani e Musulmani. A Gerusalemme predicarono i Messia ed il profeta Maometto fu assunto in cielo là dove oggi si staglia la scintillante Cupola della roccia.

Dante, che fu iniziato oltre che sommo poeta, riconosce il ruolo centrale della città ma – singolare scelta – vi colloca nei pressi l’ingresso dell’Inferno.

Con un volo pindarico, lungo il solco che si immerge nelle viscere del pianeta, possiamo accennare alla pellicola “Matrix” dove Zion-Sion, è l’unico centro di "Matrix” in cui gli uomini sono liberi, ma è situato (non è poi così strano) nelle profondità della Terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave. Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Che Gerusalemme sia la “città della pace” donde si irradia la luce per l’umanità è forse un sogno romantico, come tutti i sogni destinati a dissiparsi con il risveglio.

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Tuesday, January 3, 2012

I prodigi di Giuseppe Flavio (seconda ed ultima parte)

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I prodigi di Giuseppe Flavio (seconda ed ultima parte)

Thursday, December 15, 2011

I prodigi di Giuseppe Flavio (prima parte)

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I prodigi di Giuseppe Flavio (prima parte)

Giuseppe Flavio (Gerusalemme, 37 o 38 d.C., Roma dopo il 103 d.C.) è il noto storico ebreo. Di ricca famiglia sacerdotale, partecipò alla guerra giudaica: nel 67 fu catturato da Tito Flavio Vespasiano che lo trattò benignamente per poi liberarlo. Per riconoscenza, Giuseppe assunse il soprannome di Flavio. In Palestina con Tito fu testimone della presa di Gerusalemme. Accompagnò poi Tito nell’Urbe dove visse per il resto della sua vita. Giuseppe Flavio si prefisse con le sue opere di promuovere nel mondo ellenistico e romano la conoscenza della realtà ebraica. Scrisse la “Guerra giudaica” in sette libri prima in aramaico poi in greco, mettendo a frutto la sua cognizione diretta dei fatti. Di più largo respiro sono le “Antichità giudaiche” in venti libri, in greco, in cui è ripercorsa la storia dei Giudei dalle origini ai tempi della rivolta, attingendo a fonti ormai scomparse. Nei due libri “Contro Apione”, un grammatico alessandrino che si era pronunciato contro gli Ebrei, riprese i motivi tradizionali dell’apologetica giudaica sull’antichità e la superiorità degli Ebrei rispetto ai Greci. Nell’”Autobiografia” integrò alcune parti delle “Antichità”.

Lo storico, nel VI libro della “Guerra giudaica”, nel corso della narrazione degli eventi, che si snodano dal dal 60 al 70 d.C., indugia su alcuni episodi sbalorditivi occorsi prima del conflitto conclusosi con l’espugnazione di Gerusalemme per opera dei Romani. La morsa attorno al tempio di Salomone ed agli edifici circostanti, in cui resistono i combattenti messianisti, si stringe sempre più. La situazione per gli assediati è ormai disperata: le legioni di Tito attaccano in massa, scorrono fiumi di sangue, i cadaveri dei ribelli si ammucchiano nelle strade, mentre le fiamme avvolgono il santuario.

Giuseppe Flavio attribuisce la débâcle dei ribelli a fanatismo e sprovvedutezza nonché alla predicazione di profeti mendaci. Secondo l’autore, i suoi correligionari avevano ignorato o interpretato in maniera distorta alcuni prodigi che avrebbero dovuto stornarli dal prendere le armi contro i Romani.

