http://zret.blogspot.ch/2015/10/prescienza-e-predestinazione.html
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Scopo del Blog
Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.
Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.
Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.
Ciao e grazie della visita.
Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:
http://indipezzenti.blogspot.ch/
https://www.facebook.com/Task-Force-Butler-868476723163799/
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Thursday, October 29, 2015
Thursday, February 19, 2015
Un aforisma di Seneca
http://zret.blogspot.ch/2015/02/un-aforisma-di-seneca.html
Un aforisma di Seneca
Diutius accusare fata possumus; mutare non possumus: stant dura et inexorabilia. “Possiamo accusare il destino; non possiamo cambiarlo: esso rimane tetragono ed inesorabile”.

Così scrive Seneca e, al cospetto di questa granitica sentenza, mi pare che si sfaldino come sfoglie fra le dita, tutte le fragili certezze, oggi tanto in voga, circa il potere della mente e la cosiddetta legge dell’attrazione. Possiamo lamentarci della sorte ed aggiungere a parole parole, ma le parole sono, in fin dei conti, inutili: quasi nessuno le ascolta. Quei pochi che le ascoltano non le capiscono.
Qualcuno è forse riuscito, almeno per ora, ad imprimere un diverso corso alle vicende umane, applicando le tecniche di un libro?
Possiamo nutrirci ancora di qualche illusione: una fede, una speranza, un ideale, ma la fede oggi è vacillante come la fiamma di una candela cui resta ancora solo un grumo di cera. Le speranze e gli ideali poi si sgretolano sul muro della “realtà”.
Grande lezione quella di Seneca: ci insegna ad essere sobri nelle reazioni, a non indulgere in geremiadi. Ci insegna ad accettare l’ineluttabile con forza d’animo, a non lasciarci incantare dai miraggi.
Possiamo dolerci del fato ed aggiungere a parole parole, tentare di comprendere la gymkana dell’esistenza, aggiungendo a parole parole.
Se è nella nostra indole, se è una forma di catarsi, ben venga, ma dobbiamo sapere che al destino, come al cuore, non si comanda.

Così scrive Seneca e, al cospetto di questa granitica sentenza, mi pare che si sfaldino come sfoglie fra le dita, tutte le fragili certezze, oggi tanto in voga, circa il potere della mente e la cosiddetta legge dell’attrazione. Possiamo lamentarci della sorte ed aggiungere a parole parole, ma le parole sono, in fin dei conti, inutili: quasi nessuno le ascolta. Quei pochi che le ascoltano non le capiscono.
Qualcuno è forse riuscito, almeno per ora, ad imprimere un diverso corso alle vicende umane, applicando le tecniche di un libro?
Possiamo nutrirci ancora di qualche illusione: una fede, una speranza, un ideale, ma la fede oggi è vacillante come la fiamma di una candela cui resta ancora solo un grumo di cera. Le speranze e gli ideali poi si sgretolano sul muro della “realtà”.
Grande lezione quella di Seneca: ci insegna ad essere sobri nelle reazioni, a non indulgere in geremiadi. Ci insegna ad accettare l’ineluttabile con forza d’animo, a non lasciarci incantare dai miraggi.
Possiamo dolerci del fato ed aggiungere a parole parole, tentare di comprendere la gymkana dell’esistenza, aggiungendo a parole parole.
Se è nella nostra indole, se è una forma di catarsi, ben venga, ma dobbiamo sapere che al destino, come al cuore, non si comanda.
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Zret
Friday, January 9, 2015
Esiste l’Inferno?
Dopo Esiste il male? eco a voi zretino in Esiste l'inferno?
A breve lo attendiamo con Esiste Babbo Natale?
http://zret.blogspot.ch/2015/01/esiste-linferno.html

A breve lo attendiamo con Esiste Babbo Natale?
http://zret.blogspot.ch/2015/01/esiste-linferno.html
Esiste l’Inferno?

Esiste
l’Inferno? Prevengo un’obiezione: “L’Inferno è sulla Terra: basta
visitare un carcere, un ospedale, una caserma, un macello... per
constatare che il nostro martoriato pianeta è una bolgia”. Tuttavia
all’”Inferno sulla Terra” manca un requisito affinché sia un “perfetto”
luogo di dannazione: l’interminabilità.
Di solito gli allievi che cominciano a studiare Dante restano sgomenti di fronte ai raffinati contrappassi che il Poeta escogita per i peccatori e soprattutto quando si figurano pene destinate a durare per sempre. Gli adolescenti, che di solito ignorano le tenaglie del male, ritengono la dannazione eterna sia un’idea inammissibile, frutto di una mente sadica. Quanti spiegano loro che probabilmente l’Alighieri intende i tre regni dell’oltretomba secondo una concezione esoterica, in cui l’Inferno stesso adombra un itinerario che ciascuno di noi deve compiere nelle regioni dell’Ombra!
Non manca, però, chi considera in modo letterale sia la Gehenna dantesca sia l’Inferno della religione cristiana e del credo islamico. Un’esigenza di giustizia induce a ritenere che i malvagi impenitenti dovranno pagare il fio con una punizione destinata a non finire mai, anzi a divenire ancora più atroce dopo il Giudizio universale.
Alcuni, sulla scorta di Agostino, pensando che la stragrande maggioranza dell’umanità sia preda del peccato ed irredimibile, immaginano un Paradiso semivuoto e ad un’Ade brulicante di anime dannate. Oggidì molti esponenti del clero tendono a presentare la condizione infernale come uno stato di volontaria separazione dal Creatore.
Esiste l’Inferno? E’ un po’ come chiedersi se esista Dio o il libero arbitrio. Sono quesiti che ci bloccano in una sorta di punto di Lagrange concettuale: qui l’intelletto non riesce a muoversi né in una direzione né in un’altra, senza poter dirimere la vexata quaestio. Non potendo la ragione ottenere un risultato soddisfacente, deve subentrare la fede o la scommessa di Blaise Pascal.
Da un lato, infatti, ripugna la feroce idea di un Inferno senza termine anche per coloro le cui colpe non sono gravissime, dall’altro non è meno raggelante il pensiero che esseri istigati da una cattiveria pura, assoluta (si vedano molti negazionisti ed i massacratori della Vita per citare solo due esempi estremi) possano un giorno anche lontanissimo essere perdonati, in un’apocatastasi di origeniana memoria. Forse queste “anime prave” dovrebbero essere annientate: per costoro, visto l’egocentrismo che li soggioga, è prospettiva senza dubbio spaventosa quanto una condanna infinita.
Non aveva torto l’archeologo e storico Mario Pincherle a chiedersi: “Dove sarebbe la ‘buona novella’ del Cristianesimo? Sarebbe l’annuncio che, se compi anche un solo errore in un’unica vita, sarai precipitato nel ‘lago di zolfo’ per l’eternità?”
Può darsi che l’indagine sul destino oltremondano sia il risultato di un’etica “umana, troppo umana” e che il sublime disegno cosmico trascenda le limitate speculazioni persino dei più alti filosofi e teologi. Nulla si può escludere né in un senso né in un altro.
Certo, se esiste l’Inferno, comunque lo si concepisca, esso ci pare una macula della Creazione, qualcosa che coesisterà (per sempre?) con la Perfezione universale una volta in cui essa sarà conseguita, se ciò mai avverrà. L’ideale sarebbe stato evitare che il male assumesse proporzioni tali da spronare gli uomini ad abbozzare dottrine che tentano sia di spiegare la genesi e la funzione del mysterium iniquitatis sia un suo futuro superamento nelle forme più disparate. E’ evidente, però, che è tardi, troppo tardi.
Di solito gli allievi che cominciano a studiare Dante restano sgomenti di fronte ai raffinati contrappassi che il Poeta escogita per i peccatori e soprattutto quando si figurano pene destinate a durare per sempre. Gli adolescenti, che di solito ignorano le tenaglie del male, ritengono la dannazione eterna sia un’idea inammissibile, frutto di una mente sadica. Quanti spiegano loro che probabilmente l’Alighieri intende i tre regni dell’oltretomba secondo una concezione esoterica, in cui l’Inferno stesso adombra un itinerario che ciascuno di noi deve compiere nelle regioni dell’Ombra!
Non manca, però, chi considera in modo letterale sia la Gehenna dantesca sia l’Inferno della religione cristiana e del credo islamico. Un’esigenza di giustizia induce a ritenere che i malvagi impenitenti dovranno pagare il fio con una punizione destinata a non finire mai, anzi a divenire ancora più atroce dopo il Giudizio universale.
Alcuni, sulla scorta di Agostino, pensando che la stragrande maggioranza dell’umanità sia preda del peccato ed irredimibile, immaginano un Paradiso semivuoto e ad un’Ade brulicante di anime dannate. Oggidì molti esponenti del clero tendono a presentare la condizione infernale come uno stato di volontaria separazione dal Creatore.
Esiste l’Inferno? E’ un po’ come chiedersi se esista Dio o il libero arbitrio. Sono quesiti che ci bloccano in una sorta di punto di Lagrange concettuale: qui l’intelletto non riesce a muoversi né in una direzione né in un’altra, senza poter dirimere la vexata quaestio. Non potendo la ragione ottenere un risultato soddisfacente, deve subentrare la fede o la scommessa di Blaise Pascal.
Da un lato, infatti, ripugna la feroce idea di un Inferno senza termine anche per coloro le cui colpe non sono gravissime, dall’altro non è meno raggelante il pensiero che esseri istigati da una cattiveria pura, assoluta (si vedano molti negazionisti ed i massacratori della Vita per citare solo due esempi estremi) possano un giorno anche lontanissimo essere perdonati, in un’apocatastasi di origeniana memoria. Forse queste “anime prave” dovrebbero essere annientate: per costoro, visto l’egocentrismo che li soggioga, è prospettiva senza dubbio spaventosa quanto una condanna infinita.
Non aveva torto l’archeologo e storico Mario Pincherle a chiedersi: “Dove sarebbe la ‘buona novella’ del Cristianesimo? Sarebbe l’annuncio che, se compi anche un solo errore in un’unica vita, sarai precipitato nel ‘lago di zolfo’ per l’eternità?”
Può darsi che l’indagine sul destino oltremondano sia il risultato di un’etica “umana, troppo umana” e che il sublime disegno cosmico trascenda le limitate speculazioni persino dei più alti filosofi e teologi. Nulla si può escludere né in un senso né in un altro.
Certo, se esiste l’Inferno, comunque lo si concepisca, esso ci pare una macula della Creazione, qualcosa che coesisterà (per sempre?) con la Perfezione universale una volta in cui essa sarà conseguita, se ciò mai avverrà. L’ideale sarebbe stato evitare che il male assumesse proporzioni tali da spronare gli uomini ad abbozzare dottrine che tentano sia di spiegare la genesi e la funzione del mysterium iniquitatis sia un suo futuro superamento nelle forme più disparate. E’ evidente, però, che è tardi, troppo tardi.
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Zret
Friday, September 19, 2014
Insanabili contraddizioni di certa filosofia New age
http://zret.blogspot.ch/2014/09/insanabili-contraddizioni-di-certa.html
Insanabili contraddizioni di certa filosofia New age

