http://zret.blogspot.com/2009/10/le-bianche-scogliere-di-rugen-un.html
Le bianche scogliere di Rugen: un paesaggio dell'anima in bilico tra timore e speranza
"Le bianche scogliere di Rugen" è un dipinto di Caspar David Friedrich (Greifswald 1774- Dresda, 1840). L'artista romantico tedesco, in questo quadro del 1818, raffigura uno scorcio della costa baltica. A proposito del capolavoro, Eva Di Stefano scrive:"Se finora (in molte delle opere precedenti, n.d.r.) abbiamo visto una zona piena e centrale - il monte e la figura - stagliarsi contro il cielo e l'infinito, qui la zona piena, invece, funge da cornice che ritaglia la zona centrale del vuoto, ovvero una distesa marina senza limiti e senza un orizzonte che la distingua dal cielo in cui sconfina. Se capovolgiamo mentalmente il quadro, ci accorgiamo che quello spazio immateriale dai contorni frastagliati equivale ai contorni appuntiti di una montagna... Quel vuoto appare come una lastra di trasparenze che attrae magneticamente lo sguardo, come fosse lo stesso sfondo impalpabile, simile ad un velario, a forgiare il ritmo appuntito delle scogliere che la luce trasfigura, in contrasto con la precisione delle alberate quinte laterali, delle figure, della vegetazione in primo piano. Su questo incerto palcoscenico dell'abisso tre personaggi si sporgono da una finestra naturale: la moglie, lo stesso Friedrich e, in piedi, il fratello Christian."[1]
Nei personaggi e nel colore degli abiti alcuni critici hanno voluto vedere significati simbolici, ma qui i valori sono affidati alla scelte compositive, ad una descrizione evocativa. Protagonista dell’opera è la natura con la candida scogliera, inquadrata dall'alto a suggerire un senso di vertigine. Il profilo spigoloso delle rocce contrasta con la placida distesa marina, appena increspata e soffusa di tinte delicate, giallo paglierino, celeste e rosa con gradazioni salmone. L'ampia inquadratura dà risalto sia allo scenario con il precipizio e l'arco dei rami che abbracciano l'azzurro, sia ai tre viandanti colti mentre sono mesmerizzati da qualcosa nel burrone, il cui ciglio è orlato di erbe in ciuffi. Sulla destra il fratello del pittore è assorto, mentre Friedrich e la donna paiono attratti e meravigliati da un punto preciso nel crepaccio.
Non si legga il soggetto in modo realistico, benché il quadro sia la testimonianza del viaggio intrapreso da Friedrich con la giovane consorte per presentarle la famiglia a Greifswald, con l'inevitabile sosta in quella terra dell'anima che è l'isola di Rugen. L'apparente realismo del paesaggio, infatti, è trasposto in particolari non verosimili, allusivi: i personaggi sono in bilico sull'enigmatico vuoto. L'esistenza è caducità, viaggio ai margini del mistero. Il fratello dell'artista poggia pericolosamente i piedi sulle gracili barbe di un cespuglio; la donna ha un piede quasi nello strapiombo. Friedrich ha abbandonato sul terreno il bastone ed il cilindro, come a suggerire il distacco dalla quotidianità e l'attesa sgomenta ma fiduciosa dell'istante supremo. Anche le radici dell'albero flesso sulla sinistra si aggrappano al vuoto. Spuntoni sottili e fragili come stalagmiti di cristallo si protendono verso il firmamento.
Il nulla è il vero soggetto dell'opera, il cupio dissolvi che è l'immersione nel setoso silenzio della natura, nella sua luce ambrata. Davanti alla vita si spalanca il sentimento del tempo che si stempera nell'eterno, tra tremore ed anelito. Le esili vele, immagini di labili sogni, scivolano sulla superficie del mare, mentre la brezza, profumata di salsedine, scorrendo tra le chiome, reca la voce del destino, una voce tramata di inquietudine e di consolazione.
[1] E. Di Stefano, Friedrich, Firenze, 2001, p. 27
Nei personaggi e nel colore degli abiti alcuni critici hanno voluto vedere significati simbolici, ma qui i valori sono affidati alla scelte compositive, ad una descrizione evocativa. Protagonista dell’opera è la natura con la candida scogliera, inquadrata dall'alto a suggerire un senso di vertigine. Il profilo spigoloso delle rocce contrasta con la placida distesa marina, appena increspata e soffusa di tinte delicate, giallo paglierino, celeste e rosa con gradazioni salmone. L'ampia inquadratura dà risalto sia allo scenario con il precipizio e l'arco dei rami che abbracciano l'azzurro, sia ai tre viandanti colti mentre sono mesmerizzati da qualcosa nel burrone, il cui ciglio è orlato di erbe in ciuffi. Sulla destra il fratello del pittore è assorto, mentre Friedrich e la donna paiono attratti e meravigliati da un punto preciso nel crepaccio.
Non si legga il soggetto in modo realistico, benché il quadro sia la testimonianza del viaggio intrapreso da Friedrich con la giovane consorte per presentarle la famiglia a Greifswald, con l'inevitabile sosta in quella terra dell'anima che è l'isola di Rugen. L'apparente realismo del paesaggio, infatti, è trasposto in particolari non verosimili, allusivi: i personaggi sono in bilico sull'enigmatico vuoto. L'esistenza è caducità, viaggio ai margini del mistero. Il fratello dell'artista poggia pericolosamente i piedi sulle gracili barbe di un cespuglio; la donna ha un piede quasi nello strapiombo. Friedrich ha abbandonato sul terreno il bastone ed il cilindro, come a suggerire il distacco dalla quotidianità e l'attesa sgomenta ma fiduciosa dell'istante supremo. Anche le radici dell'albero flesso sulla sinistra si aggrappano al vuoto. Spuntoni sottili e fragili come stalagmiti di cristallo si protendono verso il firmamento.
Il nulla è il vero soggetto dell'opera, il cupio dissolvi che è l'immersione nel setoso silenzio della natura, nella sua luce ambrata. Davanti alla vita si spalanca il sentimento del tempo che si stempera nell'eterno, tra tremore ed anelito. Le esili vele, immagini di labili sogni, scivolano sulla superficie del mare, mentre la brezza, profumata di salsedine, scorrendo tra le chiome, reca la voce del destino, una voce tramata di inquietudine e di consolazione.
[1] E. Di Stefano, Friedrich, Firenze, 2001, p. 27
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ReplyDeleteMa volete mettere un "cupio dissolvi" la domenica mattina? Ingrati!
Poi c'è sempre il "nulla", definito "il vero soggetto dell'opera", dove ovviamente Zret parla di sè. Ah beh, sì beh!
Questo post è la prova provata (se mai ce ne fosse stato bisogno) che 'o professore di 'sto randazzo non s'intende di NIENTE, tantomeno di arte. Il soggetto di un'opera FIGURATIVA del 1818 è il nulla? E quale sarebbe il soggetto di un quadro di Fontana, secondo lui? VA' A SPACCAR LE PIETRE CON LA TESTA, da' il cambio a tuo fratello.
ReplyDeleteilpeyote bonito oliva
Ok, aggiungiamo pure la Storia Dell'Arte al lungo elenco di materie delle quali zret non capisce assolutamente nulla.
ReplyDeleteCaro collega Sgarbi, si fa prima a cancellare dall'elenco delle materie di cui 'o professore di 'sto randazzo non s'è ancora occupato. Ad occhio direi che mancano la gastronomia e uncinetto.
ReplyDeleteilpeyote rakam