L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, May 1, 2012

Il colore dei suoni

http://zret.blogspot.it/2012/04/il-colore-dei-suoni.html

Il colore dei suoni

Fu Agostino ad introdurre la lettura silenziosa: tale novità fu non meno radicale dell’invenzione della scrittura, attribuita al dio egizio Thot e deplorata da Platone. Se, da un lato, la lettura acquisì una dimensione introspettiva e personale, dall’altro si smarrì il suono della voce propria o altrui – gli antichi solevano ascoltare, traendone diletto, durante i simposi ed in altre occasioni, dalla viva voce dell’anagnostes passi di opere.

Con un enorme sforzo di immaginazione, riusciamo a figurarci il mégaron del palazzo miceneo, dove al chiarore caldo del focolare, gli astanti si beavano delle saghe declamate da un rapsodo.

Si può immaginare quale fu la perdita: il timbro di una voce si imprime nell’animo, simile ad un calamo con cui si incide la cera. Il suono è già, almeno in parte, senso.

Siamo immersi in un mondo di vibrazioni: il celebre incipit del Quarto vangelo, “In principio era il Logos,” potrebbe valere “In principio era il suono”. Gli stessi rumori sono scanditi da ritmi o venati talora da labili linee melodiche. I suoni della natura creano una sinfonia mirabile, non solo per varietà di toni, di accenti e di modulazioni, ma anche per la profondità degli echi emotivi che essi suscitano.

Si legga un testo ad alta voce o lo si ascolti, mentre qualcun altro lo legge: più facilmente resterà impresso. Se ci si riferisce ad una memoria visiva, esiste pure una reminiscenza fonica.

Fu merito dei poeti simbolisti - in Italia spicca l’esperienza di Pascoli - rivendicare l’autonomia del significante, rispetto al significato. Il suono, essenza e riflesso delle cose, fu valorizzato nella sua potenza espressiva: quando si compenetra al concetto, in una sintesi inscindibile ed armonica, rivela la sua natura primigenia.

E’ palese che la nostra società ha i sensi ottusi: incapace di ascoltare ed auscultare, ci si limita ad udire distrattamente. I suoni sono privi di colore, di sfumature: tutto è livellato nel grigio più tetro o scavato nel frastuono. Le necessità comunicative mantengono in vita le voci, con qualche rimasuglio di inflessione, ma già nelle stazioni e negli aeroporti impera una rigida voce digitale. Anonima e fredda si staglia su un panorama piatto.

Wednesday, June 9, 2010

Voce

http://zret.blogspot.com/2010/06/voce.html

Voce

"Verba volant, scripta manent": questo noto detto aveva in origine significato diverso da quello che gli attribuiamo oggi. Molti credono che si riferisca all'importanza di ancorare ad un testo scritto dichiarazioni e promesse, poiché quanto espresso a voce è fugace e destinato all'oblio. Si ritiene anche che questo proverbio suggerisca la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono formare, soprattutto nelle mani di malintenzionati, dei documenti talora nocivi, quando siano stati vergati in un momento di malumore o sotto l'impeto di infuocate emozioni.

In verità, verba volant è la propaggine delle "alate parole", formula con cui Omero definiva i discorsi intrecciati tra gli uomini e tra gli uomini e gli dei. I suoni aleggiavano nell'etere per recare con sé echi di sentimenti, pensieri, sogni. Il suono custodiva ancora in età omerica un afflato magico, un'ombra spirituale che con il tempo si è sbiadita sino a scomparire.

Qui non occorre ricordare il valore archetipale del Logos né come Platone giudicasse l'invenzione della scrittura, attribuita dagli antichi al dio egizio Thot, invenzione di cui il filosofo scorse i danni più che i benefici. Bisognerebbe, invece, tentare di comprendere come e perché affiorò nell'uomo l'esigenza di articolare suoni per comunicare il suo mondo interiore. Fu la solitudine del silenzio a generare tale impulso? Furono solo esigenze pratiche a riempire il nulla di voci?

Ci piace pensare che la voce nacque come canto (ma fu forse un grido di fronte al riflesso della coscienza in un lago di tenebre?): il vocabolo latino "carmen" sembra confermare questo mito originario, visto che "carmen" è il componimento poetico, il canto, la formula magica. Il termine deriva da una radice “cammen” che è associata al canto rituale, al verso del gallo, nelle aree celtica ed italica, al suono in generale in ambito greco e germanico.

