L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, September 11, 2012

Lo scarto (titolo autobiografico)


http://zret.blogspot.com/2012/09/lo-scarto.html

Lo scarto

Abbiamo oggi tutte le risposte, anche quelle agli interrogativi abissali [tanto quanto la tua ASSOLUTA ignoranza in ogni campo dello scibile umano]. Taluni ci spiegano, infatti, che come esistono particelle di carica positiva e particelle di carica negativa, così si contrappongono, ma si conciliano, il bene ed il male. Il Dao (leggi Tao) [e allora SCRIVI Tao, no?] è lì a dimostrarlo. Senza colpo ferire, i concetti spesso controversi della fisica [Diobòno, ma quante e quante volte bisogna ripetertelo? M E C C A N I C A, NON FISICA!!!]  quantistica vengono trasferiti nel macrocosmo e persino nell’etica. [qui, un 'che cazzo stai dicendo?', ce lo metto io]

Forse si dimentica che le cariche delle particelle sono tali perché così definite, mentre non credo che la distinzione tra bene e male sia del tutto arbitraria, come fossero due princìpi intercambiabili. [che cosa minchia c'entrano cariche positive e negative col bene e il male lo sanno solo i tuoi due neuroni sciancati] L’ignavia, ostentata come somma virtù, [DA CHI? Ah, già ma parliamo di esperti mondiali del ramo, dalle parti degli straccioni del terrazzino] chiamata spesso [QUANTO spesso?] “superamento del dualismo”, è la cifra degli pseudo-spiritualisti. [ha parlato lo pseudo-intelligente] Non sappiamo quale sia l’origine del male, ma asserire o che non esiste o che è sinonimo perfetto di bene, è forse un po’ audace. [il termine più adatto mi pare MINCHIATA]

I sensisti (e lo stesso Leopardi con ben maggiore acume) [del tuo, ma è troppo facile, come esempio sarebbe andato bene anche un protozoo], se non altro, distinsero tra piacere (bene) e dolore (male): oggi troveremo chi contesterà questa ovvia separazione. [CHI?]

E’ vero che la morale non trova fondamenti indiscutibili, poiché, per giovarsene, deve a sua volta presupporre un caposaldo altrettanto assoluto (Dio), ma anche un bambino, anche un animale rifuggono dalle cause di sofferenza, perseguendo, invece, il soddisfacimento dei propri desideri naturali. Questa congenita inclinazione verso le sorgenti della gratificazione dimostra che, anche ad un livello di impulsi elementari, bene e male non sono identici. [minchia, che riflessione... Anche gli adulti tendenzialmente agiscono così. 'bene e male non sono identici'... Grazie, e va' Hgare]


Se si allarga il discorso a sfere più elevate, anche qui ci si accorge che creazione e distruzione, bello e brutto, vita e morte, amore ed odio, salute e malattia, intelligenza e stoltezza non sono commutabili, ancorché un polo possa sfumare indefinitamente nell’altro. Bisognerebbe capire come e perché, ad un certo punto, nell’universo che di per sé non è né morale né amorale, sia emerso quel quid che, anche in modo istintivo e profondo, spinge gli esseri viventi a discernere tra gli opposti. L’etica affiora quando si prende coscienza della natura dell’universo? Potrebbe l’etica essere una sovrastruttura umana in un cosmo in cui tutto accade come deve accadere, dove tutto è compiuto? Questa possibilità mi pare implausibile, tuttavia non si può, se si vuole essere spassionati, rigettarla a priori.

Se, seguendo Kant, postuliamo una ragion pratica, siamo costretti ad aggiungere anche l’assioma del libero arbitrio, poiché non ci si può riferire ad una condotta lodevole o deprecabile, escludendo la possibilità di scegliere. Paradossalmente gli anti-dualisti etici di solito sono assertori del libero arbitrio e persino della capacità di co-creare.[1]

Sono temi spinosi, su cui abbiamo già indugiato: qui evidenziamo la contradditorietà [italiano questo sconosciuto] dell’assunto. In un mondo che è “il migliore dei mondi possibili”, che senso hanno le azioni, l’evoluzione della coscienza, le scelte? E’ necessario sia introdotto un ostacolo, affinché si inneschi il movimento che non è necessariamente progressivo. Eppure gli pseudo-spiritualisti negano che tale ostacolo si trovi anche nella realtà empirica, ribadendo che tutto, proprio tutto è perfetto così com’è, giacché il male è solo il risultato di una visione limitata e distorta. Se così fosse, però, donde scaturiscono le questioni che diventano lancinanti nelle situazioni estreme? Sono il frutto di fantasticherie o davvero qualcosa non quadra? Se è corretta la seconda ipotesi, che cosa non quadra e perché?