E' in gran voga certa "filosofia" New age,
i cui capisaldi sono "Tutto è Uno" e "Tutto è perfetto". Stando a
questi postulati, non si comprende per quale ragione sia d'uopo
"lavorare su sé stessi", “evolvere”. Se si è già perfetti, evoluti, come
si può desiderare la perfezione? E' vero che Umberto Eco scrive, in
maniera del tutto errata, "più perfetto", ma Eco non è un esempio né di
cultura né di intelligenza. [1] [ah ah ah zretino, e tu di cosa pensi di essere esempio? di onanistica saccenteria?]
Stando a talune correnti di pensiero, le anime, prima di incarnarsi, stipulano un contratto con cui decidono quali esperienze maturare nel mondo corporeo. A che servono queste esperienze, se l'anima è già in sé compiuta? Anche il ruolo della materia non è punto chiaro. Si ripete che senza un corpo non è possibile acquisire consapevolezza. Sarà... Allora un aspirapolvere ha più occasioni di acquisire coscienza rispetto ad un Leonardo da Vinci che purtroppo si ritrova con l'intelletto e lo spirito.
Se tutto è Uno, non esiste alcuna differenza tra vittima e carnefice. La morale non ha alcun senso, proprio come il libero arbitrio. [2] Si insiste sulla necessità di rivestire un soma per provare le più disparate emozioni e sensazioni, per attingere una perfezione che, però, è già una prerogativa di cui l'anima usufruisce ab aeterno. Quest'anima, sadica o masochista, secondo i casi, dopo tanto tempo, non si è ancora stancata di sgozzare ed essere sgozzata, di seviziare ed essere seviziata, di ammalarsi delle più orrende patologie, di trapassare fra i più atroci, innominabili patimenti?
Con queste osservazioni non si intende affermare che i principi sopra esposti non abbiano una loro validità teoretica. Non si intende asserire che il reale è del tutto privo di una sua pur recondita logica. Bisognerebbe, però, presentare quei canoni all’interno di un sistema coerente, eppure problematico, come idee ed ipotesi suscettibili di ulteriori definizioni e non come dogmi. Bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di trarne le logiche conseguenze, ossia ammettere che una concezione siffatta esclude la libera volizione, soprattutto perché, in fin dei conti, in un'armonia prestabilita, ogni evento è appunto prestabilito.
E' anche possibile che la realtà sia solo un gioco in cui qualcuno si diverte, una sorta di cosmica candid camera, dove all'ultimo momento, ci è rivelato che era tutto uno scherzo.
Non si possono, però, ignorare altre visioni secondo cui l'essere, originariamente perfetto, subì (o volle?) un cedimento o una dicotomia tra bene e male per ragioni che è molto arduo comprendere. In tali concezioni il male diventa un dato indiscusso, sebbene non imperituro, e non una semplice "mancanza di bene" o un'illusione. Essendo il mondo incrinato da difetti, assumono un loro valore sia l'anelito all'armonia sia una pur teorica opportunità di scelta.
In ogni caso, “tutto è perfetto”, anche le sonore legnate che meritano i new agers. Buona evoluzione a suon di botte!
[1] Non si distingue qui tra non manifesto e manifesto: in una realtà in cui comunque tutto è veramente Uno, anche il manifesto con le sue aberrazioni, appartiene all’Uno.
[2] La fragilità della fede nel libero arbitrio era già stata evidenziata nella serie "La legge dell'attrazione" di cui riporto alcune conclusioni. Esiste solo lo Spirito (alias Coscienza, Dio, Mente cosmica, Energia immateriale etc.): il libero arbitrio ed il potere dell’intenzione creativa sono prerogative di Dio. La libera volizione del singolo è un’adesione perfetta alla volontà assoluta, inscalfibile di Dio: “E’ n sua voluntade è nostra pace”, (Par. III). Dio può avere una sola testa ed una sola volontà, altrimenti diventa schizofrenico. Esistono sia lo Spirito sia la materia: il libero arbitrio si esplica nel momento in cui la coscienza individuale riesce ad agire sui fatti e sulle cose, ma questa azione è solo possibile mediante l’intervento della Coscienza universale (o comunque di un agente esterno) in cui tra l’altro sono stati decisi (sognati?) ab aeterno, fuori dal tempo, gli eventi che sembrano dipanarsi nel tempo. Ergo il libero arbitrio non esiste. Esiste solo la materia: la libertà umana non esiste, giacché tutto dipende da ineluttabili leggi fisiche.
Stando a talune correnti di pensiero, le anime, prima di incarnarsi, stipulano un contratto con cui decidono quali esperienze maturare nel mondo corporeo. A che servono queste esperienze, se l'anima è già in sé compiuta? Anche il ruolo della materia non è punto chiaro. Si ripete che senza un corpo non è possibile acquisire consapevolezza. Sarà... Allora un aspirapolvere ha più occasioni di acquisire coscienza rispetto ad un Leonardo da Vinci che purtroppo si ritrova con l'intelletto e lo spirito.
Se tutto è Uno, non esiste alcuna differenza tra vittima e carnefice. La morale non ha alcun senso, proprio come il libero arbitrio. [2] Si insiste sulla necessità di rivestire un soma per provare le più disparate emozioni e sensazioni, per attingere una perfezione che, però, è già una prerogativa di cui l'anima usufruisce ab aeterno. Quest'anima, sadica o masochista, secondo i casi, dopo tanto tempo, non si è ancora stancata di sgozzare ed essere sgozzata, di seviziare ed essere seviziata, di ammalarsi delle più orrende patologie, di trapassare fra i più atroci, innominabili patimenti?
Con queste osservazioni non si intende affermare che i principi sopra esposti non abbiano una loro validità teoretica. Non si intende asserire che il reale è del tutto privo di una sua pur recondita logica. Bisognerebbe, però, presentare quei canoni all’interno di un sistema coerente, eppure problematico, come idee ed ipotesi suscettibili di ulteriori definizioni e non come dogmi. Bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di trarne le logiche conseguenze, ossia ammettere che una concezione siffatta esclude la libera volizione, soprattutto perché, in fin dei conti, in un'armonia prestabilita, ogni evento è appunto prestabilito.
E' anche possibile che la realtà sia solo un gioco in cui qualcuno si diverte, una sorta di cosmica candid camera, dove all'ultimo momento, ci è rivelato che era tutto uno scherzo.
Non si possono, però, ignorare altre visioni secondo cui l'essere, originariamente perfetto, subì (o volle?) un cedimento o una dicotomia tra bene e male per ragioni che è molto arduo comprendere. In tali concezioni il male diventa un dato indiscusso, sebbene non imperituro, e non una semplice "mancanza di bene" o un'illusione. Essendo il mondo incrinato da difetti, assumono un loro valore sia l'anelito all'armonia sia una pur teorica opportunità di scelta.
In ogni caso, “tutto è perfetto”, anche le sonore legnate che meritano i new agers. Buona evoluzione a suon di botte!
[1] Non si distingue qui tra non manifesto e manifesto: in una realtà in cui comunque tutto è veramente Uno, anche il manifesto con le sue aberrazioni, appartiene all’Uno.
[2] La fragilità della fede nel libero arbitrio era già stata evidenziata nella serie "La legge dell'attrazione" di cui riporto alcune conclusioni. Esiste solo lo Spirito (alias Coscienza, Dio, Mente cosmica, Energia immateriale etc.): il libero arbitrio ed il potere dell’intenzione creativa sono prerogative di Dio. La libera volizione del singolo è un’adesione perfetta alla volontà assoluta, inscalfibile di Dio: “E’ n sua voluntade è nostra pace”, (Par. III). Dio può avere una sola testa ed una sola volontà, altrimenti diventa schizofrenico. Esistono sia lo Spirito sia la materia: il libero arbitrio si esplica nel momento in cui la coscienza individuale riesce ad agire sui fatti e sulle cose, ma questa azione è solo possibile mediante l’intervento della Coscienza universale (o comunque di un agente esterno) in cui tra l’altro sono stati decisi (sognati?) ab aeterno, fuori dal tempo, gli eventi che sembrano dipanarsi nel tempo. Ergo il libero arbitrio non esiste. Esiste solo la materia: la libertà umana non esiste, giacché tutto dipende da ineluttabili leggi fisiche.
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Zret
Saturday, June 14, 2014
Guicciardini e la fortuna
http://zret.blogspot.it/2014/06/guicciardini-e-la-fortuna.html
Guicciardini e la fortuna
Nei “Ricordi” Francesco Guicciardini (1483-1540) annota: “Chi
considera bene non può negare che nelle cose umane la fortuna ha
grandissima potestà, perché si vede che a ognora ricevono grandissimi
moti da accidenti fortuiti e che non è in potestà degli uomini né a
prevedergli né a schifargli: e benché lo accorgimento e sollecitudine
degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli
bisogna ancora la buona fortuna”.
"Nel De principatibus Machiavelli aveva impostato il rapporto tra la fortuna e la virtù, risolvendolo nell’ipotesi di un possibile equilibrio fra queste due forze. Guicciardini sposta i termini del rapporto attribuendo alla fortuna una grandissima potestà, ovvero il peso maggiore e decisivo nel determinare l’esito degli eventi. L’equilibrio cercato da Machiavelli si spezza a favore di una concezione della realtà come campo degli accidenti fortuiti, dell’imprevisto e del casuale che l’uomo difficilmente riesce a fronteggiare”. (G. Baldi)
La riflessione di Guicciardini è inquadrata nel “pessimismo” che esprimerebbe lo storico a proposito della Storia. Nel linguaggio corrente “pessimismo” è sinonimo di sguardo lucido, disincantato. Che differenza rispetto ai carezzevoli discorsi sulla volontà che indirizza la vita, a guisa di un direttore d’orchestra! Che differenza rispetto ai lenocini oggi culminati nella formulazioni inerenti alla cosiddetta “legge dell’attrazione”. In codeste patinate teorie che inneggiano al libero arbitrio si intrecciano superbia ed ignoranza: la visione antropocentrica si alimenta di analfabetismo filosofico.
Con Guicciardini il maestoso edificio eretto da Machiavelli e da altri ingegni del Rinascimento crolla, poiché il baricentro si è spostato. La considerazione dei "Ricordi" è stringata, eppure densa. E’ aforistica, ma diramata in molteplici scorci. Nel breve volgere di poche righe l’intellettuale fiorentino chiama in causa le vicende umane, la sorte, l’intelligenza.
Nodale è il sintagma “accidenti fortuiti” che è ridondante, a sottolineare la forte incidenza di un caso che consuona con l’irrazionalità del mondo, l’imponderabilità del corso seguito dagli accadimenti. Poco è rimasto della visione rinascimentale saldata sulla fede nell’uomo arbitro del proprio destino, faber fortunae suae. E’ una fede che rischia di ergersi nell’hybris.
Certo, Guicciardini non è un filosofo, dunque la sua analisi non si addentra nei meandri metafisici per stabilire, di là dal senso comune, il ruolo della fortuna e della sua energia centripeta. Tuttavia il suo pensiero è un buon viatico per chi intenda saggiare la potenza di una forza ancora oggi non ben compresa, la si chiami destino, caso, determinismo.
"Nel De principatibus Machiavelli aveva impostato il rapporto tra la fortuna e la virtù, risolvendolo nell’ipotesi di un possibile equilibrio fra queste due forze. Guicciardini sposta i termini del rapporto attribuendo alla fortuna una grandissima potestà, ovvero il peso maggiore e decisivo nel determinare l’esito degli eventi. L’equilibrio cercato da Machiavelli si spezza a favore di una concezione della realtà come campo degli accidenti fortuiti, dell’imprevisto e del casuale che l’uomo difficilmente riesce a fronteggiare”. (G. Baldi)
La riflessione di Guicciardini è inquadrata nel “pessimismo” che esprimerebbe lo storico a proposito della Storia. Nel linguaggio corrente “pessimismo” è sinonimo di sguardo lucido, disincantato. Che differenza rispetto ai carezzevoli discorsi sulla volontà che indirizza la vita, a guisa di un direttore d’orchestra! Che differenza rispetto ai lenocini oggi culminati nella formulazioni inerenti alla cosiddetta “legge dell’attrazione”. In codeste patinate teorie che inneggiano al libero arbitrio si intrecciano superbia ed ignoranza: la visione antropocentrica si alimenta di analfabetismo filosofico.
Con Guicciardini il maestoso edificio eretto da Machiavelli e da altri ingegni del Rinascimento crolla, poiché il baricentro si è spostato. La considerazione dei "Ricordi" è stringata, eppure densa. E’ aforistica, ma diramata in molteplici scorci. Nel breve volgere di poche righe l’intellettuale fiorentino chiama in causa le vicende umane, la sorte, l’intelligenza.
Nodale è il sintagma “accidenti fortuiti” che è ridondante, a sottolineare la forte incidenza di un caso che consuona con l’irrazionalità del mondo, l’imponderabilità del corso seguito dagli accadimenti. Poco è rimasto della visione rinascimentale saldata sulla fede nell’uomo arbitro del proprio destino, faber fortunae suae. E’ una fede che rischia di ergersi nell’hybris.
Certo, Guicciardini non è un filosofo, dunque la sua analisi non si addentra nei meandri metafisici per stabilire, di là dal senso comune, il ruolo della fortuna e della sua energia centripeta. Tuttavia il suo pensiero è un buon viatico per chi intenda saggiare la potenza di una forza ancora oggi non ben compresa, la si chiami destino, caso, determinismo.
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Zret
Wednesday, February 26, 2014
Morsi di Coscienza
http://zret.blogspot.co.uk/2014/02/morsi-di-coscienza.html
Morsi di Coscienza

Fissi
alle eterne costellazioni, bisogna imparare nella sofferenza di ogni
uomo il senso dell’apparire, il dolore di entrare e di uscire dalla
scena. (G. Barbiellini Amidei)
Ormai molti ne sono convinti: è la Coscienza a proiettare questa allucinazione splendida e feroce che chiamiamo “realtà”. Per una ragione che resta inestricabile la Coscienza decide di mordere il mondo. Appena lo morde, però, ne è morsa. L’universo pare ritorcersi contro chi l’ha generato come un figlio parricida. E’ separazione, distacco, dimenticanza.
Nel suo recente libro, intitolato giustappunto “Coscienza”, Corrado Malanga scrive: “Quando l’essere umano vede le cose che si spostano, deve sapere che non sono le cose che si spostano, poiché è la coscienza che offre questo tipo di impressione. In verità tutto è fermo”. Questo discorso varrà anche per gli eventi: il cosmo e l’insieme di tutti i fatti che accaddero, accadono ed accadranno, sono congelati nell’istante senza tempo, impietriti nel volto impenetrabile di una Sfinge. Il libero arbitrio è poco più di un’illusione percettiva.
Viene in mente l’esperimento denominato “coscienza globale” con cui si cerca di comprendere in che modo la coscienza collettiva reagisca agli accadimenti, se essa riesca a presagirli. Se riesce a presagirli, significa che gli avvenimenti sono già lì in attesa di essere captati?
Vengono in mente quelle singolari teorie secondo cui la realtà si forma, non appena è osservata. Osservata da chi? Da occhi superiori? Prima che il reale sia percepito, si estende solo un interminato, profondissimo nulla.
La Coscienza è simile ad un serpente raggomitolato su sé stesso. Assomiglia ad un serpente che, uccidendo il suo vecchio io, rinasce. E’ così: death and life, side by side.
Alla fine sembra che la Coscienza si estruda fuor di sé stessa, condannandosi alla lacerazione ed alla sofferenza. Attraverso il dolore più acuto, il suo sguardo diventa acuto in modo eccezionale… salvo poi accorgersi che non c’è niente da guardare.
Ormai molti ne sono convinti: è la Coscienza a proiettare questa allucinazione splendida e feroce che chiamiamo “realtà”. Per una ragione che resta inestricabile la Coscienza decide di mordere il mondo. Appena lo morde, però, ne è morsa. L’universo pare ritorcersi contro chi l’ha generato come un figlio parricida. E’ separazione, distacco, dimenticanza.
Nel suo recente libro, intitolato giustappunto “Coscienza”, Corrado Malanga scrive: “Quando l’essere umano vede le cose che si spostano, deve sapere che non sono le cose che si spostano, poiché è la coscienza che offre questo tipo di impressione. In verità tutto è fermo”. Questo discorso varrà anche per gli eventi: il cosmo e l’insieme di tutti i fatti che accaddero, accadono ed accadranno, sono congelati nell’istante senza tempo, impietriti nel volto impenetrabile di una Sfinge. Il libero arbitrio è poco più di un’illusione percettiva.
Viene in mente l’esperimento denominato “coscienza globale” con cui si cerca di comprendere in che modo la coscienza collettiva reagisca agli accadimenti, se essa riesca a presagirli. Se riesce a presagirli, significa che gli avvenimenti sono già lì in attesa di essere captati?
Vengono in mente quelle singolari teorie secondo cui la realtà si forma, non appena è osservata. Osservata da chi? Da occhi superiori? Prima che il reale sia percepito, si estende solo un interminato, profondissimo nulla.
La Coscienza è simile ad un serpente raggomitolato su sé stesso. Assomiglia ad un serpente che, uccidendo il suo vecchio io, rinasce. E’ così: death and life, side by side.
Alla fine sembra che la Coscienza si estruda fuor di sé stessa, condannandosi alla lacerazione ed alla sofferenza. Attraverso il dolore più acuto, il suo sguardo diventa acuto in modo eccezionale… salvo poi accorgersi che non c’è niente da guardare.
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Zret
Sunday, January 26, 2014
Coscienza senza materia
http://zret.blogspot.it/2014/01/coscienza-senza-materia.html
Coscienza senza materia
Nel
momento in cui il nostro cervello perde le sue peculiari funzionalità,
la coscienza non è più in grado di interagire con questa dimensione,
stabilendo un contatto con altri piani di realtà.
Più mi accosto alla materia, più essa si allontana; più interrogo l’anima, più essa tace.
Dopo la morte attendono gli uomini cose che non sperano e neppure immaginano.(Eraclito)

Il bel libro di Eben Alexander, “Milioni di farfalle” (titolo infelice nell'edizione italiana), narra un’esperienza di pre-morte. Il volume del neurochirurgo aggiunge alla letteratura sulle N.D.E. risvolti filosofici di notevole interesse. L’avventura in un mondo inesplorato spinge, infatti, l’autore a domandarsi se la coscienza individuale possa prescindere del tutto dalla materia-energia. Egli ritiene di sì, andando in rotta di collisione non solo con la maggior parte dei neuro-scienziati che, invece, vedono nella coscienza un epifenomeno del cervello, ma pure con chi cerca di elaborare teorie secondo cui la materia e la coscienza sarebbero pressoché consustanziali o interdipendenti.
La domanda di Alexander è cruciale e se ne trascina dietro altre non meno decisive. E’ necessario per la coscienza acquisire un corpo? In caso affermativo, l’assunzione di un corpo che cosa implica? Una caduta o un’evoluzione? Che ruolo ha la dimensione temporale nell’incarnazione della psiche?
Ha ragione l’autore: la sopravvivenza dell’anima, intesa come principio spirituale, contiene in sé l’esistenza di Dio e viceversa, anche se Dio va inteso in maniera molto differente da come lo descrivono le religioni positive. Comunque l’Essere è staccato dalla materia.
Mutatis mutandis, è una rivincita di Cartesio e del suo tanto esecrato dualismo, poiché la res cogitans è totalmente altra rispetto alla res extensa. Possiede, infatti, una differente natura ontologica. E’ una sostanza le cui caratteristiche fondamentali non coincidono con i tratti peculiari del mondo ilico.
Sull’altro versante ha ragione Stephen Hawking, che pur con argomentazioni più imbarazzanti che capziose, negando l’esistenza di Dio, rigetta ipso facto l’idea di un’anima in grado di sopravvivere alla disgregazione del soma. Le due affermazioni sono intercambiabili o, per lo meno, la seconda è un corollario dell’assunto.
Se, come scrive il Nostro, davvero “la coscienza è alla base di tutto”, è necessaria una rivoluzione copernicana, cambiare radicalmente il punto di osservazione ed adottare nuovi paradigmi interpretativi. In questo inedito contesto, paradossalmente emerge l’enigma della materia più del mistero riguardante la coscienza stessa. Il mito del Dio che si incarna, a questo punto, assumerebbe il significato cosmologico di una coscienza che resta inchiodata all’universo tangibile o per scelta o per un errore.
Rimangono, tra gli altri, il nodo di Gordio a proposito dell’azione dello spirito sulla materia e viceversa (sempre che non si escluda uno dei due termini), il tema abissale del libero arbitrio e la vexata quaestio del male (può il male dipendere dal libero arbitrio?). Se, però, sia pure come mera ipotesi di lavoro, accogliamo l’eventualità di una coscienza del tutto avulsa dalle restrizioni della corporeità, si apre uno spiraglio su una realtà finalmente reale.
Più mi accosto alla materia, più essa si allontana; più interrogo l’anima, più essa tace.
Dopo la morte attendono gli uomini cose che non sperano e neppure immaginano.(Eraclito)

