L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Sunday, May 18, 2014

Rileggere alcuni aspetti del Cristianesimo (terza ed ultima parte)

http://zret.blogspot.it/2014/05/rileggere-alcuni-aspetti-del.html

Rileggere alcuni aspetti del Cristianesimo (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte.

I cliché interpretativi più stucchevoli riguardano Costantino: non esiste alcun editto di Milano emanato nel 313 d.C., ma una circolare applicativa del provvedimento voluto da Galerio. Costantino non inventa il monogramma cristologico, contrassegno più antico. Favorevole ai Niceni e, pur con qualche retromarcia agli Ariani, vede nelle varie comunità cristiane delle possibili alleate nel consolidamento del suo potere. Profondamente pagano, Costantino, prima della battaglia di Ponte Milvio, scorge nel firmamento la costellazione del Cigno: ecco spiegata la pia leggenda della Croce e la frase “In hoc signo vinces”. La cosiddetta “pace della Chiesa” attribuita ad un Costantino, uomo della Provvidenza, coincide con le più crudeli vessazioni nei confronti di tutte quelle comunità cristiane che in ottemperanza degli insegnamenti evangelici, rifiutano ogni compromesso con le autorità di un mondo il cui Principe (Arconte) è Satana.

Potrei continuare a snocciolare altre distorsioni sulla storia del C., a sfatare altre storie edificanti, ma mi fermo qui, perché vorrei riprendere la questione centrale. Ha senso evocare una una campagna anti-cristiana per sradicare ciò che resta del senso religioso, dal momento che il concetto di C. è tanto controverso? Questa etichetta si può attaccare un po’ a tutto ed al contrario di tutto: dal Cattolicesimo alle fanatiche congregazioni statunitensi, dai Testimoni di Geova alla sparuta comunità tedesca di cristiani vegetariani. Riferirsi ad una crociata anti-cristiana mi pare una semplificazione, tanto più riduttiva quanto più il quadro è complesso e contraddittorio.

Ammettiamo pure per assurdo che la Chiesa di Roma non sia almeno in uno dei suoi vertici pesantemente coinvolta nel mondialismo più empio che ateo, anche per mezzo del presente gesuitico papa, si può ritenere che essa custodisca il senso del sacro o, nel migliore dei casi, non è oggi una specie di sindacato dei poveri e dei derelitti? Anche qui, però, le incongruenze sono colossali: infatti, mentre prelati e sacerdoti si sgolano per invocare la giustizia, il rispetto per il creato, l’amore per la verità e tante altre belle cose, non solo non accennano mai alle questioni decisive (geoingegneria clandestina, potere delle banche, élites sataniste…), ma soprattutto agiscono nella direzione opposta. Il Vaticano è una costola della C.I.A., una protesi della N.A.S.A., un’articolazione della N.A.T.O. Ha interessi enormi nel mondo finanziario e persino nell’industria bellica, attraverso l’Opus Dei, lo I.O.R. e le banche cattoliche. E’ favorevole alle sementi transgeniche, alle vaccinazioni, alla medicina ufficiale. Sostiene i governi totalitari, come quelli italiani. Coopera con criminali come Kissinger o Obama. Propala le menzogne sui cambiamenti climatici dovuti al biossido di carbonio.

L’ateismo di Michel Onfray e sodali è risibile, quando si pensa al sacrilego “culto” degli Oscurati, questo sì foriero di sradicamento del sacro come del profano, insulto allo Spirito come alla Natura. Fino ad oggi non si è levata ancora, all’interno delle chiese cristiane o sedicenti tali, una sola autorevole ed intrepida voce contro la cupola globalizzatrice, a difesa della vita, della verità, dei valori spirituali.

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Sunday, February 9, 2014

Rileggere alcuni aspetti del Cristianesimo (prima parte)

http://zret.blogspot.it/2014/02/rileggere-alcuni-aspetti-del.html

Rileggere alcuni aspetti del Cristianesimo (prima parte)


Un quadro contraddittorio

In un suo recente articolo intitolato “E’ in atto una campagna anti-cristiana per sradicare ciò che resta del senso religioso”, 2014, il Professor Francesco Lamendola denuncia la crociata contro il Cristianesimo a favore di un’ideologia materialista ed atea. Che la nostra società sia dimentica del sacro è indubbio.

Nella sua polemica contro filosofastri contemporanei, tardo-marxisti, tardo-nietzschiani, tardo-freudiani, l’autore dipinge un ritratto icastico di codesti stanchi epigoni. “Sono figure, in fondo, folcloristiche e tutto sommato pochissimo interessanti: accettarli come interlocutori in un serio dibattito culturale significa conferire loro una dignità intellettuale che non possiedono e alimentare l’arroganza, il narcisismo e la spavalda faciloneria che costituiscono il loro abito mentale. Essi, semmai, rappresentano dei buoni esempi di quel che si intende per supponenza dello scientismo; degli esempi in negativo di tutto ciò che non è autentico spirito scientifico né autentico senso storico, perché della scienza e della storia essi vedono sono quel che fa loro comodo vedere e negano o travisano con la massima impudenza tutto il resto. Sono pertanto dei faziosi, dei partigiani, dei militanti di un’ideologia totalitaria che si cela dietro una serie di formule, facili ed accattivanti, di sapore libertario e di largo smercio presso un pubblico che non va troppo per il sottile sul piano intellettuale”.

E’ fantastico: questo è anche il ritratto perfetto, l’ipotiposi dei negazionisti!

Il discorso, però, è più complesso di quanto si potrebbe pensare: rifuggirei da una schematica e tranquillizzante opposizione tra i buoni (i Cristiani, anzi i Cattolici) ed i cattivi (atei, agnostici, massoni...). Si può solo concordare con il Nostro quando demolisce l’idealizzazione del paganesimo gioioso e solare: l’età antica, come ogni epoca umana (umana?) è un groviglio inestricabile di bene e di male. Con i monumenti letterari, filosofici, artistici, scientifici… , alte testimonianze del mondo classico, stridono le efferatezze delle guerre, dei giochi gladiatori, delle stragi, della schiavitù…

Tuttavia ciò non vale forse anche per il Medioevo cristiano? Monasteri in cui pazienti amanuensi copiavano i testi antichi, chiese impreziosite da mosaici e da affreschi, eccelse opere d’arte... : la media tempestas fu un’età splendida, eppure... Eppure accanto a questi fasti, come in un dittico, si assiepano orrori e bugie innominabili: l’omicidio di Ipazia su istigazione di Cirillo, vescovo di Alessandria, le pie frodi di alcuni padri della Chiesa, le menzogne di Eusebio, le persecuzioni ai danni di Pagani, Manichei, Ebrei, Ariani dopo l’editto di Tessalonica, promulgato da Teodosio il Grande nel 380 d.C. fino alla simonia ed alla corruzione esecrate da Dante, fino al Tribunale dell’Inquisizione... La Chiesa cattolica non vanta molti rivali, quanto a numero di vittime: dalle persecuzioni dei Donatisti (cristiani ostili a qualsiasi collaborazione con l’Impero) sino alle atroci carneficine perpetrate dagli Ustascia cattolici in Jugoslavia, è difficile contare quanti uomini e donne furono massacrati in nome di Cristo.