''A causare la loro morte fu un falso profeta che in quel giorno aveva proclamato agli abitanti della città che il Dio comandava loro di salire al tempio per ricevere i segni della salvezza. E in verità allora, istigati dai capi ribelli, si aggiravano tra il popolo numerosi profeti che andavano predicando di aspettare l'aiuto del Dio e ciò per distogliere la gente dalla diserzione e per infondere coraggio a chi non aveva nulla da temere da loro e sfuggiva al loro controllo. Nella disgrazia l'uomo è pronto a credere e, quando l'ingannatore fa intravedere la fine dei mali incombenti, allora il misero s'abbandona tutto alla speranza. Così il popolo fu allora abbindolato da ciarlatani e da falsi profeti, senza più badare né prestar fede ai segni manifesti che preannunziavano l'imminente rovina.

Quasi fossero stati frastornati dal tuono ed accecati negli occhi e nella mente, non compresero gli ammonimenti del Dio, come quando sulla città apparvero un astro a forma di spada ed una cometa che durò un anno o come quando, prima che scoppiassero la ribellione e la guerra, essendosi il popolo radunato per a festa degli Azzimi nell'ottavo giorno del mese di Xanthico, all'ora nona della notte l'altare e il tempio furono circonfusi da un tale splendore che sembrava di essere in pieno giorno ed il fenomeno durò per mezz'ora. Agli inesperti sembrò di buon augurio, ma dai sacri scribi fu subito interpretato in conformità di ciò che accadde dopo.

Durante la stessa festa, una mucca, che un tale menava al sacrificio, partorì un agnello in mezzo al sacro recinto; inoltre la porta orientale del tempio, quella che era di bronzo e assai massiccia, sì che la sera a fatica venti uomini riuscivano a chiuderla e veniva sprangata con sbarre legate in ferro e aveva dei paletti che si conficcavano assai profondamente nella soglia costituita da un blocco tutto d'un pezzo, all'ora sesta della notte fu vista aprirsi da sola. Le guardie del santuario corsero a informare il comandante che salì al tempio e a stento riuscì a farla richiudere. Ancora una volta questo parve agli ignari un sicurissimo segno di buon augurio, come se il Dio avesse spalancato a loro la porta delle sue grazie; ma gli intenditori compresero che la sicurezza del santuario era finita di per sé e che l'aprirsi della porta rappresentava un dono per i nemici e pertanto interpretarono in cuor loro il prodigio come preannunzio di rovina.

Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a prestar fede; e in realtà, io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una fola, se non avesse dauna parte il sostegno dei testimoni oculari, dall'altra la conferma delle sventure che seguirono.

Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra eschiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste, i sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo e poi un insieme di voci che dicevano: 'Da questo luogo noi andiamo via'''.

Friday, August 12, 2011

La misteriosa morte di Dante

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La misteriosa morte di Dante

Dante Alighieri (1265-1321) morì di malaria o fu ucciso? Il sospetto che Dante fu eliminato serpeggia da un po’ di tempo e, per quanto mi consta, è stata la narratrice spagnola Matilde Asensi ad insinuare che la scomparsa del sommo poeta fu la conseguenza di una trama. L’autrice nel romanzo intitolato “L’ultimo Catone”, affida ad un Guardiano della Vera Croce il compito di inoculare il dubbio nella protagonista, Suor Ottavia Salina, convocata dalle alte gerarchie del Vaticano per decifrare un tatuaggio inciso sul cadavere di un Etiope ritrovato in Grecia.

Lo Staurophylakos (Custode della Croce) sottolinea che Dante si era inimicato papa Bonifacio VIII (al secolo Benedetto Caetani), per aver tuonato contro la sua scandalosa condotta simoniaca. Ricorda poi che passò a miglior vita la notte tra il 13 e 14 settembre del 1321. Era stato inviato come messo a Venezia dal mecenate Guido Novello da Polenta: di ritorno dall’ambasceria, attraversando le lagune della costa adriatica, il “Ghibellin fuggiasco” contrasse le febbri malariche e morì. Il 14 settembre è il giorno della Vera Croce.

