L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

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Sunday, July 7, 2013

I negatori del male e la condizione umana

http://zret.blogspot.it/2013/07/i-negatori-del-male-e-la-condizione.html

I negatori del male e la condizione umana


L’ambiguità del reale è siffatta che il Bene stesso può generare il Male.” (F. Schelling)

E’ estenuante il dibattito con gli assertori della “verità”: estenuante ed inutile. Ora, mi chiedo come sia possibile essere sicuri di possedere verità ontologiche (non empiriche) per dispensarle ai profani. Come spesso avviene, la pietra d’inciampo è il problema del male.

I dogmatici, per avere ragione in modo definitivo, invece di ricorrere ai funambolismi dei teologi, che tentano di spiegare il mysterium iniquitatis, scivolando in conclusioni più insanabili delle già antinomiche premesse, negano il male tout court. E’ uno stratagemma molto efficace, ma pur sempre uno stratagemma.

Se si obietta che resta comunque una dose di male che pare assurdo, inesplicabile, i negatori ti rispondono, con Leibniz e Pangloss che “tutto è perfetto così com’è”. “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Tali asserzioni sono postulati che non abbisognano di alcuna dimostrazione. Il male è solo il frutto di una visione limitata e soggettiva. Sarà... Se si propone l’esempio di un bambino ucciso, dopo essere stato seviziato magari per anni, coloro replicano nel modo seguente: in primo luogo quel bambino ha deciso di nascere per maturare un’istruttiva esperienza che prevedeva la sua morte dopo una lunga tortura. Inoltre essi affermano che il male incarnato in tale vissuto è del tutto illusorio, più inconsistente di un’ombra.

Ora, è anche possibile, in linea teorica, che costoro abbiano ragione: la realtà è così irrazionale che il male stesso potrebbe essere giustificato con argomenti così irragionevoli. Quanto contesto in modo reciso è l’atteggiamento dogmatico, apodittico, categorico dei negatori: essi non propongono il loro pensiero come un’eventuale risposta, ma come la RISPOSTA. Questo è oltremodo irritante nonché una bestemmia nei confronti degli esseri viventi tutti che soffrono pene indicibili sia fisiche sia morali. Onestà intellettuale vorrebbe che, al cospetto delle più atroci manifestazioni del male, si sospendesse il giudizio o si ventilassero delle ipotesi. Onestà intellettuale vorrebbe si evitasse di addurre come prova di quanto bandito il Pensiero tradizionale che viene piegato (e stuprato) per sentenziare e persino per giudicare.[1]

I seguaci di Plotino, di Agostino, di Leibniz etc. sostengono che il male è non-essere, assenza di Bene, essendo privo di sostanza. Lo ripeto: potrebbe essere così, ma, mentre i filosofi citati, se non altro, inquadrano la loro interpretazione in una dottrina filosofica, chi ne ha solo orecchiato le idee manca del tutto dell’inclinazione a definire un disegno coerente, semmai impastando un po’ di pseudo-concetti della New age più becera.

Prova ne è la gigantesca incongruenza in cui si impastoiano. I negatori del male sono nel contempo propugnatori del libero arbitrio, quindi dell’etica. Se, però, tutto è armonico, tutto è solo come dev’essere, allora tutto è lecito: non intercorre alcuna differenza tra una carneficina ed il salvataggio di mille vite. Sono due azioni del tutto intercambiabili, poiché ambedue consentono di maturare esperienze e di “evolvere”. Del tutto intercambiabili sono anche un criminale ed un benefattore.[2]

Per carità, sono il primo a vedere nella morale il preludio del moralismo. Sono il primo anche a propendere per la fallacia circa il convincimento del “libero arbitrio”, simpatizzando, invece, per una concezione fatalista. Tuttavia le mie sono mere congetture o, al limite, intuizioni: so che non possono né potranno mai essere avvalorate in modo definitivo né d’altro canto confutate. Ammetto pure che non è per nulla facile dirimere certe controversie, preferendo il dubbio umano ad una “verità” sacerdotale.

