L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Sunday, February 1, 2015

Elogio della selce

http://zret.blogspot.ch/2015/02/elogio-della-selce.html

Elogio della selce

L’arte è l’immagine allegorica della Creazione. (P. Klee)



Chi non ha almeno una volta sfogliato un calendario illustrato con quadri dipinti con la bocca o con i piedi? Anche il destino più crudele non può spegnere l’impulso a creare che alberga in taluni uomini. Davvero l’ingenium è qualità che separa gli “spiriti magni” dalla massa.

L’ispirazione, che ha donato all’umanità capolavori immortali, è attitudine a contemplare, a sintonizzarsi con la vita universa, a comporre la sinfonia delle emozioni, ad intuire l’anima delle cose. Sono virtù oggi sempre più rare.

L’estro è segno di nobiltà d’animo: accantonato ogni fine utilitaristico, il genio persegue come fine soltanto l’arte. Pochi sono i veri artisti, ma talora si scopre il buon gusto o un talento o un’inclinazione pure in un onesto artigiano.

Consideriamo gli oli e gli acquerelli dei lunari cui si accennava: vi si scopre spesso un genuino amore per la natura, trasfuso in tele che raffigurano ora ameni paesaggi primaverili, ora suggestive marine, ora scorci alpestri, ora interni inondati di luce… Con sapienti pennellate, con colori smaglianti e liquide ombre si squaderna un mondo di alberi, viottole, fiori, spiagge, colline, bimbi... E' soprattutto un universo interiore, uno slancio inesausto verso il sogno di un’esistenza libera da ogni costrizione.

Se pensiamo che “uomini” con cui la sorte è stata ingiustamente generosa, sono talmente snaturati e corrotti che usano la penna e la lingua solo per calunniare e per maledire, siamo inclini ad accogliere la distinzione dei filosofi gnostici. I pensatori della Gnosi antica, infatti, collocavano nel novero degli ilici, gli “esseri materiali”, tutti coloro in cui non si sprigiona mai una favilla di spiritualità. Sono perduti, senza speranza alcuna di acquisire un briciolo di decoro. Sono “sepolcri imbiancati”, scheletri vestiti di paludamenti. Non sono neppure come gli scrittori cortigiani del Rinascimento, in cui tra la piaggeria e la vacua erudizione, talora traluce una frase tornita, un’immagine notevole. Essi sono venali, ma affatto privi di qualsiasi vena.

Persino la selce, l’inerte e dura selce, se sfregata, genera rutilanti scintille, loro no...

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Sunday, December 7, 2014

Gnosi, massoneria e cristianesimo

http://scienzamarcia.blogspot.ch/2014/12/gnosi-massoneria-e-cristianesimo.html

Gnosi, massoneria e cristianesimo

Due articoli recenti sul blog blog scienzamarcia e sul blog di Zret, hanno sincornicamente affrontato il tema del satanismo nello star system e nel sistema sociale in genere. Un altro articolo per comprendere il meccanismo della finta opposizione è La "Gnosi" contro la Gnosi, che riflette ancora una volta il mio pensiero.

Alcuni testi cattolici contro la massoneria sono per molti versi interessanti, seppure trascurino elementi fondamentali per la comprensione del nuovo ordine mondiale, come il ruolo dei gesuiti. In essi si associa la massoneria alla riscoperta della gnosi, e le si considera ambedue anti-cristiane. In realtà credo che quel nucleo di verità che si trova nella gnosi possa essere utilizzato per finalità positivie o negative (come il solito esempio del coltello che può servire ad uccidere oppure a tagliare il pane).

Di conseguenza ritengo che mettendo in risalto la pretesa associazione massoneria-gnosi-malvagità si prendono due piccioni con una fava:

1 - si tende una rete a chi si oppone ai disegni occulti (facendo loro credere che la salvezza sia nel cattolicesimo, proprio quella fede che si porta dietro le crociate e gli stermini degli eretici, per non parlare delle contraddizioni degli stessi vangeli)

2) - si fa passare per malvagio e demoniaco, un pensiero filosofico/religioso che aveva intuito/scoperto molte verità; in effetti uno dei pochi che (almeno in una certa era ed ina certa regione del mondo) puntava il dito contro le presenze arcontiche.
 

Tuesday, May 14, 2013

Una Coscienza incosciente

http://zret.blogspot.it/2013/05/una-coscienza-incosciente.html

Una Coscienza incosciente

Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni. (E. Cioran)

La Coscienza che desidera essere infelice

Non di rado mi si chiede quale sia la mia opinione a proposito delle teorie elaborate dal professor Corrado Malanga. Come rispondere? Sarei propenso a distinguere tra le sue ricerche in campo xenologico ed il sistema che si è via via sviluppato per successive aggregazioni dalle indagini iniziali. Mentre le conclusioni cui il chimico toscano è giunto nell’ambito politico ed ufologico, mi trovano nel complesso concorde, il resto, invece, suscita in me qualche perplessità.[1]

In primo luogo mi sembra che egli metta troppo carne al fuoco, cercando di costruire un modello interpretativo del mondo dove numerose ed eterogenee discipline si sovrappongono, talora si contraddicono. L’intento di trovare la quadratura del cerchio è lodevole; il risultato forse inferiore all’impegno profuso. Bisogna, però, sottolineare che la contraddizione è segno di adesione al reale che è di per sé antinomico: nessun sistema può essere del tutto privo di incongruenze, pena la sua totale astrattezza. Va anche rilevato che il pensiero del chimico toscano è in fieri: presto uscirà un suo nuovo libro. Dunque le presenti riflessioni potranno essere in parte obsolete.

In estrema sintesi, Malanga distingue tra una realtà virtuale (olografica) ed una realtà reale, il mondo della Coscienza, avulso dallo spazio-tempo e dalle leggi fisiche. Questa idea dicotomica mi pare plausibile: si allinea, ad esempio, a quanto scrivevo in “Oltre i codici”, articolo cui rimando per una trattazione del tema. Ho anche spesso sostenuto che è inevitabile una forma di dualismo per quanto debole, dunque la distinzione malanghiana tra le due sfere del Tutto mi pare condivisibile.

Nel momento in cui si tenta di spiegare le ragioni che spingono la Coscienza a proiettarsi, a determinarsi nell’universo virtuale, sorgono, a mio avviso, alcune questioni. Non si comprende per quale ragione la Coscienza, che alla fine coincide con Dio, decida di maturare talune esperienze estreme. Che voglia conoscersi attraverso la morte, è concetto che si può ammettere, se accettiamo il dogma ossimorico di una Coscienza imperfetta, pur nella sua divinità. Tale bisogno di conoscersi implica anche l’immersione nella sofferenza: qui cominciano le note dolenti. Mi pare che si dipinga un Ente non solo di scarso acume (una sorta di dio avventato ed insipiente... un dio bambino?), ma pure un po’ masochista. Davvero era ed è necessario sprofondare nella voragine del tormento più atroce e disperato per acquisire consapevolezza? Di quanti vissuti, attraverso squartamenti, piaghe, mutilazioni, accecamenti, torture di ogni genere sia fisiche sia morali ha necessità Anima per conoscersi e per concludere che lo strazio non è poi una gran cosa? Non sarà un po’ ottusa? Per quante volte Anima dovrà immergere la mano nell’acqua bollente per inferirne che ci si ustiona? Quousque tandem? Intendiamoci: la vita nasce dal contrasto e senza le tenebre la luce non può risplendere. Una dose di male è necessaria e persino auspicabile: è la sua superfetazione sia pure “solo” nel livello del manifesto a lasciare impietriti.

