L'immensa sputtanata a Zelig

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Scopo del Blog

Raccolgo il suggerimento e metto qui ben visibile lo scopo di questo blog.

Questo e' un blog satirico ed e' una presa in giro dei vari complottisti (sciacomicari, undicisettembrini, pseudoscienziati e fuori di testa in genere che parlano di 2012, nuovo ordine mondiale e cavolate simili). Qui trovate (pochi) post originali e (molti) post ricopiati pari pari dai complottisti al fine di permettere liberamente quei commenti che loro in genere censurano.

Tutto quello che scrivo qui e' a titolo personale e in nessun modo legato o imputabile all'azienda per cui lavoro.

Ciao e grazie della visita.

Il contenuto di questo blog non viene piu' aggiornato regolarmente. Per le ultime notizie potete andare su:

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Tuesday, March 30, 2010

Continuità e discontinuità nella fenomenologia ufologica

http://zret.blogspot.com/2010/03/continuita-e-discontinuita-nella.html

Continuità e discontinuità nella fenomenologia ufologica

Nel numero 17 di "Fenix", il direttore Adriano Forgione dedica l'editoriale Siamo vittime di un inganno. Sveglia! alla fenomenologia ufologica. L'approccio al problema è accorto. Forgione scrive: "Durante la puntata speciale di Voyager del 15 febbraio scorso ho posto sul tavolo quella che è la mia visione del fenomeno U.F.O., riferendomi alla multidimensionalità... Le caratteristiche solide, le astronavi metalliche, le tracce al suolo, le strane interazioni che questo fenomeno presenta con gli esseri umani sia in caso di incontro ravvicinato singolo sia di gruppo o addirittura di massa, sembrano essere un inganno... Gli U.F.O. sembrano mutare nel corso della storia per assumere sembianze e caratteristiche assimilabili alla consapevolezza scientifica del periodo".

Sfiorai il tema delle forme relative agli U.F.O. che paiono adattarsi agli schemi percettivi e gnoseologici degli osservatori, oltre che al loro immaginario scientifico-tecnologico nell'articolo Percezione e realtà. Forse l'argomento più forte che depone a favore di questa tesi è l'insieme delle testimonianze raccolte da vari autori, tra cui l'intelligente Johannes Fiebag, a proposito delle navi aeree che verso la fine del XIX secolo furono avvistate negli Stati Uniti. Erano simili ad improbabili mongolfiere o a dirigibili con eliche, ali battenti e fari: soprattutto ricordavano le sbalorditive macchine volanti concepite dall'infrenabile fantasia di Jules Verne in un romanzo coevo come "Robur il Conquistatore". Veramente quelle airships parevano modellate sul modus percipiendi dei testimoni dell'epoca. Dopo l'ondata del 1897, non furono quasi mai più scorte (per quanto mi consta) aeronavi di quel genere: negli anni 40 del XX secolo si passò dai piatti volanti di Kenneth Arnold (in verità degli oggetti quasi a forma di rondine), agli U.F.O. campaniformi di Adamski, del caso "Amicizia" etc. sino alle navicelle dal profilo affilato di Meier, Lazar et al. per finire con l'invasione delle sfere "plasmatiche" di questi ultimi anni. Ho naturalmente semplificato, trascurando innumerevoli fogge degli O.V.N.I. avvistati o immortalati in istantanee e video. [1]

Davvero, come notò l'ottimo Fiebag, siamo al cospetto di un'Intelligenza che proietta immagini, manipola e controlla. E' un'Intelligenza i cui fini non sono chiari, ma che pare prendersi giuoco di un'umanità adusa a credere all'esteriorità, a fidarsi di sensi spesso fallaci. Osserva Forgione: "Sembra che la fonte del fenomeno si diverta a camuffarsi, interagendo con noi in modo subdolo ed ingannevole... Sono convinto che si tratta di intelligenze che sono sempre state qui, ma provenienti da una realtà parallela."

Il discorso si può estendere anche agli occupanti degli U.F.O.: un tempo si incontravano alieni "kaloi kai agathoi" o simili ad astronauti con tanto di tuta e casco, oggi, per lo più, esili creature macrocefale o sinistri Insettoidi.