Il bel libro di Eben Alexander, “Milioni di farfalle” (titolo infelice nell'edizione italiana), narra un’esperienza di pre-morte. Il volume del neurochirurgo aggiunge alla letteratura sulle N.D.E. risvolti filosofici di notevole interesse. L’avventura in un mondo inesplorato spinge, infatti, l’autore a domandarsi se la coscienza individuale possa prescindere del tutto dalla materia-energia. Egli ritiene di sì, andando in rotta di collisione non solo con la maggior parte dei neuro-scienziati che, invece, vedono nella coscienza un epifenomeno del cervello, ma pure con chi cerca di elaborare teorie secondo cui la materia e la coscienza sarebbero pressoché consustanziali o interdipendenti.
La domanda di Alexander è cruciale e se ne trascina dietro altre non meno decisive. E’ necessario per la coscienza acquisire un corpo? In caso affermativo, l’assunzione di un corpo che cosa implica? Una caduta o un’evoluzione? Che ruolo ha la dimensione temporale nell’incarnazione della psiche?
Ha ragione l’autore: la sopravvivenza dell’anima, intesa come principio spirituale, contiene in sé l’esistenza di Dio e viceversa, anche se Dio va inteso in maniera molto differente da come lo descrivono le religioni positive. Comunque l’Essere è staccato dalla materia.
Mutatis mutandis, è una rivincita di Cartesio e del suo tanto esecrato dualismo, poiché la res cogitans è totalmente altra rispetto alla res extensa. Possiede, infatti, una differente natura ontologica. E’ una sostanza le cui caratteristiche fondamentali non coincidono con i tratti peculiari del mondo ilico.
Sull’altro versante ha ragione Stephen Hawking, che pur con argomentazioni più imbarazzanti che capziose, negando l’esistenza di Dio, rigetta ipso facto l’idea di un’anima in grado di sopravvivere alla disgregazione del soma. Le due affermazioni sono intercambiabili o, per lo meno, la seconda è un corollario dell’assunto.
Se, come scrive il Nostro, davvero “la coscienza è alla base di tutto”, è necessaria una rivoluzione copernicana, cambiare radicalmente il punto di osservazione ed adottare nuovi paradigmi interpretativi. In questo inedito contesto, paradossalmente emerge l’enigma della materia più del mistero riguardante la coscienza stessa. Il mito del Dio che si incarna, a questo punto, assumerebbe il significato cosmologico di una coscienza che resta inchiodata all’universo tangibile o per scelta o per un errore.
Rimangono, tra gli altri, il nodo di Gordio a proposito dell’azione dello spirito sulla materia e viceversa (sempre che non si escluda uno dei due termini), il tema abissale del libero arbitrio e la vexata quaestio del male (può il male dipendere dal libero arbitrio?). Se, però, sia pure come mera ipotesi di lavoro, accogliamo l’eventualità di una coscienza del tutto avulsa dalle restrizioni della corporeità, si apre uno spiraglio su una realtà finalmente reale.
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Zret
Saturday, December 14, 2013
Fisica quantistica: sfatare alcuni luoghi comuni
zretino, lascia perdere la fisica quantistica e parti dalla fisica for dummies, che forse ci capisci qualcosa...
http://zret.blogspot.it/2013/12/fisica-quantistica-sfatare-alcuni.html
Fisica quantistica: sfatare alcuni luoghi comuni

E’ vero che la Fisica quantistica conferma la teoria del libero arbitrio?
No. E’ vero semmai il contrario. Il mondo indagato e descritto dalla Fisica quantistica è contraddistinto da circostanze probabilistiche e dall’indeterminismo. L’indeterminismo non è sinonimo di libertà, ma di non unidirezionalità nei processi. Il libero arbitrio presuppone un’inequivocabile direzione, un preciso nesso tra la causa e l’effetto, della volontà sull’azione. E’ palese che tale idea (illusione?) è in conflitto con la natura incongrua ed indeterminata della realtà subatomica. Infatti, mentre nel macrocosmo valgono delle “leggi”, nel microcosmo ne vigono altre che sono contro-intuitive, in contrasto con i principi della logica aristotelica. Il rapporto causa-effetto, base del libero arbitrio, è estraneo all'universo quantistico.
E’ vero che la Fisica quantistica ha dimostrato l’esistenza dell’anima?
La questione è assai controversa. E’ vero che molti fisici quantistici negano l’identificazione tra cervello e coscienza, supponendo l’esistenza di un quid, inteso come substrato dei processi cerebrali. E’ legittimo quindi ipotizzare che, oltre la materia-energia, esista una dimensione metafisica che, in un modo che ancora non intendiamo, interagisce con la sfera sensibile. Gli studi in questa direzione sono i più fecondi e non si può escludere che in futuro si riescano ad elaborare ipotesi plausibili sul tema.
E’ vero che la Fisica quantistica tende a valorizzare il nulla?
Sì. Le particelle virtuali si generano, in maniera del tutto misteriosa, dal nulla, non dal vuoto e nel nulla rifluiscono. Il nulla sembra davvero la matrice della “realtà”, il generatore sia del pensiero sia della materia-energia. I fisici asseriscono che il nulla, da cui scaturisce il tutto, è instabile. Ergo può produrre l’universo. Nessuno ha capito né come né perché.
E’ vero che la coscienza agisce sui fenomeni fisici, ossia che l’osservatore influisce sulla cosa osservata?
Premesso che nessuno sa che cosa sia davvero la natura e come da essa emergano prima la vita e poi la coscienza, si può ritenere che osservatore ed osservato siano, sotto certi aspetti, interdipendenti, ma credere che il primo incida sul secondo, significa ricadere nel concetto di causalità che è estraneo alla visione quantistica del cosmo. Tra l’altro, per osservatore si deve in primo luogo intendere uno strumento di misurazione, dispositivo che non è dotato di coscienza. L’impressione secondo cui l’osservatore interviene sul fenomeno osservato deriva dall’abitudine a pensare in modo sequenziale e temporale, mentre il piano subatomico è dominato dalla simultaneità e dalla non località. Inoltre non è vero che le cose diventano tali solo quando sono percepite e misurate. Esse possiedono un loro fondamento, per quanto enigmatico, un fondamento che assume configurazioni differenti, a seconda del tipo di esperimento.
Non solo, alcuni ricercatori, contraddicendo l’assunto secondo cui l’osservatore avrebbe efficacia sull’osservato, reputano che sia l’esterno ad operare sull’interno: ad esempio, Bruce Lipton spiega che non sono i geni a causare le malattie, ma il modo in cui il nostro corpo interpreta gli stimoli ambientali. La nostra mente inconscia elabora ogni secondo oltre quattro miliardi di informazioni e risponde ad esse in base a come è stata programmata. E’ proprio la nostra mente inconscia che controlla il 95% delle funzioni dell’organismo. Regola la respirazione, la digestione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, decodifica le informazioni dell’ambiente ed attua i relativi meccanismi di feedback. Ora, se Lipton ha ragione, l’io non agisce sul mondo, ma viceversa. Se Lipton ha ragione, visto che l’azione dell’individuo si esplica per lo più sotto il controllo di una forza inconscia, è difficile continuare a sostenere l’idea della libera volizione. Che cosa poi ha programmato la mente? Se è stata programmata, la convinzione circa la libertà umana si rivela sempre di più una chimera.
Esiste qualche nesso tra il potere dell’intenzione ed i processi fisici del mondo subatomico?
Sono due ambiti differenti: il potere dell’intenzione e la cosiddetta “legge dell’attrazione” sono concetti che, sebbene in parte mutuati da acquisizioni degli scienziati di frontiera, risultano arbitrari, fondati su una semplificazione e su una strumentalizzazione di principi fisici incompatibili con elaborazioni psicologiche. La nozione secondo cui il pensiero può guidare gli eventi – vera o falsa che sia questa nozione - non appartiene alla Meccanica quantistica i cui capisaldi sono matematici e non psicologici.
E’ vero che la Fisica quantistica si allinea con la filosofia idealista, secondo cui il mondo materiale è un’illusione, essendo privo di consistenza e di autonomia ontologica?
In una certa misura è così. Si giunge ad un punto della sfera subatomica in cui le particelle si assottigliano nelle vibrazioni, nella nebbia intangibile ed evanescente dell’informazione. Tuttavia la Fisica quantistica, benché tenda a smaterializzare la materia, non la nega in toto. Inoltre non postula uno Spirito né costruisce l’assioma dell’Io che, per affermarsi, pone un non-Io. E’ tutto molto più sfumato e complesso. Non solo, alcuni indirizzi tendono verso una forma di dualismo (mentre l’Idealismo è monista), per cui su ordine implicito è strutturato un ordine esplicito. Quest’ultimo, pur essendo una realtà olografica, non è scevro di una sua sostanzialità.
E’ vero che la Fisica quantistica ci pone di fronte ad un mondo irrazionale, incomprensibile nella sua essenza?
Sì. I ricercatori seri ammettono che le scoperte dell’ultimo secolo hanno squadernato una realtà sorprendente e meravigliosa, ma che mina convincimenti consolidati ed il senso comune. E’ una sfida alla logica: da un lato stimola esplorazioni avventurose, dall’altro frustra i tentativi di costruire teorie coerenti e semplici. Questo non significa che l’essere sia in sé del tutto illogico, ma che ancora non abbiamo affinato gli strumenti interpretativi per comprenderlo.
No. E’ vero semmai il contrario. Il mondo indagato e descritto dalla Fisica quantistica è contraddistinto da circostanze probabilistiche e dall’indeterminismo. L’indeterminismo non è sinonimo di libertà, ma di non unidirezionalità nei processi. Il libero arbitrio presuppone un’inequivocabile direzione, un preciso nesso tra la causa e l’effetto, della volontà sull’azione. E’ palese che tale idea (illusione?) è in conflitto con la natura incongrua ed indeterminata della realtà subatomica. Infatti, mentre nel macrocosmo valgono delle “leggi”, nel microcosmo ne vigono altre che sono contro-intuitive, in contrasto con i principi della logica aristotelica. Il rapporto causa-effetto, base del libero arbitrio, è estraneo all'universo quantistico.
E’ vero che la Fisica quantistica ha dimostrato l’esistenza dell’anima?
La questione è assai controversa. E’ vero che molti fisici quantistici negano l’identificazione tra cervello e coscienza, supponendo l’esistenza di un quid, inteso come substrato dei processi cerebrali. E’ legittimo quindi ipotizzare che, oltre la materia-energia, esista una dimensione metafisica che, in un modo che ancora non intendiamo, interagisce con la sfera sensibile. Gli studi in questa direzione sono i più fecondi e non si può escludere che in futuro si riescano ad elaborare ipotesi plausibili sul tema.
E’ vero che la Fisica quantistica tende a valorizzare il nulla?
Sì. Le particelle virtuali si generano, in maniera del tutto misteriosa, dal nulla, non dal vuoto e nel nulla rifluiscono. Il nulla sembra davvero la matrice della “realtà”, il generatore sia del pensiero sia della materia-energia. I fisici asseriscono che il nulla, da cui scaturisce il tutto, è instabile. Ergo può produrre l’universo. Nessuno ha capito né come né perché.
E’ vero che la coscienza agisce sui fenomeni fisici, ossia che l’osservatore influisce sulla cosa osservata?
Premesso che nessuno sa che cosa sia davvero la natura e come da essa emergano prima la vita e poi la coscienza, si può ritenere che osservatore ed osservato siano, sotto certi aspetti, interdipendenti, ma credere che il primo incida sul secondo, significa ricadere nel concetto di causalità che è estraneo alla visione quantistica del cosmo. Tra l’altro, per osservatore si deve in primo luogo intendere uno strumento di misurazione, dispositivo che non è dotato di coscienza. L’impressione secondo cui l’osservatore interviene sul fenomeno osservato deriva dall’abitudine a pensare in modo sequenziale e temporale, mentre il piano subatomico è dominato dalla simultaneità e dalla non località. Inoltre non è vero che le cose diventano tali solo quando sono percepite e misurate. Esse possiedono un loro fondamento, per quanto enigmatico, un fondamento che assume configurazioni differenti, a seconda del tipo di esperimento.
Non solo, alcuni ricercatori, contraddicendo l’assunto secondo cui l’osservatore avrebbe efficacia sull’osservato, reputano che sia l’esterno ad operare sull’interno: ad esempio, Bruce Lipton spiega che non sono i geni a causare le malattie, ma il modo in cui il nostro corpo interpreta gli stimoli ambientali. La nostra mente inconscia elabora ogni secondo oltre quattro miliardi di informazioni e risponde ad esse in base a come è stata programmata. E’ proprio la nostra mente inconscia che controlla il 95% delle funzioni dell’organismo. Regola la respirazione, la digestione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, decodifica le informazioni dell’ambiente ed attua i relativi meccanismi di feedback. Ora, se Lipton ha ragione, l’io non agisce sul mondo, ma viceversa. Se Lipton ha ragione, visto che l’azione dell’individuo si esplica per lo più sotto il controllo di una forza inconscia, è difficile continuare a sostenere l’idea della libera volizione. Che cosa poi ha programmato la mente? Se è stata programmata, la convinzione circa la libertà umana si rivela sempre di più una chimera.
Esiste qualche nesso tra il potere dell’intenzione ed i processi fisici del mondo subatomico?
Sono due ambiti differenti: il potere dell’intenzione e la cosiddetta “legge dell’attrazione” sono concetti che, sebbene in parte mutuati da acquisizioni degli scienziati di frontiera, risultano arbitrari, fondati su una semplificazione e su una strumentalizzazione di principi fisici incompatibili con elaborazioni psicologiche. La nozione secondo cui il pensiero può guidare gli eventi – vera o falsa che sia questa nozione - non appartiene alla Meccanica quantistica i cui capisaldi sono matematici e non psicologici.
E’ vero che la Fisica quantistica si allinea con la filosofia idealista, secondo cui il mondo materiale è un’illusione, essendo privo di consistenza e di autonomia ontologica?
In una certa misura è così. Si giunge ad un punto della sfera subatomica in cui le particelle si assottigliano nelle vibrazioni, nella nebbia intangibile ed evanescente dell’informazione. Tuttavia la Fisica quantistica, benché tenda a smaterializzare la materia, non la nega in toto. Inoltre non postula uno Spirito né costruisce l’assioma dell’Io che, per affermarsi, pone un non-Io. E’ tutto molto più sfumato e complesso. Non solo, alcuni indirizzi tendono verso una forma di dualismo (mentre l’Idealismo è monista), per cui su ordine implicito è strutturato un ordine esplicito. Quest’ultimo, pur essendo una realtà olografica, non è scevro di una sua sostanzialità.
E’ vero che la Fisica quantistica ci pone di fronte ad un mondo irrazionale, incomprensibile nella sua essenza?
Sì. I ricercatori seri ammettono che le scoperte dell’ultimo secolo hanno squadernato una realtà sorprendente e meravigliosa, ma che mina convincimenti consolidati ed il senso comune. E’ una sfida alla logica: da un lato stimola esplorazioni avventurose, dall’altro frustra i tentativi di costruire teorie coerenti e semplici. Questo non significa che l’essere sia in sé del tutto illogico, ma che ancora non abbiamo affinato gli strumenti interpretativi per comprenderlo.
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Saturday, September 14, 2013
La legge dell'attrazione (quarta parte)
http://zret.blogspot.it/2013/09/la-legge-dellattrazione-quarta-parte.html
La legge dell'attrazione (quarta parte)