Ora, di fronte al problema del male, sostanzialmente le posizioni sono due: o si nega che esso esista, anzi sia - il male come accidente o come privazione di bene (si pensi ad Agostino) - o ci si affanna per provare a giustificare il mysterium iniquitatis. Ecco allora che lo si considera connaturato all’Assoluto (Schelling) o agli uomini (Sartre) o a tutt’e due, in percentuali variabili, oppure lo si attribuisce ad un delirio di Sophia (Gnosi). Malanga aderisce alla prima versione: il male in sé è poco più che un’illusione ottica, anzi cerebrale, poiché dovuta alla contrapposizione tra emisfero destro e sinistro dell’encefalo.

La realtà è un ossimoro

Per quanto mi riguarda, credo che il male dipenda da un cedimento, da uno strappo, da un errore forse, se non ab origine, conseguente ad una delle manifestazioni o emanazioni del Principio. Potrei, però, sbagliarmi: d’altronde nessuno può dispensare la Verità a tale proposito, tanto meno chi si appella a motivazioni tradizionali, ricavate nella Bibbia.

In questo groviglio inestricabile di elucubrazioni ed ipotesi, vorrei rivalutare i “maestri del disincanto”, da Leopardi a Cioran, passando per Schopenauer e Nietzsche, solo per citare alcuni insigni pensatori. Questi filosofi, riluttanti ad offrire spiegazioni consolatorie ed a costruire sdolcinate teodicee, hanno il coraggio di guardare in faccia l’esistenza e la realtà, con tutto il suo pesante fardello di mali: la malattia, la decadenza, la scelleratezza, la noia, la disperazione… La filosofia “ottimista”, confrontata con l’impietosa sonda dei “pessimisti”, è simile all’arte di quei pittori della domenica che ritraggono cieli azzurri e tersi, campagne verdeggianti ed ameni villaggi, con il cavalletto piazzato di fronte ad una discarica.

Il problema conflagra quando ci si azzarda a dirimere ed a sublimare l'intrinseca contraddizione dell’esistenza e dell’universo. Allora preferisco i “sovrumani silenzi” del genio recanatese alle verbose ed astruse chiarificazioni di certuni. Preferisco l’assenza di qualsiasi risposta alla bolsa rivisitazione dell’Idealismo e ad un’etica che è, alla fine, quasi deamicisiana, con il suo richiamo alla volontà che tutto risolve. Se, invece, si fossero accostati maggiormente al vero quegli intellettuali che negano in toto o in parte l’assunto del libero arbitrio?[2]

Alla fine, quando ci si è infilati nel cul de sac, quasi sempre si ricorre alla fisica dei quanti che, a ben vedere, con la sua natura controintuitiva e paradossale, semmai conferma la profonda incongruità del cosmo. Fu dunque lungimirante Einstein, pur con tutti i suoi limiti, quando intuì che la meccanica quantistica rischiava di minare una visione coerente del Tutto. “Dio non gioca a dadi con l’universo”, dichiarò Einstein. Hawking decenni dopo replicò: “Non solo Dio gioca a dadi con l’universo, ma spesso li lancia dove non riesce più a vederli”. Credo che uno di questi dadi sia stato grosso come un macigno e che abbia colpito la zucca degli uomini, tramortendoli e soprattutto compromettendo gravemente le loro capacità intellettive.

[1] Merito indiscusso del professor Malanga è quello di aver denunciato le illusioni e gli inganni dell’ufologia fiduciosa, purtroppo preponderante, popolata di civiltà evolute e benevole, di Guardiani cosmici che ci proteggerebbero da un paio meteoriti, ma che ignorano la Geoingegneria assassina.

[2] So bene che la rivalutazione dei filosofi “pessimisti” sarà considerata segno di incoerenza, ma come si può evitare sempre e comunque un ondeggiamento tra ipotesi differenti, dacché la realtà è antinomia vivente e palese, violazione del principio del terzo escluso? Inoltre rileggere le pagine di certi autori non significa aderire in modo acritico alle loro concezioni, ma estrarre quanto di buono le loro opere possono trasmettere.

Wednesday, March 27, 2013

Non a sua immagine

http://zret.blogspot.it/2013/03/non-sua-immagine.html

Non a sua immagine

Non uno itinere pervenitur ad tam magnum secretum. Ad un così profondo mistero non si giunge attraverso una sola via. (Simmaco)

Il saggio “Non a sua immagine” di John Lamb Nash nasce da una coraggiosa rilettura della Gnosi antica. Considerata da molti studiosi, per soprammercato militanti cattolici, un’ininfluente diramazione del Cristianesimo, se non un’escrescenza presto asportata, grazie al trionfo dell’”Ortodossia”, Lamb Nash riconduce la Gnosi nell’alveo della Tradizione sciamanica e misterica.[1] L’autore nega che i filosofi gnostici siano dominati da un atteggiamento anticosmico, anzi, in quanto eredi ed ultimi interpreti nel mondo antico del Paganesimo, essi combatterono contro il nichilismo del credo niceno.

“Il dio Pan è morto”: è l’accorato grido che, secondo Plutarco, fu udito, quando la civiltà classica stava ormai per estinguersi. La lugubre vittoria della chiesa ufficiale, scaturita dal fanatismo manicheo degli Zaddikim (i Qumraniti), poi riversato nella religione paolina, è, in primo luogo oblio, anzi stupro della Natura e della sua Anima. Dissacrata la Terra, di cui la Dea Madre è l’alma essenza, la storia umana poteva solo prendere una direzione, quella sbagliata.

Ecco allora il turpe connubio tra Impero e Chiesa, auspice più il settario Teodosio che l’ambiguo Costantino. Ecco allora la Sophia calpestata e l’ignoranza eretta a sistema, benché paludata e ingioiellata di simboli venerandi. Questa fu ed è la Chiesa cattolica: un’istituzione che, se ha custodito qualche veneranda verità, non ha potuto né voluto farne dono al genere umano, defraudato di un prezioso tesoro. Queste furono e sono le varie chiese cristiane. Codeste sono la Massoneria attuale e la scienza accademica. In modo simile un parvenu commissiona la costruzione di una villa dalle forme classicheggianti dove il cattivo gusto vanifica e ridicolizza qualsiasi rivisitazione dell’antico.

Nondimeno non è solo questione di Kitsch. Le religioni patriarcali di cui i telestai (gli iniziati ai Misteri) e gli Gnostici denunciarono la funesta ideologia teocratica, sono le fondamenta di una visione distorta. Il loro lascito è sotto gli occhi di ognuno ed è punto bello. Del tutto isolati, i pensatori gnostici avvisarono gli uomini pure di una minaccia invisibile: il pericolo degli Arconti. Nella parte più inquietante del suo saggio, Lamb Nash identifica gli Arconti con gli Alieni malevoli dei nostri tempi. E’ inevitabile l’apprezzamento per quegli ufologi (Vallée, Keel, Kerner) che hanno reperito nell’antica sapienza la lucerna per gettare un barlume nei nostri tempi bui.[2]

Gli altri capitoli del volume delineano la cosmologia e l’antropologia gnostica, il tema del cedimento per opera di Sophia, indugiano sui protagonisti, gli epigoni e gli estimatori della cultura sofianica, da Ipazia a Giamblico, da Marco Aurelio a Plutarco, da Blake a D.H. Lawrence, da Philip K. Dick a Carlos Castaneda, da Mircea Eliade a Marjia Gimbutas etc.[3] Il discorso si snoda non con l’acribia dell’erudito, ma con la vena appassionata dell'intellettuale engagé. Così alle puntigliose, ma alquanto soporifere dissertazioni tipiche, ad esempio, di un Albrile, il Nostro preferisce il piglio polemico: le iperboli bibliche ed evangeliche, il complesso del redentore, il culto della sofferenza… sono esibiti nella loro grottesca irrazionalità, in quanto di disumano possiedono, quanto più sono antropocentrici.

