http://ilsole24h.blogspot.com/2010/10/una-minaccia-su-scala-globale.html
Una minaccia su scala globale
Sotto il vulcano.
Il sindaco Iervolino fa i conti con i Campi Flegrei
25 Ottobre 2010
http://www.newsweek.com/2010/10/20/should-scientists-probe-the-massive-volcano-under-naples.html#
I Campi Flegrei, conosciuti anche come “campi ardenti”, si trovano in un tratto dell’Italia meridionale. Secondo la mitologia greca sono il luogo in cui Efesto, dio del fuoco, stabilì la sua dimora ed anche il posto in cui un'epica battaglia fra i Titani e le più potenti divinità del mondo intero fece tremare la Terra. Gli antichi Romani, poi, credevano che si trattasse dell’entrata dell’Ade, nascosta sotto un pacifico lago.
Migliaia di anni dopo, il sito è ancora assoggettato a forze epiche, ma si tratta di una storia più scientifica che mitologica. La terra su cui sono fioriti piccoli paesi di pescatori vicino a Napoli è sottoposta a un costante e lento movimento a causa dell’attività vulcanica che esiste negli strati profondi della superficie terrestre. A Pozzuoli, una città a nord del capoluogo campano, le mura dei villaggi di terracotta stanno pian piano crollando. La terra si è sollevata ed abbassata di oltre 3 metri solo nell’ultimo decennio, distruggendo strade, un ospedale e migliaia di case. Scosse di lieve intensità sono quotidiane. Nei sobborghi della città, aree di fango bollente e spettacolari gettiti di solfuro, detti "Solfatare", ricordano di continuo che Napoli è situata nella "caldera", o calderone, di uno dei vulcani più pericolosi al mondo.
E mentre il leggendario Vesuvio viene considerato la minaccia più conosciuta per la città partenopea e i suoi 4 milioni di residenti, i Campi Flegrei, che si allungano sotto la baia delle isole di Capri e Ischia, in realtà sminuiscono il Vesuvio sia per dimensioni che per il pericolo potenziale. Giuseppe De Natale, capo del dipartimento di ricerca dell’Osservatorio Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ritiene che la caldera dei Campi Flegrei, formata da numerosi crateri, è un “supervulcano” con una potenzialità di eruzione capace di interessare non solo la zona più immediata ma anche l’intero pianeta.
De Natale guida un gruppo di esperti di vulcanologia provenienti da 18 Paesi in un progetto che ha l’obiettivo di trivellare la zona sottostante alla caldera per scoprire quanto imminente sia la minaccia. Il loro è uno dei maggiori progetti di perforazione nella storia della ricerca vulcanologica ed è uno studio che De Natale considera vitale per scoprire la magnitudine del pericoloso gigante sommerso.
A differenza dell’eruzione alquanto modesta del vulcano islandese Eyjafjallajökull nella primavera del 2010, il risveglio dei Campi Flegrei andrebbe molto al di là dell’immaginazione umana. L’ultima volta che sono stati attivi risale al 1538, quando uccisero dozzine di persone dando poi vita al Monte Nuovo, un massiccio alto 457 metri. L’eruzione che avvenne in questa zona più di 39mila anni fa ha avuto lo stesso effetto della caduta di un meteorite: essa creò, infatti, una depressione lunga quasi 13 chilometri che ora forma la caldera.
“L’eruzione dei Campi Flegrei potrebbero generare catastrofi in tutto il mondo”, afferma De Natale. “Se il vulcano dovesse risvegliarsi, sarebbe davvero una calamità completa su scala globale, con milioni di persone morte, forti cambiamenti climatici, forse persino una breve era glaciale, e per secoli anche la contaminazione di numerose centinaia di migliaia di chilometri quadrati in Europa”.
Il progetto ha fatto sviluppare un dibattito scientifico e filosofico in un Paese in cui l’idea di un vulcano che potrebbe seppellire una città è molto di più di un mito. Si dovrebbe dare retta ai segnali che provengono dal sottosuolo e usare la scienza per valutare il pericolo, anche aiutando Napoli ad evitare una tragedia come quella di Pompei? O è meglio non tentare la sorte nel trivellare l’immenso calderone vulcanico per paura che questo lavoro possa alterare una strana combinazione di fortuna e geologia che ha tenuto al riparo la città per migliaia di anni? Il conflitto è traboccato e ha portato il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, a ritardare l’avvio del progetto e ad organizzare un incontro a Roma per determinare se andare avanti con lo studio è sicuro.