Eppure è doveroso tessere un elogio del Cristianesimo: qui mi riferisco per lo più alle chiese ariane che furono di solito migliori della rigida chiesa nicena (cattolica dall’anno 867). Ariano fu il re degli Ostrogoti Teodorico che si adoperò per una coesistenza pacifica tra Ariani (i Goti) e Niceni (gli Italici). Il suo progetto fallì soprattutto a causa dell’intrigante diplomazia bizantina.

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Thursday, August 15, 2013

Sem, Cam, Iafet... e la Repubblica dell'ignoranza

zretino sei un cretino

http://zret.blogspot.it/2013/08/sem-cam-iafet-e-la-repubblica.html

Sem, Cam, Iafet... e la Repubblica dell'ignoranza

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,/ tutta tua visïon fa manifesta;/ e lascia pur grattar dov'è la rogna. (Dante, Par. XVII, vv.127129)

L’accusa che spesso è rivolta a chi osa uscire anche solo per un istante dal coro è quella di “anti-semitismo”, intendendo con questo termine l’ostilità verso gli Ebrei. Sarà stato tacciato di essere anti-semita il Professor Francesco Lamendola che ha deplorato la sottomissione e la piaggeria di alcuni “uomini politici” europei e statunitensi nei confronti del governo israeliano?

Già nel 2005 si scriveva: “Il vicepresidente del Consiglio nonché Ministro degli esteri, Gianfranco Fini, in occasione di uno quei fatui ed inutili convegni, organizzati solo per blandire vanitosi conferenzieri e per fingere di trattare temi culturali o di attualità, ha affermato che bisogna impedire in ogni modo agli imam di istigare, con infuocate e veementi prediche, i fedeli musulmani all'antisemitismo. E'assurdo: come è possibile che le autorità religiose musulmane incitino gli Arabi ad azioni antisemite?

Li esortano a lottare contro sé stessi, ad essere nemici di sé stessi? (Tra l'altro non tutti gli Arabi sono musulmami e non tutti i maomettani sono Arabi, ma questa è una sottigliezza). Infatti Arabi, Ebrei ed Aramei sono popoli che appartengono al gruppo linguistico semitico, come sa ogni glottologo. Lo ignora, invece, Fini, come molti altri. […]

Forse è veniale in lui questa confusione tra antiebraismo ed antisemitismo, confusione in cui tanti (persone comuni, "giornalisti", commentatori, esperti a vario titolo) incorrono? No, penso che non sia veniale”.


Se le parole hanno un significato, non si possono impiegare a vanvera. Vero, Marco?

Circa gli Ebrei, non potendo entrare nel merito della loro origine, argomento molto complesso, consiglio di leggere il fondamentale saggio dello storico Flavio Barbiero intitolato “La Bibbia senza segreti” (Qui una sintesi tratta dalla prestigiosa rivista “Episteme”). Il Professor Barbiero vede negli Apiru (che letteralmente dovrebbe valere “ostaggi”) un crogiolo di tribù medio-orientali cui Moses diede identità nazionale e religiosa.

Riporto un illuminante osservazione dello studioso: “Gli Ebrei - pur certamente conservando, almeno fino a Giacobbe, qualche conoscenza di una delle lingue hurrite, che doveva essere stata la loro originale - adottarono una lingua diffusa in Palestina assai prima che vi giungesse Abramo; più precisamente [...] la lingua parlata dai Cananei e questa viene definita oggi ebraico. Quale lingua parlassero al tempo della residenza in Egitto non è dato sapere, ma tornarono certo al cananeo dopo il ritorno in Palestina, per adottare infine l'aramaico durante l'esilio babilonese.. Ciò che è curioso sottolineare, per i meno esperti di tali questioni, è che col nome di 'Semiti' viene attualmente indicato un certo numero di popolazioni, distribuite dalla Mesopotamia all'Etiopia, il cui denominatore comune è costituito dall'affinità con l'ebraico delle loro lingue. Vale a dire che l'affinità è quindi soltanto di natura linguistica e non razziale, con una peculiare conseguenza. Infatti l'ebraico, coincidendo appunto con il cananeo, bisognerebbe piuttosto parlare allora di Camiti, visto che i Cananei, al pari di tutti i popoli che abitavano la Palestina prima dell'arrivo di Abramo, sono detti chiaramente dalla Bibbia stessa discendenti di Cam. Se vogliamo usare in modo preciso le indicazioni della Bibbia, dobbiamo concludere che l'ebraico attuale è una lingua camita, non semita. E il bello, a distruggere ulteriormente la base della terminologia corrente a proposito di semitismo ed anti-semitismo, è che Abramo era verosimilmente, come già asserito, un ariano!”

Alessio De Angelis identifica gli Ebrei con la misteriosa gente nota come Hyksos.

Il Professor Mauro Biglino, sulla scorta di Kramer e Proebel, ha ventilato l’ipotesi secondo cui i Semiti potrebbero provenire dai Sumeri.

Non manca chi tende a riconoscere negli Ebrei di oggi i discendenti dei Khazari.

Ulteriori indagini genetiche e glottologiche nonché gli scavi in loco potranno gettare un po’ di luce su una questione molto intricata. Ha ragione René Guénon quando osserva che è impresa quasi impossibile ricostruire la storia umana antecedente al VI sec. a. C. Tuttavia studi tenaci ed interdisciplinari portano talora a qualche risultato: ad esempio, archeologi e studiosi delle religioni hanno ormai concluso che YHWH fu uno fra i numerosi dei medio-orientali, assurto poi, pur dopo molte titubanze e retromarce, a divinità nazionale degli Apiru, come Huitzilopochtli per i Mexica.

