http://zret.blogspot.com/2011/01/cara-carne.html
Cara carne
A.C. Grayling, nella silloge di elzeviri “La ragione delle cose”, dedica una riflessione alla carne. Nell’articolo intitolato appunto “Carne”, annota: “I costi del consumo alimentare di carne sono immensi. Le argomentazioni contro di esso sono, ciascuna a suo modo, persuasive e, prese nell’insieme, stringenti. Ragioni di natura economica sottolineano come mezzo ettaro di terra usato per l’allevamento di bestiame produca di che nutrire due persone, contro le venti se la stessa superficie viene coltivata a frumento. Altre motivazioni si concentrano su ragioni igieniche, affermando che la carne è piena di grassi e di batteri e (se non proviene da allevamenti biologici) anche di antibiotici, ormoni della crescita e vaccini. L’argomento più valido di tutti è quello di natura morale che condanna l’abbattimento (sic) di creature dotate di sensibilità solo in nome del nostro piacere, quando non ci sarebbe alcun bisogno di farlo per vivere bene e saggiamente. Sarebbe opportuno prendere sul serio la motivazione igienico-sanitaria. Noi non mangiamo carne fresca, ma carogne; la carne fresca, infatti, sarebbe troppo dura per via del rigor mortis ed è solo una volta cominciati i processi di decomposizione che la carne diventa abbastanza morbida per essere cucinata e mangiata…. I microbi sono i grandi amici del carnivoro: senza di loro, non ci sarebbero bistecche tenere, arrosti succulenti e costolette gustose… Quando le proteine di una carogna vanno incontro al processo di caseificazione è perché entra in scena Piophila casei. … I batteri, che in dieci ore si moltiplicano da cento a cento milioni, consumano tutto. Ebbene: essi sono presenti nelle stesse quantità sulla carne che prepariamo in cucina.”
L’autore ritiene che, se le considerazioni di natura sanitaria ci suggeriscono misure prudenziali, un’onesta riflessione sulle sofferenze che sono inflitte agli animali allevati per essere uccisi nei mattatoi, dovrebbe suscitare una ripugnanza ben maggiore del racconto sui micro-organismi.
Eppure, nonostante tutti questi ragionamenti, il consumo di carne è all’ordine del giorno, soprattutto nel mondo occidentale, abituato a laute imbandigioni. A ciò concorrono diversi fattori, non ultimo un aspetto culturale: l’allevamento del bestiame ad usi alimentari risale alla preistoria. Nelle culture antiche il bue o il montone ingrassati e macellati non sono solo nutrimenti degli uomini, ma anche offerta per gli dei. Le religioni del Libro sono, pur così differenti tra loro, concordi nella valorizzazione del sacrificio animale: anche se – come ci rammentano alcuni interpreti - Elohim creò Adamo ed Eva vegetariani e che tali furono gli Habiru per alcune generazioni, alla fine l’olocausto diventò la forma di immolazione per eccellenza presso gli Israeliti. Cristiani ed Islamici celebrano festività in cui… si fa allegramente la festa ad agnelli e capretti. Vero è che i Nazirei, ossia i Cristiani delle origini, erano vegetariani, probabilmente più per motivi rituali che etici, ma tale regola, pur seguita ed anzi caldeggiata da molti Padri della Chiesa dei primi secoli, passò poi in cavalleria.
Lo stesso Shaul-Paolo (o chi per lui) pur così vicino cronologicamente ai Nazirei, nelle sue "Lettere", piene di prescrizioni, consigli, moniti, considerazioni morali e teologiche… non accenna neppure al precetto proto-evangelico del vegetarianismo. Il concetto di sacrificio di Cristo, vittima innocente del Sinedrio, secondo l’esegesi dominante, rischia di avallare, per metonimia e con la forza del simbolo espiatorio, il sacrificio degli animali.
