http://zret.blogspot.com/2010/04/la-rosa-di-paracelso.html
La rosa di Paracelso
"La rosa di Paracelso" è un breve racconto di Jorge Luis Borges. Vi si narra di un giovane uomo che, desideroso di imparare la magia, si reca a Basilea, da Paracelso affinché possa diventarne discepolo: il giovane offre delle monete d'oro, a testimonianza del suo fermo desiderio di apprendere l'Arte. Paracelso, dopo aver benevolmente biasimato l'aspirante allievo per aver pensato che, con il denaro si possa ottenere la Pietra, rifiuta di esibire un prodigio allo sconosciuto. Costui, infatti, vorrebbe che il maestro facesse rinascere dalle ceneri una rosa che egli ha gettato tra le fiamme. Deluso, il giovane si accomiata. Mentre Paracelso è ormai solo, raccoglie il pugno di cenere in cui si era trasformato il fiore, pronuncia una parola a bassa voce e la rosa risorge.
Il sobrio apologo dell’autore argentino si discosta da altri suoi abissali, ma talora intellettualistici racconti: gli eventi scorrono intrisi di silenzi e di rapidi dialoghi, secondo un ordine cronologico, appena variato dall'analessi con cui si evoca il viaggio compiuto dal giovane e durato tre giorni e tre notti. Lo spazio è appena accennato: della dimora in cui abita Paracelso sono inquadrate una scala a chiocciola, una lanterna ed una poltrona consunta. L'ambiente disadorno consuona con la temperanza del personaggio, i suoi modi pieni di semplice solennità, le parole austere e dignitose.
Il ritratto letterario di Paracelso (al secolo Bombasto Von Hohenmein, 1493-1541), medico, astrologo ed alchimista elvetico, si staglia su una storia che è la riflessione sull'antitesi tra credulità e fede. La credulità è l'impaziente smania di chi pretende il miracolo; la fede è abnegazione, incrollabile testimonianza dell'invisibile. Il maestro, ostinandosi a non compiere il portento, apostrofa l'ospite: "Se lo facessi, tu diresti che si tratta di un'apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Quindi lascia stare la rosa."
Il messaggio è un po' scontato: il conseguimento della Conoscenza è il fine di un percorso lungo e disagevole, è necessario che l'allievo si affidi al maestro senza esitazioni e senza fughe in avanti. Tuttavia il fascino della storia promana da un intreccio svolto con sapiente naturalezza, mentre un’ombra vela la stessa nobile figura dell’esoterista, “tanto venerato, tanto attaccato, tanto insigne e perciò tanto vuoto”.
Con distaccata ironia il narratore giudicante incenerisce il mago, anche se non è tanto vuoto il maestro, ma un sapere che, di fronte agli enigmi imperscrutabili della vita e del cosmo, è pur sempre, nonostante le sue prodigiose conquiste, vanitas.
Il sobrio apologo dell’autore argentino si discosta da altri suoi abissali, ma talora intellettualistici racconti: gli eventi scorrono intrisi di silenzi e di rapidi dialoghi, secondo un ordine cronologico, appena variato dall'analessi con cui si evoca il viaggio compiuto dal giovane e durato tre giorni e tre notti. Lo spazio è appena accennato: della dimora in cui abita Paracelso sono inquadrate una scala a chiocciola, una lanterna ed una poltrona consunta. L'ambiente disadorno consuona con la temperanza del personaggio, i suoi modi pieni di semplice solennità, le parole austere e dignitose.
Il ritratto letterario di Paracelso (al secolo Bombasto Von Hohenmein, 1493-1541), medico, astrologo ed alchimista elvetico, si staglia su una storia che è la riflessione sull'antitesi tra credulità e fede. La credulità è l'impaziente smania di chi pretende il miracolo; la fede è abnegazione, incrollabile testimonianza dell'invisibile. Il maestro, ostinandosi a non compiere il portento, apostrofa l'ospite: "Se lo facessi, tu diresti che si tratta di un'apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Quindi lascia stare la rosa."
Il messaggio è un po' scontato: il conseguimento della Conoscenza è il fine di un percorso lungo e disagevole, è necessario che l'allievo si affidi al maestro senza esitazioni e senza fughe in avanti. Tuttavia il fascino della storia promana da un intreccio svolto con sapiente naturalezza, mentre un’ombra vela la stessa nobile figura dell’esoterista, “tanto venerato, tanto attaccato, tanto insigne e perciò tanto vuoto”.
Con distaccata ironia il narratore giudicante incenerisce il mago, anche se non è tanto vuoto il maestro, ma un sapere che, di fronte agli enigmi imperscrutabili della vita e del cosmo, è pur sempre, nonostante le sue prodigiose conquiste, vanitas.
e quindi ?
ReplyDeleteQuindi ergo!
ReplyDeleteLapalissiano, no?
Saluti
Michele
"Il messaggio è un po' scontato: il conseguimento della Conoscenza è il fine di un percorso lungo e disagevole,"
ReplyDeletezret allora tue tuo fratello non lo avete minimamante capito. Oppure intendi percorso lungo la srada tra la sala e il terrazzino e quello disagevole la seduta scomoda sulla sedia davanti al pc??
Bah, di sicuro la conoscenza per voi è utopia allo stato puro, almeno a giudicare dalle minchiate che scrivete da anni.
Saluti
MarcoB
Non Hanmar, per il duo sanremese si dice Lapallissiamo
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