E’ evidente che le domande pullulano. [e tu hai polluzioni mentre spari queste cazzate] Sono quesiti giganteschi che fagocitano le piccole, timide risposte sull’enigmatica, ambigua natura dell’essere.

[1] La questione è assai controversa. Se è indubbio che, in casi eccezionali, la mente può influire in qualche modo sui fenomeni, affermare che il pensiero (ma il pensiero di chi?) [il tuo no di certo, oltretutto dimostri quotidianamente di essere INCAPACE di pensare] può ipso facto creare e plasmare la realtà, poiché a livello di particelle subatomiche l’osservatore (attraverso uno strumento) interagisce con l’osservato, è di nuovo una semplificazione ed un triplo salto mortale. E’ comunque un’idea che va collocata in una teoria filosofica congruente al suo interno e non espressa a vanvera. [ecco, giusta conclusione: ha ri-parlato l'esperto di cazzate a vanvera]

Wednesday, August 17, 2011

Paradossi

http://zret.blogspot.com/2011/08/paradossi.html

Paradossi

E’ possibile ricondurre il mondo entro semplici modelli interpretativi? E’ una domanda retorica. Il mondo è come una sfera che avvolgiamo con un foglio: si formano delle grinze.[1] Il senso comune imperniato su concezioni convenzionali e, pur nella loro complessiva comodità, arbitrarie può ambire solo ad una scarsissima validità filosofica.[2]

Il reale è autocontradditorio ed inconoscibile nella sua essenza: per questo motivo alcuni indirizzi logici l’hanno escluso dall’indagine o collocato sullo sfondo, concentrandosi sulla natura del linguaggio e sulla formalizzazione del metodo. E’ quindi un lavoro di chiarificazione concettuale, più che un’elaborazione di visioni della realtà. L’impegno dei neo-empiristi nel tentativo di costruire un sistema “scientifico” ed “esatto”, con l’obiettivo di rifondare la conoscenza su basi puramente empiriche, previa strutturazione di un linguaggio unificato ed univoco della scienza, si scontra con l’impossibilità di razionalizzare del tutto il mondo “là fuori”.

I logici privilegiano giudizi analitici, come “I corpi sono estesi”: sono enunciati che non implicano un accrescimento di conoscenza e contenenti comunque un residuo empirico, nella fattispecie l’esperienza dei corpi e dell’estensione nello spazio. Così il filosofo e logico statunitense W. O. O. Quine nega che si sia riusciti ad indicare criteri capaci di condurre ad una sicura individuazione delle pretese asserzioni analitiche, giungendo a teorizzare un empirismo senza dogmi, secondo il quale non esistono proposizioni prive di contenuto empirico e “vere” unicamente in virtù del significato delle parole che vi compaiono. Sono dunque contestate sia l’esistenza di “verità” analitiche sia la base logica delle “verità” logico-matematiche. Ne consegue un ridimensionamento del carattere “oggettivo” reputato intrinseco alle concezioni scientifiche.

In altre parole: allontanarsi del tutto dall’esperienza è impossibile e, quanto più ce ne discostiamo, tanto più ci si avvicina alla tautologia. Jorge Luis Borges, che non è filosofo né logico, intuisce la natura intransitiva, autoreferenziale del linguaggio, quando scrive: “Parlare significa incorrere in tautologie”.[3]

Uscire dal circolo della tautologia significa affrontare o riaffrontare le grandi questioni su cui cozza il pensiero, con la coscienza che non possono essere esaurite e definite, perché, se si presumesse di poterle circoscrivere e spiegare in toto, si cadrebbe nel dogmatismo che è in antitesi al pensiero.

