L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

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Saturday, September 14, 2013

La legge dell'attrazione (quarta parte)


http://zret.blogspot.it/2013/09/la-legge-dellattrazione-quarta-parte.html

La legge dell'attrazione (quarta parte)

Leggi qui la terza parte.

La cosiddetta “legge dell’attrazione” implica il libero arbitrio. Tuttavia, oltre agli argomenti già addotti che, se non confutano la congettura della libertà umana, la mettono per lo meno in dubbio, si possono aggiungere altre dimostrazioni.

L’universo olografico

In primo luogo, riallacciandoci all’ipotesi dell’universo olografico, noteremmo quanto segue. La teoria del cosmo olografico si incentra sul principio, secondo cui la parte riproduce il tutto: anche l’encefalo è inscritto in questo modello. Sulla base di diversi studi, alcuni scienziati hanno stabilito che il cervello è uno “strumento” in cui una sezione contiene tutte le potenzialità cognitive e percettive dell’intero organo. Ora, dato per plausibile tale concetto, è evidente che la frazione è come uno specchio dove si riflette, in piccolo, un’immagine più grande.

Se trasponiamo questa idea all’ambito delle azioni – ed è trasposizione legittima, visto che il fisico britannico David Bohm definì il suo sistema olografico come “olomovimento” - dobbiamo evincere che un’azione si riverbera su tutte le altre, alle quali si aggancia. Nel momento in cui l’universo riceve il primo impulso, tale impulso si trasmette a tutti gli altri lungo una linea all’apparenza temporale, in realtà sincronica. E’ un po’ come quando, gettato un sasso in un lago, si creano tanti cerchi concentrici: via via i vari circoli, anche se con circonferenze più ampie, riproducono il primo, da cui sono generati.

Potremmo pensare all’avvio del moto come ad una lunghissima corda la cui vibrazione, che si propaga da un punto centrale X si estende alle sue estremità A e B. A e B sono convinti di aver dato inizio al movimento, mentre si limitano a ricevere la “coda” del moto da X.

Per questo motivo alcuni mesi addietro si asseriva che alla concezione dell’universo olografico soggiace una forma di radicale determinismo, sebbene non sia quello causale del Positivismo ottocentesco, ma un meccanicismo sincronico e speculare, dove ogni fenomeno originario si collega a tutti i fenomeni secondari. Questi si manifestano contemporaneamente all’input primo, conservandone tutte le caratteristiche, benché in scala ridotta.

Così la teoria delll’universo olografico tende ad accostarsi ai modelli fisici che si fondano sulla non-località: una particella interagisce con un’altra anche molto distante, poiché le due particelle sono la stessa percepita in modo illusorio come divisa. Forse è per il principio della non-località (lo spazio-tempo è un’unità indivisa che cogliamo come molteplice e separata nonché dipanata lungo l’asse temporale) che non pochi fisici quantistici negano il libero arbitrio.

I viaggi nel tempo

Se ci soffermiamo sull’àmbito della storia umana, riconoscendo che gli eventi progettati e previsti, si sono adempiuti, rintracciamo un altro argomento, benché debole e controverso, contro il libero arbitrio.

Si pensi a tutti quei testi (ad esempio, il carteggio Pike-Mazzini) in cui sono programmati eventi che sono poi puntualmente accaduti. Si pensi alle profezie che si sono avverate. Se quanto fu orchestrato e predetto, è finora successo, è discutibile sostenere che esiste la libertà di scelta.

Ciò non esclude che in altri ipotetici universi paralleli non siano state prese decisioni che hanno impresso un’altra direzione alla storia. Così se qui scoppia una guerra, là regna la pace. Se qui A muore, là A vive.

L’idea degli universi paralleli ammette in linea teorica i viaggi nel tempo, ma senza la possibilità di cambiare il passato, stante il noto paradosso del nonno, per cui se io, inoltratomi nel tempo trascorso, uccido il mio avo, non nasco più. Quindi non posso più intraprendere il tour temporale. L’impossibilità di mutare gli accadimenti passati tende ad avvalorare una visione deterministica, per cui gli avvenimenti si susseguono e si concatenano secondo una loro ratio su cui in nessun modo si può influire, pena la creazione di un caos spaventoso, se non addirittura il collasso dell’universo.

