Lo specchio del destino
"Scheggia nella carne" (o "spina" o "pungolo") è l'icastica espressione paolina con cui il filosofo Soren Kierkegaard alluse ad un male oscuro che lo torturò. Come spesso avviene, molti studiosi si sono accaniti per individuare il preciso motivo esistenziale di questa lacerazione, di solito riferendosi alla rottura del fidanzamento con Regine Olsen. E' il consueto appiattimento della filosofia in biografismo. Eppure è l'esistenza in sé (ex-sistenza, ossia apertura verso l'angoscia delle possibilità, la disperazione di fronte all'incognito nonché estromissione dall'essere) a costituire questa scheggia conficcata nel corpo e nell'anima. E' l'esperienza interiore del singolo che, se uomo, beve il calice dell'incomprensibile (benché relativo) sino all'ultima goccia. [1]
Avviene talora che un'improvvisa caduta in un baratro lasci intravedere, dal fondo cupo dell'abisso, il fulgore accecante di una stella: è quanto accadde a Nietzsche, quando introiettò la coscienza della morte di Dio. La morte di Dio non è solo la consapevolezza che le credenze ed i valori tradizionali si sono per sempre eclissati, poiché è la desolante visione del deserto, una volta che si è schiacciati dal peso insostenibile dell'irrazionalità. [2]
E' quanto accadde a Kierkegaard. Con conseguenze simili, anche se sotto un altro cielo, egli dovette soffrire della straziante ferita che non si rimargina. L'aver abbandonato l’astratto e falsamente luminoso Empireo hegeliano per tornare, esule tra la moltitudine, fra gli antri scuri dell'esistere è testimonianza di fedeltà al proprio cuore. L'esistenza è il cuore dell'universo e non la rassicurante dialettica degli opposti che non si oppongono. La vita e la fede sono paradosso: è impossibile aderire a qualsiasi religione positiva, a qualsiasi chiesa-istituzione che pretendono di conciliare l'inconciliabile, di ridurre l'irriducibile in formule "chiare e distinte".
L'alterità ontologica, la distanza incommensurabile tra l'uomo e l'Assoluto implicano un salto disperante, come quello di colui al quale, inseguito da una belva e, senza più vie di fuga, restasse una sola speranza di salvezza: lanciarsi nel vuoto del dirupo innanzi a sé. [3] L'innumerabilità delle scelte fa franare il terreno sotto i piedi. L'incessante movimento delle possibilità genera la paralisi e la stessa libertà umana pare affissarsi nel freddo specchio del destino.
[1] Per Pietro Prini l'acribia dei biografi nel tentativo di individuare la natura di questo dolore kierkegaardiano, nell'ambito di una patologia fisiologica o psichica, non tiene conto del punto più importante della questione. Non era, infatti, la natura del male che poteva costituire una chiave interpretativa del "segreto" di Kierkegaard, ma piuttosto il suo comportamento religioso di fronte ad esso, la sua interpretazione teologico-esistenziale del proprio destino stigmatizzato da quella dolorosa eccezione. Questa "palla di piombo sulle ali" era segnata per lui da un carattere religioso, il senso le derivava dall'essere una realtà cristiana.
[2] Sebbene alcuni interpreti abbiano tentato di dimostrare che la nietzchiana "morte di Dio" non implica la negazione del Creatore, mi pare che non si possa disconoscere che il pensatore tedesco fu ateo.
[3] Si pensi a come è oggi decaduta la riflessione teologica, dimentica della differenza ontologica e della scissione creaturale, là dove Dio è ricondotto ad energia elettromagnetica et similia. Dio è stato trasformato in un cellulare: ironico e conforme approdo per un'umanità che vede nel cellulare un dio.