La riflessione non può atrofizzarsi in schemi, ma neppure adagiarsi sul giudizio verosimile, sul principio consolidato. Così è necessario abituarsi a sovvertire i termini di ciascun problema: l’effetto può precedere la causa, la materia può non essere concreta, il libero arbitrio può essere un’idea fallace, il tempo e lo spazio possono non essere costanti universali, l’idea può essere anteriore all’oggetto, le leggi fisiche possono non essere normative… Mettere in discussione i pre-concetti è il punto di partenza; la meta è solo una tappa. Bisogna ricordare che, se l’universo è di per sé, contro-intuitivo, qualsiasi indagine, anche la più sistematica e formale, è destinata ad imbattersi nella contraddittorietà. Una traccia di incongruenza è ineliminabile: come quando si crea il vuoto in un contenitore, resta sempre un residuo di energia. Molte situazioni, un po’ come le proposizioni di Gödel,
sono indecidibili, poiché la realtà è simile ad un ipertesto in continua espansione.

Il filosofo serbo, naturalizzato statunitense, Thomas Nagel, elenca i principali nodi del pensiero contemporaneo: il problema delle altre menti (come sappiamo che esistono altre menti oltre la nostra?), la relazione tra mente e corpo, l’essenza del significato linguistico, la libertà, il tema della giustizia…

E’ arduo fornire delle risoluzioni di tali interrogativi, ma è più importante il fuoco delle domande che l’acqua estinguente delle presunte, ipotetiche risposte.

[1] L’efficace immagine non è mia, ma di un amico. Tempo fa, esaminando un soggetto affine, ricorsi alla metafora delle formelle che, a causa di una loro non perfetta configurazione, non si incastrano negli spazi relativi.

[2] Sarebbe interessante discernere quanto di questo ragionamento comune cui soggiace una logica binaria dipenda da fattori culturali e quanto dalla struttura bipartita del cervello, ma è argomento che esula dai confini del presente articolo. Inoltre tale domanda replica un’articolazione binaria che è proprio quella da cui si dovrebbe tentare di rifuggire.

[3] Giudizi analitici e tautologie tendono ad assomigliarsi: si pensi all’enunciato “Se piove, allora piove” che è un’asserzione analitica, come “E’ vero solo ciò che è vero”, l’originale ed arguto motto dell’eccelso Romeo, il guitto del Colosseo.

Friday, December 11, 2009

L'ambiguità di "Matrix" (un controdiscorso)

http://zret.blogspot.com/2009/12/lambiguita-di-matrix-un-controdiscorso.html

L'ambiguità di "Matrix" (un controdiscorso)

Il film "Matrix", per la regia dei fratelli Wachowski, (1999), è stato oggetto di numerose interpretazioni confluite anche in una raccolta di saggi Pillole rosse. Matrix e la filosofia, 2006. Sorprende che tra i vari esegeti, alcuni dei quali si sono persi nelle elucubrazioni più cervellotiche, nessuno abbia interpretato la nota pellicola in modo letterale. Questa lettura è peregrina, benché contenga, a mio parere, dei frammenti di verità. (Vedi Il dominio delle macchine da Atlantide a Zeitgeist).

Bisogna ricordare che "Matrix" è un'opera cinematografica che esprime, pur con qualche deviazione dall'ideologia dominante, la Weltanschauung e gli obiettivi del sistema. Pertanto trasformarla nella Bibbia dell'uomo che si ribella al potere è, per lo meno, un'ingenuità. Purtroppo è quello che è accaduto: la pillola rossa, (il) Neo-Messia che redime la popolazione asservita... sono divenuti altrettanti topoi di una rivoluzione velleitaria, surrogati della speranza in un futuro migliore. In ogni caso "Matrix", oltre a fornire interessanti spunti di riflessione su temi ontologici (che cos'è la realtà?), lascia filtrare qualche rivelazione affidata a particolari all'apparenza insignificanti e ad alcune battute dei personaggi, più che all'intreccio nel suo complesso, soprattutto se si leggono al contrario certi aspetti.

