L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, May 19, 2015

Se settembre...


http://zret.blogspot.ch/2015/05/se-settembre.html

Se settembre...



Harmful harvest

Si rincorrono allarmanti notizie a proposito di un evento epocale che dovrebbe accadere a settembre di quest’anno. Di preciso non si sa che cosa bolla nel pentolone: qualcuno paventa un collasso socio-economico, qualcun altro evoca il passaggio del Pianeta X, altri pensa ad una svolta politica in senso totalitario, altri ad un’invasione o al solito conflitto mondiale...

Sono scenari spesso vaticinati negli ultimi lustri: sono “profezie” che si sono adempiute, quando si sono adempiute, solo in parte. Si sa: si grida al lupo al lupo! Così si sta sempre allerta, ma non accade alcunché. Quando il lupo arriva veramente, è ormai stata abbassata la guardia.

L’aspetto serio della questione è il seguente: fonti tra loro indipendenti ed eterogenee preannunciano per il settembre venturo un evento di portata decisiva. Sarà dunque il tempo della grande mietitura? Nessuno può saperlo con certezza. Si può almanaccare e semmai distinguere tra due probabili orizzonti: da un lato un accadimento repentino destinato a porre la popolazione di fronte ad una situazione inedita e rovinosa (ad esempio, un black out prolungato con tutte le deleterie conseguenze del caso) oppure il deterioramento sarà caratterizzato da una parabola snervante, da quella lentezza con cui si sta sfilacciando il tessuto economico e sociale, insieme con la progressiva spoliazione dell’ambiente. E’ chiaro che in tale processo agonico gioca un ruolo cruciale la geoingegneria clandestina: le scie chimiche, ad esempio, hanno trasformato la florida California in una landa desertica. Il triste declino di Gaia, infatti, è connesso soprattutto ad una scellerata e deliberata politica, ad una smania di distruzione cui si aggiungono in una letale sinergia fenomeni naturali o presunti tali, come eruzioni vulcaniche, sismi, maremoti.

Preppers

Negli Stati Uniti d’America li chiamano "preppers": sono cittadini che, temendo qualche calamità, da tempo hanno già provveduto ad approntare scorte di viveri, armi, acqua nonché a premunirsi di tutto il necessario per sopravvivere in un paese dove è stata dichiarata la legge marziale ed in cui imperversano flagelli biblici.

Dobbiamo riconoscere che i "preppers" sono previdenti, sebbene le molteplici variabili ed incognite di un pianeta “post-atomico” rendano ardua una sopravvivenza anche per chi ha predisposto le idonee riserve alimentari e le necessarie risorse strategiche.

Escludiamo che il cittadino comune nell’opulento e fatuo mondo occidentale abbia anche una sola chance di adattarsi e di resistere in una realtà completamente stravolta, senza tutti gli agi che consideriamo – a torto - scontati. Gli uomini più o meno sono sempre gli stessi: se una volta le coppie scoppiavano, perché lui o lei schiacciava nella parte sbagliata il tubetto del dentifricio, oggi ci si dispera per una mancata connessione alla Rete. Ci si adira e si litiga per quisquilie, incapaci di apprezzare quello di cui, bene o male, usufruiamo, prigionieri di un egoismo cieco ed edonista. Perfetto: se non dovessimo più avere a disposizione l’acqua, deliberemo deliziosi long drink.

Essere organizzati da un punto di vista pratico significa essere pure pronti sotto il profilo psicologico e, in parte, viceversa, ma la vediamo molto molto grama: è plausibile che l’ingranaggio strazierà tutti, degni ed indegni, con un’assurda preferenza per i primi.