Da un punto di vista etnico, lo storico Garbini, lo stesso Barbiero et al., anche se con diverse sfumature, ritengono che i Giudei del periodo precedente l’esilio e la cattività babilonese fossero il risultato di una mescolanza tra genti medio-orientali ed Indoeuropei.

Questi a grandi linee i termini del problema su cui non indugiamo, poiché ce ne siamo già occupati. Perciò rimandiamo chi vorrà approfondire il soggetto agli articoli collegati.

Da questa panoramica si comprende che il vocabolo “anti-semita” è adoperato spesso in modo erroneo o casuale e soprattutto prestestuoso per demonizzare il dissenso. Non si tratta di essere “amti-semiti”, ma di condannare i crimini che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono scelleratezze militari e governative. Non importa se le atrocità siano perpetrate dall’esercito israeliano, statunitense, italiano, russo, francese, tedesco, turco, egiziano, del pianeta Papalla etc., dal Mossad, dalla C.I.A., dall'MI6., dall’I.S.I… Sono sempre atrocità e, in quanto tali, vanno denunciate e rese note. Non si è animati da astio contro le nazioni che sono spesso vittime: la loro colpa maggiore è semmai di bersi le menzogne dei “politici” e dei loro servili e vigliacchi portavoce, i “giornalisti”.

E’ un dato incontrovertibile: i popoli sono schiacciati e circuiti pressoché ad ogni latitudine, sebbene con diversa pressione. Certo, i cittadini spesso degenerano in sudditi ignavi, indifferenti o in accaniti sostenitori – in modo inconsapevole – dei loro carnefici. Bisogna ammettere, però, che tali sono a causa di una martellante e vergognosa propaganda, spacciata per “giornalismo”.

Il Dottor Preve, prima di scrivere il suo delirante, grottesco, sconclusionato, involontariamente comico articolo, preceduto da un farneticante ed oltraggioso titolo, si sarebbe dovuto documentare ed avrebbe almeno dovuto consultare un buon dizionario della lingua italiana.

Si chiede troppo. Documentarsi? Consultare? Lingua italiana? Parole del tutto incomprensibili per lo stuolo di imbrattacarte che potrebbero imparare molto, se solo avessero un briciolo di intelligenza, anche dal più scalcinato dei graffitari.

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Friday, May 10, 2013

Gesù o Barabba? No, Gesù è Bar Abba

http://zret.blogspot.co.uk/2013/05/gesu-o-barabba-no-gesu-e-bar-abba.html

Gesù o Barabba? No, Gesù è Bar Abba

Gesù o Barabba?” è un recente articolo del Professor Francesco Lamendola. Il titolo dilemmatico del testo preannuncia una riflessione sulla dicotomia tra bene e male. Confesso che gli argomenti dell’autore e soprattutto lo spunto evangelico per l'esposizione delle idee mi lasciano dubbioso. Come ho scritto in altri occasioni, la Storia ha la sua dignità e si rischia di incorrere in luoghi comuni, allorquando una riflessione morale, pur profonda, eclissa il rigore metodologico.

L’antitesi tra Gesù e Barabba e l’attribuzione agli Ebrei della crocifissione di Cristo sono da un punto di vista storico destituiti di fondamento: non ripeterò quanto già osservato in parecchi articoli, tra cui segnatamente “Uno o due Messia?”, limitandomi a rammentare che, se Bar Abba fu un uomo che davvero visse nella Palestina del I secolo, fu il Messia di Aronne, non un malfattore.

Né è necessario ribadire che il processo di Gesù fu celebrato dai Romani per volontà dei Romani, come ha dimostrato, tra gli altri, Samuel Brandon, in un suo eccellente saggio, "Il processo di Gesù", il cui errore consiste nella mancata individuazione dei due Messia. E’ tuttavia un malinteso che solo negli ultimi decenni è stato superato, grazie ad esegeti che sono riusciti a sbrogliare l’intricata matassa evangelica. Questi biblisti hanno afferrato il filo sottile che ha permesso loro, pur tra mille difficoltà, di scovare le tracce del Messia sacerdotale, contraffatto nelle sembianze di un assassino.

Fra questi ricercatori il più meticoloso mi pare Giancarlo Tranfo al cui saggio “La croce di spine” rinvio per ogni ragguaglio in merito. Davvero commendevole l’operato di questo novello Teseo che, non perdendosi nel dedalo delle ricostruzioni, analisi, fonti, polemiche…, ha ricostruito uno scenario plausibile della Palestina nel I secolo, dilaniata da discordie, tumulti e guerre.

Comprendo l’istanza etica e l’afflato spirituale che animano la pur bella pagina del Professor Lamendola, ma se intendiamo stigmatizzare la vocazione per il male, credo sia più consono riferirsi alle potenti famiglie non tutte ebraiche (meglio khazare) che oggi, nel silenzio complice dei media istituzionali, martoriano l’umanità ed il pianeta. Gli Ebrei descritti nei Vangeli furono ora dei rivoluzionari, ora dei collaboratori di Roma, ora degli iniziati (gli Esseni?) etc., ma non gli accusatori che incriminarono Cristo e lo condannarono a morte.

Restano – è naturale – le abissali domande sulla presenza del male e sul motivo per cui molti uomini decidano(?) di pervertire la propria natura, dando l’assenso alla più ignominiosa scelleratezza. Si può aprire una digressione qui circa la spaventevole degradazione che hanno subìto gli stessi malvagi: infatti, se nei secoli passati, i pravi o erano dei delinquenti comuni o degli uomini nella cui malizia brillava tuttavia una grandezza, oggi molti individui sembrano indulgere ai più luridi vizi e delitti (la calunnia, l’aggressione squallida e gratuita, l’invidia più livida, l’incontinenza più sfacciata…). Il male che essi incarnano è meschino, miserabile, infimo. Un esempio: Alessandro il Macedone fu uomo impulsivo, lussurioso e crudele, ma capace di sognare in grande, intrepido e mosso talora da nobili passioni. Oggigiorno una figura come Barack Obama (al secolo Barry Soetoro) è una nullità che trasuda laidezza, ipocrisia e codardia da ogni poro. Un tempo sulle strade i viandanti erano assaliti dai briganti; oggi si è aggrediti da ribrezzosi personaggi che si compiacciono del turpiloquio e della loro irredimibile bassezza.