Chi è l’uomo? Qual è la sua identità? Lo studioso crede di poter rispondere, richiamandosi al pensiero degli Iniziati ai Misteri. L’uomo è tale non nella sua identificazione con Dio (l’arrogante Io-Dio della New age), ma nel suo essere partecipe della Vita universa (Zoe), nella sua specificità di creatura che reca un’impronta, pur labile, della perfezione pleromica.[4]

Ad altre domande prova a rispondere l’autore. Che cosa anima il cosmo? Qual è la genesi del male? Qual è il destino della Terra e dell’umanità? Qui egli accetta delle risposte che, a nostro parere, sono talora fuorvianti. James Lovelock ed il drappello di “scienziati” che Lamb Nash crede interlocutori per una riscoperta del Sacro sono, infatti, di là dalle somiglianze formali con la Weltanschauung classica, dei ciarlatani. Il loro amore per Gaia è zuccheroso sentimentalismo, se non frode mondialista.

Un altro aspetto di “Non a sua immagine” che suscita qualche perplessità è la rescissione rispetto alle intuizioni gnostiche che talora brillano nella cultura vincente: lo stesso D.H. Lawrence, apprezzato da Lamb Nash, riconobbe nel suo opuscolo “Apocalisse” che il nucleo di “Rivelazione” era gnostico, anche se vi si svilupparono bubboni ebraico-paolini.

Nonostante ciò, il saggio in oggetto è apprezzabile. Controverso e, a volte, un po’ avventato ed oscuro, ma ricco di stimoli per chi intenda compiere ulteriori (audaci) ricerche, il testo riporta innumeri ed autorevoli fonti citate nella bibliografia ragionata - mancano stranamente all’appello le opere del rumeno Culianu, uno dei maggiori esperti di Gnosi – e soprattutto offre una vista emozionante sul pensiero pagano, esoterico e gnostico. Se certi particolari sono sfocati, se alcuni confini concettuali restano da tracciare, questo non significa che non sia stato inquadrato il problema. Tutt’altro. Bisogna vedere se e come riusciremo a risolverlo.

[1] Si pensi al testo di Ernesto Buonaiuti, “Lo Gnosticismo: storie di antiche lotte religiose”, Roma, 1907, Milano, 2012. E’ una grossolana apologia della religione paolina ed una diffamazione della Gnosi. A parziale discolpa di Buonaiuti, possiamo ricordare che egli scrisse prima che fossero scoperti nel 1947 i codici di Nag Hammadi.

[2] Lo studioso deplora che l’ufologia abbia quasi sempre ignorato e continui ad ignorare il tema degli Arconti, entità insediate in una dimensione meccanica e meccanici anch’essi, protesi al dominio del sistema Sole-Luna-Terra. In effetti, grava sulle indagini in questo settore l’ipoteca dello scientismo. Esso ci impedisce di vedere oltre e ci imprigiona, con i suoi carcerieri tecnologici, in una realtà virtuale che eclissa la realtà reale.

[3] All’elenco degli intellettuali e degli artisti che sono stati sacerdoti di Sophia, quantunque in modo criptico, aggiungerei Dante Alighieri. La sua preghiera alla Vergine è un’orazione ad Iside, la dea dai mille nomi. Per quanto mi consta, nessuno si è mai cimentato in un’esegesi che prenda l’abbrivo da tale possibilità.

[4] Si potrebbe qui introdurre la differenza tra Zoe, la vitalità pura ed immortale, distinta da bios, l’esistenza caduca ed inconsapevole. Come mi chiedevo tempo fa: il vocabolo greco “bios” è collegato a "bia", “violenza”? Il Dasein come strappo da una condizione di beatitudine primigenia?

Tuesday, March 12, 2013

Mondi cibernetici ed iperdimensionali: da Philip K. Dick a Giorgio Grati (terza ed ultima parte delle solite coglionate di un professoruncolo frustrato)


http://zret.blogspot.com/2013/03/mondi-cibernetici-ed-iperdimensionali.html

Mondi cibernetici ed iperdimensionali: da Philip K. Dick a Giorgio Grati (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte di queste cazzate.

Si pensi alla strana visione di Uri Geller, il famoso presunto sensitivo israeliano. Geller asserì di aver ricevuto alcune delucidazioni dagli abitanti di un pianeta extragalattico chiamato Hoova. Gli alieni di Hoova sarebbero capaci di agire sulla materia subatomica, per far apparire e sparire gli oggetti, sarebbero in grado di controllare il tempo. Inoltre gli ufonauti di Geller opererebbero con l’ausilio di androidi, unità bioniche attive all’interno di enormi astronavi, di cui l’ammiraglia è la “Spectra”.

Nel 2009 era stato pubblicato uno strano libro, a firma di Maja Ricci Andreini, “Il plico misterioso”. Preceduto da un insistente battage, il volume, che delineava uno scenario in cui la Terra è gestita da una piattaforma informatica nello spazio, si è dissolto nel nulla come la sua autrice.

Alcuni archetipi di questa concezione sono l’episodio della serie “Star Trek”, “Il ritorno degli Arconti” ed una novella di Fredric Brown, “La risposta”.

Di recente l’architetto Giorgio Grati ha esposto una teoria, per certi versi, simile. Stando a Grati, la vita sulla Terra è originata e preservata dall’Informazione, un segnale che proviene da un generatore ubicato a Nord ed allineato alla Stella polare. Per cause non chiare, tale segnale si starebbe indebolendo e Grati ha fantasticato che le scie chimiche servirebbero a mappare le zone del pianeta in cui è in atto un processo di deterioramento del segnale. Le anomale morie di pesci e volatili sono occorse giacché il segnale si è affievolito soprattutto nelle zone a nord del trentacinquesimo parallelo. L’architetto, che ha assicurato di essere in possesso di tecnologie per rafforzare il segnale, reputa che lo spirito coincida con l’informazione. “Esso è la nostra memoria, un programma informatico della quarta(?!) dimensione”.

Rispetto a tale Weltanschauung tecno-informatica, è più elevata la concezione di Dick. Egli considera il cosmo come la conseguenza del pensiero di una Mente che si è scissa in due diverse entità, dando luogo a due livelli di realtà, superiore ed inferiore, la Forma I e la Forma II di Parmenide (oppure, rispettivamente, Yang e Yin). L'umanità sarebbe intrappolata nell'universo inferiore, meccanico e deterministico ed un Velo di Maya occulterebbe il regno superiore, la vera realtà. La scissione della Mente divina sarebbe la causa di una sospensione del tempo intorno al 100 d. C., per cui solo un’immagine illusoria, trasformando lo spazio circostante, imiterebbe il flusso cronologico.

Il narratore statunitense, con il suo dualismo di origine gnostica, assegnando solo al mondo sublunare caratteristiche meccaniche, ci emancipa da una teoria tecnotronica del cosmo che, invece, è proposta da chi identifica la Mente con un software, riducendo materia, energia e coscienza ad una serie di bit.

Vero è che nessuno sa quale sia la quintessenza né della materia né della coscienza e così ogni supposizione è possibile, anche la più peregrina e bislacca.

Fonti: [FONTI??? AHAHAHAHAH]

M. R. Andreini, Il plico misterioso, 2009
Enciclopedia della fantascienza, Milano, s.v. Dick
G. Lombardi, 2013, l’uomo nuovo, dai creatori alieni al primo contatto, 2013
A. Marcianò, Apocalissi aliene, 2008
[AHAHAHAHAH]


vHgare

Tuesday, December 20, 2011

Dante e l’Inferno sulla terra

http://zret.blogspot.com/2011/12/dante-e-linferno-sulla-terra.html

Dante e l’Inferno sulla terra

La passione politica nutre le pagine più fervide di Dante ed alcune fra le sue concezioni più alte. Così, tra crude invettive ed orizzonti utopici, si dispiega un pensiero che colloca nel fuoco della controversia la dimensione politica.