D’altronde nell’Antico Testamento YHWH mostra una particolare predilezione per le bestie immolate, per l’odore della carne cotta, effluvio che si eleva dall’ara. In Genesi 8, 20-21, si legge: “Noè eresse un altare al Signore, prese di tutti gli animali puri e di tutti gli uccelli puri e li offrì in olocausto sull’altare. Il signore odorò quella soave fragranza e disse: ‘Io non maledirò più la Terra’”.
Chi, come Mario Biglino, è convinto che i significati letterali sono alla radice del testo biblico, scorge nell’attrazione di YHWH per l’olezzo della carne sul fuoco, il ricordo di avventure spaziali. YHWH intese riassaporare un antico aroma?
Abitudine cruenta e crudele, il consumo di carne è, piaccia o no, un ingrediente della cultura che molte religioni hanno contribuito a diffondere. Furono, infatti, soprattutto i sacerdoti a promuovere i sacrifici degli animali: agli dei si offriva il fumo che esalava dalle carni ben cucinate; agli officianti erano riservati i tagli più opimi, saporiti e succulenti. Al popolo, che assisteva al rito, si lasciavano le parti meno pregiate.
L’idea di Agnus Dei, come si diceva, è stata in parte all’origine di una retorica della sofferenza di cui hanno pagato il fio gli animali. Questa retorica non è estranea alla religione ebraica. Eppure in Genesi si legge: "Ecco vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra ed ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibo"… "Non dovreste mangiare la carne, con la sua vita, che è il sangue". Abitudini sacrificali furono accolte anche nella fede musulmana. Terribili carneficine, in particolari ricorrenze, lo testimoniano, quantunque il Profeta fosse vegetariano. Maometto affermò con saggezza: "Chi è buono verso le creature di Dio è buono verso sé stesso". In seguito si assisté alla solita distorsione, non si sa quanto accidentale, degli insegnamenti originari.
I buongustai asseriscono che le carni sono molto gradevoli al palato: in verità sono più che altro le erbe aromatiche, gli intingoli e la spezie a conferire gusto alle pietanze carnee. Vero è che le macellerie sono luoghi che esprimono la tradizione di un paese: Italo Calvino in una pagina di “Palomar”, la raccolta di testi in bilico tra descrizione in stile “école du regard” e filosofia, inquadra il banco di una macelleria, indugiando con occhio avido ed indagatore sui vari tagli in bella mostra sul banco: di ogni taglio deliba ascendenze culturali ed usi gastronomici. Inoltre il rosso delle carni, che risalta grazie al verde del prezzemolo, è spettacolo piacevole; lo spettacolo di un macello, con le carcasse grondanti sangue, lo è un po’ meno. L’artista irlandese Francis Bacon fu a tal punto ossessionato da queste truculente immagini di squartamenti da tradurre la sua pittura in un “teatro della crudeltà”.
Se il “peccato originale” è un concetto polivalente e se ha una sua ragion d’essere, credo che si potrebbe considerare pure come la decisione (obtorto collo?) per opera degli uomini di nutrirsi con la carne degli animali. Non riesco ad immaginare un Adam perfetto che alleva pecore e capre per poi sgozzarle.
Senza dubbio anche gli erbaggi ed i frutti, di cui si nutrono vegetariani e vegani, soffrono quando sono sradicati, tagliati, cotti, ma non siamo stati noi a creare una natura in cui la vita si alimenta della morte. Inoltre la sensibilità delle piante è inferiore a quella delle bestie. In modo consequenziale i Giainisti, che non mangiano neppure vegetali, considerano gli agricoltori degli assassini.
E’ opportuno evitare fondamentalismi e generalizzazioni: è evidente che intercorre una notevole differenza tra un nativo americano che caccia ed uccide un cervo con una freccia, evitando che l’animale soffra in modo eccessivo e le torture inumane (o propriamente umane?) che sono inflitte a maiali, mucche, polli, oche… negli allevamenti industriali. Se il cacciatore americano ringrazia il Grande Spirito che gli elargisce il necessario di che vivere, le industrie zootecniche sono volte solo al profitto: l’animale è trattato alla stregua di una cosa. [1]
Comunque la si pensi, è probabile che l’alimentazione carnivora, che alcuni hanno tanto cara, non apparterrà ad un'umanità veramente rinnovata, se mai ciò accadrà.