Si accennava ai quesiti cruciali che si pone l’ottimo Professor Lamendola: egli reputa che l’opzione per il male dipenda dall’ignoranza di sé stessi, da un’elusione del gnòti sautòn. Non saprei: il tema, più che complesso, mi pare inestricabile. Nondimeno, ben vengano gli interrogativi che l’autore lancia, a guisa di dardi rapidissimi di cui non si sa se centreranno il bersaglio o no. Come sempre, sono preferibili le domande acuminate alle nostre spuntate risposte.


Friday, August 12, 2011

La misteriosa morte di Dante

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La misteriosa morte di Dante

Dante Alighieri (1265-1321) morì di malaria o fu ucciso? Il sospetto che Dante fu eliminato serpeggia da un po’ di tempo e, per quanto mi consta, è stata la narratrice spagnola Matilde Asensi ad insinuare che la scomparsa del sommo poeta fu la conseguenza di una trama. L’autrice nel romanzo intitolato “L’ultimo Catone”, affida ad un Guardiano della Vera Croce il compito di inoculare il dubbio nella protagonista, Suor Ottavia Salina, convocata dalle alte gerarchie del Vaticano per decifrare un tatuaggio inciso sul cadavere di un Etiope ritrovato in Grecia.

Lo Staurophylakos (Custode della Croce) sottolinea che Dante si era inimicato papa Bonifacio VIII (al secolo Benedetto Caetani), per aver tuonato contro la sua scandalosa condotta simoniaca. Ricorda poi che passò a miglior vita la notte tra il 13 e 14 settembre del 1321. Era stato inviato come messo a Venezia dal mecenate Guido Novello da Polenta: di ritorno dall’ambasceria, attraversando le lagune della costa adriatica, il “Ghibellin fuggiasco” contrasse le febbri malariche e morì. Il 14 settembre è il giorno della Vera Croce.

Addirittura Francesco Fioretti ha costruito un’intera storia, “Il libro segreto di Dante”, 2011, sul presunto assassinio dell’Alighieri. E’ tuttavia un libro ingarbugliato e pretenzioso, scritto in modo incolore (alla Dan Brown): così, invece di gettare un barlume sulla questione, la banalizza per fini di commerciale intrattenimento. Quindi non ci è di nessun aiuto per provare a sciogliere l’enigma, mentre è più utile il cenno nel titolo dell’Asensi, la cui indagine esoterica è imperniata sul significato simbolico della Croce.

La traccia che si può seguire si riferisce al giorno in cui Dante morì, il 14 settembre, dì dell'Esaltazione della Santa Croce, festività della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e di altre confessioni cristiane. In essa si commemora la croce sulla quale fu inchiodato il Messia. La ricorrenza è generalmente collocata il 14 settembre, giorno in cui celebra la consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Come è noto, la Croce è pure simbolo templare: che Dante fosse un cripto-templare è probabile. La Croce è il più universale dei simboli primari: rappresentando il punto di intersezione tra su e giù, destra e sinistra, implica l’unificazione del dualismo nella totalità. Può assumere valenza sia spaziale sia temporale. Si riferisce a situazioni cronologiche nella cultura dei Sumeri.

Dante era un pitagorico, forse un appartenente alla Confraternita dei Fedeli d’Amore: il suo sapere, in cui erano amalgamate la tradizione esoterica cristiana, quella islamica ed ebraica, trasmesse da una catena di precedenti maestri, si coagula nell’insegnamento anagogico ed ermetico della Commedia, capolavoro cifrato che lascia trasparire simboli poi confluiti, tra gli altri, soprattutto nei Rosacroce, esponenti cinquecenteschi di un antichissimo cenacolo di iniziati.

La Rosa è emblema che nella "Commedia" assurge a notevole rilievo, il cui valore, insieme con quello di altre immagini e dei numeri, fu studiato da René Guénon nel saggio “L’esoterismo di Dante”. Di solito la “candida rosa” descritta nel Paradiso è interpretata come emblema dell’Amore celeste. La Rosa simboleggia il Centro, la Verità, il Cuore, l'Eros mistico ("Eros" è anagramma dei termini francesi ed inglesi "rose"). Nel rosone delle chiese romaniche e gotiche si fondono adombramenti cosmico-cronologici e spirituali.

Che il Nostro fu vittima di una congiura, forse nell'ambito della persecuzione contro i Templari, è ipotesi percorribile, benché gli indizi (la morte tra il 13 ed il 14 settembre, il nascondimento degli ultimi tredici canti del “Poema sacro”, l’appartenenza di Dante ad una cerchia di adepti…) siano , ad oggi, molto labili per tentare di stabilire la verità.

Fonti:

M. Asensi, L’ultimo Catone, 2001, p. 447
Enciclopedia dei simboli, a cura di H. Biedermann, Milano, 1991, s.v. croce e rosa.
R. Guénon , L’esoterismo di Dante, passim, 1925
F. Lamendola, L'esoterismo di Dante, 2010

L. Pirrotta, Dante ed i Fedeli d'amore

Saturday, July 9, 2011

Leopardi satanista o ottimista? (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2011/07/leopardi-satanista-o-ottimista-prima.html

Leopardi satanista o ottimista? (prima parte)

Giacomo Leopardi era un satanista. E’ questa la vulgata con cui si bolla l’ultima fase poetica del Recanatese. Lo strale critico centra, come è noto, l’incompiuto Inno ad Arimane, il componimento dove l’autore celebra con feroce sarcasmo il dio delle tenebre. Si vede nell’Inno l’approdo di una filosofia “pessimista” che appunto culmina nell’empio panegirico della divinità incarnante, nella tradizione mazdea, il male.

Lo sostiene, ad esempio nell’articolo "Leopardi, cantore di Arimane, è il campione di un satanismo disperato, ma lucido e coerente", 2008, il Professor Francesco Lamendola. E’ di un parere simile Lorenzo Venza nel breve testo intitolato Leopardi arimanico e l’inno alla religione exoterica, 2011. Va riconosciuto che, come sempre, il Professor Lamendola avvince, con la sua prosa efficace, anche se non mi convince del tutto, laddove il Dottor Venza, a causa di un andamento e di un linguaggio sciancati, non mi persuaderebbe neanche qualora io pensassi possa aver ragione.

A mio avviso, il carattere frammentario del cantico, onde non sappiamo come Leopardi l’avrebbe compiuto, già scagiona almeno in parte l’autore dalla taccia di satanismo. Sarebbe come giudicare le capacità artistiche di uno scultore solo da una statua da lui abbozzata. Inoltre l’amara ironia con cui è incensato Arimane è la prova che il Nostro allude il contrario di quanto scrive.