Eppure, nonostante il caleidoscopio sempre cangiante delle apparizioni, pare che resti agglutinata alla causa formale una causa materiale, per dirla con Aristotele. Meglio, le forme non prescindono da un sinolo: già i graffiti preistorici contemplano un'iconografia di presunti oggetti volanti a forma di disco, di piatto, di globo etc. Si pensi, verbigrazia, alle opere rupestri studiate da Aime Michel.

Di là dal mascheramento dunque si intravede una seppur labile continuità formale che si cristallizza di solito nella forma del disco e del globo, forse perché, come ipotizzò Jung, il cerchio e la sfera sono archetipi solari e simboli di perfezione. Non di meno, tale Leit-motiv potrebbe essere l'indizio di uno "zoccolo duro" di tipo tecnologico (e sia pure di una tecnologia avveniristica) che trova in specifiche morfologie degli aspetti inerenti ai viaggi nello spazio (e nel tempo?).

Gli antichi Romani usarono il termine "clipeus" per designare ordigni di forma circolare, il vocabolo "trabes" per denotare i "moderni sigari": le scelte linguistiche tendono a confermare una costanza nelle manifestazioni.

Infine le caratteristiche somatiche del Grigio paiono un'altra invariante che accomuna, mutatis mutandis, l'antichità e l'età contemporanea, passando per il Medioevo. Insomma, in qualche caso è possibile che U.F.O. ed extraterrestri possiedano una natura “concreta” ed appaiano più o meno come sono.

Non è tutto miraggio quel che vola.


[1] Anche recentemente sono stati avvistati U.F.O. di tipo adamskiano.

Wednesday, December 23, 2009

Rieder e l'antigravitazione (prima parte)

http://zret.blogspot.com/2009/12/heiner-e-lantigravitazione-prima-parte.html

Rieder e l'antigravitazione (prima parte)

Nel suo acuto saggio “Gli Alieni”, Johannes Fiebag riporta una testimonianza da lui raccolta riferita a Jurgen Rieder, un uomo che, nel febbraio del 1975, visse un incontro ravvicinato del terzo tipo nei pressi del Lago di Costanza. Rieder fu protagonista, insieme con un suo coetaneo, Heiner di un incontro notturno. Verso la mezzanotte trillò il telefono a casa di Jurgen: era il suo amico Heiner che, avendo cacciato di frodo una lepre, era stato rincorso da una guardia forestale. Temendo guai con la legge, Heiner aveva chiesto aiuto a Jurgen nel cuore della notte. Il giovane si precipitò nel bosco ed esortò l'amico a costituirsi, ma senza convincerlo.

Erano ormai le tre, quando all'improvviso, il cielo ottenebrato da scure nubi, si tinse di un colore lattiginoso, come se stesse albeggiando. I due giovani scorsero poi delle luci danzanti tra gli alberi: Jurgen, incuriosito e mesmerizzato, nonostante l'amico tentasse di trattenerlo, afferrando il lembo della giacca, si avvicinò ai bagliori che apparvero come tre grandi figure, alte circa tre metri. Questi umanoidi sembravano assisi su sedili volanti di cui manovravano delle leve ai lati. In testa indossavano dei caschi che coprivano interamente i volti. I giganti avevano sul dorso una sorta di grosso zaino che arrivava all'altezza della testa e si libravano a bordo dei loro sedili volanti a circa due metri dal suolo da cui schizzava il pietrisco.

Racconta il testimone, accostatosi ad uno delle strane creature : "Questo coso mi venne così vicino che potei specchiarmi nel suo elmo lucente e rendermi conto di come stavo lì impalato. Ora scorgevo anche, a sinistra ed a destra del casco, sullo zaino che portava dietro quattro occhi prismatici ed avevo la sensazione di essere trapassato da un raggio laser... Mi formicolava tutto il corpo, anzi provavo un vero e proprio dolore. Poi mi sentii risucchiare la pelle, come se dal corpo venissero risucchiati tutti i liquidi e di colpo mi prosciugassi e mi rinsecchissi. La testa mi rintronava come se fossi assordato da un forte scampanio e le ossa mi scricchiolavano."

