http://zret.blogspot.co.uk/2013/12/sincronismo_18.html
Sincronismo
E’
noto che Giovanni Pascoli nella sua casa di Barga, avvolta nella
serenità bucolica della Garfagnana, aveva uno studio con tre scrivanie.
Egli, infatti, soleva dedicarsi con sorprendente sincronismo alla poesia
italiana, alla poesia latina ed alla critica dantesca. Dovremmo seguire
l’esempio di Pascoli ed imparare a dividere il nostro tempo fra
attività differenti, coltivando diversi interessi e discipline.
Il sapere (ma è ancora sapere?) è oggigiorno iperspecializzato e settoriale. La frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica non è stata ricomposta. Così la formazione si disgrega, si disarticola. Si erigono steccati con cui sono confinati i vari campi di studio. Il vero intellettuale rifugge dall’erudizione che è conseguenza di una ricerca unidirezionale e di un interesse sterile. Il vero intellettuale compone il Leitmotiv ed il contrappunto. Le sue dita si muovono con disinvoltura fra i tasti eburnei ed i tasti d’ebano.
E’ lodevole l’uomo che, pur concentrando sguardo ed attenzione su un soggetto, getta sempre un’occhiata altrove. La mente si avvezza a spaziare, diventa duttile, curiosa. Le conoscenze si integrano: si apprende a correlare, a trascendere limiti sovente artificiosi. La cultura si sfaccetta e, se ogni sfaccettatura è levigata, brilla a guisa di diamante.
Purtroppo siamo ben lungi dall’ideale dell’uomo enciclopedico che diede lustro al Rinascimento e lontano pure dalla mirabile simultaneità con cui Pascoli curava i suoi tre fragranti roseti. Oggidì la scuola, ridotta in uno stato pietoso, in quei pochi casi in cui tenta di trasmettere qualche conoscenza, punta su tecnicismi. Dimentica dell’armonia e della verità, s’impernia solo ciò che è utile, tosto spendibile per rosicare un sei, un credito, una competenza da sfruttare sul mercato della disoccupazione. Difettano segnatamente l’attitudine ad osservare, a riflettere ed a creare. Mentre l’intelletto si ottunde, anche la mano si aggranchisce, nell’incessante digitazione dei tasti o nel diuturno scorrimento dei polpastrelli sullo schermo. Gli occhi fissi, vitrei sul cellulare o su un’altra diavoleria: non esiste nient’altro.
Difettano tante cose anche a chi è incline ad indagare, mancano la quiete ed il tempo da consacrare all’otium. Francesco Petrarca si immergeva nei suoi amati classici, immerso nella riposante pace della natura silvestre a Valchiusa, ad Arquà.
In quale mondo e in quali rimasugli di tempo i pochi uomini vivi oggi ponderano e studiano non occorre descrivere.
Il sapere (ma è ancora sapere?) è oggigiorno iperspecializzato e settoriale. La frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica non è stata ricomposta. Così la formazione si disgrega, si disarticola. Si erigono steccati con cui sono confinati i vari campi di studio. Il vero intellettuale rifugge dall’erudizione che è conseguenza di una ricerca unidirezionale e di un interesse sterile. Il vero intellettuale compone il Leitmotiv ed il contrappunto. Le sue dita si muovono con disinvoltura fra i tasti eburnei ed i tasti d’ebano.
E’ lodevole l’uomo che, pur concentrando sguardo ed attenzione su un soggetto, getta sempre un’occhiata altrove. La mente si avvezza a spaziare, diventa duttile, curiosa. Le conoscenze si integrano: si apprende a correlare, a trascendere limiti sovente artificiosi. La cultura si sfaccetta e, se ogni sfaccettatura è levigata, brilla a guisa di diamante.
Purtroppo siamo ben lungi dall’ideale dell’uomo enciclopedico che diede lustro al Rinascimento e lontano pure dalla mirabile simultaneità con cui Pascoli curava i suoi tre fragranti roseti. Oggidì la scuola, ridotta in uno stato pietoso, in quei pochi casi in cui tenta di trasmettere qualche conoscenza, punta su tecnicismi. Dimentica dell’armonia e della verità, s’impernia solo ciò che è utile, tosto spendibile per rosicare un sei, un credito, una competenza da sfruttare sul mercato della disoccupazione. Difettano segnatamente l’attitudine ad osservare, a riflettere ed a creare. Mentre l’intelletto si ottunde, anche la mano si aggranchisce, nell’incessante digitazione dei tasti o nel diuturno scorrimento dei polpastrelli sullo schermo. Gli occhi fissi, vitrei sul cellulare o su un’altra diavoleria: non esiste nient’altro.
Difettano tante cose anche a chi è incline ad indagare, mancano la quiete ed il tempo da consacrare all’otium. Francesco Petrarca si immergeva nei suoi amati classici, immerso nella riposante pace della natura silvestre a Valchiusa, ad Arquà.
In quale mondo e in quali rimasugli di tempo i pochi uomini vivi oggi ponderano e studiano non occorre descrivere.
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Trovata sul blog del Movimento dei Caproni in un articolo di Conte Zero questa splendida descrizione:
ReplyDeleteSono convinti che la normalità come la conosciamo stia per finire, un comodo escamotage per liberarsi di una quotidianità grigia ed insipida… e non si rendono conto che il mondo che li circonda è grigio e opprimente anche perché la maggior parte della loro vita è passata davanti ad una tastiera a leggere, scrivere e sperare in cataclismi prossimi venturi.
Si adatta magnificamente a zret, allo strakotto e a tanti altri che ben conosciamo.
APOCALISSI ALIENE: il libro in cerca di scrivania da non far traballare più.
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ReplyDeletemancano la quiete ed il tempo da consacrare all’otium
Il fratellonzo non studiato, strakkino, di tempo per dedicarsi all'ozio ne ha tanto essendo notoriamente nullafacente per vocazione. Ozio, inteso nel senso corrente del termine peró, cioé di colui che si astiene da occupazioni utili per pura indolenza, non certo nel significato che aveva preso gli antichi romani ...
Il vero intellettuale compone il Leitmotiv ed il contrappunto. Le sue dita si muovono con disinvoltura fra i tasti eburnei ed i tasti d’ebano.
ReplyDeleteSpero (ma dubito molto) che zret non pensi a sé stesso come "vero intellettuale".
Se Il vero intellettuale rifugge dall’erudizione dovrebbe badare al contenuto delle affermazioni e non limitarsi a parole desuete e citazioni avventate; e quindi non dovrebbe tracciare un parallelismo tra la melodia e l'armonia con i tasti bianchi e neri, visto che il differente colore è solo un espediente visivo per localizzare le note, e non per definire la loro funzione all'interno del brano musicale.
Ma la tentazione di usare parole raffinate è stata troppo forte. E pazienza se di contenuto non ce né. Di quello zret ne fa a meno da quando è nato.