Alcuni versi poi sono inequivocabili: “Ma l'opra tua rimane immutabile, perché p. natura dell'uomo sempre regneranno. L'ardimento e l'inganno e la sincerità e la modestia resteranno indietro e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec….Pianto da me per certo Tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà ec. Ma io non mi rassegnerò ec”.

Vi immaginate un adoratore del demonio che ne tesse l’elogio in modo beffardo o che ne decanta i demeriti, interpretandoli come tali e non come luciferine virtù? Vi immaginate un adoratore del demonio che ne maledice il nome e che non intende rassegnarsi al suo funesto potere? Ancora una volta, vi vedrei il titanismo leopardiano, la virile ed eroica sfida alla Natura che connota, verbigrazia, il canto "La Ginestra" ed il "Dialogo della Natura e di un Islandese".

Non si può negare che tra le righe dell’Inno serpeggi alcunché di blasfemo. Il Professor Lamendola nota a tale proposito: “Quella delineata nell'inno Ad Arimane, si badi, non è semplicemente una forma di adorazione del Diavolo: è la proclamazione che solo il Diavolo esiste, e che la creazione è totalmente e interamente malvagia. Non si tratta né di nichilismo, né di satanismo contrapposto al teismo, ma di un monoteismo diabolico, che esclude qualunque idea di bene dalla faccia del mondo”.

Così il “pessimismo” (logora categoria, ma tant’è) di Leopardi sfocerebbe in un “monoteismo diabolico”, nella descrizione di un universo in cui non balugina neppure una speranza di redenzione. Si è che Leopardi fu, checché ne opinino altri, pensatore potentissimo (alcune sue analisi della società massificata, allo stadio embrionale a cavallo tra XVIII e XIX secolo, sono esemplari e profetiche): il suo inno è il sigillo di un ateismo, ma di un ateismo problematico e, come quello di Nietzsche, torturato da una nostalgia del divino che si palesa con un’implacabile irrisione della fede.

In verità Leopardi fotografa, per mezzo di una costruzione metaforica, questa realtà, questa dimensione e chi potrebbe contestare che le cose si svolgono grosso modo come egli le immortala?

“Produzione e distruzione ec. per uccidere partorisce ec. sistema del mondo, tutto patimen. Natura è come un bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e disperazioni: amore. […] taccio le tempeste, le pesti, ec. tuoi doni, che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci.

E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l'opra tua rimane immutabile, perché p. natura dell'uomo sempre regneranno. L'ardimento e l'inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec.[…] Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso ec.[…]


Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? L'amore? Per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato ec.?”

Chi – ribadisco – potrebbe contestare che la natura, di là dalle sue parvenze amene, non è basata su un ciclo di creazione- distruzione? Chi potrebbe negare la presenza del male nelle forme evocate dal poeta che si spinge persino a demolire il sogno di un rinnovamento sociale utopico e ferale? “E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione”.


Monday, June 20, 2011

Segnati

http://zret.blogspot.com/2011/06/segnati.html

Segnati

In un recente articolo, “Saper leggere i ‘segni’ vuol dire essere desti e consapevoli”, 2011, il Professor Francesco Lamendola si chiede per quale motivo l’uomo, soprattutto quello odierno, non sappia cogliere gli indizi di cambiamenti decisivi. Chi sa cerca di non pensarci e chi non sa vive tranquillo... per ora. Come se non bastasse la schiacciasassi del presente, ci mancava il macigno del futuro, masso che sta pericolosamente in bilico sullo scrimolo. Così fingiamo spesso di non capire e di non vedere. Lasciamo i segni nel solaio delle coincidenze. Sia quel che sia. Forse è un errore, ma anche i più accorti possono essere colti di sorpresa, specie se gli eventi sono imponderabili ed epocali. Salvarsi la pellaccia e dopo?

Qualcuno, dopo aver ottenuto un paio di risultati, crede che si possa cambiare il corso della storia umana. Forse la condanna è stata procrastinata. Ormai non si sopravvive neppure: si vivacchia. Qualcuno attende la grande trasmutazione cosmica, l’ascensione additata dai profeti della nuova età: è possibile che davvero il tempo in cui bivacchiamo stia per essere rigenerato, che il cosmo stesso stia per subire una palingenesi energetica. Qualche segnale lo lascerebbe supporre, ma da qui ad averne la certezza, ce ne passa.

Altri addita la punizione futura per un’umanità di peccatori. Ai flagelli consueti (carestie, pestilenze, terremoti…), i vati alla Savonarola aggiungono altri velenosi ingredienti: una tirannide planetaria ed un bel microprocessore sottocutaneo. Gli uomini diverranno automi e, invece dell’Inferno, dopo la fine, li attenderà la discarica dei rottamatori..

Intanto i giorni si consumano in un’attesa spasmodica in cui la speranza si mischia allo sgomento, come di chi è ormai sul punto di toccare la vetta: dinnanzi a sé si staglia la meta tanto agognata, ma, non appena si guarda indietro, vede l’abisso spaventoso. Un passo falso e…

A che ora è la fine del mondo? Fine del mondo? No, fine di questo folle girotondo, di questa altalena tra dolore e disgusto, della giostra grottesca che ruota attorno ad un perno arrugginito, sempre più cigolante. Ci domandiamo se troveremo un centro, un ubi consistam, una condizione grazie alla quale tutti gli errori e gli orrori possano essere riscattati.

Siamo frastornati da troppe situazioni contraddittorie, da forze eguali ed opposte che ci paralizzano nel fatalismo, ora fiducioso ora disperato. Non sappiamo nulla perché conosciamo troppo: abbiamo accumulato dati e notizie, ma che assomigliano alle foglie secche dell’apologo narrato da fra Galdino nei “Promessi sposi”.

Siamo segnati e rassegnati, persi in sogni larvali o attanagliati da una disperazione cinica, fredda. Siamo avvezzi a tutto: l’orrore è catodico, il sangue è acrilico, la miseria colpisce gli altri. Ci arrabattiamo, mentre proviamo a schivare i colpi di un destino – anche il fato si è imbastardito – che colpisce alla cieca.

Nei rari momenti di saggezza, ci ripetiamo una frase di Seneca: “Fortuna opes potest auferre, non animun”, “La sorte può portarci via i beni materiali, non la coscienza”. Sapessimo solo che cos’è la coscienza in questa società incosciente ed insipiente. Sapessimo che cos’è la coscienza, ora che scialiamo e scialacquiamo le ultime monete di consapevolezza. Siamo fagocitati dal materialismo ed il residuo barlume dell’anima è poco più di un fuoco fatuo. Egoisti ed impreparati, crediamo di evitare la morte ed il verdetto, ignorandoli.

