L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

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Friday, December 19, 2014

I comandamenti del commis

su alcuni punti della rosicata sarei quasi d'accordo, ma che fatica leggere 'sta roba...

http://zret.blogspot.ch/2014/12/i-comandamenti-del-commis.html

I comandamenti del commis


Di recente Roberto Benigni ha imbambolato un pubblico di bambocci con due puntate sui “dieci comandamenti”. La pantomima è rivelatrice di quanto sia radicata l’ignoranza. Per disquisire sul Decalogo e per commentarlo, bisognerebbe conoscere il soggetto e saperlo contestualizzare. In verità, la ciarlatanesca rassegna sulle leggi vetero-testamentarie è stata solo un pretesto per una pseudo-analisi della “politica” attuale, secondo criteri falsamente moralistici e pedagogici che trasudano ipocrisia e paternalismo. Benigni è un pessimo maestro, dolciastro e sciocco, incapace di comprendere anche solo il senso letterale dei testi che egli profana, mentre crede di interpretarli. Famigerate furono le sue dilettantesche e sacrileghe “lezioni” sulla Commedia dantesca.

Se solo ci si premurasse di consultare un manuale scolastico di storia, si eviterebbe di prendere certe sonore cantonate. I Comandamenti che i bambini imparano a catechismo sono il risultato di una lunga rielaborazione culminata con Agostino nel IV sec. d.C.: le regole partorite del vescovo di Ippona poco o punto c’entrano con i precetti dettati da YHWH al suo popolo. Per nessuna ragione al mondo YHWH si sarebbe sognato di stabilire l’assurda, insensata norma “Non desiderare la donna d’altri” che dapprincipio [o come direbbe strakky: d'apprincipio] doveva suonare più o meno così: “Non gettare il malocchio sulle donne e le cose altrui”.

Il comandamento più importante e disatteso oggi da quasi tutti i “cristiani” nel mondo verteva sul divieto di farsi immagini delle cose che esistono sulla terra ed in cielo e di adorarle. La chiesa nicena eluse questa proibizione per inventarsi un Decalogo a suo uso e consumo. Sull’esecrazione dell’idolatria chi oggi insiste tra gli esponenti del clero o chi soltanto vi accenna? Tra le varie norme oggi dimenticate, ma che il dio degli Ebrei riteneva significativa menzioneremmo almeno la seguente: “Non cuocerai il capretto nel latte della madre”.

Questo rapido excursus ci permette di capire che trapiantare credenze antiche nel presente, oltre a denotare crasso analfabetismo, causa danni interpretativi irreparabili. Ogni evento ed ogni fenomeno culturale devono essere collocati nel loro milieu e studiati in rapporto alle circostanze sociali, economiche, antropologiche, spirituali etc. in cui essi si situano. Diversamente si tradisce il passato e lo si strumentalizza per fini di propaganda o, nel migliore dei casi, di becero intrattenimento.

Così sbagliano coloro che credono di poter fondare la dottrina dell’immortalità dell’anima, del Paradiso e dell’Inferno, richiamandosi alla Bibbia, in special modo alla Torah. Nella Bibbia i termini “nephesh” e “ruach” che spesso sono resi con “anima” o “spirito” non designavano un’essenza individuale imperitura.

L’oltretomba biblico è lo Sheol, simile all’Ade omerico ed a quello dei Sumeri, una plaga brumosa dove i morti sono ormai privi di coscienza e di identità. Qualche breve rimando al Paradiso ed all’Inferno come luoghi, rispettivamente, di beatitudine e di dannazione si reperisce nel Nuovo Testamento, ma sono passi contraddetti da altri e di valore metaforico, insufficienti comunque a definire una topografia precisa dell’aldilà cristiano che non esiste.

Semmai lo studio comparato delle religioni ci dimostra che di solito le genti dell’antichità in origine concepirono l’oltremondo come un luogo indistinto per poi, un po’ alla volta, approdare ad una concezione in cui sono fissate per le anime immortali precise sedi dove esse dimoreranno post mortem nonché punizioni o ricompense.

Ciò precisato, è evidente che la milionaria dissertazione di Benigni sul decalogo è priva di qualsiasi valore culturale, anche soltanto divulgativo. Questo nonostante le tronfie lodi ed i lautissimi compensi con cui è stato incensato l’abominevole spettacolo.

A proposito comunque di comandamenti, ne vorremmo suggerire uno ed è questo: “Spegnete il televisore e non siate mai benigni con Benigni”.

Articolo correlato: I veri dieci comndamenti

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Friday, March 11, 2011

A capofitto nell'Egitto

http://zret.blogspot.com/2011/02/capofitto-nellegitto.html

A capofitto nell'Egitto

Le rivolte in Egitto, in altri stati dell’Africa bianca e del Medio Oriente sono state interpretate da alcuni commentatori della Rete in modo scandaloso. Quella che pare ingenuità nell’analisi dei fenomeni politici e socio-economici è invero spesso un’astuta mistificazione. I recenti tumulti in Egitto hanno portato alla destituzione di Mubarak, sostituito dai militari che dovrebbero traghettare il paese verso la “democrazia”: questi eventi sono stati letti come un sussulto di dignità di un popolo oppresso da un dittatore. Che Mubarak fosse un tiranno è indubbio, ma è certo che il suo successore sarà un detestabile burattino manovrato dalle élites mondialiste. Tra l'altro, sino a pochi mesi fa, Mubarak si poteva fregiare del titolo di "presidente egiziano", laddove ora è esecrato come "dittatore": ipocrita fluidità del linguaggio.