Nella “Commedia”, il traviamento che conduce il poeta sull’orlo del precipizio, non è un generico peccato di concupiscenza, ma appunto la partecipazione alle contese intestine da cui l’autore, inorridito, prende le distanze. Non è fortuito se precisi riscontri lessicali accomunano il canto I dell’inferno ed il canto VI. L’espressione allitterante “esta selva, selvaggia ed aspra è forte” è riverberata da “la parte selvaggia”; le tre fiere del canto proemiale, disegni allegorici di altrettante disposizioni peccaminose, richiamano “superbia, invidia e avarizia… le tre faville c’hanno i cuori accesi” del canto VI.

La “selva” dello smarrimento è dunque la città, nella fattispecie Firenze, dilaniata da cruenti conflitti tra fazioni contrapposte e deturpata da vizi innominabili, in primo luogo l’esecranda cupidigia (avarizia) che apparenta il borgo alla borghesia, “la gente nova, avida di subiti guadagni”. La città-selva è divenuta, paradossamente, lo spazio selvatico per eccellenza, in antitesi all’integrità di costumi collocata più che nel contado, in un tempo irreversibilmente tramontato. Il vagheggiamento nostalgico di un’intemerata età dell’oro senza l’oro maledetto dei fiorini, rende Dante un conservatore sdegnoso nei confronti della classe e della mentalità mercantile il cui “peccato originale” è nel denaro e nell’usura.

A Cacciaguida è affidato il compito di proiettarsi, tra idealizzazione e concretezza, nell’universo dei secoli precedenti, allorquando Firenze era una cittadina "sobria e pudica". Si staglia sempre un passato da rimpiangere o un futuro cui abbandonarsi fidenti: il presente è peggiore, perché scava la carne.

Il Nostro, mediante visioni retrospettive e profezie, intreccia la realtà politica con i moventi economici e sociali, senza trascurare il declino dei poteri ecumenici, ormai corrosi da una tabe profonda.

La concezione di Dante, eminentemente politica, stenta ad addentrarsi nella caverna metapolitica. Il sommo poeta, riconducendo la decadenza e la corruzione dell’umanità, a ragioni soprattutto etiche, alla responsabilità personale, pare ignorare o ridimensionare un influsso esterno, a meno che non si s’intenda indugiare su una curiosa corrispondenza numerologica. È noto che i canti di argomento politico sono il sesto di ciascuna cantica a formare la fatidica cifra della Bestia, il 666. E’ una coincidenza o Dante riconosce nel mondo politico la manifestazione di un regno oscuro, la turpe sintomatologia di una sostanza maligna? [1]

Non sappiamo se l’Alighieri spinse lo sguardo sino a tale profondità, se il 515 eclissò del tutto o in parte il 666. Sappiamo che nell’abisso occorre gettare lo sguardo per scoprire le marcescenti radici del sistema. Merito di Dante comunque aver compreso che il mondo, quantunque ne condannasse per lo più i governanti terreni ed i sudditi indegni, è una succursale dell’Inferno.


[1] Va precisato, però, che il 6 considerato singolarmente non ha un’accezione negativa. Paolo Vinassa de Regny, nel saggio “Il pitagorismo di Dante”, ricorda: “Un numero su cui hanno posto la loro attenzione i cristiani è il sei. Agostino lo considera una perfezione geometrica. Difatti, col 6, si forma l'esagono iscritto al circolo ed i cui lati sono uguali al raggio. San Beda (Hexaëmeron, II, 1) dice: ‘Senarium numerum constat esse perfectum, quia primus suis partibus expletur, sexta videlicet, quod est unus, et tertia quæ sunt duo et dimidia quæ sunt tria. Unum enim et duo et tria faciunt sex’. Bonaventura considera il 6 altamente degno, basandosi al solito sull'autorità di Agostino. Egli dice (Psalterium David, 128): ‘Tanta est dignitatis huius numeri (senarii) quod, dicit Augustinus, opera perfecta sunt, quæ facta sunt sub senario. Inde dicitur perfectus numerus senarius’. Anche Nicomaco, nella sua Theologia aritmetica, dà al 6 un grande valore. L'idea della perfezione del 6 è rimasta anche nel nostro linguaggio: noi, difatti, diciamo assestare, mettere in sesto per mettere in ordine; ed anche al compasso diamo il nome di seste. Il sei è dunque un numero mistico, relativo specialmente all'uomo; divenne perciò simbolo della perfezione della vita umana, cioè della giustizia. Tanto questo concetto era diffuso che le città si divisero in sestieri; il Villani, difatti, nella sua Cronaca (III, 2) scrive: ‘La città... si resse in sei sestieri siccome numero perfetto'".

Monday, June 6, 2011

Post mortem

Guardate le fonti.

http://zret.blogspot.com/2011/06/post-mortem.html

Post mortem

I convincimenti popolari (e non solo) vedono nella morte o la fine di tutto oppure il transito sic et simpliciter verso una vita migliore.

E’ necessario, però, non dare nulla per scontato: sebbene siano del tutto marginali e peregrine, esistono delle linee interpretative secondo cui, dopo il decesso, quel quid dell’individuo che sopravvive può essere catturato da entità predatrici. “Questi esseri della mente comune sono in grado di dirottare e trattenere parzialmente, non proprio rapire, l'entità cosciente dei defunti che hanno da poco abbandonato il corpo fisico, sottrarre parecchia energia ed inserire un falso karma, generalmente più sfavorevole di quello che il defunto avrebbe meritato e poi ne accelerano la rinascita”.

Tale scenario appartenente all’Ufologia eretica è già evocato in alcuni testi gnostici come l’Apocalisse di Giacomo, ove si legge: "Ora, quando Giacomo udì queste cose, si asciugò le lacrime dagli occhi e molto amaro [...] Il Signore disse a lui: 'Giacomo, ecco, ti rivelerò la redenzione. Quando sei afferrato e subisci queste sofferenze, una moltitudine si armerà contro di te per afferrarti. E in particolare tre di loro ti ghermiranno - coloro che siedono come esattori di pedaggio. Non solo chiedono il pedaggio, ma portano via le anime con un furto. Quando si cade in loro potere, uno di loro che è a guardia ti dirà: 'Chi sei tu e da dove vieni?' Gli risponderai: 'Io sono un figlio e sono dal Padre'. Egli ti chiederà: 'Che tipo di figlio sei ed a quale Padre appartieni?' Dirai: 'Vengo dal Padre pre-esistente e sono un figlio pre-esistente".

Tradizioni sapienziali pongono l’accento sull’esigenza di affrontare il passo fatale con un consono addestramento: gli Egizi con “Il libro della via verso la Luce” (vulgo “Libro dei morti”), il buddhismo tibetano (Bon), alcune scuole esoteriche dell’antichità, poi confluite in parte nel variegato oceano della Gnosi, ci ammoniscono circa i rischi in cui incorre l’io di chi è impreparato ad affrontare il viaggio nell’ignoto. Le cosiddette lamine orfiche, sottili placche auree datate tra il V sec. a.C. ed il III d.C. poste ed arrotolate all’interno di tombe ubicate nella Magna Grecia, a Creta e nell’Ellade, sono incise con istruzioni per l’aldilà, destinate a guidare nel suo itinerario oltremondano l’anima (?) dell’iniziato. Le istruzioni sono formule che consentono alla psyché di imboccare la via che la riconduce alla sua dimora originaria, celeste. Nelle lamine orfiche la formula è una vera e propria parola d’ordine che il mystes deve pronunziare in risposta ad una precisa domanda. Il mot de passe è “Sono figlio della terra e del cielo stellato”. L’anima sitibonda deve poi abbeverarsi alla fonte Mnemosyne, ossia la sorgente della memoria, altrimenti, avendo obliato le precedenti incarnazioni, ricadrà nel “doloroso ciclo” delle esistenze. Il ricordo, scrive Alessandro Coscia, “inteso come comprensione del senso più profondo della vita, è salvezza dalla morte e recupero del tempo”. Appartiene alla pristina sapienza il concetto di uno psicopompo, il duce dei trapassati nell’Ade, onde essi non si perdano.