Addirittura Francesco Fioretti ha costruito un’intera storia, “Il libro segreto di Dante”, 2011, sul presunto assassinio dell’Alighieri. E’ tuttavia un libro ingarbugliato e pretenzioso, scritto in modo incolore (alla Dan Brown): così, invece di gettare un barlume sulla questione, la banalizza per fini di commerciale intrattenimento. Quindi non ci è di nessun aiuto per provare a sciogliere l’enigma, mentre è più utile il cenno nel titolo dell’Asensi, la cui indagine esoterica è imperniata sul significato simbolico della Croce.

La traccia che si può seguire si riferisce al giorno in cui Dante morì, il 14 settembre, dì dell'Esaltazione della Santa Croce, festività della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e di altre confessioni cristiane. In essa si commemora la croce sulla quale fu inchiodato il Messia. La ricorrenza è generalmente collocata il 14 settembre, giorno in cui celebra la consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Come è noto, la Croce è pure simbolo templare: che Dante fosse un cripto-templare è probabile. La Croce è il più universale dei simboli primari: rappresentando il punto di intersezione tra su e giù, destra e sinistra, implica l’unificazione del dualismo nella totalità. Può assumere valenza sia spaziale sia temporale. Si riferisce a situazioni cronologiche nella cultura dei Sumeri.

Dante era un pitagorico, forse un appartenente alla Confraternita dei Fedeli d’Amore: il suo sapere, in cui erano amalgamate la tradizione esoterica cristiana, quella islamica ed ebraica, trasmesse da una catena di precedenti maestri, si coagula nell’insegnamento anagogico ed ermetico della Commedia, capolavoro cifrato che lascia trasparire simboli poi confluiti, tra gli altri, soprattutto nei Rosacroce, esponenti cinquecenteschi di un antichissimo cenacolo di iniziati.

La Rosa è emblema che nella "Commedia" assurge a notevole rilievo, il cui valore, insieme con quello di altre immagini e dei numeri, fu studiato da René Guénon nel saggio “L’esoterismo di Dante”. Di solito la “candida rosa” descritta nel Paradiso è interpretata come emblema dell’Amore celeste. La Rosa simboleggia il Centro, la Verità, il Cuore, l'Eros mistico ("Eros" è anagramma dei termini francesi ed inglesi "rose"). Nel rosone delle chiese romaniche e gotiche si fondono adombramenti cosmico-cronologici e spirituali.

Che il Nostro fu vittima di una congiura, forse nell'ambito della persecuzione contro i Templari, è ipotesi percorribile, benché gli indizi (la morte tra il 13 ed il 14 settembre, il nascondimento degli ultimi tredici canti del “Poema sacro”, l’appartenenza di Dante ad una cerchia di adepti…) siano , ad oggi, molto labili per tentare di stabilire la verità.

Fonti:

M. Asensi, L’ultimo Catone, 2001, p. 447
Enciclopedia dei simboli, a cura di H. Biedermann, Milano, 1991, s.v. croce e rosa.
R. Guénon , L’esoterismo di Dante, passim, 1925
F. Lamendola, L'esoterismo di Dante, 2010

L. Pirrotta, Dante ed i Fedeli d'amore

Friday, November 5, 2010

Mondi (terza ed ultima parte)

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Mondi (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

Si suppone che alcune antiche civiltà avessero costruito degli astroporti. E’ possibile pensare che Baalbek, il sito nell’odierno Libano dove si ergono ciclopici blocchi di pietra, alcuni dei quali pesanti migliaia di tonnellate, siano opera umana e che quei giganteschi macigni siano la piattaforma di templi? Stando ad alcuni autori, nella regione del Medio Oriente sorgevano degli spazioporti: Gizah, lungo il 30 parallelo, una località nel sud del Sinai, Baalbek ed un centro dell’attuale Armenia furono i vertici di un triangolo ideale, vertici occupati da altrettanti porti spaziali. Gerusalemme, (“il luogo degli oracoli splendent?i”) era ubicata lungo la bisettrice del triangolo e Gerusalemme, fondata dai Gebusei, che diventò poi capitale del regno ebraico, era ed è città-simbolo. Fantasie? Può darsi. Oppure, invece di ospitare astroporti, in quei siti si trovavano aperture verso altri piani? Singolare l’analogia fra il triangolo cui si accennava ed il logo della N.A.S.A. nonché di altre decine di enti spaziali e "scientifici": una sorta di triangolo allungato ed arcuato che, grosso modo, riproduce la forma e l’inclinazione del poligono medio-orientale. Un nesso con lo spazio? Siamo al cospetto di un retaggio trasmesso attraverso i millenni e coagulatosi in simboli che sembrano solo disegni?[1]