Sentirei di accostarmi, come ho già scritto, a quelle concezioni, secondo cui il mysterium iniquitatis è inerente alla creazione (o emanazione stessa): questa idea, prima di essere gnostica, è in Anassimandro.[3] Riconosco che non è non il non plus ultra come chiarimento, ma è sempre meglio sia delle consolatorie delucidazioni New age sia dell’esegesi ebraico-cristiana-musulmana, secondo cui il male sarebbe dovuto ad una scelta di Adamo ed Eva. I progenitori avrebbero violato un precetto divino, quando ancora il male non era entrato nel mondo. Da dove spunta poi il Serpente tentatore? Lo creò Dio? Se è così, nell'Eterno alberga un lato oscuro? Il Signore non sapeva, nella sua onniscienza, che Eva avrebbe ceduto alle lusinghe del Serpente? Etc. Insomma lasciamo tali quesiti a chi si appoggia alla Bibbia con le stampelle di traduzioni approssimative.

Essere umani significa riconoscere che talune questioni non possono essere del tutto intese. I dogmatici sono l’antitesi dell’umanità, poiché si reputano, con immensa superbia, eguali a Dio stesso, di cui conoscono ed interpretano intenzioni, fini, persino i più reconditi pensieri. La condizione umana è, invece, insufficienza ed incompletezza: altrimenti non sarebbe una condizione propriamente umana, nel bene e... nel male.

[1] La Philosophia perennis è strumentalizzata per divulgare ed imporre storte nozioni della New age deteriore.

[2] Non è naturalmente l’unica incoerenza in cui annegano. Comunque che noia, che nausea questa “perfezione”, questa acquiescenza all’esistente… un sedativo per la coscienza, un elisir narcotizzante che dona una felicità da moribondi.

[3] Il mito cosmogonico di Purusha (RigVeda), l’Uomo primordiale che si smembra e si sacrifica nella Manifestazione, non è forse così distante. Questo mito non presuppone che fine del cosmo e delle creature sia evolvere, attraverso l’esperienza dei patimenti: infatti vede la creazione in sé come sacrificio, come disarticolazione rispetto ad un’unità originaria. Il fine non è dunque l’evoluzione, ma il ritorno ad uno stato primigenio. La sofferenza non è tanto un mezzo, quanto un aspetto necessario dell’universo. La scelta compiuta dagli esseri tutti (inclusi i minerali) di scendere nel mondo materiale è inevitabile (fatalismo?), perché è l’unico modo per risalire, per tornare alla Sorgente da dove Purusha si è allontanato. Il motivo di questo distacco non è per nulla chiaro. Il mito di Purusha, oltre a contenere un dualismo che ricorda quello cartesiano tra res cogitans e res extensa, definisce una situazione circolare, oziosa e tautologica. Per dirla con Leopardi: “Tutte le cose si muovono per tornare infine nel luogo donde si son mosse”.


Saturday, May 1, 2010

Universi

http://zret.blogspot.com/2010/05/universi.html

Universi

Coesistono differenti concezioni dell'universo. Semplificando, si potrebbero individuare tre visioni. Sorvolo su tutte le interpretazioni intermedie.

- Universo ahrimanico, cioè dominato dal Male. E' la Weltanschauung, ad esempio, di Giacomo Leopardi che scrisse pure un incompiuto Inno ad Ahriman, il dio delle tenebre nella religione mazdea, come di Arthur Schopenauer. Questi ed altri filosofi ritengono che il caso e l'assurdo dominino il mondo: la Natura leopardiana è irrazionalità, un cieco impulso che perpetua sé stesso. La Natura è indifferente al dolore delle creature, come la Volontà posta alla base del Tutto dal pensatore tedesco. Il Male quindi si esplica specialmente come non-senso e gratuità.

Una versione sfumata e non organica di questa interpretazione si rintraccia nelle idee degli scienziati materialisti che, sottolineando processi come l'entropia, la morte termica e la stocasticità, escludono qualsiasi ratio o piano provvidenziale all'interno del cosmo e dell’esistenza.