Più che ad un “furto di anime”, come paventato dal sibillino e frammentario libello gnostico e da alcuni ufologi, quale Susan Reed, si potrebbe pensare ad una sottrazione di energia per opera di vampiri psichici. In quel limbo, quella terra di nessuno che separa il mondo ilico dalle sfere ultraterrene, le coscienze potrebbero essere alla mercé di larve bisognose di nutrirsi con le energie dei defunti. È plausibile che queste entità siano in grado di generare visioni paradisiache con prati dal verde smagliante, giardini ameni, cieli tersi e luminosi…? Sono i magnifici paesaggi che i protagonisti delle esperienze di pre-morte ricordano di aver ammirato estasiati, dopo aver di solito percorso un tunnel il cui sbocco era inondato da una luce sfavillante. Codesti luoghi sono il frutto di un elaborato inganno teso ai danni di “anime” poi ghermite per essere incluse in involucri atti ad ospitare memorie “esterne”? Crediamo di no, ma, se così fosse, un’eventuale metensomatosi (meglio che metempsicosi) assumerebbe un significato sinistramente… alieno.

Fonti:

A. Coscia, La fonte sacra di Mnemosyne, 2011, in Fenix n.31
M. Tenan, Primo contatto, 2011
Zret, Ladri di anime, 2011
Id., La strage degli ufologi, 2010



Saturday, March 12, 2011

Under the skin

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Under the skin

Nel Quarto vangelo (Giovanni 12,31) è scritto che “Il diavolo è il Principe di questo mondo” (per essere precisi, nel testo greco è usato il termine “Arconte”). Nella prima Epistola attribuita a Giovanni si legge: “Tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno” (5,19).

Il concetto della Terra conculcata dal calcagno del demonio è pure in Matteo 4,8-9 dove il Messia è tentato: “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai.’

Chi potrebbe negare che la Terra è retta da Arconti sanguinari? Chi potrebbe contestare che gli stati sono le incarnazioni di un potere iniquo e feroce? Le amare prove di codesta condizione non mancano. Dunque nel Nuovo testamento brillano delle profonde verità sull’abominevole natura dei principati terreni.

Purtuttavia, si ha quasi la sensazione che lo strato di questo senso copra un substrato il cui valore è inatteso. Sono elucubrazioni, ma, chissà, la prospettiva dei significati a volte si dilata. Se i dominii che il Seduttore offre a Cristo fossero i regni della natura? Se il mondo schiacciato dal Maligno fosse la dimensione materiale in cui siamo imprigionati, dopo esservi caduti? La materia, albergo della caducità e della dissoluzione, è matrice e matrigna.

Si intravede in filigrana nel Quarto vangelo una ripugnanza per il mondo che non è solo esecrazione dei sordidi poteri politici e sacerdotali, ma pure ribrezzo per la corporeità ed urgenza di liberarsene. Sono nel giusto gli esegeti che estraggono nel Quarto vangelo un originario nocciolo gnostico. Altri libretti dei primi secoli, simili a polle che sgorgano nelle oasi dei deserti medio-orientali, delineano il dissidio tra Spirito e materia. Sono stati bollati come “apocrifi”, ossia spuri per la chiesa vincente, la funesta chiesa nicena.

Forse la sfera in cui esistiamo (ex-sistiamo) è l’ultimo stadio di un’emanazione: vigorosi pensatori gnostici, quali Basilide e Valentino, misuravano l’incommensurabile distanza tra la greve hyle ed il Principio increato.

Sono speculazioni “eretiche” che, attraverso fiumi carsici, riaffiorarono nella dottrina del profeta persiano Mani, dei Bogomili e dei Catari: siamo scintille divine in un corpo in putrefazione. Sono pensieri estremi: eppure chi, per una malattia, si trovi in un soma ridotto a sarcofago (carne che divora la carne), avverte tutto il peso di una materia inerte, sorda. E’ come quando una lucciola è rinchiusa in un bicchiere. Pazza, sbatte invano contro il vetro.

Non sappiamo se, di là da questo universo di sangue e fango, si slarghino realtà dove finalmente la materia è scorporata, addirittura trascesa in uno Spirito che non conosce più né i confini né la decomposizione del mondo ilico (bello quanto si vuole, ma purulento sotto la sua splendida pelle). Credo sia possibile esistano “luoghi” fantastici che neppure la più fervida fantasia può immaginare … o forse oltre si estende solo un nulla infinito e silente.

E’ quello lo Spirito? E’ quella la beatitudine cui anelano il corpo piagato ed il cuore straziato?



Wednesday, August 11, 2010

Ladri di anime

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Ladri di anime

La "Prima apocalisse di Giacomo" è un apocrifo del Nuovo Testamento di stampo gnostico, attribuito a Giacomo il Giusto. Il libretto fu composto probabilmente in greco, ma è conservato in lingua copta tra i Codici di Nag Hammâdi (V. 3) e nel Codex Tchacos (2). Il titolo dell'opera è Apocalisse di Giacomo, ma è detta "Prima" per distinguerla dall'omonima apocalisse presente subito dopo nel V codice, detta Seconda apocalisse di Giacomo. Il testo risale ad un periodo compreso tra l'ultimo ventennio del II e la prima metà del III secolo.

Si tratta di un dialogo concernente una rivelazione ("apocalisse") tra Gesù e Giacomo il Giusto, suo fratello, circa la salvezza, intesa in senso gnostico come la liberazione dell'anima dal carcere terreno ed il suo ritorno allo stato primigenio.

La prima parte dell'opera (20,10-30,11) riporta il dialogo tra Giacomo e Gesù. Giacomo è timoroso per la sofferenza che lo attende, assieme a Gesù; questi, lo consola, impartendogli degli insegnamenti sul ruolo dell'uomo nell'universo. Un riferimento indiretto e molto breve alla crocifissione (30,12-13) crea una cesura nell'interlocuzione.

Al principio della seconda parte, il Messia comunica a Giacomo una serie di formule che gli serviranno, dopo il martirio, durante la sua ascesa verso "Colui che è preesistente", per annullare i poteri ostili che tenteranno di ostacolarlo (32,23-36,1). Successivamente Giacomo riceve disposizioni sulla trasmissione segreta degli insegnamenti (36,13-38,11). L'epilogo dell'opuscolo, seriamente compromesso dalle lacune, riporta una lunga narrazione del martirio di Giacomo.

Il testo in discorso manifesta il convincimento gnostico relativo ad un'immonda dominazione arcontica. Vi si legge infatti: "Maestro, ci sono quindi dodici ebdomadi e non sette come è detto nelle Scritture?" Il Signore disse: 'Giacomo, colui che ha parlato per quanto riguarda questa scrittura aveva una comprensione limitata. Io, tuttavia, ti rivelerò ciò che viene da colui che non ha numero. Darò un segno concernente il loro numero. Come per quello che è, viene da colui che non ha alcuna misura, darò un segno sulla loro misura'. Giacomo disse: 'Maestro, ecco quindi, ho ricevuto il loro numero. Ci sono settantadue misure!' Il Signore disse: 'Sono i cieli di settantadue che sono loro subordinati. Questi sono i poteri di tutte le loro forze; e sono state istituite da loro; e questi sono coloro che sono stati distribuiti in tutto il mondo, esistenti sotto l'autorità dei dodici arconti."