Dopo un po' di tempo, le tre gigantesche figure svanirono e tutto tornò alla normalità. Alla disavventura di Jurgen assisté un incredulo ed atterrito Heiner che restò stranito dall'accaduto per alcuni giorni, mentre Jurgen cominciò da allora ad arrovellarsi su quale fantastico meccanismo azionasse i sedili volanti.

La singolare avventura di Rieder è esaminata con sagacia da Fiebag che ne estrapola gli aspetti peculiari riconducibili alla casistica ufologica (le luci rutilanti, la paralisi, l'incontro con umanoidi, la componente tecnologica dell'esperienza...) ed altri, invece, alquanto eccentrici (i sedili volanti, la sensazione di essere prosciugati). Sebbene questo caso sia in sé già molto stupefacente, le conseguenze del contatto sono ancora più sbalorditive, soprattutto se correlate ad altri episodi e situazioni. Infatti. da quella notte fatale, Rieder cominciò ad essere ossessionato da un unico scopo: costruire una macchina antigravitazionale le cui caratteristiche gli balenavano nella mente in visioni via via sempre più realistiche e nette. All'inizio gli apparve un triangolo con tre turbine rotanti; in seguito il triangolo si trasformò in una doppia piramide al cui interno vide incorporato un triangolo di silicio. In successive immagini mentali riconobbe che tali cristalli o elementi artificiali equivalenti - stratificati in un parallelepipedo simile ad un accumulatore - in determinate condizioni di oscillazioni esercitavano una forza antigravitazionale.

Rieder ebbe l’intuizione relativa al silicio negli anni in cui cominciarono ad essere ingegnerizzati i microprocessori costruiti con questo elemento. Piccoli cristalli di silicio, in virtù delle oscillazioni a frequenza costante, della conducibilità elettrica e della capacità di emettere impulsi, sono alla base della nostra tecnologia: sono, infatti, integrati nella memoria degli elaboratori.

Altri sono, invece, gli elementi che hanno la proprietà di ridurre l’interazione gravitazionale. Nel campo delle tecnologie antigravitazionali, spicca lo scienziato statunitense Thomas Townsend Brown. Townsend Brown è un ingegnere nato in Ohio nel 1905 e morto nel 1985, in una località denominata Avalon, nell’isola di Catalina, nello stato della California.

Dopo aver frequentato l’università, Townsend Brown lavorò all’interno di vari istituti di ricerca, tra cui il prestigioso Smithsonian Institute. Nel 1933 si arruolò nella marina statunitense, dove rimase fino al 1943, ottenendo il grado di capitano di corvetta. In questo decennio, usò le sue conoscenze per studiare e realizzare un metodo di rilevazione magnetica ed acustica delle mine di profondità. Sino alla fine del 1945 operò come esperto di sistemi radar alla Lockheed corporation. Nel 1951 pubblicò sul Physics observer una ricerca su un'apparecchiatura elettrocinetica che sembra fosse in grado di vincere la forza di gravità. Il congegno aveva l’aspetto di un ombrello con un reticolato metallico cui veniva applicata un’alta carica elettrica (tensione di circa 125.000 volts). Forse grazie a questa sua invenzione, percorse una folgorante (in tutti i sensi) carriera che lo portò al vertice della RAND Corporation, dal 1958 al 1974. In quegli anni questa società costruiva basi sotterranee segrete e sembra fosse coinvolta anche in progetti dell’esercito per il controllo mentale.

Sebbene in una totale e sinistra segretezza, le ricerche avviate da Townsend e da altri sono continuate e continuano in laboratori militari dove si sperimentano velivoli antigravitazionali, forse avvalendosi anche di conoscenze frutto di retroingegneria. Alcuni elementi chimici, fra cui il berillio, l’alluminio, il vanadio, il rame ed il bismuto, possono schermare la gravità, se associati ad un forte campo elettromagnetico. In special modo, il bismuto sembra acquisire un‘importanza di primo piano in collegamento con la superconduzione.


Nota: le fonti del presente articolo saranno indicate in calce all'ultima parte.




