L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

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Friday, January 9, 2015

Esiste l’Inferno?

Dopo Esiste il male? eco a voi zretino in Esiste l'inferno?
A breve lo attendiamo con Esiste Babbo Natale?

http://zret.blogspot.ch/2015/01/esiste-linferno.html

Esiste l’Inferno?


Esiste l’Inferno? Prevengo un’obiezione: “L’Inferno è sulla Terra: basta visitare un carcere, un ospedale, una caserma, un macello... per constatare che il nostro martoriato pianeta è una bolgia”. Tuttavia all’”Inferno sulla Terra” manca un requisito affinché sia un “perfetto” luogo di dannazione: l’interminabilità.

Di solito gli allievi che cominciano a studiare Dante restano sgomenti di fronte ai raffinati contrappassi che il Poeta escogita per i peccatori e soprattutto quando si figurano pene destinate a durare per sempre. Gli adolescenti, che di solito ignorano le tenaglie del male, ritengono la dannazione eterna sia un’idea inammissibile, frutto di una mente sadica. Quanti spiegano loro che probabilmente l’Alighieri intende i tre regni dell’oltretomba secondo una concezione esoterica, in cui l’Inferno stesso adombra un itinerario che ciascuno di noi deve compiere nelle regioni dell’Ombra!

Non manca, però, chi considera in modo letterale sia la Gehenna dantesca sia l’Inferno della religione cristiana e del credo islamico. Un’esigenza di giustizia induce a ritenere che i malvagi impenitenti dovranno pagare il fio con una punizione destinata a non finire mai, anzi a divenire ancora più atroce dopo il Giudizio universale.

Alcuni, sulla scorta di Agostino, pensando che la stragrande maggioranza dell’umanità sia preda del peccato ed irredimibile, immaginano un Paradiso semivuoto e ad un’Ade brulicante di anime dannate. Oggidì molti esponenti del clero tendono a presentare la condizione infernale come uno stato di volontaria separazione dal Creatore.

Esiste l’Inferno? E’ un po’ come chiedersi se esista Dio o il libero arbitrio. Sono quesiti che ci bloccano in una sorta di punto di Lagrange concettuale: qui l’intelletto non riesce a muoversi né in una direzione né in un’altra, senza poter dirimere la vexata quaestio. Non potendo la ragione ottenere un risultato soddisfacente, deve subentrare la fede o la scommessa di Blaise Pascal.

Da un lato, infatti, ripugna la feroce idea di un Inferno senza termine anche per coloro le cui colpe non sono gravissime, dall’altro non è meno raggelante il pensiero che esseri istigati da una cattiveria pura, assoluta (si vedano molti negazionisti ed i massacratori della Vita per citare solo due esempi estremi) possano un giorno anche lontanissimo essere perdonati, in un’apocatastasi di origeniana memoria. Forse queste “anime prave” dovrebbero essere annientate: per costoro, visto l’egocentrismo che li soggioga, è prospettiva senza dubbio spaventosa quanto una condanna infinita.

Non aveva torto l’archeologo e storico Mario Pincherle a chiedersi: “Dove sarebbe la ‘buona novella’ del Cristianesimo? Sarebbe l’annuncio che, se compi anche un solo errore in un’unica vita, sarai precipitato nel ‘lago di zolfo’ per l’eternità?”

Può darsi che l’indagine sul destino oltremondano sia il risultato di un’etica “umana, troppo umana” e che il sublime disegno cosmico trascenda le limitate speculazioni persino dei più alti filosofi e teologi. Nulla si può escludere né in un senso né in un altro.

Certo, se esiste l’Inferno, comunque lo si concepisca, esso ci pare una macula della Creazione, qualcosa che coesisterà (per sempre?) con la Perfezione universale una volta in cui essa sarà conseguita, se ciò mai avverrà. L’ideale sarebbe stato evitare che il male assumesse proporzioni tali da spronare gli uomini ad abbozzare dottrine che tentano sia di spiegare la genesi e la funzione del mysterium iniquitatis sia un suo futuro superamento nelle forme più disparate. E’ evidente, però, che è tardi, troppo tardi.