[1] Il consumo di carne può anche assumere, se vi soggiacciono particolari principi, una valenza trasmutatoria, ma è tema delicato sul quale qui non mi soffermo.
L’autore ritiene che, se le considerazioni di natura sanitaria ci suggeriscono misure prudenziali, un’onesta riflessione sulle sofferenze che sono inflitte agli animali allevati per essere uccisi nei mattatoi, dovrebbe suscitare una ripugnanza ben maggiore del racconto sui micro-organismi.
Eppure, nonostante tutti questi ragionamenti, il consumo di carne è all’ordine del giorno, soprattutto nel mondo occidentale, abituato a laute imbandigioni. A ciò concorrono diversi fattori, non ultimo un aspetto culturale: l’allevamento del bestiame ad usi alimentari risale alla preistoria. Nelle culture antiche il bue o il montone ingrassati e macellati non sono solo nutrimenti degli uomini, ma anche offerta per gli dei. Le religioni del Libro sono, pur così differenti tra loro, concordi nella valorizzazione del sacrificio animale: anche se – come ci rammentano alcuni interpreti - Elohim creò Adamo ed Eva vegetariani e che tali furono gli Habiru per alcune generazioni, alla fine l’olocausto diventò la forma di immolazione per eccellenza presso gli Israeliti. Cristiani ed Islamici celebrano festività in cui… si fa allegramente la festa ad agnelli e capretti. Vero è che i Nazirei, ossia i Cristiani delle origini, erano vegetariani, probabilmente più per motivi rituali che etici, ma tale regola, pur seguita ed anzi caldeggiata da molti Padri della Chiesa dei primi secoli, passò poi in cavalleria.
Lo stesso Shaul-Paolo (o chi per lui) pur così vicino cronologicamente ai Nazirei, nelle sue "Lettere", piene di prescrizioni, consigli, moniti, considerazioni morali e teologiche… non accenna neppure al precetto proto-evangelico del vegetarianismo. Il concetto di sacrificio di Cristo, vittima innocente del Sinedrio, secondo l’esegesi dominante, rischia di avallare, per metonimia e con la forza del simbolo espiatorio, il sacrificio degli animali.
D’altronde nell’Antico Testamento YHWH mostra una particolare predilezione per le bestie immolate, per l’odore della carne cotta, effluvio che si eleva dall’ara. In Genesi 8, 20-21, si legge: “Noè eresse un altare al Signore, prese di tutti gli animali puri e di tutti gli uccelli puri e li offrì in olocausto sull’altare. Il signore odorò quella soave fragranza e disse: ‘Io non maledirò più la Terra’”.
Chi, come Mario Biglino, è convinto che i significati letterali sono alla radice del testo biblico, scorge nell’attrazione di YHWH per l’olezzo della carne sul fuoco, il ricordo di avventure spaziali. YHWH intese riassaporare un antico aroma?
Abitudine cruenta e crudele, il consumo di carne è, piaccia o no, un ingrediente della cultura che molte religioni hanno contribuito a diffondere. Furono, infatti, soprattutto i sacerdoti a promuovere i sacrifici degli animali: agli dei si offriva il fumo che esalava dalle carni ben cucinate; agli officianti erano riservati i tagli più opimi, saporiti e succulenti. Al popolo, che assisteva al rito, si lasciavano le parti meno pregiate.
