L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

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Monday, April 12, 2010

Un abitante di Carcosa

http://zret.blogspot.com/2010/04/un-abitante-di-carcosa.html

Un abitante di Carcosa

Ambrose Bierce (1842-1914?), giornalista e scrittore statunitense, è uno fra i maestri del racconto noir in cui la crudeltà, il grottesco. l'assurdo diventano criteri estetici. La sua produzione letteraria, molto copiosa, comprende ricordi della guerra civile cui partecipò giovanissimo, scritti giornalistici (articoli, saggi, appunti di viaggio, pamphlets...), caustici aforismi confluiti nel volume The Devil's dictionary, racconti gotici e fantastici riuniti in alcune crestomazie. Spirito sempre inappagato ed irrequieto, Bierce partì ultrasettantenne per il Messico insanguinato dalla rivoluzione con l'intento di intervistare Pancho Villa, ma fu fagocitato dal deserto. Nessuno è mai riuscito a stabilire quale fu la sua fine.

La novella più nota di Bierce è “Accadde al ponte di Owl Creek” (1891), una storia il cui protagonista sfiora, in un'analessi onirico-surreale, il limitare tra la vita e la morte. Da "Accadde al ponte di Owl Creek" fu tratto un episodio della serie televisiva “Ai confini della realtà” e persino una storia a fumetti.

"Un abitante di Carcosa" (1886) è un breve racconto in cui un uomo della città di Carcosa, considerando le parole del filosofo 'Hali' sulla natura della morte, vaga attraverso un deserto sconosciuto. Egli non sa come sia giunto lì, ma ricorda che era infermo a letto. Comincia ad essere angustiato, pensando di aver vagato fuori di casa in uno stato di incoscienza. Quindi osserva il paesaggio circostante, mentre freddi brividi gli percorrono la pelle. Si imbatte poi in una lince, in un gufo ed in uno strano uomo vestito di pelli e che porta una torcia. Per la prima volta, il protagonista si rende conto che deve essere notte, anche se può vedere tutto intorno a sé, come se il paesaggio fosse rischiarato dalla luce diurna. Scorge un boschetto che nasconde un cimitero di molti secoli addietro. Guardando le lapidi che una volta si ergevano presso le tombe, vede il suo nome, la data della sua nascita e del suo decesso. Si accorge allora che egli è morto: in lontananza si stagliano le rovine della 'città antica e celebre di Carcosa'. Una nota in calce al testo ricorda: "Questi sono i fatti comunicati al medium Bayrolles dallo spirito di Hoseib Alar Robardin".

L'intreccio è sviluppato in un crescendo di tensione che rimanda in modo parossistico la sconcertante scoperta finale. Il breve flash back, con cui il narratore autodiegetico rammenta quando era malato ed in preda al delirio, si fonde nelle descrizioni di uno scenario autunnale, popolato di simboli arcani (il rapace notturno, la lince e l'uomo con la teda). I motivi della letteratura gotica (si pensi ad Edgar Allan Poe) si avvivano attraverso particolari incongrui: alla luce del giorno il protagonista può scorgere le stelle, il canto barbaro dello straniero, il tronco che non getta alcuna ombra, pur essendo l'alba, il senso di esaltazione fisica e mentale..., nonostante il silenzio gelido e lo spaventoso abbraccio di rami spogli tutto intorno.

Questi tratti proiettano le vicende in una dimensione liminare, in cui l'abbacinante buio della fine confonde la ragione ed i sensi. Il tempo lineare si sfilaccia e s'attorciglia sicché la morte precede l'esistenza e la nascita stessa. Siamo quel che non fummo. La vita pare il sogno di un febbricitante, una reverie che dirama i percorsi di un vissuto fatale. E' il paradosso di un'esperienza i cui confini sono sconfinati e dove la consequenzialità logica si impiglia nel dedalo di una contemplazione stranita. E' questa la morte o il suo romanzesco preludio?

Con stupore, ma senza nostalgia per un mondo per sempre tramontato, il protagonista, in una sgomenta profondità di campo, mentre "un coro di lupi ulula, salutando l'aurora", fissa
"sulla sommità di irregolari colline che si estendono fino all'orizzonte, i ruderi dell'antica e celebre città di Carcosa".

Fonti:

Enciclopedia della Fantascienza, Milano, 1980, s.v. Bierce
F. Lamendola, La foresta insanguinata e il corpo senz'anima. Riflessioni sull'opera di A. Bierce, 2007



6 comments:

  1. Ma tutte le immagini che mette, come mai non c'è mai la menzione del COPYRIGHT???

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  2. Antonio leggiti anche H.P. Lovecraft, cosi' la tua passione per ambienti foschi e' ancor meglio appagata !!!

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  3. @ The Foe-Hammer
    "Antonio leggiti anche...
    E se la smettesse di leggere?
    Forse starebbe meglio!

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  4. "un coro di lupi ulula,...

    http://www.youtube.com/watch?v=7Hz3IEQ1dVM

    Non c'e' altro da dire.

    Saluti
    Michele

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  5. @ Margotti Street

    Forse sarebbe meglio che smettesse di scrivere, non ci e' proprio portato :D

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  6. Un abitante di Carcosa

    A quando "Un abitante di Khrakozia"?

    P.S. Questa è la mia faccia quando vedo certi deliri...

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