Da un lato c’è l’autorevole e suadente De Natale, che parla dei vulcani come se fossero esseri umani e sostiene che l'innalzamento e l'abbassamento del suolo tutto intorno a Napoli sia un precursore di un evento vulcanico maggiore e, quindi, che la sua esplorazione è essenziale per la sopravvivenza della popolazione in questa regione dell’Italia. D’altro canto, ci sono esperti che ritengono che il progetto di trivellamento possa compromettere l’integrità della caldera dando il via ad una potenziale catena mortale di eventi. Benedetto De Vivo, docente di geochimica dell’Università di Napoli, afferma che il sondaggio dell’area potrebbe scuotere il vulcano, provocando terremoti, esplosioni e devastanti contaminazioni nel caso in cui gas nocivi venissero rilasciati nell’aria dal calderone. “I rischi sono enormi. Non si può fare un esperimento di questo tipo in un’area urbana”, sottolinea De Vivo.
Il sindaco Iervolino sembra confuso. Se dovesse consentire la trivellazione per continuare il progetto e dovesse accadere molto di più di un leggero tremolio, sarà per sempre accusata d’essere stata negligente nella sua decisione. La Iervolino sostiene che Napoli ha già abbastanza problemi anche senza il rischio di un’attività vulcanica causata dall’uomo. In un primo momento, il primo cittadino del capoluogo campano firmò il progetto riconoscendo che ulteriori ricerche avrebbero protetto la città da un disastro incalcolabile, non che l’avrebbero causato. Dopo aver ascoltato le preoccupazioni di De Vivo, però, ha fatto in modo da ritardare il trivellamento e ha predisposto un incontro a Roma. “La Protezione Civile deve promettermi che l’esplorazione non metterà a rischio la mia città”, ha detto la Iervolino aggiungendo che “senza una garanzia non ci sarà alcun trivellamento nella caldera”.
Siccome è impossibile che ci sia una completa assicurazione, De Natale ormai non crede più che lui e il suo team possano avere la possibilità di perlustrare l’impressionante caldera. Il progetto, che è stato approvato dall’Unione Europea nel 2009, una volta completato costerebbe circa 14 milioni di dollari.
La tecnologia necessaria è tanto sofisticata quanto cara. La trivellazione richiede punte per trapano di fibra ottica che possono resistere a temperature fino ai 537.8 gradi centigradi, anche se è prevista l’interruzione dei lavori laddove la temperatura dovesse superare i 315.56 gradi centigradi. Siccome le torri di trivellazione costano 28mila dollari al giorno, il lavoro andrebbe avanti per 24 ore al giorno per ridurre i costi e sarebbe monitorato da 25 scienziati che si spartirebbero il lavoro in turni.
La tecnologia necessaria è tanto sofisticata quanto cara. La trivellazione richiede punte per trapano di fibra ottica che possono resistere a temperature fino ai 537.8 gradi centigradi, anche se è prevista l’interruzione dei lavori laddove la temperatura dovesse superare i 315.56 gradi centigradi. Siccome le torri di trivellazione costano 28mila dollari al giorno, il lavoro andrebbe avanti per 24 ore al giorno per ridurre i costi e sarebbe monitorato da 25 scienziati che si spartirebbero il lavoro in turni.
La prima fase consiste nel perforare un buco pilota di poco meno di mezzo chilometro nel cerchione della caldera sulla base dell’ex acciaieria di Bagnoli tra Pozzuoli e Napoli. Le rocce e i resti del suolo ottenuti durante la trivellazione verrebbero analizzati per creare il primo profilo geologico dei Campi Flegrei cher sia mai stato fatto. Gli scienziati impianterebbero sensori di precisione per misurare i movimenti sismici sotto terra che offrirebbero dettagli essenziali sulla volatilità del cratere e permetterebbero di lanciare in tempo un’allerta ai residenti di Napoli su imminenti eruzioni basate sulle temperature in crescita o i flussi magmatici sotterranei.