L’idea di Agnus Dei, come si diceva, è stata in parte all’origine di una retorica della sofferenza di cui hanno pagato il fio gli animali. Questa retorica non è estranea alla religione ebraica. Eppure in Genesi si legge: "Ecco vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra ed ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibo"… "Non dovreste mangiare la carne, con la sua vita, che è il sangue". Abitudini sacrificali furono accolte anche nella fede musulmana. Terribili carneficine, in particolari ricorrenze, lo testimoniano, quantunque il Profeta fosse vegetariano. Maometto affermò con saggezza: "Chi è buono verso le creature di Dio è buono verso sé stesso". In seguito si assisté alla solita distorsione, non si sa quanto accidentale, degli insegnamenti originari.
I buongustai asseriscono che le carni sono molto gradevoli al palato: in verità sono più che altro le erbe aromatiche, gli intingoli e la spezie a conferire gusto alle pietanze carnee. Vero è che le macellerie sono luoghi che esprimono la tradizione di un paese: Italo Calvino in una pagina di “Palomar”, la raccolta di testi in bilico tra descrizione in stile “école du regard” e filosofia, inquadra il banco di una macelleria, indugiando con occhio avido ed indagatore sui vari tagli in bella mostra sul banco: di ogni taglio deliba ascendenze culturali ed usi gastronomici. Inoltre il rosso delle carni, che risalta grazie al verde del prezzemolo, è spettacolo piacevole; lo spettacolo di un macello, con le carcasse grondanti sangue, lo è un po’ meno. L’artista irlandese Francis Bacon fu a tal punto ossessionato da queste truculente immagini di squartamenti da tradurre la sua pittura in un “teatro della crudeltà”.
Se il “peccato originale” è un concetto polivalente e se ha una sua ragion d’essere, credo che si potrebbe considerare pure come la decisione (obtorto collo?) per opera degli uomini di nutrirsi con la carne degli animali. Non riesco ad immaginare un Adam perfetto che alleva pecore e capre per poi sgozzarle.
Senza dubbio anche gli erbaggi ed i frutti, di cui si nutrono vegetariani e vegani, soffrono quando sono sradicati, tagliati, cotti, ma non siamo stati noi a creare una natura in cui la vita si alimenta della morte. Inoltre la sensibilità delle piante è inferiore a quella delle bestie. In modo consequenziale i Giainisti, che non mangiano neppure vegetali, considerano gli agricoltori degli assassini.
E’ opportuno evitare fondamentalismi e generalizzazioni: è evidente che intercorre una notevole differenza tra un nativo americano che caccia ed uccide un cervo con una freccia, evitando che l’animale soffra in modo eccessivo e le torture inumane (o propriamente umane?) che sono inflitte a maiali, mucche, polli, oche… negli allevamenti industriali. Se il cacciatore americano ringrazia il Grande Spirito che gli elargisce il necessario di che vivere, le industrie zootecniche sono volte solo al profitto: l’animale è trattato alla stregua di una cosa. [1]
Comunque la si pensi, è probabile che l’alimentazione carnivora, che alcuni hanno tanto cara, non apparterrà ad un'umanità veramente rinnovata, se mai ciò accadrà.
[1] Il consumo di carne può anche assumere, se vi soggiacciono particolari principi, una valenza trasmutatoria, ma è tema delicato sul quale qui non mi soffermo.
cara carne ?
ReplyDeletemagnate er pesce !
il peyote trota salmonata
E’ opportuno evitare fondamentalismi e generalizzazioni: è evidente che intercorre una notevole differenza tra un nativo americano che caccia ed uccide un cervo con una freccia, evitando che l’animale soffra in modo eccessivo e le torture inumane (o propriamente umane?) che sono inflitte a maiali, mucche, polli, oche… negli allevamenti industriali.
ReplyDeleteÉ evidente un par de palle. Chi te l'ha detto che il nativo americano ammazza i cervi con le frecce per fargli meno male? Hai mai ricevuto una frecciata nel sedere? Forse gli tirano le frecce perché hanno solo quelle? Oppure potrebbero anche ammazzare i cervi a pietrate, il che sarebbe "meno umano"?
:)