Siamo sinceri: saremo fortunati, se morremo, senza aver troppo sofferto.


Thursday, December 9, 2010

Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero (articolo del Professor Francesco Lamendola)

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Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero (articolo del Professor Francesco Lamendola)

Pubblico un pregevole articolo del Professor Francesco Lamendola. Il lavoro, trascelto nell'amplissimo e cospicuo novero dei suoi studi, inerisce alla teoria dei colori elaborata da Johann Wolfgang Goethe. L'autore, nell'illustrare il tema, sottolinea la dicotomia tra la scienza accademica e la conoscenza poetica di cui fu interprete l'inclito intellettuale tedesco. La piega che ha preso la ricerca scientifica è alla radice di molti mali che affliggono l'umanità: vi soggiace una razionalità profondamente irrazionale il cui apogeo è la follia battezzata "operazione scie chimiche". A proposito di colori, non è fortuito se, in questi ultimi lustri, siamo stati privati dell'azzurro, la frequenza (per usare un termine settoriale) che non solo è sintonizzata con il D.N.A., la macromolecola della vita, ma che è pure la tinta spirituale per eccellenza. Sul "colore" e sul "cielo", lessemi che hanno la medesima radice, si potrebbe indugiare a lungo, risaltandone le caratteristiche fisiche, accanto ai significati simbolici ed esoterici. Il discorso a proposito dei valori cromatici ci porta ad interrogarci sull'occhio: davvero questo meraviglioso organo è solo il frutto di un'evoluzione casuale o non è forse la manifestazione di un misterioso disegno? Spesso ci chiediamo perché non avvengano miracoli: eppure spalancare gli occhi ed ammirare la tavolozza dell'arcobaleno è un miracolo. Purtroppo non tutti possono vedersi compiere questo prodigio...

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è stato giustamente definito come l’ultimo genio rinascimentale: non solo grande poeta, ma pittore, scienziato, pensatore. Un lato dei suoi interessi culturali e scientifici, che gli illuministi, i positivisti e i loro attuali eredi non gli hanno mai potuto perdonare, è quello rivolto al mistero e al soprannaturale; fra le altre cose, egli si accostò con sincero interesse alle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg, dileggiato – invece - da filosofi come Kant: segno di una indipendenza di giudizio e di una apertura sul reale a trecentosessanta gradi, insofferente di ogni moda e di ogni pregiudizio.

Goethe fu anche autore di opere scientifiche, che già ai suoi tempi incontrarono perplessità e incomprensioni e che, a tutt’oggi, rimangono pressoché ignorate dal grande pubblico, se non come documenti di una personalità indubbiamente ricchissima, ma in certo qual modo anacronistica; solo i suoi biografi si sono presi la briga di studiarle, a parte dagli antroposofi che, sulle orme di Rudolf Steiner, ne hanno fatto una componente essenziale delle loro concezioni cosmologiche, psicologiche e pedagogiche.

Gli interessi scientifici di Goethe andavano dalla botanica, alla mineralogia, alla fisica; ma è nel campo dell’ottica che egli diede il meglio di sé, scrivendo, in polemica contro Newton, quella «Teoria dei colori» («Zur Farbenleher»), che, pubblicata a Tubinga nel 1810, avrebbe dovuto consacrare, nelle sue intenzioni, un nuovo modo di intendere non solo l’ottica e la fisica, ma la scienza in generale; e che, invece, non scosse affatto l’establishment scientifico del tempo, né, tanto meno, come si è detto, quello a noi contemporaneo.

In che cosa consiste la novità della concezione scientifica di Goethe? Nel fatto che, in opposizione al modello dominante della cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, per essa il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura ai voleri dell’uomo (secondo la famigerata formula baconiana «sapere è potere»), bensì di ascoltarla amorevolmente, di porsi in sintonia con essa e di ritrovare, attraverso la meditazione su di essa, la via perduta dell’unità con tutte le cose (e qui traspare un certo influsso non solo delle teorie di Swedenborg, ma anche del panteismo di Spinoza).

La polemica antinewtoniana sulla natura della luce e dei colori non è che un caso esemplare di questa nuova concezione goethiana delle finalità e della stessa essenza del sapere scientifico: perché, per Goethe, il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente, ma anche un'elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente. Fenomeno attivo e non solo passivo, di cui entrano a far parte la psicologia, la simbologia, la spiritualità; ed è quasi inutile evidenziare come in tale concezione vi sia, «in nuce», anche l’approccio cromoterapico alla malattia, non a caso esso pure bandito dal filone principale della scienza accademica contemporanea.

L'articolo continua qui.



Saturday, May 22, 2010

A proposito della questione sull’autenticità dei "Protocolli dei Savi Anziani di Sion" (articolo di Francesco Lamendola)

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A proposito della questione sull’autenticità dei "Protocolli dei Savi Anziani di Sion" (articolo di Francesco Lamendola)

Nell'articolo sui "Protocolli dei Savi Anziani di Sion", il professor Francesco Lamendola affronta, con il consueto equilibrio, un tema molto spinoso. L'autore, dopo aver ripercorso la fortuna dei Protocolli, dalla loro comparsa nella Russia dello czar Nicola II Romanov, esamina la portata del libro, inquadrando la questione nell'ambito degli studi inerenti alla cospirazione globale. Esemplare è il discorso circa le fonti cui possono attingere solo gli storici accademici, laddove gli studiosi che desiderano addentrarsi negli oscuri meandri della storia vera, debbono accontentarsi di indizi, parallelismi, "coincidenze", giacché è fatale che i burattinai non lascino documenti scritti.

Circa i famigerati Protocolli, ferve il dibattito sulla loro paternità: alcuni li attribuiscono alla polizia segreta russa, altri ai Sionisti, altri ancora ai Gesuiti. Stabilire chi li vergò è esercizio ozioso: piuttosto se ne può verificare, punto per punto, la plausibilità, quando, ad esempio, l'ignoto autore descrive i piani politici ed economici della feccia satanista. Chi guardi all'odierna situazione della Grecia, preludio di altri tumultuosi eventi, vedrà nei Protocolli il canovaccio (trama, si potrebbe scrivere con intento anfibologico) di quanto sta accadendo oggigiorno. Anche il continuo e gattopardesco "ricambio" delle classi dirigenti, in cui ad una generazione di corrotti ne subentra un'altra illibata solo all'apparenza, ma in verità ancora più immorale, è una strategia illustrata nei Protocolli.