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Monday, October 7, 2013

Scritto nelle stelle

http://zret.blogspot.co.uk/2013/10/scritto-nelle-stelle.html

Scritto nelle stelle

Alef

E’ noto che l’alfabeto, invenzione attribuita ai Cananei (progenitori, tra gli altri, dei Fenici), cui i Filistei per primi, non i Greci, aggiunsero le vocali, è composto da grafemi, segni indicanti un suono. La scrittura fenicia, risalente alla prima metà del I millennio a.C. consta di 22 consonanti. I Fenici sostituirono agli ideogrammi dei simboli fonetici puri, con la loro conseguente riduzione ad un numero esiguo. Per questo carattere pratico il sistema fenicio si diffuse tra i popoli circonvicini e diede origine a vari alfabeti, quasi tutti esclusivamente consonantici, ossia con le vocali sottintese nella grafia. Era un sistema funzionale alla trascrizione delle lingue semitiche. Quando l’alfabeto fenicio passò ai Greci (tra il XII e l’VIII sec. a.C.) fu necessario scrivere le vocali che nelle parole indoeuropee rivestono la stessa importanza delle consonanti.

Nella scrittura fenicia ogni grafema rende un oggetto stilizzato. Ad esempio, la prima lettera, la A, delinea la testa di un bue (o toro). Sarebbe, però, un errore vedervi soltanto la raffigurazione dell’animale, poiché l’alfabeto è in primo luogo un diagramma degli Archetipi universali.

“La Tradizione esoterica afferma che esistette un alfabeto primordiale i cui segni e suoni erano la diretta manifestazione del potere della Parola di Dio. Gli alfabeti contemporanei ne sono la derivazione: alcuni mantengono maggiormente le potenti vibrazioni originarie (alfabeti definiti sacri o magici), laddove altri le hanno in gran parte perdute, essendo spuri. L'esoterismo musulmano identifica nei segni dell'alfabeto il corpo di Dio e similmente la cultura indù attribuisce a ciascuna lettera alfabetica una parte del corpo di Saraswati, la manifestazione femminile, Shakti, di Brahma.

Il numero che identifica la manifestazione divina attraverso gli Archetipi presenti nelle lettere dell'alfabeto è il 22, sebbene, per riduzione o ampliamento, possa diventare 16, 20, 21, 24. Carattere mistico avevano pure la scrittura dei Celti (alfabeto ogamico) e le rune germaniche. L’alfabeto ebraico è composto di 22 segni che racchiudono ancora oggi un grande influsso sacro ed esoterico”.[1]

Il chimico Corrado Malanga correla i 22 grafemi dell’alfabeto ebraico ai 21 amminoacidi. La corrispondenza numerica tra le lettere e gli amminoacidi si ottiene aggiungendo alla ventesima e prima macromolecola l’immagine del D.N.A. adombrata dall’alef.

Accennato al valore segreto dell’alfabeto, secondo cui ciascun grafema-fonema non riproduce degli oggetti, ma alcune funzioni, ci concentriamo sul primo Archetipo, la A, per provare ad intravederne la filigrana astronomica.

Un alfabeto stellare

In un corposo ed istruttivo studio, Massimo Barbetta, prendendo le mosse da un’analisi della pellicola “Contact”, per la regia di Robert Zemeckis, osserva che la A potrebbe essere un glifo cosmico, l’immagine araldica della costellazione del Toro. L’autore ipotizza che i miti, le tradizioni, i termini, i simboli che evocano il Toro, con i gruppi stellari delle Pleiadi e delle Iadi, nonché l’astro Aldebaran, possano essere l’eredità iconica di visitatori provenienti dagli spazi siderali. Un filo sottile e quasi invisibile legherebbe le culture primordiali della Terra a retaggi successivi (si pensi al Nazionalsocialismo iniziatico). Alcuni significati occulti sarebbero stati criptati nel romanzo “Contact” di Carl Sagan, figura di scienziato che, dietro parvenze accademiche, celava conoscenze ed interessi eterodossi. L’opera è stata poi trasposta con alcune modifiche nell’omonima produzione cinematografica con protagonista Jodie Foster.