Non è, però, intenzione di chi scrive analizzare dinamiche che altri potranno sviscerare, evidenziandone in particolare i retroscena. Vorrei, invece, sottolineare la retorica che trasuda dai fondi di personaggi che basano le loro “argomentazioni” su… luoghi comuni e su un uso strumentale del linguaggio. Nel momento in cui si usa un’espressione come “popolo egiziano”, si ingannano spudoratamente i lettori. Che cosa significa, infatti, “popolo egiziano”? Nulla: è solo una dicitura enfatica e generica. Il linguaggio di codesti imbonitori è pieno di generalizzazioni e di schemi.

Che cosa significa “popolo egiziano”? Chi adopera tale sintagma ignora (o finge di ignorare) che il “popolo” è un’astrazione. Ben l’aveva compreso Manzoni che, ripercorrendo la sedizione a Milano del giorno 11 novembre (!) 1628, allorché la plebe affamata assalì i forni della città, distingue all’interno della moltitudine in rivolta due anime: l’anima scellerata della folla (“quel corpaccio”) che agisce soprattutto “per una persuasione fanatica e per un maledetto gusto del soqquadro”, dall’anima moderata, composta da persone che, pur lottando per la giustizia, mostrano “spontaneo orrore del sangue e dei fatti atroci”. L’autore definisce “funesta docilità” il conformarsi a quanto pensa la maggioranza che individua nel vicario di provvisione l’unico responsabile della carestia. Inoltre tratteggia in modo ironico la figura di Antonio Ferrer, l’incarnazione del politico scaltro, del demagogo che, con parole ambigue e gesuitiche, seduce i cittadini sprovveduti.

Manzoni compie un’analisi sociologica che è, in primis, una ricognizione antropologica: egli, guarda con occhi disincantati, alla turba che sa essere composta da gruppi ed individui, ognuno con le sue convinzioni (più o meno aberranti), aspettative, idiosincrasie. Il Nostro sa che generalizzare significa mentire: il suo interesse per gi umili non scade mai nel populismo. Se altri studiosi hanno indugiato sulla psicologia della massa (si pensi almeno ad Elias Canetti), mettendone impietosamente a nudo le reazioni pavloviane ed il carattere plasmabile dal primo tribuno che capita, già Manzoni, almeno nei “Promessi sposi”, è in grado di denunciare l’ingenua idealizzazione del “popolo”.

Il “popolo” non esiste, poiché sono le classi a contare, anzi in una società in cui il potere è riuscito a disgregare in un’omologazione individualistica la stessa identità personale, il “popolo” è un concetto vuoto, un flatus vocis, uno strumento linguistico cui ricorrere per lasciar balenare davanti ai sudditi imbambolati il miraggio di un futuro migliore. E’ assodato: non sarà l’uomo a risolvere i problemi dell’umanità, dunque è del tutto illusorio pensare che il “popolo” possa liberarsi da despoti vecchi e nuovi, magari con la paternalistica assistenza dei militari.

Dietro le quinte, agiscono i soliti (ig)noti il cui obiettivo è, dopo aver destabilizzato l’aria medio-orientale ed il Maghreb, il definitivo disfacimento delle nazioni europee, già sconquassate dalla crisi economica e da un’inestirpabile corruzione, con un’invasione di profughi e di derelitti, spinti dalle strettezze, sulle rive opposte del Mediterraneo.

Che questi avvenimenti siano concepiti come un glorioso cammino verso la libertà ed il riscatto dei “popoli” è grave. Che si blandisca l’opinione pubblica, prospettando “magnifiche sorti e progressive” è inammissibile. Dispiace che questa melassa sia stata ammannita pure da Jane Burgenmeister, cui va il plauso per aver denunciato la truffa dei vaccini: non sappiamo se la sua sia ingenuità o se, “persuasa” dai controllori, abbia deciso di ingrossare la schiera dei gatekeepers. E’ evidente comunque che questi articoli fanno presa su un pubblico beota ed impulsivo, incline a lasciarsi abbindolare da pseudo-giornalisti, da maneggioni e da guitti.

Così Roberto Benigni, personificazione dell’ignoranza più becera, un idiot savant per idioti, ha potuto stravolgere la storia risorgimentale con fini ideologici in un immondo coito tra canzoni e propaganda sciovinista a favore del sistema. Siamo ancora benigni se, in questa sede, sorvoliamo sullo stupro di Dante, perpetrato dal grullo, ma la lectio magistralis del toscanaccio può sedurre solo una persona priva anche solo di un’infarinatura culturale e di un briciolo di intelligenza. È inutile che si continuino a leggere certi autori, se non si comprendono i principi che ispirano le loro opere.

Bisogna concludere che dalla storia e dal passato si apprende pochissimo; dai classici della letteratura, pur tanto compulsati ed ammirati, ancor meno.


Articolo correlato: C. Penna, Sanremo 2011: indottrimamento mediatico e non solo, 2011