Dunque l'analisi di questo testo è illuminante, sebbene resti poi da scrutare il vertice della Piramide. E' come, infatti, se si potessero scorgere da lontano le pendici di una gigantesca montagna, mentre la vetta è sottratta alla vista, a causa di dense e spesse nubi che la nascondono. Così si può soltanto tentare di indovinare la forma e le dimensioni della cima. Ad ogni modo, non ci sbaglieremo, se collocheremo al culmine del potere gli Arconti: su costoro sappiamo poco, ma è certo, piaccia o no, che non sono uomini.

Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia d’Europa (la prima traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i «Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare l’attenzione degli storici, dei politologi e dell’opinione pubblica intorno alla controversia sulla loro autenticità. Il libro, apparso nella Russia di Nicola II all’interno di un’opera più vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un “grande vecchio” che rivolge le sue parole ad un’assemblea di anziani ebrei, esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria vastità di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla sottomissione del mondo da parte degli Ebrei, il “popolo eletto”.

Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta colonna nelle società cristiane e segnatamente nei centri del potere economico, finanziario, culturale e dell’informazione, gli Ebrei - stando a questo testo - si porrebbero l’obiettivo dichiarato di indebolire la fibra morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni, fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un frutto maturo, in potere dell’ebraismo internazionale, che agisce per mezzo di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della cultura.

Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del bagaglio propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda, del fascismo, ma solo all’epoca delle leggi razziali del 1938), con tutto quello che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno liquidato l’intera questione della loro autenticità, dichiarandoli un falso confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista, probabilmente a Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per i “pogrom” che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in Polonia.

Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa, come già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la loro non autenticità, venisse a cadere interamente l’altra questione, ad essa collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie per il nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano corrispondere a fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge ebraica e con il sentire ebraico nei confronti dei “gojm”, dei Gentili.

L'articolo continua qui.


Monday, April 12, 2010

Un abitante di Carcosa

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Un abitante di Carcosa

Ambrose Bierce (1842-1914?), giornalista e scrittore statunitense, è uno fra i maestri del racconto noir in cui la crudeltà, il grottesco. l'assurdo diventano criteri estetici. La sua produzione letteraria, molto copiosa, comprende ricordi della guerra civile cui partecipò giovanissimo, scritti giornalistici (articoli, saggi, appunti di viaggio, pamphlets...), caustici aforismi confluiti nel volume The Devil's dictionary, racconti gotici e fantastici riuniti in alcune crestomazie. Spirito sempre inappagato ed irrequieto, Bierce partì ultrasettantenne per il Messico insanguinato dalla rivoluzione con l'intento di intervistare Pancho Villa, ma fu fagocitato dal deserto. Nessuno è mai riuscito a stabilire quale fu la sua fine.

La novella più nota di Bierce è “Accadde al ponte di Owl Creek” (1891), una storia il cui protagonista sfiora, in un'analessi onirico-surreale, il limitare tra la vita e la morte. Da "Accadde al ponte di Owl Creek" fu tratto un episodio della serie televisiva “Ai confini della realtà” e persino una storia a fumetti.

"Un abitante di Carcosa" (1886) è un breve racconto in cui un uomo della città di Carcosa, considerando le parole del filosofo 'Hali' sulla natura della morte, vaga attraverso un deserto sconosciuto. Egli non sa come sia giunto lì, ma ricorda che era infermo a letto. Comincia ad essere angustiato, pensando di aver vagato fuori di casa in uno stato di incoscienza. Quindi osserva il paesaggio circostante, mentre freddi brividi gli percorrono la pelle. Si imbatte poi in una lince, in un gufo ed in uno strano uomo vestito di pelli e che porta una torcia. Per la prima volta, il protagonista si rende conto che deve essere notte, anche se può vedere tutto intorno a sé, come se il paesaggio fosse rischiarato dalla luce diurna. Scorge un boschetto che nasconde un cimitero di molti secoli addietro. Guardando le lapidi che una volta si ergevano presso le tombe, vede il suo nome, la data della sua nascita e del suo decesso. Si accorge allora che egli è morto: in lontananza si stagliano le rovine della 'città antica e celebre di Carcosa'. Una nota in calce al testo ricorda: "Questi sono i fatti comunicati al medium Bayrolles dallo spirito di Hoseib Alar Robardin".

L'intreccio è sviluppato in un crescendo di tensione che rimanda in modo parossistico la sconcertante scoperta finale. Il breve flash back, con cui il narratore autodiegetico rammenta quando era malato ed in preda al delirio, si fonde nelle descrizioni di uno scenario autunnale, popolato di simboli arcani (il rapace notturno, la lince e l'uomo con la teda). I motivi della letteratura gotica (si pensi ad Edgar Allan Poe) si avvivano attraverso particolari incongrui: alla luce del giorno il protagonista può scorgere le stelle, il canto barbaro dello straniero, il tronco che non getta alcuna ombra, pur essendo l'alba, il senso di esaltazione fisica e mentale..., nonostante il silenzio gelido e lo spaventoso abbraccio di rami spogli tutto intorno.

Questi tratti proiettano le vicende in una dimensione liminare, in cui l'abbacinante buio della fine confonde la ragione ed i sensi. Il tempo lineare si sfilaccia e s'attorciglia sicché la morte precede l'esistenza e la nascita stessa. Siamo quel che non fummo. La vita pare il sogno di un febbricitante, una reverie che dirama i percorsi di un vissuto fatale. E' il paradosso di un'esperienza i cui confini sono sconfinati e dove la consequenzialità logica si impiglia nel dedalo di una contemplazione stranita. E' questa la morte o il suo romanzesco preludio?

Con stupore, ma senza nostalgia per un mondo per sempre tramontato, il protagonista, in una sgomenta profondità di campo, mentre "un coro di lupi ulula, salutando l'aurora", fissa
"sulla sommità di irregolari colline che si estendono fino all'orizzonte, i ruderi dell'antica e celebre città di Carcosa".

Fonti:

Enciclopedia della Fantascienza, Milano, 1980, s.v. Bierce
F. Lamendola, La foresta insanguinata e il corpo senz'anima. Riflessioni sull'opera di A. Bierce, 2007



Thursday, March 11, 2010

In edicola il numero 17 di "X Times"

http://zret.blogspot.com/2010/03/in-edicola-il-numero-17-di-x-times.html

In edicola il numero 17 di "X Times"

E' in edicola il numero 17 della rivista "X Times". Vorrei segnalare, tra i vari articoli della pubblicazione, senza nulla togliere agli altri contributi, il dossier sulle apparizioni "mariane" in Egitto e l'articolo del Professor Francesco Lamendola, Possessione aliena.