Wednesday, December 2, 2009

Peter Pasini: il marchio di un rapito

http://zret.blogspot.com/2009/12/peter-pasini-il-marchio-di-un-rapito.html

Peter Pasini: il marchio di un rapito

Peter Pasini è un tenore lirico australiano abitante nei pressi di Melbourne. Pasini, nel luglio del 1988, (altre fonti indicano il mese di giugno) – secondo il suo racconto – fu rapito da un equipaggio di un U.F.O. Da quella volta i rapimenti si succedettero più volte: in Ufologia i soggetti che vengono sequestrati in più occasioni sono definiti repeaters. Il giovane tenore dichiarò: “Da allora la mia famiglia ed io non abbiamo più avuto pace. Abbiamo traslocato tre volte, ma gli alieni ci seguono.”

Johannes Fiebag ricostruisce le vicissitudini di Pasini nel modo seguente: “Il primo rapimento ebbe luogo a Rosenwood, una piccola località vicina ad Ipwich, nell’Australia meridionale. 'Erano circa le 21 ed io mi trovavo in casa. All’improvviso, sentii un impulso irrefrenabile di uscire all’aperto. Quando guardai giù in strada, vidi un pallone dorato che volava seguendo i binari della ferrovia. Sulle prime pensai si trattasse di un nuovo modello di aereo, ma non faceva alcun rumore. M’incamminai verso di esso. Quello che mi sorprese di più era il senso di pace e di distensione che la luce dell’oggetto mi infondeva. Pur essendo di un chiarore abbagliante, non mi feriva minimamente gli occhi. Mentre me ne stavo lì affascinato da quella luce, apparve una figura umana tutta bianca e lucente come seta, con un’enorme testa, grandi occhi spioventi e bocca sottile come un taglio. Mi guardò, poi tutto sparì intorno a me. La prima cosa di cui mi ricordo ancora dopo questo fatto è che mi trovavo nel giardino di casa'. Ma non è tutto: qualcuno gli versò sulla testa uno strano liquido freddo, una sostanza trasparente e gelatinosa che gli cola giù per le guance. 'In quel momento mi accorsi che, accanto a me, stava inginocchiato mio fratello Gary: anch’egli aveva visto la luce'. Barcollando i due fratelli rientrano in casa e constatano con sorpresa che la loro madre sta dormendo profondamente, visto che dal momento in cui sono usciti di casa, sono trascorse sei ore. 'Quando mi guardai allo specchio del bagno – continua Pasini – scorsi sulla fronte un marchio rosso e circolare che mi faceva un male d’inferno. Avevo anche piccole bolle dietro le orecchie'. Per oltre un anno l’allora sedicenne Peter Pasini trascina la vita tormentata dal ricordo degli inspiegabili casi di quella notte”.

In seguito il giovane decise di consultare un ipnotizzatore: gli tornò alla mente un letto di metallo sul quale era stato adagiato, una fortissima luce bianca ed un umanoide che, preso un cilindro scuro, glielo aveva puntato contro. L’ufonauta inserì il cilindro nell’orecchio sinistro dell’adolescente che perse i sensi. Quando si destò, Peter era seduto davanti ad una finestra circolare da cui potè ammirare un cielo punteggiato di stelle.

Il caso di Peter Pasini snocciola il repertorio classico delle abductions: bagliori corruschi, esami medici a bordo di un’astronave, cicatrici e soprattutto la raggelante paura. Un aspetto concernente l’esperienza di Pasini merita di essere approfondito: il marchio sulla fronte che, insieme con l’innesto probabilmente introdotto nel malcapitato (si ricordi lo strumento a forma di tubo diretto nell’orecchio sinistro), testimonia che il vissuto ha un fondamento nella “realtà” fisica. In altri casi, infatti, si può ritenere che le esperienze dei rapiti si situino in una dimensione mentale, benché sia arduo indicare il confine (se tale confine veramente esiste) tra piano concreto e sfera psichica. Non si può neppure essere sicuri che Pasini incontrò degli extraterrestri, giacché, come è stato ipotizzato dai ricercatori Lammer e Boylan, falsi scenari di abduction possono essere creati dai militari, somministrando droghe e per mezzo di sofisticate tecnologie.