Leggi qui la terza parte.
La cosiddetta “legge dell’attrazione” implica il libero arbitrio. Tuttavia, oltre agli argomenti già addotti che, se non confutano la congettura della libertà umana, la mettono per lo meno in dubbio, si possono aggiungere altre dimostrazioni.
L’universo olografico
In primo luogo, riallacciandoci all’ipotesi dell’universo olografico, noteremmo quanto segue. La teoria del cosmo olografico si incentra sul principio, secondo cui la parte riproduce il tutto: anche l’encefalo è inscritto in questo modello. Sulla base di diversi studi, alcuni scienziati hanno stabilito che il cervello è uno “strumento” in cui una sezione contiene tutte le potenzialità cognitive e percettive dell’intero organo. Ora, dato per plausibile tale concetto, è evidente che la frazione è come uno specchio dove si riflette, in piccolo, un’immagine più grande.
Se trasponiamo questa idea all’ambito delle azioni – ed è trasposizione legittima, visto che il fisico britannico David Bohm definì il suo sistema olografico come “olomovimento” - dobbiamo evincere che un’azione si riverbera su tutte le altre, alle quali si aggancia. Nel momento in cui l’universo riceve il primo impulso, tale impulso si trasmette a tutti gli altri lungo una linea all’apparenza temporale, in realtà sincronica. E’ un po’ come quando, gettato un sasso in un lago, si creano tanti cerchi concentrici: via via i vari circoli, anche se con circonferenze più ampie, riproducono il primo, da cui sono generati.
Potremmo pensare all’avvio del moto come ad una lunghissima corda la cui vibrazione, che si propaga da un punto centrale X si estende alle sue estremità A e B. A e B sono convinti di aver dato inizio al movimento, mentre si limitano a ricevere la “coda” del moto da X.
Per questo motivo alcuni mesi addietro si asseriva che alla concezione dell’universo olografico soggiace una forma di radicale determinismo, sebbene non sia quello causale del Positivismo ottocentesco, ma un meccanicismo sincronico e speculare, dove ogni fenomeno originario si collega a tutti i fenomeni secondari. Questi si manifestano contemporaneamente all’input primo, conservandone tutte le caratteristiche, benché in scala ridotta.
Così la teoria delll’universo olografico tende ad accostarsi ai modelli fisici che si fondano sulla non-località: una particella interagisce con un’altra anche molto distante, poiché le due particelle sono la stessa percepita in modo illusorio come divisa. Forse è per il principio della non-località (lo spazio-tempo è un’unità indivisa che cogliamo come molteplice e separata nonché dipanata lungo l’asse temporale) che non pochi fisici quantistici negano il libero arbitrio.
I viaggi nel tempo
Se ci soffermiamo sull’àmbito della storia umana, riconoscendo che gli eventi progettati e previsti, si sono adempiuti, rintracciamo un altro argomento, benché debole e controverso, contro il libero arbitrio.
Si pensi a tutti quei testi (ad esempio, il carteggio Pike-Mazzini) in cui sono programmati eventi che sono poi puntualmente accaduti. Si pensi alle profezie che si sono avverate. Se quanto fu orchestrato e predetto, è finora successo, è discutibile sostenere che esiste la libertà di scelta.
Ciò non esclude che in altri ipotetici universi paralleli non siano state prese decisioni che hanno impresso un’altra direzione alla storia. Così se qui scoppia una guerra, là regna la pace. Se qui A muore, là A vive.
L’idea degli universi paralleli ammette in linea teorica i viaggi nel tempo, ma senza la possibilità di cambiare il passato, stante il noto paradosso del nonno, per cui se io, inoltratomi nel tempo trascorso, uccido il mio avo, non nasco più. Quindi non posso più intraprendere il tour temporale. L’impossibilità di mutare gli accadimenti passati tende ad avvalorare una visione deterministica, per cui gli avvenimenti si susseguono e si concatenano secondo una loro ratio su cui in nessun modo si può influire, pena la creazione di un caos spaventoso, se non addirittura il collasso dell’universo.
Alcuni filosofi e scienziati ritengono che gli eventi non siano del tutto predeterminati, poiché è sempre possibile, anche all’ultimo momento, cambiare idea, trasmettendo alla freccia temporale un’altra traiettoria. Questo forse è vero, purché si pensi che, non appena si compie un’opzione tale da spezzare la consequenzialità, questa scelta realizza un effetto differente in un’altra dimensione – di cui comunque sappiamo poco o nulla – non nel nostro universo. Vale a dire, A qui comunque divorzia, anche se A lì è ancora sposato.
Si delinea dunque, ogni volta in cui si prende una deliberazione, un bivio (teoria del bivio, Straker): una biforcazione conduce in un senso, l’altra biforcazione in un altro. Le risoluzioni, infatti, possono essere solo due: o vado alla spiaggia o non ci vado. Sennonché una delle due diramazioni produce delle conseguenze in una sfera tangente, non nella nostra. La teoria del bivio presuppone anche che si possa deviare dal corso prefissato, quantunque poi, a causa di un influsso recondito, si sia ricondotti nell’alveo principale dei fatti.(Vedi Il delta). Se A non muore ora, muore poco dopo.
La cosiddetta “legge dell’attrazione” implica il libero arbitrio. Tuttavia, oltre agli argomenti già addotti che, se non confutano la congettura della libertà umana, la mettono per lo meno in dubbio, si possono aggiungere altre dimostrazioni.
L’universo olografico
In primo luogo, riallacciandoci all’ipotesi dell’universo olografico, noteremmo quanto segue. La teoria del cosmo olografico si incentra sul principio, secondo cui la parte riproduce il tutto: anche l’encefalo è inscritto in questo modello. Sulla base di diversi studi, alcuni scienziati hanno stabilito che il cervello è uno “strumento” in cui una sezione contiene tutte le potenzialità cognitive e percettive dell’intero organo. Ora, dato per plausibile tale concetto, è evidente che la frazione è come uno specchio dove si riflette, in piccolo, un’immagine più grande.
Se trasponiamo questa idea all’ambito delle azioni – ed è trasposizione legittima, visto che il fisico britannico David Bohm definì il suo sistema olografico come “olomovimento” - dobbiamo evincere che un’azione si riverbera su tutte le altre, alle quali si aggancia. Nel momento in cui l’universo riceve il primo impulso, tale impulso si trasmette a tutti gli altri lungo una linea all’apparenza temporale, in realtà sincronica. E’ un po’ come quando, gettato un sasso in un lago, si creano tanti cerchi concentrici: via via i vari circoli, anche se con circonferenze più ampie, riproducono il primo, da cui sono generati.
Potremmo pensare all’avvio del moto come ad una lunghissima corda la cui vibrazione, che si propaga da un punto centrale X si estende alle sue estremità A e B. A e B sono convinti di aver dato inizio al movimento, mentre si limitano a ricevere la “coda” del moto da X.
Per questo motivo alcuni mesi addietro si asseriva che alla concezione dell’universo olografico soggiace una forma di radicale determinismo, sebbene non sia quello causale del Positivismo ottocentesco, ma un meccanicismo sincronico e speculare, dove ogni fenomeno originario si collega a tutti i fenomeni secondari. Questi si manifestano contemporaneamente all’input primo, conservandone tutte le caratteristiche, benché in scala ridotta.
Così la teoria delll’universo olografico tende ad accostarsi ai modelli fisici che si fondano sulla non-località: una particella interagisce con un’altra anche molto distante, poiché le due particelle sono la stessa percepita in modo illusorio come divisa. Forse è per il principio della non-località (lo spazio-tempo è un’unità indivisa che cogliamo come molteplice e separata nonché dipanata lungo l’asse temporale) che non pochi fisici quantistici negano il libero arbitrio.
I viaggi nel tempo
Se ci soffermiamo sull’àmbito della storia umana, riconoscendo che gli eventi progettati e previsti, si sono adempiuti, rintracciamo un altro argomento, benché debole e controverso, contro il libero arbitrio.
Si pensi a tutti quei testi (ad esempio, il carteggio Pike-Mazzini) in cui sono programmati eventi che sono poi puntualmente accaduti. Si pensi alle profezie che si sono avverate. Se quanto fu orchestrato e predetto, è finora successo, è discutibile sostenere che esiste la libertà di scelta.
Ciò non esclude che in altri ipotetici universi paralleli non siano state prese decisioni che hanno impresso un’altra direzione alla storia. Così se qui scoppia una guerra, là regna la pace. Se qui A muore, là A vive.
L’idea degli universi paralleli ammette in linea teorica i viaggi nel tempo, ma senza la possibilità di cambiare il passato, stante il noto paradosso del nonno, per cui se io, inoltratomi nel tempo trascorso, uccido il mio avo, non nasco più. Quindi non posso più intraprendere il tour temporale. L’impossibilità di mutare gli accadimenti passati tende ad avvalorare una visione deterministica, per cui gli avvenimenti si susseguono e si concatenano secondo una loro ratio su cui in nessun modo si può influire, pena la creazione di un caos spaventoso, se non addirittura il collasso dell’universo.
Alcuni filosofi e scienziati ritengono che gli eventi non siano del tutto predeterminati, poiché è sempre possibile, anche all’ultimo momento, cambiare idea, trasmettendo alla freccia temporale un’altra traiettoria. Questo forse è vero, purché si pensi che, non appena si compie un’opzione tale da spezzare la consequenzialità, questa scelta realizza un effetto differente in un’altra dimensione – di cui comunque sappiamo poco o nulla – non nel nostro universo. Vale a dire, A qui comunque divorzia, anche se A lì è ancora sposato.
Si delinea dunque, ogni volta in cui si prende una deliberazione, un bivio (teoria del bivio, Straker): una biforcazione conduce in un senso, l’altra biforcazione in un altro. Le risoluzioni, infatti, possono essere solo due: o vado alla spiaggia o non ci vado. Sennonché una delle due diramazioni produce delle conseguenze in una sfera tangente, non nella nostra. La teoria del bivio presuppone anche che si possa deviare dal corso prefissato, quantunque poi, a causa di un influsso recondito, si sia ricondotti nell’alveo principale dei fatti.(Vedi Il delta). Se A non muore ora, muore poco dopo.
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Zret
che come si vede dalle label sta ancora rosicando
Monday, September 2, 2013
La legge dell’attrazione (terza parte)
http://zret.blogspot.co.uk/2013/08/la-legge-dellattrazione-terza-parte.html
La legge dell’attrazione (terza parte)