Se le condizioni fossero quelle giuste, gli scienziati allora darebbero il via alla seconda fase e utilizzerebbero strumenti generalmente usati nell’esplorazione di petrolio per trivellare altri 4 chilometri verso il centro del calderone. (Come misura di confronto, basti pensare che i minatori cileni liberati recentemente erano intrappolati a una profondità di poco superiore ai 600 metri). Nel progetto, la trivella non dovrebbe mai raggiungere la principale riserva magmatica della caldera, che si stima possa trovarsi ad almeno 6,5 chilometri sotto la superficie terrestre.
L’esplorazione potrebbe rivelare fratture nella terra che porterebbero alla liberazione nell’aria di gas nocivi. Secondo De Natale potrebbe anche colpire le riserve magmatiche sparse qua e là. Ma visto che il foro sarebbe relativamente stretto, lo scienziato ritiene quasi impossibile una fuoriuscita della lava. Nonostante ciò, ci sono comunque rischi sostanziali. Nel 2006, in Indonesia, uno scavo vulcanico venne interrotto dopo l’eruzione del vulcano fangoso Lusi che provocò 13 vittime e 30mila sfollati. Gli scienziati dell’Università Durham in Inghilterra e dell’Università Berkeley in California hanno concluso che a causare l’eruzione fu proprio la trivellazione.
Racconti come questo sono esattamente la ragione delle preoccupazioni di De Vivo, che ribadisce come la perforazione di sacche di gas nocivi – qualcosa che potrebbe facilmente accadere nel trivellare un vulcano sotterrato di cui non si sa nulla – potrebbe causare esplosioni che scatenerebbero l’attività sismica. L’area della vecchia acciaieria in cui è già stato organizzata la base su cui ci sarà il trivellatore diventerà una nuova area residenziale e un parco, e De Vivo è allarmato dall’idea che i detriti della perforazione possano contaminare il suolo e rendere l’area inabitabile. “Nessuno può sostenere con certezza che cosa può accadere una volta che si traforano fluidi supercritici che sono stati sotto pressione per così tanto tempo”, chiosa evidenziando che se la stessa cosa dovesse accadere nel deserto non ci sarebbero dubbi nel proseguire le ricerche “ma non sotto Napoli”.
D’altro canto è vero che c’è un grande potenziale nell’esplorazione. De Natale sostiene che tali fluidi possano persino essere utilizzati per l’energia geotermale, specialmente durante la seconda fase del progetto. Paolo Gasparini, esperto di studi geotermali presso l’Università di Napoli, crede che tra tutti i vulcani italiani i Campi Flegrei contengano la più promettente energia geotermale. Per Gasparini, siccome sono parte di un vulcano molto “caldo”, un giorno potrebbero persino fornire energia all’Italia intera e oltre. E siccome i Campi Flegrei si trovano in una delle regioni più povere del Paese, la possibilità di creare posti di lavoro e di crescita economica nell’esportazione dell’energia geotermale è considerevole. “La caldera è come un vasto deserto in cui le potenziali scoperte sono tantissime”, ritiene lo studioso aggiungendo che “l’opportunità di ottenere questa energia da vendere è davvero promettente”.
Per di più, De Natale nota come ci siano segnali che il vulcano si stia svegliando. “I Campi Flegrei stanno cambiando, evolvendosi, crescendo, crollando e riscaldandosi sempre di più. C’è molto movimento là sotto e abbiamo bisogno di capire solo che cosa sta succedendo”, osserva. D’altro canto, De Vivo tiene a sottolineare che, seppur non abbia niente di personale contro De Natale, non riesce a capire perché il suo gruppo vuole rischiare così tanto nel perforare in un’area così vicina all’epicentro del capoluogo napoletano. “Il lavoro degli scienziati è monitorare i rischi, non quello di crearli”, conclude.
Tratto da Newsweek
Traduzione di Fabrizia B. Maggi
fonte: www.loccidentale.it
A differenza dell’eruzione alquanto modesta del vulcano islandese Eyjafjallajökull nella primavera del 2010 ...
ReplyDeleteALQUANTO MODESTA????
Ma cosa ha bevuto, o ancora meglio, ma quanto si è bevuto il cervello sto demente?