http://zret.blogspot.com/2011/03/che-forse-non-saprono-piu.html
Che forse non s'aprono più?
(Tintinni a invisibili porte/ che forse non s’aprono più?...): sono questi due versi del celebre componimento di Giovanni Pascoli, intitolato “L’assiuolo” e tratto da “Myricae”. Purtroppo l’interpretazione corrente di questi versi, pur non del tutto erronea, è epidermica: si suole ripetere che “le porte che forse non s'aprono più" sono il confine tra la vita e l’aldilà, ad esprimere un’ormai vacillante fede in un’esperienza ultraterrena. Tale esegesi è, però, parziale ed un po’ decentrata. L’autore si interroga su porte che non si possono forse più disserrare: ora è evidente che gli uomini continuano a morire sicché il senso profondo della domanda è differente. Il poeta cerca di comprendere per quale motivo non si riesca più a percepire i regni invisibili, superando il limitare tra la dimensione empirica, in cui è confinata “la nostra povera ragione”, e le sfere di una realtà ulteriore.
Pascoli fu l’ultimo (o uno degli ultimi?) esponente di una linea artistica che fu tracciata in un solco esoterico. Ne ebbe probabilmente una consapevolezza limitata e nebulosa, ma ancora suscettibile di disseminare tracce di un sapere quasi del tutto perduto. Tra questi indizi si può annoverare la coscienza che il mondo non è circoscritto all’”oggettività” fenomenica esperita dai cinque sensi. E’ una coscienza crepuscolare e confusa che si manifesta in dubbi ed interrogazioni, in sospesi silenzi ed in suoni perplessi. Così lo scrittore, pur non accedendo a piani metafisici, non rinuncia a cercare interstizi in cui la nostra angusta dimensione lascia intravedere barlumi di altri livelli. All’interno della suggestiva poesia, l’evocazione dei riti celebrati in onore di Iside, tramite la metonimia dei sistri dai suoni argentei, è la sfocata reminiscenza di orizzonti immateriali.
Veramente oggi siamo ottusi e ciechi: concentriamo la nostra attenzione sulla materia tangibile, ma ci disinteressiamo di ciò che non percepiamo. Addirittura se ne nega, in modo scientista, l’esistenza. Tutti sanno che un’arma da fuoco causa ferite più o meno gravi o persino la morte, ma quali ferite provocano un pensiero malevolo, uno sguardo invidioso, una parola ingiuriosa o iniqua! Sono lesioni invisibili, ma non meno dolorose e traumatiche di quelle che piagano il corpo.
Si afferma che alcuni bambini e sensitivi sono in grado di vedere l’aura: se tutti potessero scorgerla, resterebbero esterrefatti di fronte alle volute di grigi stagnanti che avvolgono molte persone. Ci percepiremmo agglutinati in una gelatina graveolente.
Vice versa, se vedessimo quali riverberi adamantini e quali colori briosi si sprigionano da un abbraccio, da un sorriso o da una frase di sincera solidarietà, se vedessimo la luce profumata che si irradia dall’anima, capiremmo che in una pupilla può nascere un sole.
Pascoli fu l’ultimo (o uno degli ultimi?) esponente di una linea artistica che fu tracciata in un solco esoterico. Ne ebbe probabilmente una consapevolezza limitata e nebulosa, ma ancora suscettibile di disseminare tracce di un sapere quasi del tutto perduto. Tra questi indizi si può annoverare la coscienza che il mondo non è circoscritto all’”oggettività” fenomenica esperita dai cinque sensi. E’ una coscienza crepuscolare e confusa che si manifesta in dubbi ed interrogazioni, in sospesi silenzi ed in suoni perplessi. Così lo scrittore, pur non accedendo a piani metafisici, non rinuncia a cercare interstizi in cui la nostra angusta dimensione lascia intravedere barlumi di altri livelli. All’interno della suggestiva poesia, l’evocazione dei riti celebrati in onore di Iside, tramite la metonimia dei sistri dai suoni argentei, è la sfocata reminiscenza di orizzonti immateriali.
Veramente oggi siamo ottusi e ciechi: concentriamo la nostra attenzione sulla materia tangibile, ma ci disinteressiamo di ciò che non percepiamo. Addirittura se ne nega, in modo scientista, l’esistenza. Tutti sanno che un’arma da fuoco causa ferite più o meno gravi o persino la morte, ma quali ferite provocano un pensiero malevolo, uno sguardo invidioso, una parola ingiuriosa o iniqua! Sono lesioni invisibili, ma non meno dolorose e traumatiche di quelle che piagano il corpo.
Si afferma che alcuni bambini e sensitivi sono in grado di vedere l’aura: se tutti potessero scorgerla, resterebbero esterrefatti di fronte alle volute di grigi stagnanti che avvolgono molte persone. Ci percepiremmo agglutinati in una gelatina graveolente.
Vice versa, se vedessimo quali riverberi adamantini e quali colori briosi si sprigionano da un abbraccio, da un sorriso o da una frase di sincera solidarietà, se vedessimo la luce profumata che si irradia dall’anima, capiremmo che in una pupilla può nascere un sole.
Della serie: "te ne sei dimenticata una, professò cogliò"
ReplyDeleteLabels: Anima, Attualità Riflessioni, aura, culti misterici, Dimensioni invisibili, Giovanni Pascoli, Iside, L'assiuolo, Letteratura, Myricae, portali, IMMANI TROIATE
ilpeyote diciamo le cose come stanno