Leggi qui la prima parte.
Se il tempo è uno stratagemma affinché gli eventi non accadano tutti insieme, nello stesso istante; se, in altre parole, tutto è già accaduto, è palese che è impossibile incidere sui fatti.
Siamo attori che recitano una parte? Il copione è stato già scritto e la “libertà” è forse nel timbro di voce con cui possiamo pronunciare le battute? E’ difficile confutare che il tempo è un inganno, per quanto tenace. E’ sufficiente assopirsi per sovvertirne le coordinate e la sequenza passato-presente-futuro (nei sogni) o addirittura per annullarlo (nel sonno profondo).
Se dunque il tempo non esiste come ente assoluto, non esiste neppure la possibilità di dominarlo. Gli accadimenti sono fotogrammi di una pellicola girata da un regista ignoto. Come in una pellicola la rapida successione dei fotogrammi dà l’illusione del movimento, così l’avvicendamento delle vicende nella nostra esistenza crea l’apparenza del moto e del libero arbitrio.
Alcuni autori illustrano l’intenzione nel modo seguente: ”L’intenzione si associa al concetto proposto da Wayne Dyerquale, secondo cui essa sarebbe una forza universale che permette l’atto stesso della creazione, in tutti gli ambiti, ed alla quale abbiamo libero accesso grazie alla nostra caratteristica di essere parte olografica dell’universo stesso, dal quale anche l’intenzione trae origine. L’intenzione cosi intesa non è solo un atteggiamento personale che ci spinge ad agire individualmente, ma è piuttosto un’energia universale alla quale ricorriamo (anche in modo inconsapevole) per dare forma reale alla nostra fisicità”.
Per Deepak Chopra, “l’intenzione è il punto di partenza di ogni sogno. È il potere creativo che soddisfa tutte le nostre esigenze”.
L’aforisma di Chopra è bello, ma è una mera petizione di principio. Dyerquale evoca l’energia universale, l’universo olografico, la fisicità, senza nemmeno provare a spiegare che cosa intenda con queste parole. E’ un discorso del tutto privo di riferimenti chiari. Semmai può servire come consolazione. Il mondo ci appare molto diverso da questo luna park olografico. “Il mondo, brulicante di essere corruttibili, è un disastro inesplicabile”. (L. Bossi)
Che il pensiero individuale possa creare dal nulla la materia, quando più gli aggrada, è da escludere. Che possa in qualche modo influire sugli avvenimenti e sulle “cose” è controverso. Ammettiamo pure che il singolo possa controllare il tempo, quindi gli eventi, in contrasto con quanto sopra affermato. Resta comunque un ostacolo che pare insormontabile: la frattura tra pensiero e “realtà”.
Nota Boutroux che tra fisica e chimica, tra chimica e biologia, tra biologia e psicologia si aprono delle fratture. Le leggi fisiche mostrano discontinuità con quelle chimiche, le chimiche con quelle biologiche etc. E’ arduo comprendere come si possa saltare il fosso.
Il fisico Schrodinger si chiese come gruppi di atomi piccolissimi, troppo piccoli per aderire a leggi statistiche esatte possano rivestire un ruolo dominante negli avvenimenti ordinati di un organismo vivente. Vale a dire, in che maniera il mondo atomico e subatomico, con la sua anarchia e la sua incoscienza, può generare la vita organizzata (la sfera organica) e la coscienza? Manca – è evidente – qualcosa. Che cosa nessuno sa.
Se circoscriviamo il problema alla supposta azione del pensiero sulla corporeità, notiamo anche qui una distanza incolmabile: se res cogitans e res extensa sono ontologicamente diverse, allora la risoluzione migliore per comprendere come si possano collegare, è quella proposta dagli occasionalisti, per cui è Dio ogni volta ad agire. Tale ipotesi esclude il libero arbitrio umano. Se, invece, esiste solo il pensiero (Idealismo), esso opera su una “realtà” fittizia. Tuttavia questo pensiero trascendentale (Io trascendentale per Fichte) non coincide del tutto con ciascun individuo, anche se ciascun individuo partecipa di esso.
Ecco l’errore gigantesco dei new agers: credere che l’intenzione individuale combaci in toto con l’Intenzione universale. L’uomo è Dio. E’ un po’ come pensare che con una sola nota musicale sia possibile comporre un numero considerevole di melodie.
E’ possibile che una Coscienza cosmica produca un universo (un universo-sogno?) che noi percepiamo come tangibile e concreto, anche se potrebbe essere una mera illusione sensoriale. Se è così, però, questa Coscienza onnipotente ed onnisciente può lasciar mai spazio alla libertà dei singoli che, tra l’altro, sono soltanto ombre proiettate dalla Coscienza-luce? Se cedesse anche una minima frazione della sua potenza, non sarebbe più perfetta e quindi non sarebbe più Dio.
Se, invece, esiste solo la materia, allora il libero arbitrio non ha ragion d’essere, poiché alle quattro interazioni fondamentali ed alle loro propaggini chimico-biologiche soggiacciono leggi (modi di funzionamento dei processi energetici) che sono le radici delle esperienze intellettuali e spirituali. I positivisti ottocenteschi riassumevano l’idea in tal guisa: “Il cervello secerne il pensiero”.
Per ora ricapitoliamo. Vedremo in seguito altre implicazioni dell'abnorme problema.
Esiste solo lo Spirito (alias Coscienza, Dio, Mente cosmica, Energia immateriale etc.): il libero arbitrio ed il potere dell’intenzione creativa sono prerogative di Dio. La libera volizione del singolo è un’adesione perfetta alla volontà assoluta, inscalfibile di Dio: “E’ n sua voluntade è nostra pace”, (Par. III). Dio può avere una sola testa ed una sola volontà, altrimenti diventa schizofrenico.
Esistono sia lo Spirito sia la materia: il libero arbitrio si esplica nel momento in cui la coscienza individuale riesce ad agire sui fatti e sulle cose, ma questa azione è solo possibile mediante l’intervento della Coscienza universale (o comunque di un agente esterno) in cui tra l’altro sono stati decisi (sognati?) ab aeterno, fuori dal tempo, gli eventi che sembrano dipanarsi nel tempo. Ergo il libero arbitrio non esiste.
Esiste solo la materia: la libertà umana non esiste, giacché tutto dipende da ineluttabili leggi fisiche.
Se il tempo è uno stratagemma affinché gli eventi non accadano tutti insieme, nello stesso istante; se, in altre parole, tutto è già accaduto, è palese che è impossibile incidere sui fatti.
Siamo attori che recitano una parte? Il copione è stato già scritto e la “libertà” è forse nel timbro di voce con cui possiamo pronunciare le battute? E’ difficile confutare che il tempo è un inganno, per quanto tenace. E’ sufficiente assopirsi per sovvertirne le coordinate e la sequenza passato-presente-futuro (nei sogni) o addirittura per annullarlo (nel sonno profondo).
Se dunque il tempo non esiste come ente assoluto, non esiste neppure la possibilità di dominarlo. Gli accadimenti sono fotogrammi di una pellicola girata da un regista ignoto. Come in una pellicola la rapida successione dei fotogrammi dà l’illusione del movimento, così l’avvicendamento delle vicende nella nostra esistenza crea l’apparenza del moto e del libero arbitrio.
Alcuni autori illustrano l’intenzione nel modo seguente: ”L’intenzione si associa al concetto proposto da Wayne Dyerquale, secondo cui essa sarebbe una forza universale che permette l’atto stesso della creazione, in tutti gli ambiti, ed alla quale abbiamo libero accesso grazie alla nostra caratteristica di essere parte olografica dell’universo stesso, dal quale anche l’intenzione trae origine. L’intenzione cosi intesa non è solo un atteggiamento personale che ci spinge ad agire individualmente, ma è piuttosto un’energia universale alla quale ricorriamo (anche in modo inconsapevole) per dare forma reale alla nostra fisicità”.
Per Deepak Chopra, “l’intenzione è il punto di partenza di ogni sogno. È il potere creativo che soddisfa tutte le nostre esigenze”.
L’aforisma di Chopra è bello, ma è una mera petizione di principio. Dyerquale evoca l’energia universale, l’universo olografico, la fisicità, senza nemmeno provare a spiegare che cosa intenda con queste parole. E’ un discorso del tutto privo di riferimenti chiari. Semmai può servire come consolazione. Il mondo ci appare molto diverso da questo luna park olografico. “Il mondo, brulicante di essere corruttibili, è un disastro inesplicabile”. (L. Bossi)
Che il pensiero individuale possa creare dal nulla la materia, quando più gli aggrada, è da escludere. Che possa in qualche modo influire sugli avvenimenti e sulle “cose” è controverso. Ammettiamo pure che il singolo possa controllare il tempo, quindi gli eventi, in contrasto con quanto sopra affermato. Resta comunque un ostacolo che pare insormontabile: la frattura tra pensiero e “realtà”.
Nota Boutroux che tra fisica e chimica, tra chimica e biologia, tra biologia e psicologia si aprono delle fratture. Le leggi fisiche mostrano discontinuità con quelle chimiche, le chimiche con quelle biologiche etc. E’ arduo comprendere come si possa saltare il fosso.
Il fisico Schrodinger si chiese come gruppi di atomi piccolissimi, troppo piccoli per aderire a leggi statistiche esatte possano rivestire un ruolo dominante negli avvenimenti ordinati di un organismo vivente. Vale a dire, in che maniera il mondo atomico e subatomico, con la sua anarchia e la sua incoscienza, può generare la vita organizzata (la sfera organica) e la coscienza? Manca – è evidente – qualcosa. Che cosa nessuno sa.
Se circoscriviamo il problema alla supposta azione del pensiero sulla corporeità, notiamo anche qui una distanza incolmabile: se res cogitans e res extensa sono ontologicamente diverse, allora la risoluzione migliore per comprendere come si possano collegare, è quella proposta dagli occasionalisti, per cui è Dio ogni volta ad agire. Tale ipotesi esclude il libero arbitrio umano. Se, invece, esiste solo il pensiero (Idealismo), esso opera su una “realtà” fittizia. Tuttavia questo pensiero trascendentale (Io trascendentale per Fichte) non coincide del tutto con ciascun individuo, anche se ciascun individuo partecipa di esso.
Ecco l’errore gigantesco dei new agers: credere che l’intenzione individuale combaci in toto con l’Intenzione universale. L’uomo è Dio. E’ un po’ come pensare che con una sola nota musicale sia possibile comporre un numero considerevole di melodie.
E’ possibile che una Coscienza cosmica produca un universo (un universo-sogno?) che noi percepiamo come tangibile e concreto, anche se potrebbe essere una mera illusione sensoriale. Se è così, però, questa Coscienza onnipotente ed onnisciente può lasciar mai spazio alla libertà dei singoli che, tra l’altro, sono soltanto ombre proiettate dalla Coscienza-luce? Se cedesse anche una minima frazione della sua potenza, non sarebbe più perfetta e quindi non sarebbe più Dio.
Se, invece, esiste solo la materia, allora il libero arbitrio non ha ragion d’essere, poiché alle quattro interazioni fondamentali ed alle loro propaggini chimico-biologiche soggiacciono leggi (modi di funzionamento dei processi energetici) che sono le radici delle esperienze intellettuali e spirituali. I positivisti ottocenteschi riassumevano l’idea in tal guisa: “Il cervello secerne il pensiero”.
Per ora ricapitoliamo. Vedremo in seguito altre implicazioni dell'abnorme problema.
Esiste solo lo Spirito (alias Coscienza, Dio, Mente cosmica, Energia immateriale etc.): il libero arbitrio ed il potere dell’intenzione creativa sono prerogative di Dio. La libera volizione del singolo è un’adesione perfetta alla volontà assoluta, inscalfibile di Dio: “E’ n sua voluntade è nostra pace”, (Par. III). Dio può avere una sola testa ed una sola volontà, altrimenti diventa schizofrenico.
Esistono sia lo Spirito sia la materia: il libero arbitrio si esplica nel momento in cui la coscienza individuale riesce ad agire sui fatti e sulle cose, ma questa azione è solo possibile mediante l’intervento della Coscienza universale (o comunque di un agente esterno) in cui tra l’altro sono stati decisi (sognati?) ab aeterno, fuori dal tempo, gli eventi che sembrano dipanarsi nel tempo. Ergo il libero arbitrio non esiste.
Esiste solo la materia: la libertà umana non esiste, giacché tutto dipende da ineluttabili leggi fisiche.
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Sunday, July 28, 2013
La legge dell'attrazione (seconda parte)
http://zret.blogspot.it/2013/07/la-legge-dellattrazione-seconda-parte.html
La legge dell'attrazione (seconda parte)

Leggi qui la prima parte
La “legge dell’attrazione” è un magnete. In parole semplici, il pensiero positivo attrae eventi favorevoli; il pensiero negativo disgrazie. Talora si ha il sentore che sia così, ma è davvero così?
Succede che una serie fausta di accadimenti sia all’improvviso interrotta da una calamità. Più di rado accade che una situazione disperata di botto conosca una risoluzione. Questi repentini cambi sono dipesi da altrettanti mutamenti del pensiero? Per favore, non invochiamo il pensiero inconscio: se è il pensiero inconscio a determinare gli accadimenti, allora codesta “legge” perde ogni valore, in quanto avulsa dall’intenzione e dalla volontà che sono conscie per definizione.
Si può poi continuare a definirla “legge”, quando anche una sola volta essa è smentita? Da un punto di vista epistemologico, no. Semmai potrebbe essere una tendenza, un orientamento in gran parte imponderabile.
Va riconosciuto che in una circostanza la legge in esame funziona. Coloro che scrivono libri sull’argomento e che soprattutto organizzano dispendiosi corsi e seminari sul potere dell’intenzione e compagnia cantando, calamitano verso di sé i metalli... soprattutto l’oro. E’ ovvio che per apprender tecniche efficaci si debbono spendere somme esorbitanti.
Nel Medioevo si soleva ripetere che “gli astri inclinano: non determinano”. E’ solo un patetico stratagemma linguistico. Se ho un piano inclinato, è inevitabile che un oggetto vi scivoli. Più o meno velocemente, secondo il grado dell’inclinazione, ma l’oggetto scivolerà.
Qualcuno obietta, affermando che una catena di accadimenti propizi o infausti si spezza a causa del karma. Che bella obiezione! Molto efficace! Si tenta di sciogliere un nodo concettuale, intrecciando un altro nodo inestricabile. E’ come se si volesse illustrare ad uno studente italiano un complesso teorema in cinese, dopo che non è stato compreso usando la lingua madre.
Altri sostengono che, quando una persona nasce (o rinasce), essa si sceglie un fato che le consentirà di “evolvere”, di “maturare”. Tuttavia davvero può scegliere o qualcuno o qualcosa impone l’opzione? Se rinasce, la scelta è condizionata dal karma, quindi non è libera. Se nasce, essa definisce un tracciato da percorrere di cui, una volta precipitata sulla terra, l’anima non ricorderà alcunché. Da una decisione inconsapevole può scaturire una consapevole azione lungo il proprio cammino?
Non sto disconoscendo l’influsso del pensiero sull’esistenza, ma credo che esso sia confinato nell’interiorità: può aiutare a tollerare la sorte rea, persino a cogliervi un disegno (inventato?). Si può diventare “saggi”, imparando ad attribuire il giusto valore alle cose, ad essere riconoscenti per quanto ci è stato elargito, a collocare l’esperienza umana nei limiti in cui essa è circoscritta. Reputo, invece, che creare il proprio destino con il potere dell’intenzione sia una chimera.
Invano cercheremo nei filosofi classici e moderni, negli artisti una posizione univoca rispetto al problema. Al Suae quisque fortunae faber “Ciascuno è artefice della propria sorte” di Appio claudio Cieco, si oppone il Fata volentes ducunt, nolentes trahunt, “Il destino conduce chi non oppone resistenza, trascina chi si ribella” di Seneca.
Si nota uno sviluppo, pur con alcune “retromarce”: mentre nei pensatori e poeti più antichi prevale il convincimento circa la necessità (emblematico il convincimento di Sofocle), in quelli successivi comincia a delinearsi l’idea del libero arbitrio che culmina con la "condanna ad essere liberi" di Sartre.
Anche il magistero evangelico è lacerato dalla contraddizione. In Matteo 10:30 è scritto: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati”. Luca 12:7 rincalza: “Anzi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Questi versetti proclamano una chiara visione per cui la vita umana è decisa ab aeterno. Altri passi evangelici, invece, puntano sulla scelta, quindi sulla libera adesione all’insegnamento del Messia.
Non se ne esce: la Provvidenza e la Grazia sono, alla resa dei conti, inconciliabili con il libero arbitrio. Pertanto o si ricorre ai soliti sofismi ed al triplo salto mortale carpiato di certi teologi che provano a salvare capra e cavoli, oppure si nega in modo reciso uno dei due termini con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.
Esiste il destino come zoccolo duro che nulla e nessuno può scalfire? Lo vedremo nella prossima parte, considerando il tema del tempo e la questione della “frattura”.
La “legge dell’attrazione” è un magnete. In parole semplici, il pensiero positivo attrae eventi favorevoli; il pensiero negativo disgrazie. Talora si ha il sentore che sia così, ma è davvero così?
Succede che una serie fausta di accadimenti sia all’improvviso interrotta da una calamità. Più di rado accade che una situazione disperata di botto conosca una risoluzione. Questi repentini cambi sono dipesi da altrettanti mutamenti del pensiero? Per favore, non invochiamo il pensiero inconscio: se è il pensiero inconscio a determinare gli accadimenti, allora codesta “legge” perde ogni valore, in quanto avulsa dall’intenzione e dalla volontà che sono conscie per definizione.
Si può poi continuare a definirla “legge”, quando anche una sola volta essa è smentita? Da un punto di vista epistemologico, no. Semmai potrebbe essere una tendenza, un orientamento in gran parte imponderabile.
Va riconosciuto che in una circostanza la legge in esame funziona. Coloro che scrivono libri sull’argomento e che soprattutto organizzano dispendiosi corsi e seminari sul potere dell’intenzione e compagnia cantando, calamitano verso di sé i metalli... soprattutto l’oro. E’ ovvio che per apprender tecniche efficaci si debbono spendere somme esorbitanti.
Nel Medioevo si soleva ripetere che “gli astri inclinano: non determinano”. E’ solo un patetico stratagemma linguistico. Se ho un piano inclinato, è inevitabile che un oggetto vi scivoli. Più o meno velocemente, secondo il grado dell’inclinazione, ma l’oggetto scivolerà.
Qualcuno obietta, affermando che una catena di accadimenti propizi o infausti si spezza a causa del karma. Che bella obiezione! Molto efficace! Si tenta di sciogliere un nodo concettuale, intrecciando un altro nodo inestricabile. E’ come se si volesse illustrare ad uno studente italiano un complesso teorema in cinese, dopo che non è stato compreso usando la lingua madre.
Altri sostengono che, quando una persona nasce (o rinasce), essa si sceglie un fato che le consentirà di “evolvere”, di “maturare”. Tuttavia davvero può scegliere o qualcuno o qualcosa impone l’opzione? Se rinasce, la scelta è condizionata dal karma, quindi non è libera. Se nasce, essa definisce un tracciato da percorrere di cui, una volta precipitata sulla terra, l’anima non ricorderà alcunché. Da una decisione inconsapevole può scaturire una consapevole azione lungo il proprio cammino?
Non sto disconoscendo l’influsso del pensiero sull’esistenza, ma credo che esso sia confinato nell’interiorità: può aiutare a tollerare la sorte rea, persino a cogliervi un disegno (inventato?). Si può diventare “saggi”, imparando ad attribuire il giusto valore alle cose, ad essere riconoscenti per quanto ci è stato elargito, a collocare l’esperienza umana nei limiti in cui essa è circoscritta. Reputo, invece, che creare il proprio destino con il potere dell’intenzione sia una chimera.
Invano cercheremo nei filosofi classici e moderni, negli artisti una posizione univoca rispetto al problema. Al Suae quisque fortunae faber “Ciascuno è artefice della propria sorte” di Appio claudio Cieco, si oppone il Fata volentes ducunt, nolentes trahunt, “Il destino conduce chi non oppone resistenza, trascina chi si ribella” di Seneca.
Si nota uno sviluppo, pur con alcune “retromarce”: mentre nei pensatori e poeti più antichi prevale il convincimento circa la necessità (emblematico il convincimento di Sofocle), in quelli successivi comincia a delinearsi l’idea del libero arbitrio che culmina con la "condanna ad essere liberi" di Sartre.
Anche il magistero evangelico è lacerato dalla contraddizione. In Matteo 10:30 è scritto: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati”. Luca 12:7 rincalza: “Anzi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Questi versetti proclamano una chiara visione per cui la vita umana è decisa ab aeterno. Altri passi evangelici, invece, puntano sulla scelta, quindi sulla libera adesione all’insegnamento del Messia.
Non se ne esce: la Provvidenza e la Grazia sono, alla resa dei conti, inconciliabili con il libero arbitrio. Pertanto o si ricorre ai soliti sofismi ed al triplo salto mortale carpiato di certi teologi che provano a salvare capra e cavoli, oppure si nega in modo reciso uno dei due termini con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.
Esiste il destino come zoccolo duro che nulla e nessuno può scalfire? Lo vedremo nella prossima parte, considerando il tema del tempo e la questione della “frattura”.
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Zret
Monday, October 22, 2012
L'incubo dell'universo-software
http://zret.blogspot.co.uk/2012/10/lincubo-delluniverso-software_5723.html
L'incubo dell'universo-software
Alcune
esperienze visionarie (penso in special modo a certi raggelanti
racconti di Phlip K. Dick ed all’ambiguo apologo “Matrix”) suggeriscono
sfumature artificiali e tecnologiche del mondo. L’universo è descritto
alla maniera di un programma informatico interattivo, come cablato
all’interno di ciascuno di noi.
Gli oggetti sono bit. Le emozioni, i sentimenti ed i pensieri informazioni digitali; la percezione è generata da un software. Nell’officina aliena è tutto rigidamente organizzato e diretto. Gli automi controllano automi che si credono liberi: le loro azioni sono sequenze di un filmato. I gesti si spezzano, il movimento è una successione di fotogrammi bloccati.
Il cosmo è un gioco di ruolo, con piattaforme e livelli. Le leggi di natura (ma è una “natura” meccanica) sono le regole del gioco. L’applicativo viene di volta in volta aggiornato. Ogni tanto un virus penetra nel sistema. Nulla ha scopo né senso: sullo schermo dello spazio brulicano cifre fosforescenti, serie infinite di zero e di uno.
Il fulcro di tutto è un dispositivo generatore di numeri, un’intelligenza artificiale la cui anima è un microprocessore.
Gli oggetti sono bit. Le emozioni, i sentimenti ed i pensieri informazioni digitali; la percezione è generata da un software. Nell’officina aliena è tutto rigidamente organizzato e diretto. Gli automi controllano automi che si credono liberi: le loro azioni sono sequenze di un filmato. I gesti si spezzano, il movimento è una successione di fotogrammi bloccati.
Il cosmo è un gioco di ruolo, con piattaforme e livelli. Le leggi di natura (ma è una “natura” meccanica) sono le regole del gioco. L’applicativo viene di volta in volta aggiornato. Ogni tanto un virus penetra nel sistema. Nulla ha scopo né senso: sullo schermo dello spazio brulicano cifre fosforescenti, serie infinite di zero e di uno.
Il fulcro di tutto è un dispositivo generatore di numeri, un’intelligenza artificiale la cui anima è un microprocessore.
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Tuesday, March 20, 2012
Il problema del libero arbitrio in Searle (seconda ed ultima parte)
http://zret.blogspot.co.uk/2012/03/il-problema-del-libero-arbitrio-in.html
Il problema del libero arbitrio in Searle (seconda ed ultima parte)
Leggi qui la prima parte.
Come
si vede, il problema rimane. Si deve osservare che il filosofo pone la
questione in termini essenziali, bilaterali, evitando di ricorrere a
categorie ed enti non indispensabili. Qui intendo seguire il suo esempio
di ragionamento, pur con il rischio di qualche schematismo. Mi chiedo
se il modello del cervello quantistico possa essere il presupposto del
libero arbitrio: ci troviamo di fronte alla solita frattura tra il
microcosmo ed il macrocosmo. Le particelle subnucleari, intrinsecamente
anarchiche, dovrebbero, attraverso una serie di processi che ci sono
ignoti, organizzarsi in modo da generare situazioni razionali e
requisiti adatti all’esplicazione della libera volontà. Come ciò possa
avvenire, ammesso che possa accadere, è un enigma. Si potrebbe
congetturare che le suddette particelle siano dotate di libero arbitrio,
come gli uomini: questa supposizione, però, non chiarisce, tra le altre
cose, per quale motivo il cosiddetto mondo fisico sia inquadrato in
“leggi” inderogabili. Quando un grave cade, precise condizioni ne
determinano velocità, accelerazione, direzione. Non mi risulta che una
pietra possa decidere di deviare il percorso di caduta o addirittura di
salire, anziché di precipitare. Si dovrebbe postulare che, per una
ragione misteriosa, il libero arbitrio si manifesta insieme con la
coscienza: purtroppo non solo non sappiamo che cosa sia la coscienza né
come e perché emerga, ma dovremmo poi assegnare la volizione non
determinata almeno agli animali superiori, con inevitabili ripercussioni
filosofiche.
Non è bastevole invocare la persuasione della libertà per fondarla: se così fosse, dovremmo affermare che i colori hanno un’esistenza reale, perché siamo sicuri che esistono nel mondo là fuori, attaccati agli oggetti. Il libero arbitrio potrebbe essere un’illusione della mente, come le illusioni ottiche generate da certe figure. Appellarsi al senso comune è ingannevole: il common sense ci induce a sentirci liberi, come ci spinge a credere che la materia sia una “cosa” esterna, concreta, oggettiva, mentre di ciò non si può essere certi. Molte credenze sono assimilate a verità, ma non è così. Se il libero arbitrio esiste, lo si potrebbe giudicare una deviazione rispetto ai processi naturali del macrocosmo che, per quanto ne sappiamo, presentano una sostanziale regolarità. L’origine ed il fine della deviazione, però, risultano oscuri, invece la coscienza (l’identità, l’io) e la fede nella volizione non condizionata potrebbero costituire una concomitanza, un’illusione nell’illusione. Questa credenza è simile a quella che ci stimola a vivere, come se fossimo immortali (e non lo siamo) o alle ingenue idee dei bambini che pensano di poter spostare gli oggetti con il pensiero.
Searle, pur assai severo con molti orientamenti materialistici, per non tradire il monismo di cui è assertore, reputa che gli stati cerebrali siano alla base degli stati mentali. Se non ci si discosta da questa interpretazione, riesce arduo spiegare come un substrato biologico possa estrinsecare una condizione che, se non è immateriale, appare comunque irriducibile, sul piano ontologico, alla sua essenza organica. Lo scotto che si deve pagare è, però, il dualismo, con tutte le disastrose dicotomie tra res cogitans e res extensa che la dualità cartesiana comporta. Di converso, abbiamo già visto quante e quali siano le antinomie e le incongruenze che infirmano i sistemi, di stampo monista, idealistici e para-idealistici. Veramente, come chiosa Searle, “il problema del libero arbitrio ci accompagnerà ancora per molto tempo. I vari tentativi di aggirarlo, come il compatibilismo, ottengono solo di farlo riemergere in un’altra forma”. Per quanto mi riguarda, sarei incline, da un punto di vista meramente teorico, a non ammettere l’esistenza del libero arbitrio. E’ impossibile dimostrarne l’esistenza e quindi costruire un’etica per di più apodittica. Né si può derivare la libera volizione da un decreto di Dio, poiché bisognerebbe introdurre un’ipostasi non accertabile per giustificare un’idea non accertabile. Sarebbe come aggiungere un anello ad una catena per tener legato un cane, ma senza attaccare la catena ad un palo.
Ammetto comunque che è arduo pronunciare l’ultima parola circa tale vexata quaestio, di fatto indecidibile, sebbene sia più facile addurre argomenti contro il libero arbitrio che a favore.