Proviamo ad invertire la dialettica uomini-macchine e scopriremo inquietanti risvolti. Si pensi alla frase pronunciata da Morpheus che è un'allusione alle scie chimiche: "Non so quando avvenne, ma ricordo che fummo noi ad oscurare il cielo". Il mentore di Neo intende qui riferirsi alla decisione che presero gli uomini di filtrare la luce del sole per tentare di sottrarre alle macchine l'energia che, alimentandole, le stava rendendo in grado di sopraffare le persone. E' questo forse uno stratagemma narrativo per deresponsabilizzare le élites che perseguono il folle disegno di trasformare l’umanità in un computer bionico. L'oscuramento è anzi volto alla distruzione della biosfera, mentre le microstrutture (M.E.M.S.) sono alimentate dalle onde elettromagnetiche e dai raggi ultravioletti.



L'antitesi tra artifciale e naturale enfatizzata nel film confligge con l'integrazione tra organismi viventi e programmi informatici senzienti vagheggiata dal sistema. D'altronde l'algida matrice che genera una realtà intesa come neuro-simulazione, è combattuta da rivoltosi la cui visione della vita, meramente biologista (gli uomini sono batterie, la mente identificata con l’encefalo, le esperienze come neuro-stimolazioni...), non si discosta molto dalla ferrea ed impersonale gestione energetica attuata dalle macchine.

Benché, per l'enucleazione dei motivi che costellano la pellicola dei fratelli Wachowski si siano scomodati Platone, la Gnosi, Kant etc., siamo al cospetto di una concezione tecno-esoterica in cui i nomi dei personaggi sono sovente più significativi della trama: così Neo è, nella sua vita irreale, Anderson, ossia in una contaminatio tra greco ed inglese, il Figlio dell'Uomo (adombramento del falso Messia, già evocato da Steiner); Morpheus è il nome del dio del Sonno, dunque è colui che, lungi dal risvegliare il protagonista in un mondo atroce ma vero, lo immerge nell'ipnosi dell'inganno che si perpetua, anche se in un differente stato percettivo.

Emblematico è anche il nome della città di Zion. Sion, la città di Dio, è l’unico centro di "Matrix "in cui gli uomini sono liberi, ma è ubicato (non è poi così strano) nelle profondità della terra. Simboleggia la Terra Promessa per l'equipaggio della nave, ma adombra anche uno fra i vertici dell'esecrando potere mondiale.

Un simbolismo biblico ed onirico è collegato anche al nome della nave, Nebuchadnezzar (Nabucodonosor). Nebuchadnezzar, re di Babilonia, fu istruito in sogno da Dio per distruggere gli abitanti di Gerusalemme che adoravano falsi profeti.

Pare dunque di poter intravedere, nel discorso digitale-cibernetico, una filigrana luciferino-transumanista: Neo, il Messia del futuro, è l'Uomo-macchina che, battendosi (fingendo di battesi) per liberare l'umanità dalla schiavitù all'Intelligenza artificiale, alla fine ne riafferma il predominio, mancandogli del tutto una dimensione spirituale, surrogata dalla padronanza delle arti marziali.

L'epigrafe del film è nell'obliqua battuta di Morpheus: "Il corpo non sopravvive senza mente". Il generico e rigido dualismo corpo-mente si rattrappisce nell'unità del cervello, sia esso biologico o elettronico.

Nonostante questi limiti ed ambiguità della produzione cinematografica, resta indelebile la sequenza in cui, azzerata la simulazione elettronica, Morpheus mostra a Neo la Terra così com'è realmente: un immenso cumulo di rovine sovrastato da un cielo grigio e metallico, una landa in cui gli edifici semidistrutti da una guerra planetaria paiono statue di divinità pagane spezzate dalla furia di un cataclisma. E' immagine potente, simbolo della desertificazione del mondo che ci circonda e dell'aridità interiore.

Non occorre, però, che alcun programma informatico crei uno scenario di vita fittizia, visto che il pianeta è già un cadavere.

Non occorre che le macchine prendano il sopravvento su uomini che sono già automi.