I confini sono labili: i rumori possono evolvere in ritmi, in partiture, voci e persino in rudimentali linee melodiche. Tutti conservano il fascino dell'invisibile: la voce è immaginifica, dipinge e plasma. La voce è il passato che permane, il tempo che non scorre, il sobbalzo di fronte ad un angolo di memoria rischiarato dal raggio di un accento.

Le voci nel buio inquietano, ma pure si librano come palpiti misteriosi di ali fra le volte e le navate di una cattedrale celeste.



Saturday, October 10, 2009

Oltre i codici

http://zret.blogspot.com/2009/10/oltre-i-codici.html

Oltre i codici

E' noto che esiste una somiglianza tra il codice genetico e la struttura profonda della lingua: la molecola del D.N.A. è formata da due filamenti avvolti a doppia elica. I due filamenti sono costituiti da due catene polinucleotidiche e da una base azotata. L'informazione genetica risiede nella sequenza lungo un filamento delle quattro basi che costituiscono le lettere dell'alfabeto usato per esprimere il messaggio genetico. Anche il sistema linguistico, imperniato su una forma bipolare ed inerente alla trasmissione di informazioni, implica dei precisi modi di funzionamento volgarmente definiti regole. E' possibile che la fisionomia diadica di molti idiomi dipenda dalla conformazione cerebrale, in cui si distinguono l'emisfero destro e l'emisfero sinistro, sebbene tale bipartizione sia il risultato di un processo di semplificazione sfociato in un impoverimento concettuale.

Tuttavia, se restiamo nell'ambito di un approccio empirico, rischiamo di ricondurre i valori più profondi del linguaggio umano ad una dimensione combinatoria, dimenticandone la natura simbolica, creatrice e sacra. Nelle culture antiche, si pensi agli Egizi ed a Thot, il linguaggio appartiene agli dèi ed è donato agli uomini: non è quindi un'invenzione umana e tanto meno il frutto di arbitrari accordi tra locutori e di non motivati nessi tra significanti ed oggetti. Questo è un tema su cui mi sono soffermato in altri articoli cui rimando.[1] Qui vorrei, invece, riflettere sul linguaggio come caduta rispetto all'idea. Dunque mi pare adeguata la traduzione del termine "logos" con "idea" e non con "suono" o "vibrazione". Infatti il pensiero precede la parola nella sua articolazione fonica e scritta. Il pensiero, nella sua immaterialità, imparentata con il silenzio ed il nulla, sembra più vicino all'essere del suono che è già uno slittamento denotato da un substrato materiale, assente nel nous in cui i rapporti aritmetici e sintattici sono aboliti. Non tutto è numero.

A volte i nostri pensieri si traducono in parole, forse per un'abitudine a costruire successioni sintattiche, per un'esigenza di ordine e razionalizzazione che estragga dal flusso di coscienza dei significati comprensibili, ma è nella nebbia fluttuante ed inafferrabile del pre-linguaggio che abitano le intuizioni, le illuminazioni. Quando esse sono verbalizzate, la loro aura arcana e sibillina si perde, come la fotografia di un magnifico paesaggio rende appena la bellezza della natura, cancellando fragranze, suoni e sensazioni tattili.

Così comprendiamo che la vera comunicazione è affidata ad una partecipazione intima, ad un colloquio empatico (ipercomunicazione come comunione con sé stessi nell'apparente alterità): appare una capacità perduta, la capacità di ascoltare voci provenienti dagli abissi della notte e dai profondi antri del cosmo.

Ormai il linguaggio è del tutto degenerato, ridotto a strumento per strumentalizzazioni: la lingua contemporanea che forse più ha risentito di tale disfacimento è l’inglese in cui si continuano a perdere, nonostante la ricchezza del lessico, distinzioni e sfumature. Un esempio per tutti: l’uso del numero 4 con il valore della preposizione "for", dacché il suono dei due termini è molto simile. È simile, ma non identico e l’annichilazione di questa lieve differenza è il segno piccolissimo, ma eloquente di un declino. E’ solo una sfumatura, quasi impercettibile, ma le sfumature sono tutto.

[1] Si veda la categoria Linguistica

Articolo correlato: F. Lamendola, Contro Galilei, 2009