http://zret.blogspot.com/2009/05/avventura-deserta.html
Avventura deserta
"Avventura deserta" è un racconto di Massimo Bontempelli (Como, 1878- Roma, 1960). Tratto dalla raccolta "Miracoli", l'autore nel breve testo narra un'avventura prodigiosa. Il protagonista attraversa il deserto, allorquando scorge in lontananza un leone "dall'aria tranquilla e malinconica". Dopo alcuni minuti, l'io narrante si imbatte in un angelo: Era molto più alto di me: bellissimo e dritto, con le ali grandi piegate lungo il corpo e tutta la persona raggiava. Scambiate poche parole con la creatura, i due procedono verso il leone. L'angelo ed il felino, camminando l'uno a fianco dell'altro, parlano per lunga pezza. Dopodichè, mentre il leone si allontana, l'angelo sorride, apre le grandi ali, si solleva e, lasciando una scia lunga d'azzurro nell'aria, sparisce nel cielo. Il protagonista, infine, la cui "anima è piena di luce e di malinconia", si ritrova solo nel deserto.
E' questa l'esile trama di una storia che non racconta, di un miracolo pieno di meraviglia. Bontempelli descrive un'avventura magica, affidando l'evocazione del soprannaturale ai simboli, preziosi scrigni di sogni. Sono emblemi un po' prevedibili, ma avvivati dalla sapiente prosa del narratore che lumeggia con tocchi delicati ed eleganti lo spazio, le figure e le atmosfere sospese.
Così è dipinto il luogo in cui è ambientata la vicenda: “Tutta la superficie del piano era fasciata d'una vertigine luminosa, lo spazio fino al cielo era immoto rovente. La terra era una sterminata vegetazione di tremolii lucidi... Lentamente quella lucidità fluida, sotto l'afa sabbiosa dell'aria, si dissolveva ai miei occhi in una vivida nebbia di diamante". La riflessione è specchiata nelle seguenti parole: "Io non ho mai saputo che cosa il leone del deserto e l'arcangelo del cielo dicessero di me; non ho mai avuto curiosità di indovinarlo e nemmeno l'avevo in quel punto. Io non pensavo nulla, tra le solitudini ardenti del cielo e della terra, mentre lo sterminato mi circondava da ogni parte e le diafane vampe dell'aria e della sabbia mi avviluppavano".
Lo stile adamantino contrasta con l'indeterminatezza, il movimento centrifugo dei significati: il leone, che, per la solenne regalità, ricorda i quadri rinascimentali in cui è effigiato S. Girolamo nel suo studio, e l'arcangelo non sono personaggi, ma presenze. Paradossalmente il deserto da luogo della solitudine eremitica e del silenzio, diviene la dimensione dell'incontro con esseri di altre realtà. Il vuoto abbacinante si riempie della luce infinita che si scheggia, in miriadi di faville, dal diamante della Natura. Viene in mente la differenza che intercorre in inglese tra "loneliness" e "solitude": "loneliness" è l'isolamento, una condizione subìta e tormentosa di abbandono, di rescissione dal senso, dagli altri dal Sé; "solitude" è il quieto ritiro, la distanza dall'inautenticità, l'oasi del silenzio tramato di echi immateriali. L'avventura del protagonista è propiziata dal suo cammino solitario tra i colli di arena. Nella sua enigmaticità, il racconto di Bontempelli lascia intendere che non tutto può essere compreso (il dialogo fitto tra il leone e l'angelo di cui il protagonista non conosce il contenuto né vuole indovinarlo). Il mistero della propria anima è sacro sicché è bene che non si cerchi di accedere, se non si è puri, nei penetrali del Tempio.
Ancora Bontempelli immagina un'epifania che è uno strappo nel velo opaco delle cose: è evento rarissimo di cui ci pare a volte di intravedere l'ombra trasparente dietro il sipario dei fenomeni. Di solito accade quando camminiamo (prodigi ed intuizioni si donano all'uomo che è in cammino anche in senso letterale; Nietzsche l'aveva capito): allora per un istante avvertiamo che altri esseri camminano con noi, solleciti e silenziosi. Dissolto quell'istante, durante il quale avevamo rallentato un po' l'andatura, poiché sfiorati da un soffio di ali, studiamo il passo, ma il cuore è pervaso della luce malinconica del crepuscolo.