Pasini si convinse che gli era stato impiantato un microprocessore cerebrale: in effetti, pur avendo cambiato casa più volte, i suoi persecutori riuscirono a rintracciarlo anche nelle nuove abitazioni, forse grazie all’innesto miniaturizzato che consentiva loro di localizzare la vittima. Se gli impianti hanno solo questa funzione… [1]

[1] Nel 1990 Pasini fu protagonista di un avvistamento: mentre stava osservando il pianeta Venere che sorgeva ad oriente, vide un oggetto sigariforme e con una luce rossa pulsante. Il velivolo si librò per scomparire nel cielo notturno. Cinque minuti dopo, l’uomo scorse una nube scura nella direzione in cui l'ordigno era apparso.


Fonti:

J. Fiebag, Gli Alieni, Roma, 1994
R. Malini, U.F.O., il dizionario enciclopedico, Firenze-Milano, 2003, s.v. Pasini Peter
Research digest dell'UFORA, a cura di Keith Basterfileld, 1990




Saturday, November 28, 2009

Res

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Res

Johannes Fiebag, geologo ed ufologo tedesco, purtroppo scomparso prematuramente, in un celebre saggio dedicato agli Altri, amplia l'orizzonte dell'investigazione, ponendosi domande che esulano dai confini dell'Ufologia. Nel capitolo conclusivo, infatti, si chiede: "In che misura è reale la nostra realtà? Quant'è effettiva la nostra oggettività?" Sarebbe auspicabile un approccio a questi basilari problemi, scevro di dogmi sia scientifici sia religiosi, come quello con cui Fiebag tenta di sondare l'insondabile. Sfortunatamente la "scienza" dominante è talmente ottusa da rifiutare di porre tra parentesi le sue granitiche certezze sul mondo: un'indagine spassionata ed avventurosa diventa così impossibile.

Fiebag osserva che la realtà è piena di fratture oltre che autocontraddittoria: "Nel mondo dell'infinitamente piccolo e nel mondo dei quanti la nostra percezione della realtà fallisce totalmente. Il fisico Werner Heisenberg scrisse un giorno: 'Negli esperimenti che compiamo sugli stati atomici ci troviamo di fronte a cose, apparizioni che sono altrettanto reali come lo sono i più comuni oggetti che usiamo e troviamo nella vita di tutti i giorni. Gli atomi e le particelle stesse tuttavia non sono altrettanto reali, cioè non lo sono allo stesso modo, perché formano il mondo delle potenzialità e non quello delle cose tangibili... Gli atomi non sono cose.''

Fiebag si chiede: "Come è possibile costruire qualcosa di concreto, oggettivo e tangibile su qualcosa che consiste solo di potenzialità; dove, in che punto si oltrepassa il confine tra irrealtà e realtà?" E' un quesito gordiano cui se ne potrebbe aggiungere almeno un altro: perché la possibilità si trasforma in atto? Il reale come ridondanza.

Alcuni scienziati sostengono che le già fantomatiche, sfuggenti particelle subatomiche non sono "cose", ma processi, probabilità. Camminiamo su un filo in bilico tra il vuoto ed il nulla. Ci manca la terra sotto i piedi. Il cosmo è il risultato di illusioni percettive e di abitudini: se solo premessimo l'interruttore, l'universo, con tutte le sue immense galassie, le scintillanti stelle, i pianeti, i buchi neri..., sparirebbe in un attimo. La notte, quando sprofondiamo nell'abisso del sonno senza sogni, il mondo si eclissa ed un nulla infinito ci inghiotte. Eppure questa stessa realtà labile ed inconsistente, simile ad un edificio senza fondamenta, è dura, ostica, condensata in dimensioni spazio-temporali prive di sbocchi.

E' possibile che l'esistenza di ciascuno di noi sia un bit generato da un programma, un pensiero che affiora dalla Mente, un'idea effimera come un'onda che emerge dalla superficie dall'oceano per poi rifluirvi. Siamo ombre che le tenebre cancellano. Niente esiste, se non come proiezione mentale? Se è così, perché il mondo appare tanto "oggettivo", "effettuale"? Non solo, perché il mondo è tanto lacerato, straziato dalle sofferenze nella carne e nel sangue?

