http://zret.blogspot.com/2009/11/il-vangelo-di-maria-maddalena.html
Il Vangelo di Maria Maddalena
"Quando Maureen Paschal, giovane giornalista nota per le sue ricerche sulla figura di Maria Maddalena, riceve una lettera da Bérenger Sinclair, un nobile scozzese che la invita nel suo castello in Francia il giorno del solstizio d'estate per rivelarle un segreto che la riguarda, non sa che si sta lanciando in un'avventura densa di misteri e di morte..."
E' questo l'antefatto del libro, il cui titolo originale è The expected one, libro uscito dalla penna di Kathleen Mc Gowan. L'autrice, che denota discrete abilità narrative, dipana gli eventi senza cadere nelle trappole del romanzesco che tanto attrae i lettori meno provveduti, volta a privilegiare il ritratto di una donna straordinaria, Maria Maddalena alias Maria di Betania. Crediamo alla Mc Gowan che considera questa sua opera prima il coronamento di diligenti ricerche sulle origini perdute del Cristianesimo. I risultati, sotto il profilo storiografico, paiono deboli: le vicende del Messia di David e della sua sposa, Maria Maddalena, sono in gran parte fantasiose, come sono inverosimili il ritratto di Pilato, il prefetto romano (non procuratore) e della consorte, Claudia Procula. Il quadro della Palestina nel I secolo d.C. è edulcorato, benché il dissidio su cui indugia la scrittrice tra Giovanni Battista ed il Messia di David, sia plausibile: tale rivalità sembra essere confermata dagli stessi vangeli. La Mc Gowan coglie indizi interssanti circa una presunta discendenza del Messia, introducendo nella compagine narrativa opere figurative, brani di Vangeli apocrifi e di tradizioni occitaniche, senza incorrere nei grossolani abbagli di Dan Brown.
Il romanzo dunque si può apprezzare, oltre che per i delicati tocchi con cui sono ritratti i personaggi e gli scorci della Provenza, per l'impegno etico nell'impossibile ricostruzione di un passato che ignoriamo. Ha ragione la Mc Gowan quando annota: "La storia non è ciò che è accaduto. La storia è ciò che è stato scritto". Ella tocca un nervo scoperto: sappiamo quanto devoti falsari si prodigarono in "pie frodi" pur di creare e trasmettere la loro verità, ricorrendo ad interpolazioni, censure, fusioni e sdoppiamenti. Sono tecniche scaltrite e maldestre al tempo stesso che, a distanza di duemila anni, ritroviamo immutate e con fini immutati: distorcere i "fatti" in modo tale da renderli irriconoscibili, come immagini riflesse in uno specchio deformante. Sappiamo che la storia è instrumentum regni, assai più della religione. Così, di fronte alla mole abnorme di menzogne che leggiamo nei manuali e negli annali di regime, si possono solo sottoscrivere le righe vergate dall'autrice nell'arguta post-fazione: "Ho sempre avuto la propensione a portare alla luce vecchie storie sconosciute, strati di esperienza umana spesso deliberatamente passati sotto silenzio, sepolti sotto un mucchio di resoconti accademici."
Se poi questa propensione approda ad una rilettura degli accadimenti non molto distante dalla vulgata, quasi scevra di foschi retroscena, è conseguenza di una pur critica adesione al pensiero dominante. Non è contegno dovuto a timore, ma alla difficoltà di attuare in modo consequenziale la pars destruens né forse si può pretendere in un testo che è un romanzo (anche se con velleità storiche) e non un saggio. Il vero storiografo è, però, un iconoclasta e sa quale può essere il rischio delle sue taglienti indagini. Così la riflessione sul rapporto, anzi connubio, tra storia e potere, resta incompiuta, nonostante l'assunto dichiarato dalla Mc Gowan, ossia "La verità contro il mondo" (motto della regina celtica Boudicca).
E' proprio questo l'idolo che non si osa spezzare: il potere nelle sue varie forme, anche quando è contrabbandato come necessità nelle parole accomodanti di chi, pur di diffondere il suo credo, è disposto al compromesso con le autorità di questo mondo.