Ora, quando Giacomo udì queste cose, si asciugò le lacrime dagli occhi e molto amaro [...] che è [...]. Il Signore disse a lui: 'Giacomo, ecco, ti rivelerò la redenzione. Quando sei afferrato e subisci queste sofferenze, una moltitudine si armerà contro di te per afferrarti. E in particolare tre di loro ti ghermiranno - coloro che siedono come esattori di pedaggio. Non solo chiedono il pedaggio, ma portano via le anime con un furto. Quando si cade in loro potere, uno di loro che è a guardia ti dirà: 'Chi sei tu e da dove vieni?' Gli risponderai: 'Io sono un figlio e sono dal Padre'. Egli ti chiederà: 'Che tipo di figlio sei ed a quale Padre appartieni?' Dirai: 'Vengo dal Padre pre-esistente e sono un figlio pre-esistente."

Interessante la menzione di certi numeri abbinati agli Arconti, il dodici ed il settantadue: sono cifre dal significato astrologico-zodiacale ed inerenti ad entità astrali. L'enfasi sul settantadue, che è soprattutto numero precessionale, parrebbe indicare gli Arconti come "Signori del Tempo" e tiranni del mondo visibile.

Pur nella sua oscurità, dovuta anche allo stato frammentario in cui ci è pervenuta questa Apocalisse, il legato gnostico ci incita a postulare l’esistenza di una congrega invisibile che, rosa dall’invidia, soggioga e vampirizza l’umanità. Le cosmogonie gnostiche svelano, secondo molti studiosi, che gli Arconti sono aborti generati dall’impatto della Sophia (l’emanazione divina) sulla materia.

Non manca chi, forse a ragione, ha riconosciuto negli infami Arconti, specie “aliene” di tipo interdimensionale che sono parassiti e predatori di “anime”. Curioso ed inquietante che il testo in esame descriva la possessione degli uomini per opera di creature inique e che addirittura accenni al “furto” dell’anima, nel passo che ho riportato in grassetto.

La situazione ricorda un po’ il cosiddetto "Libro dei morti", in cui sono indicate le formule e le vie con cui l’anima può accedere al Duat. Da rilevare che la morte è considerata un evento da affrontare con consapevolezza: la condizione dell’anima post-mortem dipende da conoscenze iniziatiche. Colui che non conosce le risposte da dare ai Guardiani della soglia, rischia di essere ghermito e di rinascere in un altro corpo.

Sunday, March 21, 2010

Dalla "Trilogia degli Illuminati" al "Pendolo di Foucault": come la ricerca sul Nuovo ordine mondiale viene segregata nel ghetto della sub-cultura

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Dalla "Trilogia degli Illuminati" al "Pendolo di Foucault": come la ricerca sul Nuovo ordine mondiale viene segregata nel ghetto della sub-cultura

Robert Anton Wilson e Robert Shea sono gli autori del ciclo intitolato La trilogia degli Illuminati. La saga comprende L'occhio nella piramide, La mela d'oro ed Il Leviatano. Nel primo volume, Malik, editore di una rivista indipendente, scopre per caso i progetti e le aspirazioni di alcune logge segrete e di altre dementi organizzazioni che controllano le sorti dell'intera umanità. Si trova così coinvolto in rocambolesche disavventure. Tra sostanze psicotrope, sesso e violenza, confraternite magiche, manifestazioni politiche, birri spregiudicati e criminali idealisti, città sommerse, brandelli di filosofie orientali, i due scrittori dipanano una matassa di spaventose congiure e di enigmi sconcertanti.

Non ripercorro l'intricato intreccio del romanzo, poiché vorrei lasciare ai lettori il gusto di scoprire le "predizioni" sul nostro tempo che, nell'ormai lontano 1975, Wilson e Shea disseminarono nel loro èpos post-moderno. Si pongono alcuni problemi: come poterono i due scrittori statunitensi vaticinare il futuro con tanta accuratezza? Come reagisce il pubblico e soprattutto la critica a queste incomode rivelazioni pronunciate con lo stratagemma della finzione letteraria? Al primo quesito non è così arduo rispondere: alcuni autori sono abituati ad osservare, ma soprattutto, spinti da curiosità intellettuale, si addentrano negli oscuri cunicoli della storia occulta, pure talora affiliandosi a società segrete, per carpirne qualche arcano. Fu questo probabilmente il percorso di George Orwell cui, a differenza di molti suoi epigoni, non mancò il talento. Sia quel che sia, talora ci vengono squadernati intrighi che scambiamo per gli scarabocchi di uno schizofrenico.

Eppure, se ricordiamo la natura psicopatica delle élites, non ci sorprenderà quel bric à brac di insane cabale che i critici organici al sistema si affrettano a confinare nel kitsch e nella farneticazione. Giusto! Sennonché il cattivo gusto ed il delirio non provengono tanto dalla sub-cultura, bensì dal potere: la cultura popolare, infatti, sviscera il laidume della storia per esibirlo. Non manca il compiacimento morboso per una realtà putrida, ma l'operazione opposta di chi si ostina a coprire ed a negare è molto più sconcia. Eco, nel plumbeo e pessimo romanzetto Il pendolo di Foucault, si affanna ad infangare in modo indiscriminato tutta la tradizione ermetica, pur d'insabbiare scabrose verità, con l'argomento ormai consunto e bisunto del "sonno della ragione che genera mostri". Colui pare un imbianchino di sepolcri dalle lastre sgretolate.

Lo stesso Ezio Albrile, storico delle religioni, altrimenti noto per i suoi dotti studi sulle religioni iraniche e le loro diramazioni, sdrucciola sul lucido pavimento della normalizzazione e, in un implacabile pamphlet contro David Icke, si attorciglia in un discorso capziosamente persuasivo su spie, contro-spie, spie doppiogiochiste etc. Anche qui l'arma privilegiata è quella della generalizzazione: “Alice nel paese delle meraviglie ed il disastro delle Torri Gemelle” è un delirio. Ne arguiamo che tutto quanto scrive Icke è follia pura, sebbene provenga in parte da fonti dei servizi cui sembra il saggista britannico sia in qualche modo vicino. Si può concordare con la pars destruens, ma la pars construens qual è? Vale a dire, quali sono le mezze verità che intanto bisognerebbe cominciare a divulgare, mentre si preferisce ricorrere ad una tabula rasa?

Nel momento in cui si rinuncia al discernimento, alla cernita (tra il loglio di Icke e di altri, germogliano anche spighe di grano), si sprofonda nel dogmatismo e, quel che è peggio, nel negazionismo. E’ il passo compiuto da Eco (non so se sia stato compiuto anche da Albrile né mi interessa), un passo che potrebbe essere frutto di pur storte convinzioni o di calcoli pragmatici, verso la smentita apodittica e censoria: il giorno 11 settembre 2001, alcuni islamici dirottarono due aerei contro le Torri Gemelle; le scie tossiche sono scie di condensazione... Perfetto: i nostri governanti tutti sono saggi ed onesti.

E' troppo facile disintegrare una statua di creta e non osare neppure guardare negli occhi il bronzeo Moloch. Troppo facile, da esteti a senso unico, essere schizzinosi nei confronti della paccottiglia New age e, nel contempo, tacere sulle incontrovertibili (e pacchiane) trame dei governi, magari mordendo col dente eburneo anche intuizioni gnostiche coraggiosamente "eretiche".

Umberto Eco si rallegrava per il naufragio delle utopie letterarie “generatrici di violenza”, ma si è sempre ben guardato dall'auspicare il superamento di un sistema "generatore e moltiplicatore di violenza". In fondo, l'unica diversità tra la cloaca della cultura underground e quella di Eco è che sulla seconda è stato sparso un po' di profumo.