Alcuni filosofi e scienziati ritengono che gli eventi non siano del tutto predeterminati, poiché è sempre possibile, anche all’ultimo momento, cambiare idea, trasmettendo alla freccia temporale un’altra traiettoria. Questo forse è vero, purché si pensi che, non appena si compie un’opzione tale da spezzare la consequenzialità, questa scelta realizza un effetto differente in un’altra dimensione – di cui comunque sappiamo poco o nulla – non nel nostro universo. Vale a dire, A qui comunque divorzia, anche se A lì è ancora sposato.

Si delinea dunque, ogni volta in cui si prende una deliberazione, un bivio (teoria del bivio, Straker): una biforcazione conduce in un senso, l’altra biforcazione in un altro. Le risoluzioni, infatti, possono essere solo due: o vado alla spiaggia o non ci vado. Sennonché una delle due diramazioni produce delle conseguenze in una sfera tangente, non nella nostra. La teoria del bivio presuppone anche che si possa deviare dal corso prefissato, quantunque poi, a causa di un influsso recondito, si sia ricondotti nell’alveo principale dei fatti.(Vedi Il delta). Se A non muore ora, muore poco dopo.

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Tuesday, May 14, 2013

Una Coscienza incosciente

http://zret.blogspot.it/2013/05/una-coscienza-incosciente.html

Una Coscienza incosciente

Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni. (E. Cioran)

La Coscienza che desidera essere infelice

Non di rado mi si chiede quale sia la mia opinione a proposito delle teorie elaborate dal professor Corrado Malanga. Come rispondere? Sarei propenso a distinguere tra le sue ricerche in campo xenologico ed il sistema che si è via via sviluppato per successive aggregazioni dalle indagini iniziali. Mentre le conclusioni cui il chimico toscano è giunto nell’ambito politico ed ufologico, mi trovano nel complesso concorde, il resto, invece, suscita in me qualche perplessità.[1]

In primo luogo mi sembra che egli metta troppo carne al fuoco, cercando di costruire un modello interpretativo del mondo dove numerose ed eterogenee discipline si sovrappongono, talora si contraddicono. L’intento di trovare la quadratura del cerchio è lodevole; il risultato forse inferiore all’impegno profuso. Bisogna, però, sottolineare che la contraddizione è segno di adesione al reale che è di per sé antinomico: nessun sistema può essere del tutto privo di incongruenze, pena la sua totale astrattezza. Va anche rilevato che il pensiero del chimico toscano è in fieri: presto uscirà un suo nuovo libro. Dunque le presenti riflessioni potranno essere in parte obsolete.

In estrema sintesi, Malanga distingue tra una realtà virtuale (olografica) ed una realtà reale, il mondo della Coscienza, avulso dallo spazio-tempo e dalle leggi fisiche. Questa idea dicotomica mi pare plausibile: si allinea, ad esempio, a quanto scrivevo in “Oltre i codici”, articolo cui rimando per una trattazione del tema. Ho anche spesso sostenuto che è inevitabile una forma di dualismo per quanto debole, dunque la distinzione malanghiana tra le due sfere del Tutto mi pare condivisibile.

Nel momento in cui si tenta di spiegare le ragioni che spingono la Coscienza a proiettarsi, a determinarsi nell’universo virtuale, sorgono, a mio avviso, alcune questioni. Non si comprende per quale ragione la Coscienza, che alla fine coincide con Dio, decida di maturare talune esperienze estreme. Che voglia conoscersi attraverso la morte, è concetto che si può ammettere, se accettiamo il dogma ossimorico di una Coscienza imperfetta, pur nella sua divinità. Tale bisogno di conoscersi implica anche l’immersione nella sofferenza: qui cominciano le note dolenti. Mi pare che si dipinga un Ente non solo di scarso acume (una sorta di dio avventato ed insipiente... un dio bambino?), ma pure un po’ masochista. Davvero era ed è necessario sprofondare nella voragine del tormento più atroce e disperato per acquisire consapevolezza? Di quanti vissuti, attraverso squartamenti, piaghe, mutilazioni, accecamenti, torture di ogni genere sia fisiche sia morali ha necessità Anima per conoscersi e per concludere che lo strazio non è poi una gran cosa? Non sarà un po’ ottusa? Per quante volte Anima dovrà immergere la mano nell’acqua bollente per inferirne che ci si ustiona? Quousque tandem? Intendiamoci: la vita nasce dal contrasto e senza le tenebre la luce non può risplendere. Una dose di male è necessaria e persino auspicabile: è la sua superfetazione sia pure “solo” nel livello del manifesto a lasciare impietriti.