Montale nel componimento “Il sogno del prigioniero” si domanda: “Ancora ignoro se sarò al festino/farcitore o farcito. L'attesa é lunga,/il mio sogno di te non è finito”. Parole profetiche: non sappiamo se saremo farcitori o farciti. Beato comunque chi, come il poeta genovese, sa ancora sognare...
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Friday, January 16, 2015

La sindrome di Stendhal

http://zret.blogspot.ch/2015/01/la-sindrome-di-stendhal.html

La sindrome di Stendhal


When people run in circles/It's a very, very mad world (Tears for fears)

Esiste un senso? Se contempliamo il microcosmo ed il macrocosmo, restiamo ammirati al cospetto della bellezza e della perfezione squadernate dalla natura: dalle galassie alle conchiglie, dalle costellazioni alle cellule… è uno spettacolo mozzafiato. E’ davvero improbabile che l’armonia e la complessità dell’universo originino dal caso, da un lancio di dadi.

Sì, è un mondo fantastico. Alla fine, dopo aver visitato le sale della galleria dove sono custodite le pregevoli opere d’arte, ce ne torniamo a casa storditi dalla sindrome di Stendhal. Infine, però, ci chiediamo che cosa abbiamo veramente compreso.

Così la magnificenza del Tutto non basta né per nascondere né per giustificare le fratture che attraversano il mirabile edificio: là dove l’intonaco è scrostato si intravedono crepe profonde e tarlature.

E’ come se il cosmo, da una perfezione primordiale, fosse sdrucciolato su un ripido pendio: ecco allora l’entropia, la corsa folle nelle gelide, buie immensità. Ecco persino lo spuntare della coscienza come freccia che si dirige verso sé stessa per trafiggersi. Ecco che dalla natura affiora la storia con le sue lunghissime scie di sangue.

Dov’è il punto in cui le enigmatiche interazioni fondamentali si saldano con l’esistenza degli esseri che popolano gli spazi siderali? Come si è sporto il pensiero dalla materia o, viceversa, in che maniera il pensiero si è fossilizzato nei corpi? Qualcosa si è rotto, qualcosa non ha funzionato. Le splendide fiamme di un tempo si sono incenerite nella polvere del destino. Nessuno sa perché.

La fioca luce di stelle remote si infrange sulle sponde della vita in flutti di non-senso.

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Wednesday, June 25, 2014

Trittico di troiate - e una: Appartiene ad un altro…

http://zret.blogspot.it/2014/06/appartiene-ad-un-altro.html

Appartiene ad un altro…

Nella celeberrima lirica “Cigola la carrucola del pozzo”, Eugenio Montale descrive un’avventura della memoria. Il riflesso sulla superficie dell’acqua contenuta in un secchio evoca il volto di una persona amata, ma presto quell’immagine si dissolve. Il ricordo si perde nell’oblio, in un passato irrevocabile, nella distanza dell’incomunicabilità.

Come spesso avviene, le parole più suggestive degli autori sono atrofizzate in interpretazioni banali. Si leggano i seguenti versi: “Accosto il volto a evanescenti labbri: / si deforma il passato, si fa vecchio,/ appartiene ad un altro...” “Appartiene ad un altro” non significa, infatti, che ora la donna condivide la sua esistenza con un altro uomo. Montale è conscio che l’identità individuale è labile, inconsistente, affidata ad una memoria di sé che è il tentativo di strappare alla dimenticanza ed alla fuga del tempo qualche brandello del proprio essere. "Appartiene ad un altro", ossia a qualcuno in cui non ci si riconosce, a chi non è più, al niente…

Che cosa garantisce che siamo gli stessi di un tempo? Solo l’abitudine a percepirci come coincidenza con le esperienze trascorse. Se cancelliamo la memoria, siamo ancora noi stessi? Esiste un substrato su cui alligna la coscienza o l’anima, per dirla con Hume, è un fascio di sensazioni? Una pianta che – si presume – non è dotata di facoltà mnemoniche, è ogni istante un essere nuovo?

Il paradosso della nave di Teseo (leggi Tèseo) esprime la questione metafisica dell'effettiva persistenza dell'identità originaria, per un'ente le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero sé stesso oppure no dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati con altri uguali o simili.

Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte i pezzi adoperati in origine per costruirla erano state sostituite, sebbene la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria.

Ragionando su tale situazione - la nave è stata completamente rimpiazzata, ma allo stesso tempo essa è rimasta la nave di Teseo - la questione che ci si pone è la seguente: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero l'oggetto, modificato nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora il medesimo oggetto o gli somiglia soltanto o è un altro?

Il paradosso si può riferire all'identità della nostra stessa persona che, nel corso degli anni, cambia in modo notevole sia sotto il profilo fisico sia sotto quello psicologico. Nonostante ciò, sembra che un quid individuale sia preservato.

Le attività psichiche (memoria, appercezione, proiezione…) paiono le garanzie di una continuità temporale da cui dipende l’idea della propria identità. Se tuttavia aboliamo il tempo, la concatenazione cronologica, che cosa resta? Siamo solidificati nella coscienza dell’io, ma nulla è più evanescente ed illusorio dell’io, leggero fardello, pesante piuma. L’io è prigione senza sbarre, è una cella i cui muri sono d’aria, una catena i cui anelli si spezzano, non appena si sprofonda nell’estraniamento da sé, nel non essere.

Montale, consapevole che l’identità è inconsistenza, sente il terreno franargli sotto i piedi. L’uomo, nel momento in cui intuisce che l’unico punto stabile e l’instabilità del ricordo (ora inafferabile ora fallace ora sfocato ora unidirezionale) rischia di sdrucciolare nel nulla.

Eppure il senso di vertigine al cospetto dell’abisso è anche estasi sublime, emancipazione dai ceppi dell’ego. Davvero, dato che la vita è questa, “svanire è la ventura delle venture”.


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Monday, March 31, 2014

Io, tu e le cose

Questa volta il contenuto e' anche condivisibile. La forma, purtroppo, lascia ancora molto a desiderare.


http://zret.blogspot.it/2014/03/io-tu-e-le-cose.html

Io, tu e le cose


Qual è il nostro rapporto con le cose? Nel mondo attuale, per lo più, gli uomini non possiedono le cose, ma sono posseduti da esse. La società materialista ha alienato gli individui, portandoli a conferire valore intrinseco ad un nuovo modello di cellulare, ad un’automobile fiammante: l’obsolescenza psicologica, però, è più rapida di quella merceologica. Si pensi soprattutto agli adolescenti: essi presto si stancano del marchingegno che hanno facilmente ottenuto da genitori permissivi. Subito i rampolli smaniano per un nuovo gadget dalle prestazioni sbalorditive e dalle linee accattivanti.

Può sembrare paradossale, ma chi brama sempre nuovi prodotti, invero non è attaccato alle cose, ma al loro valore simbolico (status symbol), alla possibilità di ostentare prestigio sociale. Spesso questa attrattiva per le cose si incanala verso strumenti tecnologici, visto che oggigiorno la persona tende a vivere in simbiosi con la téchne.

La materia lascia trasparire una filigrana spirituale. E’ una filigrana che gli esseri reificati non riescono ad intravedere. Gli oggetti, invece, per gli uomini più evoluti sono o possono assurgere, come ci ricorda Giulio Carlo Argan, a valori. E’ l’utensile appartenuto al nonno e che si rivela ancora adatto alla bisogna. E’ la suppellettile che ingentilisce un angolo della nostra casa. Di per sé il soprammobile è insignificante, ma è circonfuso di un’aura o perché è un dono di un amico o in quanto è legato ad un’esperienza indimenticabile e così via. Ecco che la cosa, inerte e vuota, si riempie di senso per noi. Sono soprattutto gli oggetti dell’infanzia a caricarsi di energie, di evocazioni, di odori: sappiamo sbarazzarci delle automobili in miniatura con cui ci divertivamo, quando eravamo piccoli? Anche le banali figurine raccolte con zelo paziente sarebbero ancora custodite in qualche cassetto, se madri un po’ corrive non le avessero gettate via. Forse l’attaccamento a certe cose è il legame con il nostro passato, ma il tentativo di aggrapparsi ad un passato altrui. Infatti oggi noi non siamo più chi fummo.