Thursday, February 11, 2010

Paolo e gli Arconti

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Paolo e gli Arconti

Possiamo considerare Paolo di Tarso un personaggio realmente esistito? In assenza di reperti archeologici (come epigrafi o busti) o testimonianze di autori extra-cristiani che si riferiscano direttamente alla vita ed all'operato di Paolo, la sua esistenza storica è meramente ipotetica. Sul cosiddetto apostolo dei Gentili, sono pullulate le congetture più disparate: tralasciando quegli studiosi che lo considerano una costruzione ideologica, ricorderemo che qualcuno lo ha identificato con Apollonio di Tiana (in effetti, la regione di provenienza ed i viaggi del Cristo pagano ricordano da vicino il milieu culturale e gli itinerari di Paolo; negli Atti è citato anche Damis, un personaggio che porta lo stesso nome del discepolo di Apollonio), altri con un falso discepolo di Gesù (Pincherle), altri con l'Uomo di menzogna (Eisenman), altri con un provocatore alle dipendenze dei Romani, altri con il vero fondatore del Cristianesimo (Calimani et al.) etc. Quasi tutti i biblisti cristiani vedono in lui l'interprete fedele del Vangelo predicato da Cristo.

Secondo la tradizione, nel 38 d.C. circa, sulla via verso Damasco, visse un'esperienza straordinaria (Atti 9, 4) che intese come apparizione del Cristo risorto. Questa esperienza lo condusse ad avvicinarsi alla comunità impropriamente definita giudeo-cristiana, ma subito occorre chiarire che la conversione sulla strada di Damasco è un non-senso, se si pensa alla città della Siria: infatti Damasco è il nome esoterico della comunità qumranita. Ciò dà la misura di un contatto con il magistero degli Esseni (o chi per loro), stranamente assenti nei Vangeli canonici.

Dopo essersi persuasi che Paolo o non esistette o non fu il personaggio dipinto in modo agiografico negli Atti, il rischio è quello di ignorare il corpus delle lettere a lui attribuite (di alcune è esclusa la sua paternità, anche per opera di biblisti cattolici, ortodossi ed evangelici), disdegnando le epistole come anticaglie catechistiche. A mio parere, le lettere attribuite al Tarsiota sono un mélange al cui nucleo originario sapienziale, si agglutinarono poi dottrine eterogenee di ascendenza ebraica ed ellenistica, con spiccati tratti soteriologici. Lo stesso bigottissimo Ernesto Buonaiuti ammette che Paolo deve essere considerato il primo gnostico, salvo poi erigere un muro invalicabile tra Paolo e le multiformi correnti gnostiche, diffamate in modo indiscriminato.

Indubbiamente l'autore che scrisse: "Nessuno degli Arconti di questo mondo ha potuto conoscere la nostra Sapienza: se l'avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria" (I Corinzi 2: 8) nonché: "La nostra lotta non è contro la carne ed il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori (Arconti) di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria". (Efesini 6. 12 ) fu uomo che concepì una battaglia cosmica e metafisica tra la Luce e le Tenebre.

Inoltre, benché Paolo sia estraneo alle concezioni filosofiche imperniate sulla contrapposizione di anima e corpo, quando menziona il "corpo glorioso" sembra evocare un soma purificato dalle scorie terrene ed arcontiche. Non coincide forse con l' anima, ma le somiglia non poco. D'altronde la resurrezione della carne non può essere intesa in modo letterale e grossolano, ma come il dono di un corpo incorruttibile e "sottile". Il Nostro non considera la condizione dell'uomo dopo la morte, come in generale era trascurata nell'Ebraismo, ma vive in un'attesa apocalittica comune ad altre comunità del I sec. d.C: si pensi agli Ebioniti.

La dottrina della resurrezione è abbinata al rapimento nella Prima lettera ai Tessalonicesi 4, 15-7, dove si legge: "Vi diciamo questo nella parola del Signore, che noi i viventi, i rimasti sino alla venuta del Signore, non precederemo coloro che si sono addormentati: il Signore stesso, con grido, voce di Arcangelo e tromba di Dio, scenderà dal cielo e prima risorgeranno i morti in Cristo, poi i viventi, i rimasti verremo rapiti insieme con loro, nelle nubi, ad incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore".

In questo passo, la risurrezione dei morti (credenza probabilmente di origine persiana poi permeata in alcune sette ebraiche, quindi mutuata da Cristianesimo ed Islam) è evocata, ma non è definita in termini coincidenti con una rigenerazione del soma.

Quello che più interessa, nell'ambito di queste frammentarie note, è cercare di comprendere in che cosa consista la salvezza per gli uomini. Paolo la affida a Cristo, impegnato in una missione salvifica: "Con Cristo, Dio Padre ha dato la vita anche a voi, perdonando tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito le cui condizioni erano sfavorevoli. Cristo ha eliminato il debito, inchiodandolo alla croce, avendo privato della loro forza gli Arconti." (Lettera ai Colossesi). Qui è palese che l'autore non pensa al Gesù storico, ma ad un Essere la cui azione è metastorica. La stessa croce è il legno di un supplizio reale o piuttosto il sacrificio della discesa nel mondo e nella storia per redimerli?

Immaginoso, potente e talora oscuro l'estensore delle "Lettere" non costruisce una teologia ed una soteriologia unitarie, a causa del carattere eteroclito delle fonti cui attinse, ma soprattutto poiché il corpus delle epistole, stratificato e complesso, è una commistione feconda, ma non scevra di contraddizioni, una polifonia in cui talora qualche voce stona. Uno dei temi ricorrenti è l'avversione per la Legge: in questo rifiuto si potrebbe individuare il dissapore con la cosiddetta Chiesa di Gerusalemme, guidata, secondo alcune tradizioni, da Giacomo, il fratello del Signore, ma forse pure un malcelato desiderio di recidere i legami tra la nascente chiesa paolina ed il Giudaismo: un atteggiamento assimilabile a quello delle confraternite gnostico-cristiane ostili alle tradizioni ebraiche.

Gnostica (lato sensu) è comunque una certa diffidenza nei confronti del mondo e un pur non estremo dualismo (Angeli contro Arconti tirannici, sottoposti tutti alla potestà di Cristo) che, se da un punto di vista etico, è condivisibile, forse concorre a nutrire le stesse forze oscure, con l'ostinazione a combatterle. Se, infatti, almeno in una certa misura, tali entità malefiche sono egregore negative, non è poi così lontano dal vero Antonio Bonifacio, quando osserva: "Più Paolo si impegnava in questa contrapposizione (contro gli Arconti n.d.r.), più ne alimentava le risorse, in quanto tutte le compagini demoniache che egli menzionava, traevano la propria stessa forza dalla volontà di Paolo di distruggerle, lottando contro di loro".




Tuesday, December 29, 2009

Due

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Due

Il mondo materiale pare scisso da una dualità: in esso coesistono armonia e crudeltà, magnificenza e lordume. Giacomo Leopardi, nel celebre passo dello Zibaldone in cui descrive il "giardino delle sofferenze", osserva, con sguardo che potremmo definire gnostico, la natura in cui, di là dalle parvenze amene, si consuma una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi.

La riflessione sull'intima natura della natura ha impegnato profeti, filosofi, scienziati, artisti: alcuni vedono nel creato il sigillo divino, altri ritengono che in un mondo voluto da Dio si sia poi infiltrato un sabotatore per deturparlo [1], altri concepiscono la materia come antitesi pura dello Spirito, una "morta gora".

Nel Leopardi maturo l'immagine della natura si sdoppia: da un lato essa ostenta un'immagine gradevole, dall'altro affiora la sua essenza di forza cieca, di volontà tesa solo a perpetuare sé stessa, senza curarsi del destino delle creature, dei loro inani patimenti. Ecco allora la potente e solenne immagine della Natura: nella sua glaciale imperturbabilità, risponde alle domande sgomente dell'Islandese sul non-senso dell'esistenza.