Ora, di fronte al problema del male, sostanzialmente le posizioni sono due: o si nega che esso esista, anzi sia - il male come accidente o come privazione di bene (si pensi ad Agostino) - o ci si affanna per provare a giustificare il mysterium iniquitatis. Ecco allora che lo si considera connaturato all’Assoluto (Schelling) o agli uomini (Sartre) o a tutt’e due, in percentuali variabili, oppure lo si attribuisce ad un delirio di Sophia (Gnosi). Malanga aderisce alla prima versione: il male in sé è poco più che un’illusione ottica, anzi cerebrale, poiché dovuta alla contrapposizione tra emisfero destro e sinistro dell’encefalo.

La realtà è un ossimoro

Per quanto mi riguarda, credo che il male dipenda da un cedimento, da uno strappo, da un errore forse, se non ab origine, conseguente ad una delle manifestazioni o emanazioni del Principio. Potrei, però, sbagliarmi: d’altronde nessuno può dispensare la Verità a tale proposito, tanto meno chi si appella a motivazioni tradizionali, ricavate nella Bibbia.

In questo groviglio inestricabile di elucubrazioni ed ipotesi, vorrei rivalutare i “maestri del disincanto”, da Leopardi a Cioran, passando per Schopenauer e Nietzsche, solo per citare alcuni insigni pensatori. Questi filosofi, riluttanti ad offrire spiegazioni consolatorie ed a costruire sdolcinate teodicee, hanno il coraggio di guardare in faccia l’esistenza e la realtà, con tutto il suo pesante fardello di mali: la malattia, la decadenza, la scelleratezza, la noia, la disperazione… La filosofia “ottimista”, confrontata con l’impietosa sonda dei “pessimisti”, è simile all’arte di quei pittori della domenica che ritraggono cieli azzurri e tersi, campagne verdeggianti ed ameni villaggi, con il cavalletto piazzato di fronte ad una discarica.

Il problema conflagra quando ci si azzarda a dirimere ed a sublimare l'intrinseca contraddizione dell’esistenza e dell’universo. Allora preferisco i “sovrumani silenzi” del genio recanatese alle verbose ed astruse chiarificazioni di certuni. Preferisco l’assenza di qualsiasi risposta alla bolsa rivisitazione dell’Idealismo e ad un’etica che è, alla fine, quasi deamicisiana, con il suo richiamo alla volontà che tutto risolve. Se, invece, si fossero accostati maggiormente al vero quegli intellettuali che negano in toto o in parte l’assunto del libero arbitrio?[2]

Alla fine, quando ci si è infilati nel cul de sac, quasi sempre si ricorre alla fisica dei quanti che, a ben vedere, con la sua natura controintuitiva e paradossale, semmai conferma la profonda incongruità del cosmo. Fu dunque lungimirante Einstein, pur con tutti i suoi limiti, quando intuì che la meccanica quantistica rischiava di minare una visione coerente del Tutto. “Dio non gioca a dadi con l’universo”, dichiarò Einstein. Hawking decenni dopo replicò: “Non solo Dio gioca a dadi con l’universo, ma spesso li lancia dove non riesce più a vederli”. Credo che uno di questi dadi sia stato grosso come un macigno e che abbia colpito la zucca degli uomini, tramortendoli e soprattutto compromettendo gravemente le loro capacità intellettive.

[1] Merito indiscusso del professor Malanga è quello di aver denunciato le illusioni e gli inganni dell’ufologia fiduciosa, purtroppo preponderante, popolata di civiltà evolute e benevole, di Guardiani cosmici che ci proteggerebbero da un paio meteoriti, ma che ignorano la Geoingegneria assassina.

[2] So bene che la rivalutazione dei filosofi “pessimisti” sarà considerata segno di incoerenza, ma come si può evitare sempre e comunque un ondeggiamento tra ipotesi differenti, dacché la realtà è antinomia vivente e palese, violazione del principio del terzo escluso? Inoltre rileggere le pagine di certi autori non significa aderire in modo acritico alle loro concezioni, ma estrarre quanto di buono le loro opere possono trasmettere.