Avviene talora che un'improvvisa caduta in un baratro lasci intravedere, dal fondo cupo dell'abisso, il fulgore accecante di una stella: è quanto accadde a Nietzsche, quando introiettò la coscienza della morte di Dio. La morte di Dio non è solo la consapevolezza che le credenze ed i valori tradizionali si sono per sempre eclissati, poiché è la desolante visione del deserto, una volta che si è schiacciati dal peso insostenibile dell'irrazionalità. [2]
E' quanto accadde a Kierkegaard. Con conseguenze simili, anche se sotto un altro cielo, egli dovette soffrire della straziante ferita che non si rimargina. L'aver abbandonato l’astratto e falsamente luminoso Empireo hegeliano per tornare, esule tra la moltitudine, fra gli antri scuri dell'esistere è testimonianza di fedeltà al proprio cuore. L'esistenza è il cuore dell'universo e non la rassicurante dialettica degli opposti che non si oppongono. La vita e la fede sono paradosso: è impossibile aderire a qualsiasi religione positiva, a qualsiasi chiesa-istituzione che pretendono di conciliare l'inconciliabile, di ridurre l'irriducibile in formule "chiare e distinte".
L'alterità ontologica, la distanza incommensurabile tra l'uomo e l'Assoluto implicano un salto disperante, come quello di colui al quale, inseguito da una belva e, senza più vie di fuga, restasse una sola speranza di salvezza: lanciarsi nel vuoto del dirupo innanzi a sé. [3] L'innumerabilità delle scelte fa franare il terreno sotto i piedi. L'incessante movimento delle possibilità genera la paralisi e la stessa libertà umana pare affissarsi nel freddo specchio del destino.
[1] Per Pietro Prini l'acribia dei biografi nel tentativo di individuare la natura di questo dolore kierkegaardiano, nell'ambito di una patologia fisiologica o psichica, non tiene conto del punto più importante della questione. Non era, infatti, la natura del male che poteva costituire una chiave interpretativa del "segreto" di Kierkegaard, ma piuttosto il suo comportamento religioso di fronte ad esso, la sua interpretazione teologico-esistenziale del proprio destino stigmatizzato da quella dolorosa eccezione. Questa "palla di piombo sulle ali" era segnata per lui da un carattere religioso, il senso le derivava dall'essere una realtà cristiana.
[2] Sebbene alcuni interpreti abbiano tentato di dimostrare che la nietzchiana "morte di Dio" non implica la negazione del Creatore, mi pare che non si possa disconoscere che il pensatore tedesco fu ateo.
[3] Si pensi a come è oggi decaduta la riflessione teologica, dimentica della differenza ontologica e della scissione creaturale, là dove Dio è ricondotto ad energia elettromagnetica et similia. Dio è stato trasformato in un cellulare: ironico e conforme approdo per un'umanità che vede nel cellulare un dio.
Che triste che sei zret di tuo ci saranno tre righe il resto è copiato notate il paragrafo al richiamo [1] è opera di copia e incolla da qui
ReplyDeletehttp://wapedia.mobi/it/S%C3%B8ren_Kierkegaard?t=4.
e in giro per il web cè il resto .........
che triste................................
"Scheggia nella carne" (o "spina" o "pungolo") è l'icastica espressione paolina con cui il filosofo Soren Kierkegaard alluse ad un male oscuro che lo torturò.
ReplyDeleteOuting? Dopo Michelstaedter adesso Kierkegaard? E quale sarà il prossimo? Pavese?
zret, senza alcuno scherzo, seriamente: fatti aumentare gli antidepressivi, credo tu ne abbia tanto bisogno.
Io avrei preferito un'espressione come "a pain in tha ass", si adatta meglio al personaggio :D
ReplyDeleteSaluti
Michele
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ReplyDeleteAntonio rimpiange di non poter tenere specchi a casa sua. Se ci fossero, lui e al fratello verrebbe un colpo apoplettico se dovessero vedere la propria immagine riflessa ...
ReplyDeleteSpecchio, specchio delle mie brame chi e' il piu' brutto del terrazzino ?
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