La congettura di Barbetta è suggestiva, ma soprattutto è suffragata da una notevole mole di indizi raccolti in un campo molto vasto che spazia dalla Linguistica all’Archeologia, dalla Storia dell’arte all’Ufologia. La sua ricostruzione si discosta dalle spiegazioni accademiche come l’esegesi dello scienziato Giovanni Sermonti che, in un suo celebre saggio, “investiga l’origine zodiacale degli alfabeti semitici, basandosi sulla comparazione formale, simbolica e sequenziale con gli antichissimi segni di raffigurazione delle costellazioni (databili a oltre 20.000 anni dal presente) e le lettere della nostra famiglia alfabetica, testimoniate già intorno al III millennio a.C.

L’ordine costante (A, B, C etc.) e la forma stessa delle lettere, che in versioni diversificate vediamo ripetersi in tutti gli alfabeti della nostra civiltà, dal sinaitico, al lineare B, al greco, all’etrusco, al latino, non sarebbero dunque del tutto convenzionali, ma avrebbero una radice rovesciata, che rivolgendosi verso l’alto affonderebbe nel cielo. L’alfabeto non sarebbe che un’immagine derivata delle forme delle costellazioni.

Sebbene la corrispondenza formale e sequenziale fra i segni alfabetici e le costellazioni sia effettivamente impressionante, l’idea genera sconcerto. Che cosa può mai esserci in effetti di più arbitrario, dunque variabile, delle forme che gli uomini hanno immaginato unendo dei puntini luminosi nel cielo stellato? Eppure, quelle ‘forme immaginate’ hanno una costanza plurimillenaria. Con uno studio di grande fascino, avvalendosi di contributi pressoché dimenticati di studiosi come Marcel Badouin, Sermonti ricostruisce la misteriosa antichità delle configurazioni del nostro zodiaco, ipotizzandone un’origine paleolitica.

Di più, egli è riuscito a trovare un terzo elemento di paragone, una logica di collegamento extra-formale tra le due classi di segni e cioè una dinamica astronomica dei miti più antichi della nostra civiltà. Le stesse radici semantiche che sovrintendono alle narrazioni antiche, non sarebbero che illustrazioni dei movimenti dei cieli, come aveva intuito il grande Giorgio De Santillana. Esse ci aiutano a comprendere l’ordine ed i sottogruppi (corrispondenti a cicli mitici) delle nostre lettere”.

E’ possibile conciliare l’ipotesi xenologica, ventilata da Barbetta, con l’approccio antropologico-archeoastronomico di Sermonti? Crediamo di sì. Fatto sta che a torto si ritengono i nomi ed i valori degli scintillanti disegni siderei del tutto fortuiti, come il risultato di immaginifici nomenclatori. I popoli antichi videro in quella particolare costellazione un toro, ma avrebbero potuto scorgervi una forca o un vaso? No! Quella particolare costellazione, per motivi che non ci sono ancora del tutto perspicui, è la sorgente di un’energia cosmica, è un incipit universale, come il toro è l’animale legato ai primordi dell’agricoltura, alle civiltà gilaniche ed a miti ancestrali taurini (si pensi alla saga del Minotauro cretese). Senza dubbio anche i cicli precessionali, che includono valori dello zodiaco, giocano il loro ruolo in questo fantasmagorico libro le cui pagine coincidono con il cielo e le lettere con le stelle.

[1] Alef o Alep – bue, toro, è l’unione, la duplicità che si trasforma in unità. E’ un radunare più elementi in modo da ridurli ad una cosa sola. Indica il Padre, l’energia divina, la potenza creatrice primigenia.

Fonti:

M. Barbetta, Contact, le informazioni criptate del film tra simbolismi e messaggi subliminali, 2009

Enciclopedia dell’antichità classica, Milano, 2000, sv. alfabeto, Fenici

G. Garbini, I Filistei, gli antagonisti di Israele, Milano, 1997

M. Pincherle, Archetipi, le chiavi dell’universo

S. Serafini, Oltre il massone Darwin, la libera scienza di Giuseppe Sermonti


Ringrazio l'amico e collaboratore G. per la segnalazione da cui ho tratto spunto per l'articolo.

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