Il tempo trascorso, scrive Montale, “appartiene ad un altro”... ad un altro me stesso, bisogna chiosare, giacché la nostra identità è flusso, cambiamento, impermanenza: già dieci minuti addietro eravamo differenti da come siamo adesso. Allora gli oggetti diventano gli appendini cui sono sospesi i nostri molteplici e fallaci io. Che cos’è l’identità, se non una risma di fogli incollati l’uno sull’altro?

Seguiamo un‘intervista video, ma non ascoltiamo! Guardiamo l’ambiente in cui l’intervistato risponde alle domande: gli scaffali con i libri dietro di lui, l’arredamento, i dipinti e le stampe alle pareti, i vasi con le piante... esprimono dell’intervistato la natura intima, le sue abitudini, gusti, interessi, ubbie... in una parola, l’anima.

In un melanconico e bellissimo sonetto, il poeta barocco Tommaso Stigliani contempla l’arredamento della camera in cui suole soggiornare, pensando che, quando sarà conclusa la sua vita, gli oggetti, invece, muti e silenziosi, continueranno a vivere ancora per molte generazioni. L’immortalità appartiene a cose morte. Eppure non sono forse esse, almeno sotto certi rispetti, immagini che misteriosamente proietta la nostra prodigiosa coscienza? Non sono forse le ombre colorate della nostra fervida immaginazione?

Alcuni ritengono che, se esiste un mondo ultraterreno, esso sarà popolato dalle nostre proiezioni, dai desideri e dai sogni: se abbiamo sempre vagheggiato una villa su una scogliera, carezzata dall’azzurro del mare e del cielo, un giorno vivremo lì. Quella dimensione sarà abitata dalle persone, dagli animali e dagli oggetti che più abbiamo amato, sempre che abbiamo amato.

E’ folle incistarsi al denaro, al possesso, alle ricchezze. Nella novella “La roba”, Giovanni Verga descrive la disperazione del protagonista che, sapendo di essere prossimo a morire, vorrebbe portare tutto il suo patrimonio con sé. La ricchezza, però, è merce ed usura, mentre le cose amate, persino a volte quelle di “pessimo gusto”, come le definisce Guido Gozzano, si animano, come se scorresse al loro interno una linfa.

Spiritualizzare la materia, che forse è solo un simulacro dello spirito, è alchimia per eccellenza. La vita dunque può essere tentativo alchemico o deriva verso il nulla.


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Sunday, February 10, 2013

L'istmo di sticazzi


http://zret.blogspot.com/2013/02/listmo_9.html

L'istmo

Il varco è qui? (E. Montale)

Tutto è nel tutto, eppure ci appare diviso.

Recenti indirizzi scientifici tendono a confermare alcuni assunti del pensiero tradizionale. Ci riferiamo al tema delle dimensioni: in verità non sappiamo “dove” questi mondi paralleli siano situati né come interagiscano con l’ordinaria sfera della cosiddetta “realtà” che è, a ben riflettere, una prigione con pareti di vetro infrangibile. Sono dei piani che si intersecano con il nostro in particolari circostanze? Sono livelli microscopici come arrotolati nel nostro quadridimensionale? Sono forse universi che, simili a specchi, riverberano gli eventi del cosmo ordinario? Che ruolo giocano in tutto ciò l’asimmetria, la massa oscura, l’antimateria? Perché scrivo così tante idiozie?

E’ evidente che gli interrogativi sono innumerevoli ed abissali. Sono domande per cui la fisica si protende nella metafisica, la cosmologia nella filosofia.