A questo punto ci dobbiamo anche domandare se sia più "oggettiva" e plausibile la visione del mondo per opera degli uomini o quella di intelligenze esterne o degli stessi animali. Un radicato antropocentrismo ed un inestirpabile geocentrismo ci inducono a ritenere che, per quanto parziale, la storia e la scienza umane siano i metri di giudizio privilegiati. Se, invece, la cognizione del cosmo conseguita dagli Altri fosse superiore? Le prospettive sono numerose: l'immagine si moltiplica, si sfaccetta, si scompone, simile al raggio di luce che attraversa un prisma. E' un'immagine del tutto fallace che riteniamo solida. Se è così, chi e perché ha creato questa scenografia di cartapesta? Si è persino tentati di congetturare che ogni nostro pensiero, sensazione gradevole o dolorosa siano risposte programmate ab initio da un'Intelligenza cosmica per fini che sono e restano del tutto oscuri.

Il libero arbitrio è un algoritmo. I dati di programmazione sono immessi nell'esistenza. La realtà tende a raggelarsi in algide formule, in matrici, come l'ispirazione creativa ghiaccia nelle opere di Bernar Venet.

Resta la fredda presenza del nulla con tutti i suoi irrazionali e travagliati parti. Il nodo non si può sciogliere. I muri sono saldi ed impenetrabili, anche se non esistono.




Monday, November 23, 2009

John Hodges ed "i cervelli alieni"

http://zret.blogspot.com/2009/11/john-hodges-ed-i-cervelli-alieni.html

John Hodges ed "i cervelli alieni"

Nel pregevole saggio di Johannes Fiebag, Gli Alieni (il titolo originale in tedesco è un molto più evocativo Die Anderen, ossia Gli Altri), l'autore, geologo ed ufologo scomparso prematuramente, riporta il singolare caso di John Hodges.

"Nell'agosto del 1971 - scrive Johannes Fiebag - John Hodges ed il suo amico Peter Rodriguez stanno tornando in auto da una visita ad un amico comune che abita a Daple Grey Lane, presso Los Angeles. Ad un certo punto scorgono ai bordi della strada due silhouettes che, a mano a mano che si avvicinano, si rivelano essere due "cervelli viventi". Hodges, che era alla guida dell'automobile, preso dalla paura, li supera a grande velocità, ansioso di riportare a casa l'amico. Quando a sua volta ritorna a casa, si accorge di aver impiegato ben due ore più del solito a percorrere il tragitto.

In seguito si fa ipnotizzare e, sotto ipnosi, rivela di aver incontrato i "cervelli viventi" anche al ritorno e che essi lo hanno condotto a bordo di un U.F.O. atterrato lì vicino, dove lo attendevano i componenti dell'equipaggio, umanoidi che lo hanno sottoposto a visita medica. Gli furono trasmesse anche visioni dell'imminente fine del mondo che avverrebbe a causa di una terza guerra mondiale."


Comunicazioni simili di presunta matrice aliena circa un conflitto planetario con l'uso di armi nucleari non sono una novità. In occasione di altri incontri ravvicinati del terzo tipo, ai rapiti sono state mostrate immagini olografiche. A hodeges fu preannunciato che la guerra sarebbe scoppiata nel 1983 nel Medio Oriente da dove sarebbe poi dilagata in Europa. Dopodichè gli extraterrestri si sarebbero manifestati all'umanità. La “profezia” fortunatamente non si è adempiuta, almeno per il 1983.

Altri testi aggiungono interessanti particolari circa l'esperienza vissuta da Hodges: gli encefali viventi, di colore blue, erano circondati da una lugubre nebbiolina. Inoltre mentre il viaggio fino a casa avrebbe richiesto venti minuti, Hodges, partito da Daple Lane Gray alle due di notte rincasò alle 4:30. Gli umanoidi erano degli esseri dalla pelle grigia ed alti sette piedi, con estremità palmate. Gli ufonauti spiegarono a Hodges che i cervelli erano dispositivi di traduzione (?) che consentivano di comunicare con gli uomini. Hodges si convinse che gli alieni gli avevano inserito un impianto per mantenersi in contatto con lui. Egli ritenne che migliaia di altre persone avessero innesti simili.