E' questo l'antefatto del libro, il cui titolo originale è The expected one, libro uscito dalla penna di Kathleen Mc Gowan. L'autrice, che denota discrete abilità narrative, dipana gli eventi senza cadere nelle trappole del romanzesco che tanto attrae i lettori meno provveduti, volta a privilegiare il ritratto di una donna straordinaria, Maria Maddalena alias Maria di Betania. Crediamo alla Mc Gowan che considera questa sua opera prima il coronamento di diligenti ricerche sulle origini perdute del Cristianesimo. I risultati, sotto il profilo storiografico, paiono deboli: le vicende del Messia di David e della sua sposa, Maria Maddalena, sono in gran parte fantasiose, come sono inverosimili il ritratto di Pilato, il prefetto romano (non procuratore) e della consorte, Claudia Procula. Il quadro della Palestina nel I secolo d.C. è edulcorato, benché il dissidio su cui indugia la scrittrice tra Giovanni Battista ed il Messia di David, sia plausibile: tale rivalità sembra essere confermata dagli stessi vangeli. La Mc Gowan coglie indizi interssanti circa una presunta discendenza del Messia, introducendo nella compagine narrativa opere figurative, brani di Vangeli apocrifi e di tradizioni occitaniche, senza incorrere nei grossolani abbagli di Dan Brown.
Il romanzo dunque si può apprezzare, oltre che per i delicati tocchi con cui sono ritratti i personaggi e gli scorci della Provenza, per l'impegno etico nell'impossibile ricostruzione di un passato che ignoriamo. Ha ragione la Mc Gowan quando annota: "La storia non è ciò che è accaduto. La storia è ciò che è stato scritto". Ella tocca un nervo scoperto: sappiamo quanto devoti falsari si prodigarono in "pie frodi" pur di creare e trasmettere la loro verità, ricorrendo ad interpolazioni, censure, fusioni e sdoppiamenti. Sono tecniche scaltrite e maldestre al tempo stesso che, a distanza di duemila anni, ritroviamo immutate e con fini immutati: distorcere i "fatti" in modo tale da renderli irriconoscibili, come immagini riflesse in uno specchio deformante. Sappiamo che la storia è instrumentum regni, assai più della religione. Così, di fronte alla mole abnorme di menzogne che leggiamo nei manuali e negli annali di regime, si possono solo sottoscrivere le righe vergate dall'autrice nell'arguta post-fazione: "Ho sempre avuto la propensione a portare alla luce vecchie storie sconosciute, strati di esperienza umana spesso deliberatamente passati sotto silenzio, sepolti sotto un mucchio di resoconti accademici."
Se poi questa propensione approda ad una rilettura degli accadimenti non molto distante dalla vulgata, quasi scevra di foschi retroscena, è conseguenza di una pur critica adesione al pensiero dominante. Non è contegno dovuto a timore, ma alla difficoltà di attuare in modo consequenziale la pars destruens né forse si può pretendere in un testo che è un romanzo (anche se con velleità storiche) e non un saggio. Il vero storiografo è, però, un iconoclasta e sa quale può essere il rischio delle sue taglienti indagini. Così la riflessione sul rapporto, anzi connubio, tra storia e potere, resta incompiuta, nonostante l'assunto dichiarato dalla Mc Gowan, ossia "La verità contro il mondo" (motto della regina celtica Boudicca).
E' proprio questo l'idolo che non si osa spezzare: il potere nelle sue varie forme, anche quando è contrabbandato come necessità nelle parole accomodanti di chi, pur di diffondere il suo credo, è disposto al compromesso con le autorità di questo mondo.
Questa volta o'professore dice cose abbastanza sensate. Poi quando dice : sappiamo quanto devoti falsari si prodigarono in "pie frodi" pur di creare e trasmettere la loro verità, fa il perfetto ritratto di se stesso e del fratellone ;-)
ReplyDeleteCerto che un link a TE deve sempre ficcarcelo in qualche modo :D
ReplyDeleteSì, d'accordo, The Foe-Hammer, saranno anche sensate, ma se il senso è quello di Zret...
ReplyDeleteLe sue recensioni, che riguardino opere letterarie o cinematografiche, appaiono sempre filtrate attraverso il suo, diciamo originale?, ma sì, è domenica, punto di vista, quindi presentate in maniera viziata per non dire distorta.
Il Circolo Letterario di Via Margotti
Eh?
ReplyDeleteChe ha scritto?
Saluti
Mochele