E' quella del poeta recanatese una concezione anti-cosmica non molto distante dalle dottrine dualiste (dagli gnostici ai Catari) che vedono nella creazione ilica una caduta, benché Leopardi non creda in un principio spirituale contrapposto all'universo mosso da forze meramente meccanicistiche.

Il dualismo, con le sue forme più o meno radicali (dal dualismo platonico e neoplatonico con cui il cosmo che è letteralmente "ordine"è salvato, benché sia considerato inferiore all'Idea del Bene o all'Uno, al dualismo temperato del Cristianesimo paolino etc.) ha conosciuto un'inaspettata reviviscenza per mezzo di alcuni orientamenti all'interno dell'Ufologia, anche in forme estreme. Mi riferisco qui, in particolar modo, a Corrado Malanga che si è convinto che esistono due generi di uomini: gli uomini con anima e quelli, invece, che ne sono privi, i cosiddetti umani. Tale dicotomia ontologica ricorda la
distinzione gnostica tra uomini pneumatici (spirituali) ed ilici (materiali). Bisogna ammettere che questa visione è impopolare, ma, a mio parere, potrebbe non essere del tutto infondata. Infatti, prescindendo dal significato che intendiamo attribuire alla parola "anima", sembra che un divario incolmabile separi le persone: da un lato uomini con coscienza, dall'altro esseri simili a vuoti involucri, ad automi. Nel celebre film Matrix tale dialettica è riproposta, quantunque in modo ambiguo, nell'antitesi tra gli uomini e le macchine. Tale contrapposizione è evocata da quei ricercatori che individuano negli extraterrestri conosciuti come Grigi delle unità bioniche.

Il discorso è complesso e costellato di aporie, poiché è pressoché impossibile accordarsi sul valore del termine "anima" e sulle sue caratteristiche. Resta l'impressione che non tutti gli uomini siano uguali sicché talora si è tentati di ventilare ipotesi audaci ed eretiche, ad esempio, ammettendo che le piante possiedano una forma di coscienza e, nel contempo, negando che talune persone siano dotate di interiorità, simili a burattini eterodiretti, a robot menomati. Ancora più ardua è la riflessione sulla possibilità che una macchina possa acquisire, insieme con un'autonomia di pensiero e di azione, un'ombra di io. Il paradosso sarebbe se, in futuro, come in alcuni racconti e romanzi di fantascienza, cominciasse a nascere una progenie di automi senzienti in grado di soppiantare un'umanità meccanizzata e "dis-animata".

Già oggi la differenza tra uomini massificati e computers "intelligenti" è minima.


[1] Gli storici delle religioni e gli antropologi lo denominano demiurgo-trickster.





Friday, December 11, 2009

L'ambiguità di "Matrix" (un controdiscorso)

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L'ambiguità di "Matrix" (un controdiscorso)

Il film "Matrix", per la regia dei fratelli Wachowski, (1999), è stato oggetto di numerose interpretazioni confluite anche in una raccolta di saggi Pillole rosse. Matrix e la filosofia, 2006. Sorprende che tra i vari esegeti, alcuni dei quali si sono persi nelle elucubrazioni più cervellotiche, nessuno abbia interpretato la nota pellicola in modo letterale. Questa lettura è peregrina, benché contenga, a mio parere, dei frammenti di verità. (Vedi Il dominio delle macchine da Atlantide a Zeitgeist).

Bisogna ricordare che "Matrix" è un'opera cinematografica che esprime, pur con qualche deviazione dall'ideologia dominante, la Weltanschauung e gli obiettivi del sistema. Pertanto trasformarla nella Bibbia dell'uomo che si ribella al potere è, per lo meno, un'ingenuità. Purtroppo è quello che è accaduto: la pillola rossa, (il) Neo-Messia che redime la popolazione asservita... sono divenuti altrettanti topoi di una rivoluzione velleitaria, surrogati della speranza in un futuro migliore. In ogni caso "Matrix", oltre a fornire interessanti spunti di riflessione su temi ontologici (che cos'è la realtà?), lascia filtrare qualche rivelazione affidata a particolari all'apparenza insignificanti e ad alcune battute dei personaggi, più che all'intreccio nel suo complesso, soprattutto se si leggono al contrario certi aspetti.

Proviamo ad invertire la dialettica uomini-macchine e scopriremo inquietanti risvolti. Si pensi alla frase pronunciata da Morpheus che è un'allusione alle scie chimiche: "Non so quando avvenne, ma ricordo che fummo noi ad oscurare il cielo". Il mentore di Neo intende qui riferirsi alla decisione che presero gli uomini di filtrare la luce del sole per tentare di sottrarre alle macchine l'energia che, alimentandole, le stava rendendo in grado di sopraffare le persone. E' questo forse uno stratagemma narrativo per deresponsabilizzare le élites che perseguono il folle disegno di trasformare l’umanità in un computer bionico. L'oscuramento è anzi volto alla distruzione della biosfera, mentre le microstrutture (M.E.M.S.) sono alimentate dalle onde elettromagnetiche e dai raggi ultravioletti.



L'antitesi tra artifciale e naturale enfatizzata nel film confligge con l'integrazione tra organismi viventi e programmi informatici senzienti vagheggiata dal sistema. D'altronde l'algida matrice che genera una realtà intesa come neuro-simulazione, è combattuta da rivoltosi la cui visione della vita, meramente biologista (gli uomini sono batterie, la mente identificata con l’encefalo, le esperienze come neuro-stimolazioni...), non si discosta molto dalla ferrea ed impersonale gestione energetica attuata dalle macchine.

Benché, per l'enucleazione dei motivi che costellano la pellicola dei fratelli Wachowski si siano scomodati Platone, la Gnosi, Kant etc., siamo al cospetto di una concezione tecno-esoterica in cui i nomi dei personaggi sono sovente più significativi della trama: così Neo è, nella sua vita irreale, Anderson, ossia in una contaminatio tra greco ed inglese, il Figlio dell'Uomo (adombramento del falso Messia, già evocato da Steiner); Morpheus è il nome del dio del Sonno, dunque è colui che, lungi dal risvegliare il protagonista in un mondo atroce ma vero, lo immerge nell'ipnosi dell'inganno che si perpetua, anche se in un differente stato percettivo.

Emblematico è anche il nome della città di Zion. Sion, la città di Dio, è l’unico centro di "Matrix "in cui gli uomini sono liberi, ma è ubicato (non è poi così strano) nelle profondità della terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave, ma adombra anche uno fra i vertici dell'esecrando potere mondiale.

Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Pare dunque di poter intravedere, nel discorso digitale-cibernetico, una filigrana luciferino-transumanista: Neo, il Messia del futuro, è l'Uomo-macchina che, battendosi (fingendo di battesi) per liberare l'umanità dalla schiavitù all'Intelligenza artificiale, alla fine ne riafferma il predominio, mancandogli del tutto una dimensione spirituale, surrogata dalla padronanza delle arti marziali.

L'epigrafe del film è nell'obliqua battuta di Morpheus: "Il corpo non sopravvive senza mente". Il generico e rigido dualismo corpo-mente si rattrappisce nell'unità del cervello, sia esso biologico o elettronico.

Nonostante questi limiti ed ambiguità della produzione cinematografica, resta indelebile la sequenza in cui, azzerata la simulazione elettronica, Morpheus mostra a Neo la Terra così com'è realmente: un immenso cumulo di rovine sovrastato da un cielo grigio e metallico, una landa in cui gli edifici semidistrutti da una guerra planetaria paiono statue di divinità pagane spezzate dalla furia di un cataclisma. E' immagine potente, simbolo della desertificazione del mondo che ci circonda e dell'aridità interiore.

Non occorre, però, che alcun programma informatico crei uno scenario di vita fittizia, visto che il pianeta è già un cadavere.

Non occorre che le macchine prendano il sopravvento su uomini che sono già automi.