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Frammento di un romanzo disperso (II)
[...]
Il giardino della villa era il luogo dell’appuntamento. Era quasi
mezzogiorno ed il sole intiepidiva appena la giornata invernale la cui
luce, simile al fondo aureo di un’icona bizantina, scontornava le siepi
di bosso ed i cedri del parco.
Attese l’ospite nel padiglione vicino al quale si trovava un laghetto cinto dai ventagli di papiri. Sull’acqua le ninfee, dai fiori di un rosa pallido, parevano stelle tremule in una notte di pioggia. Un carassio occhieggiò da sotto il pelo dell’acqua.
Da lì la vista poteva spaziare: tra le fronde di un’imponente magnolia, a guisa di impetuose cascate, spumeggiavano cumuli bianchissimi variegati di giallo, quasi fossero sculture crisoelefantine. Tutto taceva: solo con lieve fruscio si staccava qualche foglia dai tigli per adagiarsi, con lente oscillazioni, sul prato. Dall’edera, che invadeva i piedritti, si sprigionava un sentore ombroso. Una lucertola, mimetizzata tra le foglie, strisciò guardinga verso il capitello alla ricerca di tepore.
Si chiese se, anche questa volta, come la precedente, avrebbe aspettato invano l’Anfitrione. Non comprendeva per quale motivo egli desiderasse donare a lui, che non conosceva l’accadico, quel libro: se un erudito, proprio per la sua vasta ma in fondo arida dottrina, avrebbe durato fatica a comprendere il messaggio dell’opera, come poteva cavarne un senso qualsiasi chi ignorava affatto quell’arcaica, obliata lingua? Eppure aveva insistito: avrebbe fugato ogni suo dubbio.
Il cielo pareva un arco da cui pendeva, simile a capelvenere, l’eco verde-azzurra di un’era remota.
Diresse lo sguardo verso il piano nobile della dimora: scorse dietro i vetri di una finestra una figura seduta, avvolta in un plaid; nella sinistra, le dita magre ma affusolate, teneva un orologio da tasca.
Alle spalle avvertì lo scricchiolo della ghiaia: qualcuno si stava avvicinando.
Continua... forse.
Leggi qui la prima parte.
Attese l’ospite nel padiglione vicino al quale si trovava un laghetto cinto dai ventagli di papiri. Sull’acqua le ninfee, dai fiori di un rosa pallido, parevano stelle tremule in una notte di pioggia. Un carassio occhieggiò da sotto il pelo dell’acqua.
Da lì la vista poteva spaziare: tra le fronde di un’imponente magnolia, a guisa di impetuose cascate, spumeggiavano cumuli bianchissimi variegati di giallo, quasi fossero sculture crisoelefantine. Tutto taceva: solo con lieve fruscio si staccava qualche foglia dai tigli per adagiarsi, con lente oscillazioni, sul prato. Dall’edera, che invadeva i piedritti, si sprigionava un sentore ombroso. Una lucertola, mimetizzata tra le foglie, strisciò guardinga verso il capitello alla ricerca di tepore.
Si chiese se, anche questa volta, come la precedente, avrebbe aspettato invano l’Anfitrione. Non comprendeva per quale motivo egli desiderasse donare a lui, che non conosceva l’accadico, quel libro: se un erudito, proprio per la sua vasta ma in fondo arida dottrina, avrebbe durato fatica a comprendere il messaggio dell’opera, come poteva cavarne un senso qualsiasi chi ignorava affatto quell’arcaica, obliata lingua? Eppure aveva insistito: avrebbe fugato ogni suo dubbio.
Il cielo pareva un arco da cui pendeva, simile a capelvenere, l’eco verde-azzurra di un’era remota.
Diresse lo sguardo verso il piano nobile della dimora: scorse dietro i vetri di una finestra una figura seduta, avvolta in un plaid; nella sinistra, le dita magre ma affusolate, teneva un orologio da tasca.
Alle spalle avvertì lo scricchiolo della ghiaia: qualcuno si stava avvicinando.
Continua... forse.
Leggi qui la prima parte.
spumeggiavano cumuli bianchissimi variegati di giallo
ReplyDeletenemmeno quando 'o professore vaneggia possono mancare marezzature di zolfo da irrorazione chimica!
LOL
rassegnati antò, non sei Eco. E per quanto tu possa insistere che per te la cosa è un complimento, perché secondo te Eco non sa scrivere.. tutti noi sappiamo che, nel profondo, puppi.
ReplyDeleteAzz ... che sbrodolata per non dire niente
ReplyDeleteContinua... forse.
ReplyDeleteilpeyote il solito allegrone ottimista
E va bene facciamo un po di analisi stilistica:
ReplyDelete- quasi mezzogiorno, ridondante il quasi.
- rosa pallido, come sopra.
- quasi crisolelefantine, idem
- sentore ombroso, non ha senso.
- arcaica, obliata lingua, mai sentito dire che un'aggettivo è troppo 2 devi essere Borges?
- dita magre ma affusolate, basta aggettivi!!!
Nel complesso, ho contato 27 aggettivi, sto coso è da riscrivere.
In una pagina non succede nulla di interessante per la trama.
Parole complesse servono solo a estraniare il lettore rompendo la continuità della lettura.
Show don't tell questo sconosciuto: allora va bene il tell piuttosto che sbrodolare 2 ore su un giardino che non ha effetto sulla trama e invece usa lo show, dovrebbe usare lo show per descrivere le sensazioni del personaggio e invece se ne esce con uno squallido tell (cultura vasta ma arida).
Domande retoriche: non usare mai! Cazzo ne so io, lettore, del perchè il tizio voglia darti un libro, non devi chiederlo a me cazzo!
Cmq se sta roba fosse finita tra quelli che recensisco io ti saresti beccato 2 stellette per lo stile, la trama sorvolo perchè ho letto un solo capitolo.