In maniera misteriosa lo spazio si svolge nelle anse del tempo. E’ per questo motivo che certi snodi cronologici ci mettono in contatto con universi lontanissimi. Lo scienziato Jack Parsons e lo scrittore di fantascienza, Ron Hubbard, seguaci di Aleister Crowley, attuarono nel 1946 le “Operazioni Babalon”. La loro intenzione era quella di usare la magia erotica per generare un figlio nei reami spirituali. Essi riuscirono ad attirare sulla Terra Lam, un’entità simile ad un Grigio. Babalon ricorda Babel, la porta degli dei. Sono porte i cui cardini stridono in maniera sinistra…

Un altro anno… topico è il 2012. Commenta Whitley Strieber, a proposito di questo possibile timegate: “Credo vi siano schemi nel nostro mondo che riflettono una consapevolezza superiore di qualche tipo ed è per questo che la Bibbia è scritta come di concerto con il grande calendario precessionale che è lo zodiaco e perché il Giudizio finale si è rivelato essere Apocalisse 20:12”. “Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere”.

Sembra che i mondi siano sbocchi (mondi come bocche) all’interno del cosmo, zone di transito verso l’inconcepibile. Il nostro stesso universo potrebbe essere uno iato apertosi nell’immensità, a causa di un errore o di un’anomalia: attraverso questa apertura passano esseri come risucchiati da un gorgo. I buchi neri, enigmatici oggetti cosmici, il cui orizzonte degli eventi disintegra ogni “legge fisica” sono occhi scuri nel buio o polle?

Gli eventi futuri intrecceranno in un unico disegno le solenni traiettorie degli astri ed i piccoli passi degli esseri disseminati sui pianeti.

[1] E' plausibile che il logo della N.A.S.A. sia, invece, una V, un segno cornigero evocante un essere tenebroso. D'altronde la N.A.S.A. è ente dalle origini e dalle connotazioni oscure.

Fonti:

G. Devoto, avviamento all’etimologia italiana, Firenze, 1968, s.v. ponte, porta
Dizionario di archeologia, Milano, 2002, s.v. megaliti
Enciclopedia dell’antichità, Milano, 2005, s.v. Babilonia, Delfi
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Naram-sin
Z. Sitchin, Quando i Giganti abitavano la Terra, Diegaro di Cesena, 2010
W. Strieber, Omega point, 2010




Saturday, July 17, 2010

Ebioniti: eretici o cristiani delle origini? (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2010/07/ebioniti-eretici-o-cristiani-delle.html

Ebioniti: eretici o cristiani delle origini? (prima parte)

Preciso che il seguente articolo, le cui fonti saranno indicate in calce all'ultima parte, non ambisce a dispensare delle verità definitive: si tratta solo di una ricerca passibile di integrazioni e correzioni.