E' questa l'esile trama di una storia che non racconta, di un miracolo pieno di meraviglia. Bontempelli descrive un'avventura magica, affidando l'evocazione del soprannaturale ai simboli, preziosi scrigni di sogni. Sono emblemi un po' prevedibili, ma avvivati dalla sapiente prosa del narratore che lumeggia con tocchi delicati ed eleganti lo spazio, le figure e le atmosfere sospese.
Così è dipinto il luogo in cui è ambientata la vicenda: “Tutta la superficie del piano era fasciata d'una vertigine luminosa, lo spazio fino al cielo era immoto rovente. La terra era una sterminata vegetazione di tremolii lucidi... Lentamente quella lucidità fluida, sotto l'afa sabbiosa dell'aria, si dissolveva ai miei occhi in una vivida nebbia di diamante". La riflessione è specchiata nelle seguenti parole: "Io non ho mai saputo che cosa il leone del deserto e l'arcangelo del cielo dicessero di me; non ho mai avuto curiosità di indovinarlo e nemmeno l'avevo in quel punto. Io non pensavo nulla, tra le solitudini ardenti del cielo e della terra, mentre lo sterminato mi circondava da ogni parte e le diafane vampe dell'aria e della sabbia mi avviluppavano".
Lo stile adamantino contrasta con l'indeterminatezza, il movimento centrifugo dei significati: il leone, che, per la solenne regalità, ricorda i quadri rinascimentali in cui è effigiato S. Girolamo nel suo studio, e l'arcangelo non sono personaggi, ma presenze. Paradossalmente il deserto da luogo della solitudine eremitica e del silenzio, diviene la dimensione dell'incontro con esseri di altre realtà. Il vuoto abbacinante si riempie della luce infinita che si scheggia, in miriadi di faville, dal diamante della Natura. Viene in mente la differenza che intercorre in inglese tra "loneliness" e "solitude": "loneliness" è l'isolamento, una condizione subìta e tormentosa di abbandono, di rescissione dal senso, dagli altri dal Sé; "solitude" è il quieto ritiro, la distanza dall'inautenticità, l'oasi del silenzio tramato di echi immateriali. L'avventura del protagonista è propiziata dal suo cammino solitario tra i colli di arena. Nella sua enigmaticità, il racconto di Bontempelli lascia intendere che non tutto può essere compreso (il dialogo fitto tra il leone e l'angelo di cui il protagonista non conosce il contenuto né vuole indovinarlo). Il mistero della propria anima è sacro sicché è bene che non si cerchi di accedere, se non si è puri, nei penetrali del Tempio.
Ancora Bontempelli immagina un'epifania che è uno strappo nel velo opaco delle cose: è evento rarissimo di cui ci pare a volte di intravedere l'ombra trasparente dietro il sipario dei fenomeni. Di solito accade quando camminiamo (prodigi ed intuizioni si donano all'uomo che è in cammino anche in senso letterale; Nietzsche l'aveva capito): allora per un istante avvertiamo che altri esseri camminano con noi, solleciti e silenziosi. Dissolto quell'istante, durante il quale avevamo rallentato un po' l'andatura, poiché sfiorati da un soffio di ali, studiamo il passo, ma il cuore è pervaso della luce malinconica del crepuscolo.
giuro che se si sforza a fare gli articoli così corti fra due o trecento anni comincio a leggerne almeno i titoli
ReplyDeletea professore dei miei stivali!!
Letto tutto, ma velocemente.
ReplyDeleteHo da sempre una mia personale opinione su o'professore. Più che altro una sorta di rimpianto perchè sembra uno capace. In questo caso addirittura mi è sembrato piacevole da leggere. Se solo non si fosse fatto trascinare dalle idiozie di suo fratello...
Ho da sempre una mia personale opinione su o'professore. Più che altro una sorta di rimpianto perchè sembra uno capace. In questo caso addirittura mi è sembrato piacevole da leggere. Se solo non si fosse fatto trascinare dalle idiozie di suo fratello... Quoto.
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