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Oltre i codici
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Tuttavia, se restiamo nell'ambito di un approccio empirico, rischiamo di ricondurre i valori più profondi del linguaggio umano ad una dimensione combinatoria, dimenticandone la natura simbolica, creatrice e sacra. Nelle culture antiche, si pensi agli Egizi ed a Thot, il linguaggio appartiene agli dèi ed è donato agli uomini: non è quindi un'invenzione umana e tanto meno il frutto di arbitrari accordi tra locutori e di non motivati nessi tra significanti ed oggetti. Questo è un tema su cui mi sono soffermato in altri articoli cui rimando.[1] Qui vorrei, invece, riflettere sul linguaggio come caduta rispetto all'idea. Dunque mi pare adeguata la traduzione del termine "logos" con "idea" e non con "suono" o "vibrazione". Infatti il pensiero precede la parola nella sua articolazione fonica e scritta. Il pensiero, nella sua immaterialità, imparentata con il silenzio ed il nulla, sembra più vicino all'essere del suono che è già uno slittamento denotato da un substrato materiale, assente nel nous in cui i rapporti aritmetici e sintattici sono aboliti. Non tutto è numero.
A volte i nostri pensieri si traducono in parole, forse per un'abitudine a costruire successioni sintattiche, per un'esigenza di ordine e razionalizzazione che estragga dal flusso di coscienza dei significati comprensibili, ma è nella nebbia fluttuante ed inafferrabile del pre-linguaggio che abitano le intuizioni, le illuminazioni. Quando esse sono verbalizzate, la loro aura arcana e sibillina si perde, come la fotografia di un magnifico paesaggio rende appena la bellezza della natura, cancellando fragranze, suoni e sensazioni tattili.
Così comprendiamo che la vera comunicazione è affidata ad una partecipazione intima, ad un colloquio empatico (ipercomunicazione come comunione con sé stessi nell'apparente alterità): appare una capacità perduta, la capacità di ascoltare voci provenienti dagli abissi della notte e dai profondi antri del cosmo.
Ormai il linguaggio è del tutto degenerato, ridotto a strumento per strumentalizzazioni: la lingua contemporanea che forse più ha risentito di tale disfacimento è l’inglese in cui si continuano a perdere, nonostante la ricchezza del lessico, distinzioni e sfumature. Un esempio per tutti: l’uso del numero 4 con il valore della preposizione "for", dacché il suono dei due termini è molto simile. È simile, ma non identico e l’annichilazione di questa lieve differenza è il segno piccolissimo, ma eloquente di un declino. E’ solo una sfumatura, quasi impercettibile, ma le sfumature sono tutto.
[1] Si veda la categoria Linguistica
Articolo correlato: F. Lamendola, Contro Galilei, 2009
E' noto-
ReplyDeleteE dunque perché prendersi la briga di portare qualche fonte?
Buon finesettimana a tutti. L'unica cosa intelligente di questo post è l'incisione di Escher. Ma come minchia si fa, professore di 'sto randazzo, a mettere insieme dna e linguaggio? A spaccar pietre con la testa, oggi sei di turno.
ReplyDeleteilpeyote escher
Zret non scrivere tutti gli acronomi con la punteggiattura come un professorino saccente, specie quando non è vero!
ReplyDeleteInfatti si scrive DNA e solo un pedante può credere che si scriva D.N.A.
Volevo far notare anche la colossale mole di minchiate del sig. Lamendola, ovviamente citato da 'o professore di 'sto randazzo: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=28212
ReplyDeleteilpeyote galileo
Volevo far notare anche la colossale mole di minchiate del sig. Lamendola...
ReplyDeleteGià notato, grazie.
Questi signori non hanno la minima idea di cosa sia la scienza . Non c'arrivano (eh già... c'è da capire e studiare: non basta fantasticare a vanvera, imparare frasette a memoria, farsi le pippe mentali per poi darsi ragione) e fanno come la volpe con l'uva.
ilpeyoye Esopo
Questo è il risultato della cosiddetta scuola dei pensatori. Le persone con preparazione umanistica sono convinte di poter trattare qualunque argomentazione, indipendentemente dall'avere o meno (come in questo caso) una preparazione sull'argomento.
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