Come in un palinsesto che restituisce un'opera perduta, così un'indagine approfondita oltre le incrostazioni della storia ufficiale può portare a scoprire uno scorcio di antichi orizzonti. Le enciclopedie presentano gli Ebioniti come "eretici", complici i fraintendimenti e le contraffazioni di teologi e padri della Chiesa. Se si compulsano, però, saggi di autori spassionati, si scopre che definire gli Ebioniti “eretici” è una falsificazione bell'e buona. D'altronde che cosa ci si può aspettare da artefici di "pie frodi"? Molti studiosi hanno denunciato tutti i sotterfugi con cui esegeti e storici, almeno a partire dal IV secolo dopo Cristo, censurarono, interpolarono, stravolsero i fatti: scaltrissimi, dotati talora di un'eloquenza potente, ma venale, adottarono lo stesso modus operandi che oggi connota i disinformatori. Ne risulta un'assoluta mistificazione, ma che, per mezzo di trucchi da prestigiatori, si palesa come verità, l'unica verità. Ecco allora trasformati gli Ebioniti in una setta sparuta ed eccentrica. Sparuti lo furono, perché emarginati e perseguitati, ma eccentrici no. Ecco allora che, con sfacciata inversione, la loro dottrina diventò eterodossa e strana.

Agli inizi del IV secolo, l'opportunista imperatore Costantino incontrò a Gerusalemme un'antica comunità di fedeli che risaliva ai tempi dell'apostolo Giacomo (Jacob), “il fratello del Signore”. Giacomo non volle scindere l'insegnamento del Maestro dall'antica fede e con i suoi confratelli continuava ad osservare le Leggi ebraiche. Aveva perfino tentato di convincere i proseliti gentili a rispettarle. Centotrent'anni dopo la sua morte, la gente di Gerusalemme ricordava la devozione con cui frequentava il Tempio e le sue preci tanto numerose che gli si incallirono i ginocchi. Il piissimo Giacomo oggi ci può apparire un po' fanatico, ma non fu certo un interprete bislacco dell'Ebraismo, come si legge qua e là. A capo della cosiddetta Chiesa di Gerusalemme, i suoi successori, vescovi di Sion, furono Giudei: Shimon, Tobiah, Benjamin, Levi, Efrem... Gli scrittori occidentali li chiamarono Vescovi della Circoncisione, perché, durante tre secoli, avevano seguitato ad applicarla.

Gli Ebioniti (il loro nome significa "poveri": le diffamazioni sul significato di "poveri" pullularono) si riconobbero in un Vangelo che da loro prende il nome. Ne conserviamo magrissimi frammenti per tradizione indiretta. Probabilmente fu distrutto. Fu una fonte cui si ispirò Matteo per il suo testo, in cui si legge in filigrana uno scritto precedente?

Tra i passi patristici, i più antichi riferimenti espliciti sono offerti da Ireneo di Lione (130-202 d.C.). Nel suo pamphlet “Contro le eresie” (180 d.C. circa), Ireneo testimonia l'uso del Vangelo di Matteo presso gli Ebioniti:

« Nel vangelo che essi [gli Ebioniti] usano, detto "secondo Matteo", che è, però, non interamente completo, bensì alterato e mutilato (sic) - essi lo chiamano "Vangelo Ebraico"- [...] hanno tolto la genealogia di Matteo »
(Epifanio di Salamina, "Panarion" 13,2 e 14,3)
« Coloro che sono chiamati Ebioniti [...] usano solo il vangelo secondo Matteo e rifiutano l'apostolo Paolo, chiamandolo apostata della Legge. [...] Gli Ebioniti pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno un'esatta conoscenza del Signore (sic).
(Ireneo di Lione, "Contro gli eretici", 1,26,2; 3,11,7)
« Nel vangelo che usano i Nazareni e gli Ebioniti, che recentemente ho tradotto dall'ebraico in greco e che i più considerano il Matteo autentico, quest'uomo che ha la mano arida...»
(Girolamo, "Comm. I in Matth". 12,13)

Epifanio di Salamina ed altri riportano la credenza che il Vangelo degli Ebioniti fosse basato su quello secondo Matteo, ma che vi fossero stati rimossi i versetti contrari alla teologia degli Ebioniti, come nel caso del racconto della nascita di Gesù; è possibile che la mancanza del riferimento alle locuste come cibo di Giovanni Battista sia dovuta alla pratica del vegetarismo all’interno del gruppo.

