http://zret.blogspot.com/2009/10/oltre-i-codici.html
Oltre i codici
E' noto che esiste una somiglianza tra il codice genetico e la struttura profonda della lingua: la molecola del D.N.A. è formata da due filamenti avvolti a doppia elica. I due filamenti sono costituiti da due catene polinucleotidiche e da una base azotata. L'informazione genetica risiede nella sequenza lungo un filamento delle quattro basi che costituiscono le lettere dell'alfabeto usato per esprimere il messaggio genetico. Anche il sistema linguistico, imperniato su una forma bipolare ed inerente alla trasmissione di informazioni, implica dei precisi modi di funzionamento volgarmente definiti regole. E' possibile che la fisionomia diadica di molti idiomi dipenda dalla conformazione cerebrale, in cui si distinguono l'emisfero destro e l'emisfero sinistro, sebbene tale bipartizione sia il risultato di un processo di semplificazione sfociato in un impoverimento concettuale.
Tuttavia, se restiamo nell'ambito di un approccio empirico, rischiamo di ricondurre i valori più profondi del linguaggio umano ad una dimensione combinatoria, dimenticandone la natura simbolica, creatrice e sacra. Nelle culture antiche, si pensi agli Egizi ed a Thot, il linguaggio appartiene agli dèi ed è donato agli uomini: non è quindi un'invenzione umana e tanto meno il frutto di arbitrari accordi tra locutori e di non motivati nessi tra significanti ed oggetti. Questo è un tema su cui mi sono soffermato in altri articoli cui rimando.[1] Qui vorrei, invece, riflettere sul linguaggio come caduta rispetto all'idea. Dunque mi pare adeguata la traduzione del termine "logos" con "idea" e non con "suono" o "vibrazione". Infatti il pensiero precede la parola nella sua articolazione fonica e scritta. Il pensiero, nella sua immaterialità, imparentata con il silenzio ed il nulla, sembra più vicino all'essere del suono che è già uno slittamento denotato da un substrato materiale, assente nel nous in cui i rapporti aritmetici e sintattici sono aboliti. Non tutto è numero.
A volte i nostri pensieri si traducono in parole, forse per un'abitudine a costruire successioni sintattiche, per un'esigenza di ordine e razionalizzazione che estragga dal flusso di coscienza dei significati comprensibili, ma è nella nebbia fluttuante ed inafferrabile del pre-linguaggio che abitano le intuizioni, le illuminazioni. Quando esse sono verbalizzate, la loro aura arcana e sibillina si perde, come la fotografia di un magnifico paesaggio rende appena la bellezza della natura, cancellando fragranze, suoni e sensazioni tattili.
Così comprendiamo che la vera comunicazione è affidata ad una partecipazione intima, ad un colloquio empatico (ipercomunicazione come comunione con sé stessi nell'apparente alterità): appare una capacità perduta, la capacità di ascoltare voci provenienti dagli abissi della notte e dai profondi antri del cosmo.
Ormai il linguaggio è del tutto degenerato, ridotto a strumento per strumentalizzazioni: la lingua contemporanea che forse più ha risentito di tale disfacimento è l’inglese in cui si continuano a perdere, nonostante la ricchezza del lessico, distinzioni e sfumature. Un esempio per tutti: l’uso del numero 4 con il valore della preposizione "for", dacché il suono dei due termini è molto simile. È simile, ma non identico e l’annichilazione di questa lieve differenza è il segno piccolissimo, ma eloquente di un declino. E’ solo una sfumatura, quasi impercettibile, ma le sfumature sono tutto.