Non è bastevole invocare la persuasione della libertà per fondarla: se così fosse, dovremmo affermare che i colori hanno un’esistenza reale, perché siamo sicuri che esistono nel mondo là fuori, attaccati agli oggetti. Il libero arbitrio potrebbe essere un’illusione della mente, come le illusioni ottiche generate da certe figure. Appellarsi al senso comune è ingannevole: il common sense ci induce a sentirci liberi, come ci spinge a credere che la materia sia una “cosa” esterna, concreta, oggettiva, mentre di ciò non si può essere certi. Molte credenze sono assimilate a verità, ma non è così. Se il libero arbitrio esiste, lo si potrebbe giudicare una deviazione rispetto ai processi naturali del macrocosmo che, per quanto ne sappiamo, presentano una sostanziale regolarità. L’origine ed il fine della deviazione, però, risultano oscuri, invece la coscienza (l’identità, l’io) e la fede nella volizione non condizionata potrebbero costituire una concomitanza, un’illusione nell’illusione. Questa credenza è simile a quella che ci stimola a vivere, come se fossimo immortali (e non lo siamo) o alle ingenue idee dei bambini che pensano di poter spostare gli oggetti con il pensiero.
Searle, pur assai severo con molti orientamenti materialistici, per non tradire il monismo di cui è assertore, reputa che gli stati cerebrali siano alla base degli stati mentali. Se non ci si discosta da questa interpretazione, riesce arduo spiegare come un substrato biologico possa estrinsecare una condizione che, se non è immateriale, appare comunque irriducibile, sul piano ontologico, alla sua essenza organica. Lo scotto che si deve pagare è, però, il dualismo, con tutte le disastrose dicotomie tra res cogitans e res extensa che la dualità cartesiana comporta. Di converso, abbiamo già visto quante e quali siano le antinomie e le incongruenze che infirmano i sistemi, di stampo monista, idealistici e para-idealistici. Veramente, come chiosa Searle, “il problema del libero arbitrio ci accompagnerà ancora per molto tempo. I vari tentativi di aggirarlo, come il compatibilismo, ottengono solo di farlo riemergere in un’altra forma”. Per quanto mi riguarda, sarei incline, da un punto di vista meramente teorico, a non ammettere l’esistenza del libero arbitrio. E’ impossibile dimostrarne l’esistenza e quindi costruire un’etica per di più apodittica. Né si può derivare la libera volizione da un decreto di Dio, poiché bisognerebbe introdurre un’ipostasi non accertabile per giustificare un’idea non accertabile. Sarebbe come aggiungere un anello ad una catena per tener legato un cane, ma senza attaccare la catena ad un palo.
Ammetto comunque che è arduo pronunciare l’ultima parola circa tale vexata quaestio, di fatto indecidibile, sebbene sia più facile addurre argomenti contro il libero arbitrio che a favore.
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Thursday, February 2, 2012
Il problema del libero arbitrio in Searle (prima parte)
http://zret.blogspot.com/2012/02/il-problema-del-libero-arbitrio-in.html
Il problema del libero arbitrio in Searle (prima parte)

John
Roger Searle (Denver, Colorado, 1932) è il filosofo statunitense che ha
elaborato in forma sistematica le indicazioni teoriche di Austin sugli
atti linguistici. Nel saggio del 2005, “La mente”, il pensatore “ci
rivela gli aspetti segreti e sconcertanti di quell’elusiva entità che
chiamiamo appunto mente umana. Comparsa dell’intelligenza, natura della
coscienza, possibilità di un libero arbitrio, debolezzza della volontà,
struttura della decisione: tutto questo ed altro ancora è al centro
della riflessione di Searle che ci conduce ad esplorare il complesso
rapporto tra ll’io ed il mondo”.
Il libro offre una panoramica delle ipotesi formulate da Searle sulla natura della mente con un linguaggio in genere accessibile. L’orizzonte teorico si colloca in un materialismo, per così dire, debole: la mente è considerata da Searle uno stato che dipende dalle funzioni cerebrali, ma ad esse non riducibile. Nel quadro di una trattazione di cui si apprezza la coerenza interna, l’autore approccia il problema del libero arbitrio con il rigore e la prudenza di cui un tema tanto spinoso abbisognano. Riassumo i concetti salienti della sua analisi per poi svolgere alcune riflessioni, non sconfinando dal cerchio esplorativo dell'autore.[1]
Il libero arbitrio è un problema per eccellenza, perché si nutrono normalmente due convinzioni inconciliabili: da un lato l’adesione al determinismo del mondo fisico, dall’altro il convincimento che gli uomini sono dotati di libertà. Tuttavia libero non si oppone a determinato (causato), ma a forzato, sotto costrizione. Una persona ipnotizzata o una soggetta ad una compulsione sono forzate, quindi non sono libere.
Ci si deve chiedere quali siano le condizioni causalmente sufficienti atte a determinare quell’azione e non un’altra: questo non c’entra con la responsabilità morale. Si devono considerare due opzioni: la prima (ipotesi 1) teorizza il determinismo ed il cervello meccanico; la seconda (ipotesi 2)l’indeterminismo ed il cervello quantistico. “Data la prima ipotesi - spiega Searle- dobbiamo assumere che l’encefalo sia una macchina nel senso tradizionale dell’antiquato motore a scoppio, di quello a vapore e dei generatori elettrici… Il cervello è un organo come tutti gli altri e non dispone di libero arbitrio più di quanto ne disponga il cuore, il fegato o il pollice sinistro… Quanto all’ipotesi 2, non è affatto chiaro quale genere di meccanismo il cervello debba essere affinché il sistema presenti il grado giusto di indeterminazione. Stiamo assumendo che il cervello, al suo livello più elementare, sia non deterministico, vale a dire che lo iato, effettivamente esistente al livello più alto, si estenda fino alla base, fino al livello dei neuroni e dei processi subneurali”.
Esiste in natura un àmbito che presenta una componente non deterministica ed è quello della meccanica quantistica: in questo contesto, uno stato è responsabile causalmente di un altro stato solo in modo probabilistico, aleatorio. “La casualità dei microprocessi quantistici che provocano al macrolivello i fenomeni di coscienza non implica che i fenomeni di coscienza siano causali”… Dobbiamo supporre, allo stato attuale della fisica e della neurobiologia, che vi sia una componente quantistica della coscienza… L’ipotesi 2, implausibile, nega che il cervello sia un organo come tutti gli altri ed attribuisce un ruolo speciale al libero processo decisionale cosciente”. Searle conclude in maniera interlocutoria: non sappiamo in realtà come il libero arbitrio possa esistere nel cervello, ammesso che esista, ma sappiamo di non poter sfuggire alla convinzione di essere liberi: non possiamo agire, se non presupponendo la nostra libertà.
[1] Sono osservazioni collocate grosso modo nel quadro della filosofia di Pearle: questo non significa che chi scrive aderisca del tutto al suo pensiero. Del volume in esame, ad esempio, non mi convincono né l’assunzione del nesso causale tra stati cerebrali e stati mentali né il realismo ingenuo.
Il libro offre una panoramica delle ipotesi formulate da Searle sulla natura della mente con un linguaggio in genere accessibile. L’orizzonte teorico si colloca in un materialismo, per così dire, debole: la mente è considerata da Searle uno stato che dipende dalle funzioni cerebrali, ma ad esse non riducibile. Nel quadro di una trattazione di cui si apprezza la coerenza interna, l’autore approccia il problema del libero arbitrio con il rigore e la prudenza di cui un tema tanto spinoso abbisognano. Riassumo i concetti salienti della sua analisi per poi svolgere alcune riflessioni, non sconfinando dal cerchio esplorativo dell'autore.[1]
Il libero arbitrio è un problema per eccellenza, perché si nutrono normalmente due convinzioni inconciliabili: da un lato l’adesione al determinismo del mondo fisico, dall’altro il convincimento che gli uomini sono dotati di libertà. Tuttavia libero non si oppone a determinato (causato), ma a forzato, sotto costrizione. Una persona ipnotizzata o una soggetta ad una compulsione sono forzate, quindi non sono libere.
Ci si deve chiedere quali siano le condizioni causalmente sufficienti atte a determinare quell’azione e non un’altra: questo non c’entra con la responsabilità morale. Si devono considerare due opzioni: la prima (ipotesi 1) teorizza il determinismo ed il cervello meccanico; la seconda (ipotesi 2)l’indeterminismo ed il cervello quantistico. “Data la prima ipotesi - spiega Searle- dobbiamo assumere che l’encefalo sia una macchina nel senso tradizionale dell’antiquato motore a scoppio, di quello a vapore e dei generatori elettrici… Il cervello è un organo come tutti gli altri e non dispone di libero arbitrio più di quanto ne disponga il cuore, il fegato o il pollice sinistro… Quanto all’ipotesi 2, non è affatto chiaro quale genere di meccanismo il cervello debba essere affinché il sistema presenti il grado giusto di indeterminazione. Stiamo assumendo che il cervello, al suo livello più elementare, sia non deterministico, vale a dire che lo iato, effettivamente esistente al livello più alto, si estenda fino alla base, fino al livello dei neuroni e dei processi subneurali”.
Esiste in natura un àmbito che presenta una componente non deterministica ed è quello della meccanica quantistica: in questo contesto, uno stato è responsabile causalmente di un altro stato solo in modo probabilistico, aleatorio. “La casualità dei microprocessi quantistici che provocano al macrolivello i fenomeni di coscienza non implica che i fenomeni di coscienza siano causali”… Dobbiamo supporre, allo stato attuale della fisica e della neurobiologia, che vi sia una componente quantistica della coscienza… L’ipotesi 2, implausibile, nega che il cervello sia un organo come tutti gli altri ed attribuisce un ruolo speciale al libero processo decisionale cosciente”. Searle conclude in maniera interlocutoria: non sappiamo in realtà come il libero arbitrio possa esistere nel cervello, ammesso che esista, ma sappiamo di non poter sfuggire alla convinzione di essere liberi: non possiamo agire, se non presupponendo la nostra libertà.
[1] Sono osservazioni collocate grosso modo nel quadro della filosofia di Pearle: questo non significa che chi scrive aderisca del tutto al suo pensiero. Del volume in esame, ad esempio, non mi convincono né l’assunzione del nesso causale tra stati cerebrali e stati mentali né il realismo ingenuo.
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mancano link e label sui disinformatori
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Wednesday, September 7, 2011
Le radici dell’esserci in Jaspers: qualche nota
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Le radici dell’esserci in Jaspers: qualche nota