Abbiamo ogni giorno, anzi ogni notte, esperienza di una realtà ulteriore, la regione onirica dove lo spazio ed il tempo ora si dilatano ora si contraggono sino a concentrarsi quasi in un punto, ma l’istmo che congiunge la psiche conscia a quella inconscia è quasi sempre sommerso dal chiarore dell’alba.

I vissuti con cui ci addentriamo nel mondo impercettibile costellano la nostra vita. Alcuni riescono ad esplorare l’invisibile. Straordinarie capacità dimostrano che le “leggi” fisiche non sono valide sempre e comunque. La coscienza ubiqua può trascendere i confini…

Nondimeno manca non solo una teoria unificante, non autocontraddittoria, che spieghi quale sia la relazione tra la coscienza e la materia, quali i rapporti fra i diversi regni del reale, ma pure una traccia sommaria che delinei i termini del problema. Non sappiamo a quali condizioni lo spirito possa agire sull’hyle, ammesso e non concesso che il discorso sia così semplice, visto che il concetto di causa dovrà essere sostituito con quelli, non meno problematici, di sincronicità e di non-località.

Ignoriamo anche quale sia l’energia fondamentale che muove le onde dell’oceano infinito.

Resta la consapevolezza che in qualche parte di questa realtà dura (eppure evanescente), solida, simile al muro di recinzione di un penitenziario, si deve aprire una breccia tale da permetterci di vedere oltre e di evadere. Beati coloro che l’hanno trovata o la troveranno.


 

Saturday, May 30, 2009

Qui

http://zret.blogspot.com/2009/05/qui.html

Qui

L'esigenza della felicità è insopprimibile: la si intenda non come triviale edonismo, ma come piacere intellettuale, risultato della queste, coscienza di un senso oltre il confine delle cose, apertura fiduciosa verso la vita rinnovellata. "Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama..." scrive Eugenio Montale in una celebre lirica. La felicità è la gioia di un incontro il cui silenzio è sostanziato di intesa, di consonanza spirituale, ma subito s'insinua la consapevolezza di quanto sia precario questo istante più fragile del cristallo. Veramente si cammina come funamboli con l'abbraccio del cielo sopra e le fauci dell'abisso sotto.

Il paradosso della felicità è nella sua esistenza inesistente: infatti solo quando il tempo si annulla, siamo felici, ma se il tempo è annichilito, non siamo più consci della felicità. Così, in verità, pare che sia più realista quella scuola del Buddhismo che vede nell'estinzione (Nirvana), il vero fine, laddove la beatitudine prospettata dal Buddhismo Mahayana e da altre religioni sembra un oceano senza onde, indistinguibile da un firmamento privo di nubi: un concetto amorfo, un suono senza vibrazione.

Davvero la felicità, rara alchimia, interruzione del flusso ordinario, baluginante ed improvvisa illuminazione, illumina il mondo. Non è un'impressione: lo scenario che ci circonda si accende di bagliori simili a quelli che sprizzano tra le nuvole diradatesi subito dopo un temporale. Gli oggetti sono lucidi, le ombre roride, i contorni delicati nel loro disegno armonioso e preciso.

La felicità è oblio, è una lenta immersione nel consolante sonno del dolore, quando le memorie tormentose e gli echi pungenti dell'esistenza si stemperano, si liquefanno nel placido lago della notte. Che importa? E' accaduto quel che è accaduto.

La felicità, però, è soprattutto risveglio: affine ad un'alba immemore, aurora su un altro pianeta, dove il passato è solo un ricordo senza ombre né strascichi. Destatici dell'ipnosi che ci imprigionava i sensi e che ottenebrava la mente, vediamo per la prima volta: i veli delle tenebre si sono dissolti, i demoni precipitano nell'inferno. Ora sulle montagne si librano liberi i cirri, scorrono i ruscelli verso valle, sentieri acquei, tra le cale brillano screziature rosee.

La felicità è uno squarcio nello spesso tessuto dello spazio-tempo, una breccia nella "realtà".

Tuttavia siamo ancora qui, per ora...