[1] Si veda la categoria Linguistica
Articolo correlato: F. Lamendola, Contro Galilei, 2009
Tuttavia, se restiamo nell'ambito di un approccio empirico, rischiamo di ricondurre i valori più profondi del linguaggio umano ad una dimensione combinatoria, dimenticandone la natura simbolica, creatrice e sacra. Nelle culture antiche, si pensi agli Egizi ed a Thot, il linguaggio appartiene agli dèi ed è donato agli uomini: non è quindi un'invenzione umana e tanto meno il frutto di arbitrari accordi tra locutori e di non motivati nessi tra significanti ed oggetti. Questo è un tema su cui mi sono soffermato in altri articoli cui rimando.[1] Qui vorrei, invece, riflettere sul linguaggio come caduta rispetto all'idea. Dunque mi pare adeguata la traduzione del termine "logos" con "idea" e non con "suono" o "vibrazione". Infatti il pensiero precede la parola nella sua articolazione fonica e scritta. Il pensiero, nella sua immaterialità, imparentata con il silenzio ed il nulla, sembra più vicino all'essere del suono che è già uno slittamento denotato da un substrato materiale, assente nel nous in cui i rapporti aritmetici e sintattici sono aboliti. Non tutto è numero.
A volte i nostri pensieri si traducono in parole, forse per un'abitudine a costruire successioni sintattiche, per un'esigenza di ordine e razionalizzazione che estragga dal flusso di coscienza dei significati comprensibili, ma è nella nebbia fluttuante ed inafferrabile del pre-linguaggio che abitano le intuizioni, le illuminazioni. Quando esse sono verbalizzate, la loro aura arcana e sibillina si perde, come la fotografia di un magnifico paesaggio rende appena la bellezza della natura, cancellando fragranze, suoni e sensazioni tattili.
Così comprendiamo che la vera comunicazione è affidata ad una partecipazione intima, ad un colloquio empatico (ipercomunicazione come comunione con sé stessi nell'apparente alterità): appare una capacità perduta, la capacità di ascoltare voci provenienti dagli abissi della notte e dai profondi antri del cosmo.
Ormai il linguaggio è del tutto degenerato, ridotto a strumento per strumentalizzazioni: la lingua contemporanea che forse più ha risentito di tale disfacimento è l’inglese in cui si continuano a perdere, nonostante la ricchezza del lessico, distinzioni e sfumature. Un esempio per tutti: l’uso del numero 4 con il valore della preposizione "for", dacché il suono dei due termini è molto simile. È simile, ma non identico e l’annichilazione di questa lieve differenza è il segno piccolissimo, ma eloquente di un declino. E’ solo una sfumatura, quasi impercettibile, ma le sfumature sono tutto.
[1] Si veda la categoria Linguistica
Articolo correlato: F. Lamendola, Contro Galilei, 2009
E' noto-
ReplyDeleteE dunque perché prendersi la briga di portare qualche fonte?
Buon finesettimana a tutti. L'unica cosa intelligente di questo post è l'incisione di Escher. Ma come minchia si fa, professore di 'sto randazzo, a mettere insieme dna e linguaggio? A spaccar pietre con la testa, oggi sei di turno.
ReplyDeleteilpeyote escher
Zret non scrivere tutti gli acronomi con la punteggiattura come un professorino saccente, specie quando non è vero!
ReplyDeleteInfatti si scrive DNA e solo un pedante può credere che si scriva D.N.A.
Volevo far notare anche la colossale mole di minchiate del sig. Lamendola, ovviamente citato da 'o professore di 'sto randazzo: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=28212
ReplyDeleteilpeyote galileo
Volevo far notare anche la colossale mole di minchiate del sig. Lamendola...
ReplyDeleteGià notato, grazie.
Questi signori non hanno la minima idea di cosa sia la scienza . Non c'arrivano (eh già... c'è da capire e studiare: non basta fantasticare a vanvera, imparare frasette a memoria, farsi le pippe mentali per poi darsi ragione) e fanno come la volpe con l'uva.
ilpeyoye Esopo
Questo è il risultato della cosiddetta scuola dei pensatori. Le persone con preparazione umanistica sono convinte di poter trattare qualunque argomentazione, indipendentemente dall'avere o meno (come in questo caso) una preparazione sull'argomento.
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