Il vissuto di Hodges presenta dei tratti che anticipano resoconti posteriori: la presenza dei Grigi, le visioni apocalittiche olografiche, i microprocessori cerebrali. E' un repertorio di situazioni non di rado inquietanti e che sfidano modelli interpretativi consueti. Circa i "cervelli viventi", Roberto Malini annota: "Si tratta di una particolare tipologia di alieni osservati in rare occasioni e sempre da soggetti fortemente emotivi". Non so quanto c'entri l'emotività nell'incontro con gli Altri...

Fonti:

A. Baker, Encyclopaedia of Alien Encounters, pp. 184-185
J. Fiebag, Gli Alieni, Roma, 1993, p. 34
R. Malini, UFO, il dizionario enciclopedico, Firenze, Milano, 2003, s.v. cervelli viventi
J. Spencer, U.F.O.: The Definitive Casebook, pp. 56-57





Saturday, November 21, 2009

Un U.F.O. in un'opera raffigurante San Benedetto?

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Un U.F.O. in un'opera raffigurante San Benedetto?

Cosmas Damian Asam (1686-1739) è un pittore ed architetto bavarese, interprete del gusto Rococò. Egli lavorò con il fratello Edguin (Egid Qurin) e fu l'iniziatore di una dinastia di architetti in Germania, tra cui Josef e Sebastian.

All'interno della chiesa annessa al Convento benedettino di Weltenburg, presso Kehlheim, Damian dipinse molte opere di ispirazione devozionale, tra cui “La visione di San Benedetto”. La tavola ad olio, risalente al 1734, raffigura San Benedetto che volge lo sguardo al cielo. Il santo, che indossa il saio dell'ordine, la mano sinistta con il dorso poggiato sul Vangelo e la destra sul cuore a sfiorare la cordicella cui è appeso il crocefisso, è assorto in una visione mistica. San Benedetto, dalla barba fluente e con l'aureola che, a mo' di anello, è sospesa sul capo, è rappresentato in una cornice di angeli avvolti da nubi grigie con sfumature glauche. Sulla sinistra, a sottolineare la postura eretta del santo, si innalza un pilastro scanalato.

Nel quadro prevalgono colori terrosi, appena lumeggiati dai bagliori cerulei sul panno drappeggiato sul quale è collocato il Vangelo, e dalla raggiera di luce che proviene dall'alto. In alto, a destra, si scorge un oggetto scuro, di forma sferica da cui si irradiano dei fasci luminosi verso la terra. L'oggetto, secondo il geologo ed ufologo tedesco Johannes Fiebag, non è né il Sole né la Luna, ma pare avere le sembianze di un disco volante, il cui volume è suggerito mediante una sapiente gradazione di ombreggiature.

Roberta J. M. Olson and Jay Pasachoff hanno ipotizzato che Asam immortalò un’eclissi totale di Sole con tanto di corona. E’ possibile, come non si può del tutto escludere che l'artista tedesco raffigurò un oggetto volante non identificato.

Non è l'unico dipinto, quello in esame, che si può spiegare in chiave clipeologica, sebbene ad un'attenta disamina, molte opere antiche, medievali e moderne, generalmente guardate come indizi di contatti con gli extraterrestri, rivelino particolari solo all'apparenza singolari, poiché riconducibili a motivi iconografici noti o ad aspetti del paesaggio del tutto naturali. Resta tuttavia un pur esiguo novero di quadri ed affreschi in cui si possono enucleare oggetti anacronistici o misteriosi, la cui interpretazione si collega, di solito, ad incontri ravvicinati del terzo tipo. Forse “La visione di San Benedetto” appartiene a questo novero.

Fonti:

AA.VV. Dizionario universale dell'arte e degli artisti, Milano, 1970
Andrew, St. Benedict and the diamond ring effect, 2008
J. Fiebag, Gli alieni, Roma, 1994