- Universo luminoso, ma con angoli di buio (male), la cui scaturigine non è chiara. Per spiegare il lato oscuro, i teologi ed i filosofi che sostengono questa concezione, ricorrono agli argomenti più disparati: dal libero arbitrio degli uomini e degli angeli ribelli che hanno rinnegato Dio, al male come presenza necessaria affinché la coscienza evolva e risplenda la Luce, dall'intervento di un demiurgo folle al cedimento ontologico connesso ad una colpa (errore) primordiale... Quantunque nessuna teodicea risulti esaustiva e convincente, va riconosciuto agli indagatori del male nelle sue molteplici manifestazioni che riescono, seppure in modo parziale ed epidermico, a giustificare alcuni aspetti atroci e dolorosi della vita, collocandoli in un'ampia e rassicurante prospettiva, poiché il male non è un arché, un principio, ma una macula, simile ad un'ombra fuggevole che vela due occhi radiosi e profondi.

- Universo perfetto ed unitario, cui soggiace un'intrinseca logica. E' la visione di filosofi come Plotino o specialmente Leibnitz che considerano il male un particolare irrilevante, un accidente o lo reputano un'illusione ottica. Molte tradizioni religiose orientali, confinando il mondo materiale nel dominio di maya, svuotano il male di ogni valore ontologico, riducendolo a parvenza, a caduca ed inconsistente ombra sulla superficie polita del divino. Insieme con il male, viene rigettato il concetto di dualità e di separazione che sono fallaci e transeunti. Questa concezione monista, tautologica ed autoreferenziale, coerente su un piano sovrumano, in cui spazio e tempo sono trascesi, trasforma il manifesto in un gioco (lila) dell'Assoluto, un gioco che, però, a volte alle pedine può apparire crudele.


Tuesday, December 29, 2009

Due

http://zret.blogspot.com/2009/12/due.html

Due

Il mondo materiale pare scisso da una dualità: in esso coesistono armonia e crudeltà, magnificenza e lordume. Giacomo Leopardi, nel celebre passo dello Zibaldone in cui descrive il "giardino delle sofferenze", osserva, con sguardo che potremmo definire gnostico, la natura in cui, di là dalle parvenze amene, si consuma una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.

La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una "morta gora".

Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.

E' quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.

Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente "ordine"è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani. Tale dicotomia ontologica ricorda la
distinzione gnostica tra uomini pneumatici (spirituali) ed ilici (materiali). Bisogna ammettere che questa visione è impopolare, ma, a mio parere, potrebbe non essere del tutto infondata. Infatti, prescindendo dal significato che intendiamo attribuire alla parola "anima", sembra che un divario incolmabile separi le persone: da un lato uomini con coscienza, dall'altro esseri simili a vuoti involucri, ad automi. Nel celebre film Matrix tale dialettica è riproposta, quantunque in modo ambiguo, nell'antitesi tra gli uomini e le macchine. Tale contrapposizione è evocata da quei ricercatori che individuano negli extraterrestri conosciuti come Grigi delle unità bioniche.

Il discorso è complesso e costellato di aporie, poiché è pressoché impossibile accordarsi sul valore del termine "anima" e sulle sue caratteristiche. Resta l'impressione che non tutti gli uomini siano uguali sicché talora si è tentati di ventilare ipotesi audaci ed eretiche, ad esempio, ammettendo che le piante possiedano una forma di coscienza e, nel contempo, negando che talune persone siano dotate di interiorità, simili a burattini eterodiretti, a robot menomati. Ancora più ardua è la riflessione sulla possibilità che una macchina possa acquisire, insieme con un'autonomia di pensiero e di azione, un'ombra di io. Il paradosso sarebbe se, in futuro, come in alcuni racconti e romanzi di fantascienza, cominciasse a nascere una progenie di automi senzienti in grado di soppiantare un'umanità meccanizzata e "dis-animata".

Già oggi la differenza tra uomini massificati e computers "intelligenti" è minima.


[1] Gli storici delle religioni e gli antropologi lo denominano demiurgo-trickster.