Wednesday, July 8, 2009

Il mondo, la coscienza, il nulla (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2009/07/il-mondo-la-scoscienza-il-nulla-prima.html

Il mondo, la coscienza, il nulla (prima parte)

Il tempo, la più grande illusione, concretizza ogni destino. (Davy)

Niente e nessuno ci può garantire che esiste il mondo fuori di noi. Si racconta che Pirrone, filosofo greco, andasse a sbattere contro gli alberi, poiché non poteva essere sicuro che l'albero fosse un oggetto "esterno", "concreto" e "reale". Da un punto di vista filosofico non aveva torto, sebbene dovesse procurarsi, a causa del suo ostinato scetticismo, dei forti mal di capo: la "realtà" è il risultato di una fede. Noi crediamo che l'albero continui ad esserci, anche quando non lo percepiamo, laddove il fenomeno è letteralmente ciò che appare ai nostri sensi. Fondamentale fu la rivoluzione copernicana con cui Immanuel Kant trasferì lo spazio ed il tempo all'interno dell'io legislatore, della coscienza cui il mondo fenomenico deve adattarsi affinché sia esperito. Tuttavia se, grazie alle filosofie orientali, a Platone, a Berkeley ed all'Idealismo, abbiamo spostato il baricentro dell'essere dall'"esterno" verso l'"interno", restano molti problemi irrisolti.

Orbene riconosciamo, sulla base di acquisizioni antiche e recenti, che l'universo è una proiezione, generata da un oloprogramma. Ricordiamo che energia, spazio e tempo sono "condensazioni" di atti percettivi, provvisorie ed illusorie immagini dinamiche create dal cervello-mente-coscienza. Rammentiamo pure che l'abitudine e schemi a priori producono da un lato la sequenza lineare del tempo, dall'altro la collocazione spaziale degli oggetti, senza che tali caratteristiche ineriscano al mondo in sé. Non è forse un caso se queste forme a priori della sensibilità si strutturano, se consideriamo la linea ontogenetica (lo sviluppo dell'individuo) gradatamente affinché l'individuo possa organizzare la visione dell'universo, secondo un modello empiricamente funzionale, sebbene non veritiero. Sicuramente ci è capitato di sentire dei bimbi che impiegano i tempi verbali in modo contraddittorio. Ad esempio, dicono: "Domani sono andato all'asilo". Questo uso disinvolto e paradossale degli indicatori cronologici sembra denotare una non-oggettività delle relazioni temporali: passato, presente e futuro coesistono nella mente del bambino (diagramma ontogenetico) come nell'età del Sogno appartenente alla mitologia degli Aborigeni australiani. Pare che si possa inferire dalla non-sostanzialità dei rapporti temporali una non-sostanzialità del tempo tout court.

Esterno ed interno sono due aspetti inscindibili: solo per convenzione li distinguiamo, perché è nella coscienza che si configura quel che esiste. L’unitarietà del tutto, l’atemporalità dell’eterno è il fiume eracliteo in cui non è possibile immergersi due volte.

La concezione idealistica del reale sconfina nel solipsismo, poiché, l'universo è in quanto ipse fecit. Il sole sorge comunque anche senza l'io che lo percepisca e lo coaguli in un crogiolo fenomenico? A rigore, no. No, il sole non può sorgere, se l'io non lo percepisce e coagula. Si evita il solipsismo o postulando, con Kant, un noumeno inconoscibile, ma che è il substrato del mondo fenomenico, o ricorrendo ad una Mente che proietta e, nel contempo, esperisce l'universo. Tale Mente, un io penso trascendentale ed ontologico concepito non solo come attività ma anche come sostanza, può essere anche definita Dio, di cui gli io individuali partecipano, come le onde dello stesso mare. Sennonché, a differenza del Dio delle religioni positive, questa Mente non pare coincidere con un Creatore consapevole, ma con una specie di Narratore-Descrittore di possibilità di esistenza (gli enti non necessari), avulse da un fine preciso. Questa Mente è simile ad un sognatore che tesse e disfa racconti ed immagini oniriche e che, solo nel caso dei rari sogni lucidi, riesce a definire l'intreccio ed i ruoli dei personaggi.