Leggi qui il sommario degli articoli e l'editoriale della Direttrice, Dottoressa Lavinia Pallotta.





Sunday, September 13, 2009

Status quo

http://zret.blogspot.com/2009/09/status-quo.html

Status quo

Un'analisi essoterica

Come l'amico Corrado, anch'io mi chiedo spesso come sia possibile che molti siti considerati di informazione non allineata, tacciano sulle scie chimiche e su soggetti altrettanto scabrosi, benché pubblichino articoli su temi sgraditi al sistema (ad esempio, il pericolo costituito dalle vaccinazioni e dall'energia nucleare).

Si può ipotizzare che manchi una presa di coscienza o che si tenda a chiudere gli occhi di fronte a verità in grado di stravolgere la propria visione del mondo. E' possibile che, in realtà, questi portali siano specchietti per allodole: si pubblicano ricerche sui vaccini, sugli organismi geneticamente modificati..., con la certezza che, nel migliore dei casi, i lettori firmeranno un'inutile petizione. Intanto gli impianti per la produzione dell'energia atomica sorgono da per tutto e veleni di ogni tipo sono inoculati con le siringhe rigorosamente sterilizzate. No. Non credo si tratti neppure della paura nutrita nei confronti dei potenti, di timore per le loro minacce e ritorsioni. Il sistema prevede un margine di "dissidenza" che non solo non intacca lo status quo, ma lo consolida.

L'opposizione viene incanalata verso terreni istituzionali, un po' alla volta viene anestetizzata, fino a quando non le è sottratta la vigoria che la animava all'inizio. Vediamo un esempio. Possiamo pensare che Bario Tozzi sia davvero contrario al nucleare? E' solo una sceneggiata: con la sua finta opposizione acquisisce la stima ed il sostegno di chi comprende quali sono i rischi per l'ambiente e per gli esseri viventi. Creatosi una buona reputazione, può continuare a nascondere l'operazione scie chimiche, a pronunciare aspre invettive contro il biossido di carbonio e tutto rimane com'è, anzi peggiora di giorno in giorno. Non mi stupirei se gli "ambientalisti" che tuonano contro gli inceneritori ricevessero congrui compensi dalle società che costruiscono questi impianti. Tanto nessuna protesta, nessuno studio sul pericolo connesso alle nanoparticelle dissuaderà mai un governo dalle sue azioni criminali. Tuttavia una parvenza di libertà e di dialettica viene così preservata e l'opinione pubblica si convince di vivere in una democrazia, per quanto imperfetta. L'importante è proprio questo: evitare che il cittadino compia una rivoluzione copernicana, comprendendo che lo stato non è inefficiente e corrotto, (nondimeno perfettibile), ma il nemico giurato sempre e comunque della nazione. Questa consapevolezza potrebbe cominciare ad incrinare il potere che tanto più si rafforza, quanto più le differenti, eterogenee, disordinate, velleitarie e spesso manipolate forme di contestazione, già in conflitto tra loro, si affannano a mettere alla berlina screditati politici, ma venerando idoli di cartapesta, come grillo, di pietro, travaglio e guitti simili.

Il quadro "culturale" è poi di uno squallore incredibile: in Italia, tra i pochi "intellettuali" che sembrano critici si annoverano figuri come Eco ed Odifreddi, vere nullità, ma sopravvalutate. Recentemente il Professor Francesco Lamendola ha dedicato un articolo ad Umberto Eco: resterà amareggiato il nostro amico, l'ottimo Orsovolante, quando scoprirà che non sono l'unico detrattore del semifreddo semiologo. In verità, il Professor Lamendola è stato fin troppo generoso con codesto fautore di una pedagogia invertita ed esponente del famigerato C.I.C.A.P. Infatti gli ha elegantemente riconosciuto qualche piccolo merito che io piuttosto attribuirei al ghost writer di Eco, ma il giudizio complessivo è una stroncatura senza appello per chi incarna la più spocchiosa ignoranza, dispensata come sublime sapere.

In questa breve riflessione sulle strategie gattopardesche adottate dagli Oscurati e dai loro turpi emissari, concludo con un cenno agli scienziati di frontiera ed ai divulgatori di innovativi filoni di ricerca, nel campo della fisica, della biologia, della chimica etc. Se si esclude qualche eccezione, tra cui spicca l'egregio Professor Nacci, il cui operato meritorio è culminato nella pubblicazione di testi gratuitamente consultabili in Rete sulle terapie anti-tumorali, per il resto mi pare che ci si adoperi per organizzare conferenze e per vendere libri. E' un contributo non disprezzabile, ma poco significativo, poiché non incide sul nostro mondo che abbisognerebbe di una svolta non solo teorica, ma pure pratica.

Ormai stiamo per recitare il De profundis per la "scienza" accademica ancora arroccata su Lavoisier e Darwin, ma si sta formando la nuova accademia della scienza dell'etere. Nella loro torre eburnea, splendida ma lontana dalla realtà, i nuovi ricercatori speculano su campi di torsione, campi morfogenetici, monopoli magnetici, particelle di Dio (sic), geometria sacra…, ma paiono poco inclini a tradurre le acquisizioni teoriche in strumenti ed applicazioni per tentare di invertire il processo degenerativo.

Se la Scienza, intesa in senso lato e nel valore nobile della parola, è senza coscienza, come osservava Tesla e se, aggiungo, non promuove un tangibile cambiamento, permeando di sé gli intelletti, gli strati più sensibili della società e le sue dinamiche, che scienza è? Sarà una costruzione intellettuale bellissima ma astratta. Non intendo affermare che la scienza debba tradursi in tecnologia, intesa come dominio e sfruttamento della natura, perché anzi dovrebbe proprio concretarsi in forme equilibrate per evitare la distruzione della Terra e l'annichilimento delle coscienze, per contrastare i piani di distruzione attuati dalle élites.

In questo ambito, giocano un ruolo negativo i sabotaggi operati dal sistema, (si pensi a come vengono osteggiate le ricerche sulla fusione fredda), ma forse alcune frange della nuova scienza sono gestite e controllate dai potenti affinché ancora una volta ci si illuda che il rinnovamento sia dietro l'angolo, mentre si preparano stragi, guerre, carestie e ladrocini.