Data la mancata trasmissione dei manoscritti del Vangelo degli Ebioniti, è impossibile risalire al reale contenuto del testo ed al suo legame col Vangelo detto di Matteo. Probabilmente costituiva la primordiale stesura in aramaico operata dall'apostolo ricordato da Papia e citata da Eusebio di Cesarea in "Storia Ecclesiastica" 3,39,16.




Friday, June 25, 2010

Masada

http://zret.blogspot.com/2010/06/masada.html

Masada

"Masada" è un romanzo di Maria Grazia Siliato. Costruito come un dittico, alterna il passato, l'assedio alla roccaforte di Masada ed ancor prima l'espugnazione di Gerusalemme per opera di Tito, al presente con gli studi sui Rotoli di Qumran.

L'autrice rivela attitudine nella pittura dei caratteri, nell'evocazione di luoghi dominati da una luce accecante o immersi in tenebre stellate, soprattutto riesce a captare emozioni fuggevoli, memorie scolpite nel tempo eppure inafferrabili, sentori di caffé levantini.

Il montaggio sovrano con cui sono costruiti i capitoli taglia gli episodi, accostandoli per antitesi formali o di contenuto. Ne scaturisce una vigoria drammatica che compensa la lentezza di alcune sequenze introspettive.

"Masada" è romanzo storico e, in parte, a tesi: la scrittrice, attraverso una voce omodiegetica, quindi distaccata, mostra la grandezza degli eroi messianisti, comandati da Eleazar-Lazzaro: essi, pur di non cadere nelle mani dei Romani, si tolgono la vita ed uccidono i loro cari. Si avverte un po' di idealizzazione delle sette ebraiche, in primis gli Esseni, mentre i legionari romani, Tito e Vespasiano sono dipinti a tinte fosche. Infine Giuseppe Flavio è additato come “traditore”, benché geniale.

La ricostruzione è più che tendenziosa, spostata di baricentro. Sopra gli eventi, ora gloriosi ora sanguinari, si staglia l'ombra della storia come gigantesca schiacciasassi. E' in questa assurdità (apparente?) del percorso umano che, però, si insedia il senso, come nostalgia dell'Assoluto:"
Se nell'infinità si è programmato uno spazio anche per noi, forse esiste una causa ed anche uno scopo."

Se i combattenti messianisti costruiscono le loro certezze di riscatto sulla sabbia, è arena risucchiata in vortici di vento pure la vita umana? Bastano la dignità ed il coraggio con cui si affrontano il vuoto e la morte per essere salvati? A queste domande, la Siliato non risponde, preferendo addentrarsi nel territorio accidentato della narrazione e nelle grotte dove furono nascosti da una misteriosa confraternita le pergamene.

Il racconto si tende in spasimi di attesa, poiché l'ultima notte di Masada in un estenuante rallentatore, rievoca con lunghe analessi la conquista di Gerusalemme, come preludio di un'alba su cui splende il silenzio della fine: la rocca è desolata, disseminata di corpi esanimi. Le digressioni più interessanti, ben ritagliate nei nuclei narrativi, sono dedicate a questioni archeologico-linguistiche ed ai Padri della Chiesa, uomini sovente di notevole caratura intellettuale, ma infidi.

Il romanzo si apprezza, nonostante alcune cadute di stile (vocaboli fuori registro) e certi manierismi (il passato prossimo, in luogo del passato remoto, l'uso della forma latina per i nomi propri...) per la profondità con cui scava nelle contraddizioni umane e per la tenacia con cui svelle le radici del dolore, per portarle all'aria:"Ricordati dell'immensa quantità di inutile, anonimo dolore che si è diffusa nel mondo". Un'opera come "Masada" ci aiuta a dar ragione di una sofferenza che forse non è inutile né anonima, ma neppure comprensibile in termini solamente umani.