Per il filosofo tedesco Karl Jaspers, l’esistenza è sempre in situazione. La situazione è l’orizzonte in cui si trova l’esistenza, in quanto Dasein, esserci, essere qui ed ora. L’uomo tende a percepire la vita come un quid che sempre trascende la condizione data, in cerca della realizzazione delle proprie possibilità. In questo senso, l’esistenza è libertà: il termine, però, non va inteso nel senso di “libero arbitrio”, come indifferenza tra molteplici opportunità equivalenti, ma come amor fati, presa di responsabilità del proprio Dasein, entro confini precisi.
Le situazioni-limite (sofferenza, senso di colpa, lotta e morte) esprimono in modo ancora più cogente la responsabilità della vita di fronte a sé stessa: gli abissi che si spalancano ad ogni passo impongono una scelta che non può essere elusa. E’ una scelta radicale: o si accetta la situazione-limite o si precipita nell’autoannientamento. L’esistenza è condanna a decidere, ma l’opzione non è un "poter essere", piuttosto "un non poter non essere".
In modo lapidario, Jaspers compendia la sua visione fatalista nell’aforisma: "Posso, perché sono costretto". Ognuno di noi assomiglia a Sisifo che spinge, con spasmi orrendi, il ponderoso macigno. Incastrato in una condizione storica ed esistenziale prestabilita e limitata, l’individuo si illude di essere libero, ma può soltanto prendere su di sé il peso del proprio destino. L’uomo non può non morire, non può non essere colpevole, non può non lottare: il naufragio delle azioni e delle opportunità dichiara la totale impossibilità di essere.
Scrive il pensatore nell’opera "Filosofia": "Io sono sempre in situazioni, io non posso vivere senza lotta e dolore. Fatalmente sono destinato alla morte… Tali situazioni sono immutabili, definitive, incomprensibili, irriducibili, non trasformabili, soltanto chiarificabili. Sono come un muro contro cui urtiamo fatalmente".
Eroico ed ostinato, l’uomo continua ad urtare contro il muro, metafora dell’inscalfibilità e dell’irrazionalità. Chi può comprendere o spiegare l’assurdo?
Mi pare che Jaspers tenda a sovrapporre al Dasein il senso di colpa: non è una colpa motivata da un errore di cui comunque non siamo responsabili, ma è stessa mancanza di fondamento dell’esistenza. La colpa è nell’esserci: per questo motivo, si traduce in una sensazione oscura, si condensa in un’ombra che accompagna la vita. E’ un’ipoteca non riscattabile, un debito che non può essere saldato. Nelle circostanze vertiginose, si radica la profondità dell’esistere: "Il mio trovarmi in una situazione sempre determinata significa che io esisto tanto più decisamente, quanto più esercito la mia azione nella situazione unica ed irripetibile".
Le esperienze abissali ci mettono in contatto, in comunicazione con il possibile senso dell’essere che, comunque, resta sempre "altro" ed "oltre", come le immani radici di un albero secolare di cui vediamo solo poche propaggini.
Le situazioni-limite (sofferenza, senso di colpa, lotta e morte) esprimono in modo ancora più cogente la responsabilità della vita di fronte a sé stessa: gli abissi che si spalancano ad ogni passo impongono una scelta che non può essere elusa. E’ una scelta radicale: o si accetta la situazione-limite o si precipita nell’autoannientamento. L’esistenza è condanna a decidere, ma l’opzione non è un "poter essere", piuttosto "un non poter non essere".
In modo lapidario, Jaspers compendia la sua visione fatalista nell’aforisma: "Posso, perché sono costretto". Ognuno di noi assomiglia a Sisifo che spinge, con spasmi orrendi, il ponderoso macigno. Incastrato in una condizione storica ed esistenziale prestabilita e limitata, l’individuo si illude di essere libero, ma può soltanto prendere su di sé il peso del proprio destino. L’uomo non può non morire, non può non essere colpevole, non può non lottare: il naufragio delle azioni e delle opportunità dichiara la totale impossibilità di essere.
Scrive il pensatore nell’opera "Filosofia": "Io sono sempre in situazioni, io non posso vivere senza lotta e dolore. Fatalmente sono destinato alla morte… Tali situazioni sono immutabili, definitive, incomprensibili, irriducibili, non trasformabili, soltanto chiarificabili. Sono come un muro contro cui urtiamo fatalmente".
Eroico ed ostinato, l’uomo continua ad urtare contro il muro, metafora dell’inscalfibilità e dell’irrazionalità. Chi può comprendere o spiegare l’assurdo?
Mi pare che Jaspers tenda a sovrapporre al Dasein il senso di colpa: non è una colpa motivata da un errore di cui comunque non siamo responsabili, ma è stessa mancanza di fondamento dell’esistenza. La colpa è nell’esserci: per questo motivo, si traduce in una sensazione oscura, si condensa in un’ombra che accompagna la vita. E’ un’ipoteca non riscattabile, un debito che non può essere saldato. Nelle circostanze vertiginose, si radica la profondità dell’esistere: "Il mio trovarmi in una situazione sempre determinata significa che io esisto tanto più decisamente, quanto più esercito la mia azione nella situazione unica ed irripetibile".
Le esperienze abissali ci mettono in contatto, in comunicazione con il possibile senso dell’essere che, comunque, resta sempre "altro" ed "oltre", come le immani radici di un albero secolare di cui vediamo solo poche propaggini.
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Tuesday, June 14, 2011
Anelli nell'io
Interessante la label "Monismo". L'ho sempre detto che zret e' un mona.
http://zret.blogspot.com/2011/06/anelli-nellio.html

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Anelli nell'io

"Anelli nell'io Che cosa c'è al (sic) cuore della coscienza" è il recente saggio di Douglas Hofstadter. L'autore, noto per il ponderoso "Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante" nella nuova fatica "ci offre la summa dei suoi studi, una riflessione sui temi ed i quesiti centrali della filosofia e della spiritualità, dall'anima alla volontà, dal libero arbitrio alla coscienza".
Come si può intuire, Hofstadter, in questo testo più brillante che profondo, mette molta carne al fuoco, tentando di sondare l'enigma dell'identità umana. Hofstadter trae spunto da alcune conclusioni del logico e matematico Gödel per una variegata e spumeggiante indagine, costellata di titoli-calembour, di ingegnose metafore, di giochi linguistici e narrativi, di cerebrali elucubrazioni. Le risposte sull'anima (seità), in un libro tanto pirotecnico sono simili a fuochi d'artificio, scintillanti ma effimeri.
Certamente il saggio è da apprezzare per la crucialità dei temi affrontati: la frattura tra macrocosmo e microcosmo, l'essenza dell'io, la relazione tra cervello e consapevolezza, il rapporto tra sistemi simbolici ed io, la circolarità dell'esperienza umana, l'inconciliabilità di monismo e dualismo. Tuttavia non mi pare che Hofstadter, la cui formazione scientifica è un'ipoteca benché, nella fattispecie, leggera, approdi a lidi molto diversi da quelli cui erano arrivati altri filosofi prima di lui. Per H. L'identità è "un'allucinazione allucinata di un'allucinazione", un po' come per Hume l'anima che il pensatore scozzese reputava un'illusione condensata da mere abitudini percettive. Per il Nostro l'anima è una specie di banconota priva di per sé di valore intrinseco, un epifenomeno dell'encefalo che misteriosamente affiora dal movimento di particelle, dai segnali sinaptici. Che cosa resta dell'individuo dopo la morte? Niente, tranne un patterns di simboli, strutture concettuali che si trasferiscono da un cervello ad un altro. Questi patterns sono comunque destinati a svanire nel nulla prima o poi, come un software nel momento in cui l'hardware è distrutto.
Da materialista quale è, anche se il suo è un materialismo "debole", aperto a prospettive antropologiche, H. nega che possa esistere una mente staccata dal substrato organico, perché tale assunto genera un dualismo, "carico di arbitrarietà e di illogicità". Stimolante per i dubbi sollevati più che per le controverse tesi che "Anelli nell'io" snocciola, siamo indotti a ripensare "solide" certezze: il fondamento dell'etica e la libera volontà. Veramente ci siamo mai chiesti dove, come e perché il moto delle particelle e gli stati quantistici assurgano non solo a coscienza, ma a coscienza libera? Si è costretti a postulare l'esistenza di Dio, garante della morale, con il risultato di rendere un problema già intricato ancora più caotico. Siamo di fronte ad una totale irriducibilità tra fenomeni del micro-cosmo e gli atti che ingenuamente definiamo "liberi": "esigenze e decisioni sono il risultato di eventi fisici dentro le teste? Come possono essere libere? La volontà è una volontà libera? Possiamo sbizzarrirci a desiderare tutto quello che vogliamo, ma il più delle volte il nostro desiderio verrà frustrato". Deo gratias! Finalmente un autore che, rifuggendo da lenocinii, dimostra il coraggio di uccidere una vacca sacra, il libero arbitrio nonché l'assolutezza della morale.
Un altro idolo da abbattere è la fede nell'io come sostanza: non sappiamo se lo sia e, se pure è un arco di pietra, come scrive H., e non un arcobaleno, non possiamo dimostrarlo. In modo paradossale, la seità tanto fugace e labile, è, però, "la cosa più reale per ciascuno di noi": la microscopica coscienza di sé, amplificata dalla sofferenza, occupa tutto l'universo.
Osserva H. che quasi tutti i neuro-scienziati sono, obtorto collo, dualisti, ossia sono costretti ad ammettere che la mente è ontologicamente diversa dal cervello: egli è in totale disaccordo. Sebbene il dualismo sia irto di difficoltà, è la concezione che può salvare l'anima. Il riduzionismo porta ad un cul de sac: che risuoni in questo vicolo cieco una magnifica fuga di Bach è una ben magra e malinconica consolazione. O forse è meglio così.
[1] Il logico e matematico austriaco, naturalizzato statunitense, aveva dimostrato che nei sistemi formali, ad esempio, nei "Principia mathematica" di Russell e Whitehead, si danno proposizioni non dimostrabili o derivabili nel sistema stesso, pur essendo “vere” (incompletezza dell'aritmetica).
Come si può intuire, Hofstadter, in questo testo più brillante che profondo, mette molta carne al fuoco, tentando di sondare l'enigma dell'identità umana. Hofstadter trae spunto da alcune conclusioni del logico e matematico Gödel per una variegata e spumeggiante indagine, costellata di titoli-calembour, di ingegnose metafore, di giochi linguistici e narrativi, di cerebrali elucubrazioni. Le risposte sull'anima (seità), in un libro tanto pirotecnico sono simili a fuochi d'artificio, scintillanti ma effimeri.
Certamente il saggio è da apprezzare per la crucialità dei temi affrontati: la frattura tra macrocosmo e microcosmo, l'essenza dell'io, la relazione tra cervello e consapevolezza, il rapporto tra sistemi simbolici ed io, la circolarità dell'esperienza umana, l'inconciliabilità di monismo e dualismo. Tuttavia non mi pare che Hofstadter, la cui formazione scientifica è un'ipoteca benché, nella fattispecie, leggera, approdi a lidi molto diversi da quelli cui erano arrivati altri filosofi prima di lui. Per H. L'identità è "un'allucinazione allucinata di un'allucinazione", un po' come per Hume l'anima che il pensatore scozzese reputava un'illusione condensata da mere abitudini percettive. Per il Nostro l'anima è una specie di banconota priva di per sé di valore intrinseco, un epifenomeno dell'encefalo che misteriosamente affiora dal movimento di particelle, dai segnali sinaptici. Che cosa resta dell'individuo dopo la morte? Niente, tranne un patterns di simboli, strutture concettuali che si trasferiscono da un cervello ad un altro. Questi patterns sono comunque destinati a svanire nel nulla prima o poi, come un software nel momento in cui l'hardware è distrutto.
Da materialista quale è, anche se il suo è un materialismo "debole", aperto a prospettive antropologiche, H. nega che possa esistere una mente staccata dal substrato organico, perché tale assunto genera un dualismo, "carico di arbitrarietà e di illogicità". Stimolante per i dubbi sollevati più che per le controverse tesi che "Anelli nell'io" snocciola, siamo indotti a ripensare "solide" certezze: il fondamento dell'etica e la libera volontà. Veramente ci siamo mai chiesti dove, come e perché il moto delle particelle e gli stati quantistici assurgano non solo a coscienza, ma a coscienza libera? Si è costretti a postulare l'esistenza di Dio, garante della morale, con il risultato di rendere un problema già intricato ancora più caotico. Siamo di fronte ad una totale irriducibilità tra fenomeni del micro-cosmo e gli atti che ingenuamente definiamo "liberi": "esigenze e decisioni sono il risultato di eventi fisici dentro le teste? Come possono essere libere? La volontà è una volontà libera? Possiamo sbizzarrirci a desiderare tutto quello che vogliamo, ma il più delle volte il nostro desiderio verrà frustrato". Deo gratias! Finalmente un autore che, rifuggendo da lenocinii, dimostra il coraggio di uccidere una vacca sacra, il libero arbitrio nonché l'assolutezza della morale.
Un altro idolo da abbattere è la fede nell'io come sostanza: non sappiamo se lo sia e, se pure è un arco di pietra, come scrive H., e non un arcobaleno, non possiamo dimostrarlo. In modo paradossale, la seità tanto fugace e labile, è, però, "la cosa più reale per ciascuno di noi": la microscopica coscienza di sé, amplificata dalla sofferenza, occupa tutto l'universo.
Osserva H. che quasi tutti i neuro-scienziati sono, obtorto collo, dualisti, ossia sono costretti ad ammettere che la mente è ontologicamente diversa dal cervello: egli è in totale disaccordo. Sebbene il dualismo sia irto di difficoltà, è la concezione che può salvare l'anima. Il riduzionismo porta ad un cul de sac: che risuoni in questo vicolo cieco una magnifica fuga di Bach è una ben magra e malinconica consolazione. O forse è meglio così.
[1] Il logico e matematico austriaco, naturalizzato statunitense, aveva dimostrato che nei sistemi formali, ad esempio, nei "Principia mathematica" di Russell e Whitehead, si danno proposizioni non dimostrabili o derivabili nel sistema stesso, pur essendo “vere” (incompletezza dell'aritmetica).
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Wednesday, April 20, 2011
La profondità della superficie
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La profondità della superficie

Anni fa lessi di un padre ed una madre che, perduta prematuramente l’adorata figlia, notarono con sorpresa nella targa dell’automobile appartenuta alla giovane, le date della di lei morte. Fu una combinazione o il destino era scritto a tal punto che le cifre ferali furono indicate nei numeri della targa? Quante volte ci scopriamo ad individuare in lettere di insegne, in numeri di targhe, in mille frammenti di scritte ed immagini, dei segni, dei messaggi sibillini, eppure così chiari per noi, perché collegati ad una data cruciale! Qui leggiamo le iniziali della persona mancata, quivi la data del suo compleanno; addirittura un suono, affiorando dal mare dei rumori, accenna le prime note di una melodia per noi tanto pregnante. Ne traiamo presagi, conferme, ammonizioni. Sono corrispondenze casuali o tracce di un mondo ulteriore che i sensi e l’intelletto, di solito sopiti, ma ora aguzzati da un evento decisivo sino ad una percezione iperbolica, ossessiva, ci permettono di scorgere?
Quante volte le lettere di un libro che stiamo leggendo, simili a sciami di piccoli insetti, si staccano dalla pagina per attaccarsi ad una parola udita, in una concomitanza inspiegabile!
E’ arduo stabilire se, dietro il caos (apparente?) delle parvenze, si celi una trama segreta, un disegno capace di motivare quanto sembra illogico, stocastico, assurdo persino. Se è così, quale valore assumono le cifrate cifre che costellano i giorni dell’esistenza? Porsi tale domanda significa pure interrogarsi su che cosa si annidi nel numero, magico scrigno di cui abbiamo perso la chiave. Le coincidenze significative passano attraverso insignificanti sincronicità. E’ compito impari tentare di interpretarle.
Charles Baudelaire scrive che “la Natura è una foresta di simboli”: ci perdiamo in questa fitta foresta, dove a tratti un dardo di luce rischiara pochi fili d’erba. Decriptare i messaggi e poi? Si rischia di inclinare al fatalismo: così fu, perché doveva essere, come se il libero arbitrio introducesse una dose di entropia e di gratuità in un universo intimamente coeso, nonostante la frammentarietà dei fenomeni. Non sappiamo se e dove la libertà si saldi in modo inconcepibile per la nostra limitata capacità di comprendere, all’organizzazione implicita, finanche alla Provvidenza.
Le date della scomparsa incise sulla targa sono e restano un enigma, simili alle sillabe spezzate di una lingua ignota, alle lettere scalpellate su un minuscolo frammento di una tavoletta fittile.
Quante volte le lettere di un libro che stiamo leggendo, simili a sciami di piccoli insetti, si staccano dalla pagina per attaccarsi ad una parola udita, in una concomitanza inspiegabile!
E’ arduo stabilire se, dietro il caos (apparente?) delle parvenze, si celi una trama segreta, un disegno capace di motivare quanto sembra illogico, stocastico, assurdo persino. Se è così, quale valore assumono le cifrate cifre che costellano i giorni dell’esistenza? Porsi tale domanda significa pure interrogarsi su che cosa si annidi nel numero, magico scrigno di cui abbiamo perso la chiave. Le coincidenze significative passano attraverso insignificanti sincronicità. E’ compito impari tentare di interpretarle.
Charles Baudelaire scrive che “la Natura è una foresta di simboli”: ci perdiamo in questa fitta foresta, dove a tratti un dardo di luce rischiara pochi fili d’erba. Decriptare i messaggi e poi? Si rischia di inclinare al fatalismo: così fu, perché doveva essere, come se il libero arbitrio introducesse una dose di entropia e di gratuità in un universo intimamente coeso, nonostante la frammentarietà dei fenomeni. Non sappiamo se e dove la libertà si saldi in modo inconcepibile per la nostra limitata capacità di comprendere, all’organizzazione implicita, finanche alla Provvidenza.
Le date della scomparsa incise sulla targa sono e restano un enigma, simili alle sillabe spezzate di una lingua ignota, alle lettere scalpellate su un minuscolo frammento di una tavoletta fittile.
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Saturday, March 12, 2011
Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (quarta parte)
http://zret.blogspot.com/2011/03/appunti-sullidealismo-di-ieri-e-di-oggi.html
Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (quarta parte)
Leggi qui la terza parte.
L’autore del blog “Coscienza evoluta” ben sintetizza questa interpretazione nell’articolo intitolato “Risvegliarsi come Uno”: “L'esistenza umana, intesa come permanenza nell'universo materiale, ha come scopo l'esperienza. L'esperienza fisica può aver luogo solo in un universo duale ed è il mezzo che porta alla conoscenza; la conoscenza condiziona principalmente l'intelletto, la sua capacità decisionale ed interpretativa, perfezionando le azioni e infine la consapevolezza di sé stessi. Un circolo virtuoso che, attraverso questi passaggi, conduce di riflesso all'espansione della coscienza. In un simile sistema, il punto focale è l'uomo, unico vero strumento di misura di sé stesso, che, grazie al libero arbitrio, conferisce la necessaria "imprevedibilità" al complesso intreccio di esperienze che prende comunemente il nome di "vita". Immaginatevi un mondo in equilibrio totale, dove tutti gli opposti si neutralizzano, dove tutto è quieto, prevedibile e capirete che verrebbe a mancare l'elemento fondamentale per giungere alla conoscenza, il contrasto. Semplificando il concetto: contrasto > esperienza degli opposti > conoscenza > consapevolezza”
Il discorso è congruente, ma, come si può con agio constatare, ancorato all’idea di “libero arbitrio”. Se togliamo questa idea, anzi postulato di per sé indimostrabile, l’intera costruzione, più fideistica che filosofica, naufraga miseramente. Che poi la fisicità sia l’unico modo per maturare delle esperienze e che la dualità sia prerogativa dell’universo materiale mi pare opinabile. Si pensi agli angeli che, stando ad alcune tradizioni, decisero di optare per il Male, ribellandosi a Dio. Gli angeli sono o dovrebbero essere creature spirituali e la dualità (l’antitesi tra Bene e Male, il bivio della scelta) preesiste alla materia ed alla caduta.
Altre nozioni andrebbero chiarite: che cosa s’intende per fisicità? Esistono diverse densità della materia e, se sì, esse sono tutte condizioni in cui si possono maturare delle esperienze? Per quale motivo la Coscienza deve acquistare coscienza? Non è già cosciente? Come si spiega che, dopo innumerevoli vite, gli uomini sono sempre più stupidi ed incoscienti? Questo circolo virtuoso, invero tautologico, porta all’espansione di una coscienza che, di per sé, è già espansa, altrimenti non sarebbe coscienza che letteralmente è già presenza a sé stessi, consapevolezza, comprensione e percezione di sé. Espandere la coscienza è un po’ come aggiungere un punto ad una retta già composta da infiniti punti.
Si potrebbe interpretare diversamente questo pensiero, introducendo il concetto di Semicoscienza che, attraverso diversi passaggi, diventa consapevole, a guisa di un uomo che dal dormiveglia del mattino, destandosi percepisce forme, colori, odori, suoni in modo sempre più chiaro e distinto.
Il discorso è congruente, ma, come si può con agio constatare, ancorato all’idea di “libero arbitrio”. Se togliamo questa idea, anzi postulato di per sé indimostrabile, l’intera costruzione, più fideistica che filosofica, naufraga miseramente. Che poi la fisicità sia l’unico modo per maturare delle esperienze e che la dualità sia prerogativa dell’universo materiale mi pare opinabile. Si pensi agli angeli che, stando ad alcune tradizioni, decisero di optare per il Male, ribellandosi a Dio. Gli angeli sono o dovrebbero essere creature spirituali e la dualità (l’antitesi tra Bene e Male, il bivio della scelta) preesiste alla materia ed alla caduta.
Altre nozioni andrebbero chiarite: che cosa s’intende per fisicità? Esistono diverse densità della materia e, se sì, esse sono tutte condizioni in cui si possono maturare delle esperienze? Per quale motivo la Coscienza deve acquistare coscienza? Non è già cosciente? Come si spiega che, dopo innumerevoli vite, gli uomini sono sempre più stupidi ed incoscienti? Questo circolo virtuoso, invero tautologico, porta all’espansione di una coscienza che, di per sé, è già espansa, altrimenti non sarebbe coscienza che letteralmente è già presenza a sé stessi, consapevolezza, comprensione e percezione di sé. Espandere la coscienza è un po’ come aggiungere un punto ad una retta già composta da infiniti punti.
Si potrebbe interpretare diversamente questo pensiero, introducendo il concetto di Semicoscienza che, attraverso diversi passaggi, diventa consapevole, a guisa di un uomo che dal dormiveglia del mattino, destandosi percepisce forme, colori, odori, suoni in modo sempre più chiaro e distinto.
Pubblicato da Zret
Monday, January 10, 2011
Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (terza parte)
http://zret.blogspot.com/2011/01/appunti-sullidealismo-di-ieri-e-di-oggi.html
Appunti sull'Idealismo di ieri e di oggi (terza parte)

Leggi qui la seconda parte.
L’esperimento di Libet rischia di causare il crollo delle concezioni idealiste e neo-idealiste. Benjamin Libet è stato un fisiologo noto segnatamente per aver ideato un test in cui si voleva osservare la relazione tra azione pre-cosciente e decisione volontaria. I risultati ottenuti dal suo esperimento sembrerebbero dimostrare che il libero arbitrio non esiste.
Infatti colui che monitora il nostro cervello attraverso un sistema a scansione è in grado di sapere prima di noi ciò che noi decideremo circa mezzo secondo dopo, perché qualcuno o qualcosa, là tra i meandri dei neuroni appartenenti all’encefalo, sembra averlo pre-stabilito. Stando ai risultati di tale esperienza, l’uomo può solo decidere ciò che è già stato deciso da un quid che agisce prima che si esplichi la volizione.
E’ ovvio che l’esperimento di Libet non ha carattere conclusivo: è solo un piccolo contributo nello sforzo di lumeggiare una questione assai ostica e che si può riassumere nel dualismo tra libertà e predestinazione, tema che tanto assillò intere generazioni di teologi e di filosofi tesi a cercare di conciliare l’inconciliabile: la Provvidenza e la responsabilità umana, la “fortuna” e la “virtù” (Machiavelli), magari attribuendo in modo del tutto soggettivo delle percentuali di forza all’una o all’altra. Fortuna 50 per cento, virtù idem oppure fortuna 30 e virtù 70… Ognuno si inventa la sua percentuale, secondo il capriccio del momento: l’importante è assegnare al destino le sventure e le sconfitte, alle proprie decisioni i successi e la prosperità. Una visione molto profonda ed obiettiva!
L’uomo rinuncerebbe alla felicità, ma mai al convincimento di essere faber fortunae suae (Appio Claudio Cieco), artefice della propria sorte. Questa cieca fiducia, distintiva soprattutto della cultura occidentale, è alla base della fede dei “nuovi credenti”: non solo la libertà ci consente di operare delle scelte, ma essa si rafforza a tal punto da plasmare, almeno in una certa misura, la realtà. Anzi, la realtà stessa si assottiglia, si svuota per diventare un contenitore dell’io.
Si ripete così che siamo co-creatori: il pensiero umano contribuisce a determinare lo sviluppo degli eventi, a modellare le sembianze del flusso fenomenico. Come ciò avvenga, non è molto chiaro, ma di solito ci si appella al potere dell’intenzione, alla focalizzazione sull’obiettivo, alla legge dell’attrazione: sono tutti concetti di notevole complessità filosofica che, nei libri di improvvisati guru e di scalcinati, ma scaltri maestri, diventano formulette da applicare nella pausa post-prandium.
Purtroppo tutti questi concetti, depauperati e sovente strumentalizzati a fini commerciali, non sono indagati nelle loro valenze filosofiche. Per di più sono mischiati con ingredienti di “darwinismo cosmico e psicologico” che riassumerei nel modo seguente: l’universo duale è emanato da una Coscienza che per acquisire coscienza di sé (?) (o Conoscenza?) deve evolvere. Per evolvere è necessario che sia posto un ostacolo (il Male o qualcosa di affine: qui si nota una somiglianza con l’Idealismo di Fichte che concepiva il Non-Io, la natura come impedimento situato dall’Io, per affermare sé stesso e la sua libertà). Gli uomini sono parte della Coscienza e, attraverso esperienze oppositive diluite in diverse vite, alla fine acquisiranno la piena coscienza e la conoscenza superiore. Siamo dei. Se non lo siamo, lo diventeremo.
Infatti colui che monitora il nostro cervello attraverso un sistema a scansione è in grado di sapere prima di noi ciò che noi decideremo circa mezzo secondo dopo, perché qualcuno o qualcosa, là tra i meandri dei neuroni appartenenti all’encefalo, sembra averlo pre-stabilito. Stando ai risultati di tale esperienza, l’uomo può solo decidere ciò che è già stato deciso da un quid che agisce prima che si esplichi la volizione.
E’ ovvio che l’esperimento di Libet non ha carattere conclusivo: è solo un piccolo contributo nello sforzo di lumeggiare una questione assai ostica e che si può riassumere nel dualismo tra libertà e predestinazione, tema che tanto assillò intere generazioni di teologi e di filosofi tesi a cercare di conciliare l’inconciliabile: la Provvidenza e la responsabilità umana, la “fortuna” e la “virtù” (Machiavelli), magari attribuendo in modo del tutto soggettivo delle percentuali di forza all’una o all’altra. Fortuna 50 per cento, virtù idem oppure fortuna 30 e virtù 70… Ognuno si inventa la sua percentuale, secondo il capriccio del momento: l’importante è assegnare al destino le sventure e le sconfitte, alle proprie decisioni i successi e la prosperità. Una visione molto profonda ed obiettiva!
L’uomo rinuncerebbe alla felicità, ma mai al convincimento di essere faber fortunae suae (Appio Claudio Cieco), artefice della propria sorte. Questa cieca fiducia, distintiva soprattutto della cultura occidentale, è alla base della fede dei “nuovi credenti”: non solo la libertà ci consente di operare delle scelte, ma essa si rafforza a tal punto da plasmare, almeno in una certa misura, la realtà. Anzi, la realtà stessa si assottiglia, si svuota per diventare un contenitore dell’io.
Si ripete così che siamo co-creatori: il pensiero umano contribuisce a determinare lo sviluppo degli eventi, a modellare le sembianze del flusso fenomenico. Come ciò avvenga, non è molto chiaro, ma di solito ci si appella al potere dell’intenzione, alla focalizzazione sull’obiettivo, alla legge dell’attrazione: sono tutti concetti di notevole complessità filosofica che, nei libri di improvvisati guru e di scalcinati, ma scaltri maestri, diventano formulette da applicare nella pausa post-prandium.
Purtroppo tutti questi concetti, depauperati e sovente strumentalizzati a fini commerciali, non sono indagati nelle loro valenze filosofiche. Per di più sono mischiati con ingredienti di “darwinismo cosmico e psicologico” che riassumerei nel modo seguente: l’universo duale è emanato da una Coscienza che per acquisire coscienza di sé (?) (o Conoscenza?) deve evolvere. Per evolvere è necessario che sia posto un ostacolo (il Male o qualcosa di affine: qui si nota una somiglianza con l’Idealismo di Fichte che concepiva il Non-Io, la natura come impedimento situato dall’Io, per affermare sé stesso e la sua libertà). Gli uomini sono parte della Coscienza e, attraverso esperienze oppositive diluite in diverse vite, alla fine acquisiranno la piena coscienza e la conoscenza superiore. Siamo dei. Se non lo siamo, lo diventeremo.
Pubblicato da Zret
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